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Passaggio da una visione frontale ad una di intorno e conseguente costruzione di mondi intermedi e mondi altri nella contemporaneità. Un'analisi da Merleau-Ponty a Sherry Turkle.

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“La vita reale non è altro che una finestra in più, e in

genere nemmeno la migliore”

La vita sullo schermo, Sherry Turkle

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Indice

- Introduzione ……….. 5

- Capitolo I : “Passaggio da una visione frontale ad una di intorno nell’arte e nella percezione sensibile”…..……….… 11

 Fenomenologia di Merleau-Ponty e definizione della percezione con ripristino della validità dei sensi;……… 11

Prospettiva in Alberti, determinazione del ruolo del pittore nell’arte rinascimentale e definizione di finestra albertiana;…… 16

 Cambio paradigmatico nella filosofia di Merleau-Ponty della percezione nell’arte e del ruolo del pittore: accesso ad un mondo

intermedio che si colloca intorno a noi e non più di fronte;……. 20

 Relazione tra la visione di Leonardo da Vinci e il terzo occhio di Merleau-Ponty;……….. 31

Il ruolo del pittore secondo Klee: rendere visibile (sichtbar machen);……… 33

 Distinzione dei concetti illusione - inganno……….. 39

- Capitolo II : “Con la coda dell’occhio: un’analisi di Winnicott e Bateson in relazione al tema dell’illusione e del gioco”………. 46

 Importanza dell’illusione e della madre nel processo di autonomia del bambino e definizione dell’area intermedia;………46

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 Il gioco in Bateson: relazione tra cornice-contesto-significato e metacomunicazione………58

- Capitolo III : “Cambiamento paradigmatico del concetto di spazio in Cézanne e nella tecnologia digitale: da una spazialità frontale ad una di intorno”….……… 75

Descrizione dell’arte di Cézanne nel saggio Il dubbio di Cézanne di Merleau-Ponty;……….. 75

 Rapporto tra Alberti, Klee e Cézanne. Definizione del ruolo del pittore in Cézanne come di colui che deve pensare in pittura;…. 81

 Definizione del mondo intermedio dell’arte ed evoluzione del concetto di spazio: esempio pittorico, la Montagna di

Sainte-Victoire;………. 89

 Attraversamento della cornice e accesso al mondo digitale del virtuale: spazio cézanniano a confronto con quello virtuale…....102

 Introduzione ai nuovi media e al mutamento del concetto di identità in Sherry Turkle………..112

- Capitolo IV : “Il mondo della realtà virtuale: non più mondo intermedio, ma mondo altro”………... 117

 Rapporto dell’uomo con i nuovi media e con il mondo della realtà virtuale, così descritto da Sherry Turkle;………. 117

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 Evoluzione del processo identitario e coinvolgimento emotivo sempre più profondo nel mondo virtuale: graduale scomparsa della consapevolezza della cornice;………. 121

 Rischio di sostituire il mondo reale con quello virtuale: passaggio dalla definizione di mondo intermedio a mondo altro;……….. 148

Riflessione sulla definizione di mondo altro e sulla posizione dell’uomo contemporaneo in relazione all’affermarsi di una realtà sempre più legata al virtuale: l’uomo è o diventa prigioniero della caverna?... 151 - Conclusione………. 159 - Bibliografia………. 163

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Introduzione

Il mio elaborato ha come scopo quello di evidenziare un importante cambiamento paradigmatico, in ambito ontologico ed epistemologico, che si è verificato con l’avvento delle nuove tecnologie e con l’affermarsi della realtà virtuale.

Ciò che intendo affermare è che: lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione ha gradualmente portato l’uomo a percepirsi non più solo di fronte alla finestra tecnologica, ma a percepirsi intorno ad essa. Egli diventa capace di attraversare la cornice di senso che delimita la sua realtà, con il fine di accedere ad un mondo

intermedio. Quest’ultimo è dotato di un senso suo proprio e le azioni che si

verificano in esso sono denotate dal contesto caratterizzante. La cornice, che l’uomo attraversa, definisce il contesto del mondo intermedio e, di conseguenza, le azioni assumono il significato dettato da quel determinato contesto.

La mia analisi comincia con la definizione della fenomenologia di Merleau-Ponty, poiché egli diventa, nel Novecento, uno dei maggiori esponenti della fenomenologia francese, la quale è contraddistinta dalla riassegnazione della validità epistemologica ai sensi. In un’opera in particolare (L’occhio e lo spirito), si può osservare come egli dia molta importanza all’arte, in generale, e alla pittura, in particolare. A partire da questo interesse, Merleau-Ponty introduce una serie di concetti chiave, utili a comprendere, non solo, il ruolo del pittore nell’arte, ma anche a comprendere come bisogna osservare ed interpretare l’opera d’arte una volta ultimata. Da ciò, uno dei concetti principali della sua filosofia è la definizione del terzo occhio: ossia la definizione di un modo particolare di sguardo, detta anche visione di secondo grado.

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Il terzo occhio diventa la modalità con cui l’artista osserva ciò che lo circonda, tanto da permettergli di penetrare in un mondo intermedio, delimitato da una cornice di senso suo proprio. Questo concetto fondamentale è alla base della visione secondo Merleau-Ponty: infatti, per il filosofo francese, il pittore, prima di riprodurre su tela ciò che vede, deve prima osservare ciò che gli è intorno mediante uno sguardo particolare, ossia mediante il terzo occhio. Successivamente, una volta che l’artista coglie per mezzo del visibile ciò che di per sé non lo è, allora è pronto a riprodurre la sua immagine mentale su un supporto materiale, quale la tela del quadro. Allo stesso tempo, lo spettatore deve essere in grado di comprendere l’opera non solo osservandola così come essa appare, ma deve penetrare in essa mediante lo stesso sguardo dell’artista, ossia mediante il terzo occhio: in tal modo, egli può vedere il quadro non come qualcosa che si pone di fronte a lui, ma può percepirlo e osservarlo come qualcosa che si colloca intorno a lui. Lo spettatore, dunque, vede il quadro secondo lo sguardo dell’artista. Il mondo dell’arte e del quadro a cui questi accede è un mondo intermedio, poiché, penetrando in esso, egli attraversa una cornice di senso che separa e, allo stesso tempo, mette in comunicazione il mondo della realtà con quello visibile dal terzo occhio dell’artista.

È con Merleau-Ponty che si assiste ad un primo episodio di cambio paradigmatico per ciò che riguarda la concezione epistemologica dell’uomo rispetto al mondo che deve conoscere. Se prima il soggetto sensibile doveva porsi di fronte al mondo oggettuale per conoscerlo, adesso si deve porre intorno ad esso. La particolarità dell’uomo è la sua base fattuale, ed è proprio questa che lo rende in grado di conoscere il mondo, in quanto anch’esso caratterizzato da una base

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fattuale. Tale base comune permette all’individuo di porsi in relazione con ciò che lo circonda, e, in tal modo, di conoscerlo. Percepire il mondo significa comprenderlo nella sua fattualità e, solo in questo modo, egli può sentirsi parte di ciò che gli è intorno.

Merleau-Ponty applica questo principio all’arte e, nelle sue opere L’occhio e lo

spirito e Senso e non senso, descrive il ruolo del pittore, soffermandosi su un

artista in particolare: Paul Cézanne. Questi, oltre che essere un importantissimo pittore del Novecento, è anche il promotore del cambiamento del concetto di spazio. Lo spazio non è più quello di cui si parla nella Diottrica, ossia un reticolo di relazioni tra gli oggetti, ma è uno spazio considerato a partire da me come punto o grado zero della spazialità. L’uomo deve porsi intorno allo spazio che lo circonda per poter percepire se stesso e il mondo a partire da questo principio. Cézanne, oltre a dare una nuova definizione dello spazio, si sofferma sul ruolo centrale che ha l’artista nella determinazione dell’opera d’arte. Egli applica il concetto del terzo occhio di Merleau-Ponty e crea delle opere d’arte che sono osservabili mediante lo sguardo dell’artista. Cézanne è il promotore del cambio epistemologico paradigmatico nell’arte, secondo cui: l’opera non deve porsi di fronte allo spettatore, ma intorno a lui.

L’intorno diventa la nuova condizione fondamentale per comprendere il mondo intermedio delimitato dalla cornice dell’opera d’arte. Lo spettatore, attraversando il suo mondo della quotidianità per accedere a quello intermedio, deve avere coscienza della cornice che permette tale attraversamento, altrimenti non è più in grado di distinguere il mondo reale da quest’ultimo. La consapevolezza della

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cornice è essenziale affinché l’osservatore riesca a tornare alla sua propria realtà senza perdere il senso delle sue azioni.

Sulla base di tale cambio di prospettiva, è possibile analizzare la posizione dell’uomo rispetto ai mezzi tecnologicamente avanzati che caratterizzano la nostra epoca contemporanea.

Si assiste anche in questo caso ad un cambio prospettico non indifferente nella concezione dell’uomo rispetto al mondo intermedio del virtuale. Se, prima dello sviluppo del concetto del virtuale, l’uomo si poneva di fronte ai mezzi di comunicazione quali, ad esempio, la televisione, il computer o il cellulare, ora, con l’avanzamento della tecnologia nel digitale, l’uomo è chiamato ad accedere sempre più ad un mondo intermedio che non sempre rimane definibile come tale. La cornice, che prima delimitava lo strumento tecnologico, era ben visibile e ben percettibile all’uomo di cui ne faceva esperienza (anche data la sua dimensione rispetto allo schermo che circondava): l’uomo, attraversandola, entrava nel mondo intermedio della tecnologia, ma, con la coda dell’occhio, continuava a percepirla. In epoca contemporanea, invece, dato lo sviluppo dei mezzi tecnologici, si riducono sempre più le dimensioni della cornice fisica (quasi fino a scomparire) e aumentano le dimensioni dello schermo. La sociologa e psicologa statunitense Sherry Turkle ha studiato questo fenomeno e si è resa conto del fatto che: l’onnipresenza del virtuale nel reale non ha fatto altro che provocare un processo di decentramento dell’identità dell’uomo. Questi, dal momento che è presente sullo schermo sotto forma di utente, si sente libero di poter accedere al mondo del virtuale in piena libertà, e, sulla base di ciò, costruisce un’identità che risulta il più affine possibile al suo io più intimo. L’uomo sente di essere se stesso più nella

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vita online che in quella offline e, a questo punto, egli arriva anche a non vedere più la cornice che separa il mondo reale da quello virtuale.

Sulla base di tale processo di offuscamento e di coinvolgimento emotivo, ho esposto il concetto chiave della mia tesi: l’uomo, attraversando la cornice che separa e mette in comunicazione il mondo reale con il mondo del virtuale, trova, in quest’ultimo, un ambiente in cui rifugiarsi e in cui poter essere se stesso. La Turkle, intervistando un ragazzo cresciuto nell’era digitale, comprende che la realtà non è altro che una delle tante finestre che ci circondano, e, a volte, nemmeno la migliore.

Da ciò, si può comprendere come il mondo del virtuale e della realtà virtuale non siano soltanto mondi a cui accedere per divertimento o per svago, ma diventino spazi in cui poter vivere e in cui relazionarsi con gli altri. A volte, alcuni uomini assegnano al virtuale un grado di realtà maggiore rispetto a quello della quotidianità, e ciò risulta essenziale per comprendere come la realtà virtuale, da essere qualcosa di prettamente artificiale, diventi qualcosa di naturale per l’uomo che ne fa esperienza. Il passaggio da un mondo ad un altro viene così naturalizzato e, se si decide di considerare il mondo intermedio del virtuale come il punto di arrivo, allora questo non è più definibile come intermedio, ma come mondo altro. L’uomo, inizialmente, per poter accedere al virtuale, percepisce la cornice che lo delimita, e ne ha coscienza, ma, una volta che viene travolto dal fascino e dall’artificialità della realtà virtuale, ne diventa schiavo e, dunque, non percepisce più la cornice. Egli, a differenza dei prigionieri della caverna di Platone, non è incatenato a questo mondo perché non ha fatto esperienza di altre realtà, ma è lui stesso a costruirsi le catene che lo tengono ancorato al mondo virtuale. Di

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conseguenza, l’uomo/utente, perde il contatto con la realtà da cui proviene e considera il virtuale l’unica dimensione in cui può esprimere il suo io più intimo. Di fronte a questa possibilità, credo sia importante non smettere mai di percepire quella cornice che ci rende in grado di esperire numerose e diverse realtà a noi collaterali, senza mai perdere di vista il mondo reale. Se così non fosse, allora ritorneremmo a quello stato di minorità kantiana tanto criticato, da cui l’uomo era riuscito a liberarsi.

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Capitolo I

Passaggio da una visione frontale ad una di intorno nell’arte e

nella percezione sensibile

Maurice Merleau-Ponty è uno dei più grandi maestri della filosofia francese contemporanea ed è considerato il più originale degli eredi della fenomenologia di Husserl. Il tema fondamentale delle sue indagini è quello del rapporto gnoseologico tra uomo e mondo, dunque tra soggetto e oggetto. È proprio in questo rapporto che la percezione assume un ruolo fondamentale: ossia superare la rigidità e il dualismo cartesiano.

Fenomenologia di Merleau-Ponty e definizione della percezione con

ripristino della validità dei sensi

Merleau-Ponty, nel determinare la metodologia della sua filosofia, si interroga su cosa sia la fenomenologia e la definisce come: “lo studio delle essenze, e per essa tutti i problemi consistono nel definire delle essenze, per esempio, l’essenza della percezione e quella della coscienza. Ma la fenomenologia è anche una filosofia che ricolloca le essenze nell’esistenza e pensa che non si possa comprendere l’uomo se non sulla base della loro fatticità”1

. Analizzando la definizione che Merleau-Ponty dà di fenomenologia, è possibile osservare l’importanza della base fattuale dell’uomo e del mondo, senza la quale l’individuo non potrebbe conoscere se stesso e la realtà che lo circonda. È grazie al suo essere fattuale che

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M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Studi Bompiani, traduzione di Andrea Bonomi, Milano 2009, p. 15

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l’uomo può conoscere il mondo, ossia può coglierne l’essenza. La fatticità di entrambi (di uomo e mondo) è ciò che Merleau-Ponty pone alla base della fenomenologia che egli stesso teorizza.

La fenomenologia, quindi, è una filosofia che tende a cercare e ritrovare un contatto col mondo, ossia un contatto con l’oggetto della conoscenza, tale che l’uomo possa cogliere l’essenza di ciò che lo circonda nella sua stessa percezione. In tal modo, la fenomenologia rende possibile una descrizione (e non un’analisi) del reale. Infatti, questa dottrina si pone come compito principale quello non di analizzare, ma di descrivere il reale avendo fiducia dei sensi (e quindi delle capacità e dei mezzi umani) che ci permettono di coglierlo. Lo stesso Husserl premeva su ciò: “ Tutto l’universo della scienza è costruito sul mondo vissuto”2

ed è in relazione a questo che l’uomo deve porsi. L’individuo deve comprendere, secondo Merleau-Ponty, che bisogna ritornare alle cose guidati dall’intenzione di coscienza, in modo da percepirle mediante i sensi. La base fattuale dell’uomo è l’insieme dei mezzi che permettono ad egli stesso di poter entrare in relazione con il mondo e, conseguentemente, di conoscerlo.

Il problema della validità della percezione nel processo cognitivo è il problema stesso del rapporto tra coscienza e mondo (dunque tra soggetto e oggetto). Perciò Merleau-Ponty esamina, sulla base di questo rapporto, tutti i problemi classici della filosofia, come ad esempio: la sensazione, la conoscenza delle cose, il corpo e la comunicazione con gli altri. Ciò che però diventa il concetto cardine della sua analisi filosofica è quello di corpo, perché è grazie a questo che è possibile la coscienza e la conoscenza del mondo.

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L’uomo, per conoscere il mondo, deve sentirlo e coglierlo mediante i sensi. E’ proprio sulla base di quest’affermazione che è sempre necessario fare riferimento al corpo. Il sentire è una comunicazione vitale che l’uomo ha con il mondo ed è proprio questo che lo rende presente. Ma, perché ciò si verifichi, è necessario che vi sia un soggetto, un io che senta e che abbia questa capacità. Il legame sensoriale che si determina tra il soggetto e il mondo è possibile grazie al corpo. L’uomo, in quanto soggetto incarnato, comprende le relazioni con l’oggetto, tanto che l’oggetto percepito e il soggetto percipiente devono il loro spessore proprio al sentire.

Il corpo, per Merleau-Ponty, diventa così mezzo fondamentale per conoscere. L’autore, infatti, definisce “primo atto filosofico”3

il modo di comprendere il mondo e i limiti del mondo oggettivo per “ritornare al mondo vissuto”4

. Il mondo fenomenico non deve essere inteso come un mondo interiore e, allo stesso modo, il fenomeno non lo si può considerare uno stato di coscienza o un fatto psichico. Invece, il ritorno al fenomenico testimonia la caduta del pregiudizio verso le sensazioni, intese come mezzi non affidabili per conoscere. Allo stesso tempo il fenomeno, nella sua immediatezza, cessa di essere un semplice “dato di fatto” e diventa denso e ricco di significato. In questo senso Merleau-Ponty parla di ritorno al fenomenico e, tutto ciò, è possibile grazie alla nostra capacità sensibile di percepire gli oggetti.

In relazione al corpo, si pone un altro importante concetto, ossia quello della percezione: questa non è mai un fatto isolato o isolabile, ma è un qualcosa che rinvia sempre al mondo in cui si inserisce il corpo, che a sua volta ne è la

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Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, “Il campo fenomenico”, pag. 100

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condizione. Il singolo oggetto non si determina nella sua singola manifestazione, ma ci promette sempre qualche altra cosa da vedere. L’oggetto che si vuol conoscere non si pone in una dimensione gnoseologica fine a se stessa e priva di qualsiasi legame o relazione con il soggetto che esprime l’intenzione di conoscenza. Ma, al contrario, tale oggetto è in rapporto con il soggetto conoscitivo, anzi ha la sua stessa base fattuale: entrambi possiedono la fatticità come base gnoseologica comune.

Merleau-Ponty alla fine della Premessa della Fenomenologia della percezione afferma che: “la fenomenologia consiste nell’aver congiunto estremo soggettivismo ed estremo oggettivismo nella sua nozione del mondo o della razionalità”.5

Il mondo fenomenologico non è un Essere puro, ma è dato dall’intersezione delle esperienze proprie del soggetto e delle esperienze altrui. Ciò permette a Merleau-Ponty di introdurre un nuovo concetto (che sarà poi fondamentale nell’arte), ossia quello di intersoggettività: definito come il rapporto tra soggetti.

Il filosofo francese si pone dunque come obiettivo quello di pensare il mondo, l’altro e se stesso.

La novità di Merleau-Ponty sta nel fatto che egli non solo si pone in relazione con le scienze, ma anche e soprattutto con l’arte, luogo in cui l’uomo può rappresentare le sue percezioni. La dimensione artistica diventa perciò un’altra modalità di vedere, conoscere e rappresentare.

I sensi mi permettono di percepire il mondo così come esso si manifesta e di cogliere le cose nel loro insieme, ma, allo stesso tempo, le percezioni modificano

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l’essere dell’uomo, ed egli rappresenta queste ultime attraverso l’immaginazione e la visione nell’arte.

Queste tematiche vengono affrontate dall’autore in modo più approfondito nell’opera L’occhio e lo Spirito, nel capitolo intitolato Il Dubbio di Cézanne dell’opera Senso e non Senso e in Il Visibile e l’Invisibile. In questi testi, Merleau-Ponty si sofferma sull’importanza della visione e, in particolare, sull’importanza della visione nell’arte. Infatti, egli afferma: “vedere un oggetto significa o averlo al margine del campo visivo e poterlo fissare, o rispondere effettivamente a questa sollecitazione fissandolo”6

, e ancora: “ […] per meglio vedere l’oggetto, è necessario porre in letargo ciò che lo circonda e perdere in sfondo ciò che si guadagna in figura”7

.

L’uomo, quando fissa la realtà oggettuale, la coglie inizialmente nel suo insieme. Solo successivamente il suo occhio ha la capacità di focalizzare lo sguardo e l’attenzione su un oggetto in particolare. In tal modo il soggetto, prima ha una visione d’insieme che gli permette di sentire, ossia di percepire, tutto ciò che lo circonda, poi, in un secondo momento, ha la capacità di concentrare il suo sguardo su un particolare oggetto. Questo tipo di visione (che potremmo definire “iniziale”) ha una modalità di azione del tipo induttivo, ossia descrive un movimento dello sguardo che dal generale va al particolare.

Ma, quando l’individuo sospende lo sguardo dagli oggetti circostanti, allora è in quel momento che inizia ad esplorare l’oggetto particolare immergendosi in esso e concentrando tutta la sua attenzione su questo.

Tutto ciò che circonda l’oggetto osservato passa così in secondo piano.

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ivi, p. 113

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A tal proposito, una cosa fondamentale da sottolineare è che il mondo che viene momentaneamente sospeso non cessa di esistere, ma continua ad avere una sua propria oggettività. Gli oggetti che non rappresentano più il fuoco dell’attenzione del soggetto vengono celati grazie ad un’importante struttura visiva e mentale del tipo oggetto-orizzonte (che è stata teorizzata dagli artisti di fine ‘400 - inizio ‘500): ossia grazie alla prospettiva.

Prospettiva in Alberti, determinazione del ruolo del pittore nell’arte

rinascimentale e definizione della finestra albertiana

La prospettiva viene inventata da Filippo Brunelleschi e codificata da Leon Battista Alberti nel 1453 nella sua opera De Pictura, opera in cui l’autore propone l’immagine della finestra per far comprendere meglio l’uso di questo nuovo strumento pittorico. Il termine “prospettiva”, da un punto di vista etimologico, ha un significato che oscilla tra il verbo latino perspicere (che si traduce con “vedere attraverso”) e l’aggettivo sostantivato tardo latino prospectiva (che significa “guardare avanti”). Sulla base di questi due significati, Leon Battista Alberti inaugura una nuova impostazione della pittura rinascimentale: egli si serve di

finestre e dello strumento pittorico della prospettiva per riprodurre immagini con

l’uso della matematica. L’autore, infatti, sostiene che bisogna prendere dai matematici proprio quegli elementi e strumenti che servono e che risultano funzionali alla pittura. Lo scopo di Alberti è proprio quello di riprodurre il visibile, attraverso l’uso stesso della matematica. Da ciò, egli crea un legame tra le facoltà intellettive dell’uomo e la mano dell’artista.

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L’originalità e la novità dell’opera di Alberti stanno nel trasformare il concetto stesso di artista e di pittura. Infatti, il De Pictura offre almeno due spunti di innovazione concettuale: il primo è collegare l’arte pittorica alla tradizione umanistica e retorica, mentre il secondo è quello di passare dalla “perspectiva” teorizzata in epoca medievale, rivolta al campo della metafisica e della meditazione, a quella propria dell’arte pittorica.

Secondo Alberti, la prospettiva, in campo pittorico, deve essere intesa dall’artista come la risultante di una commistione semantica dei due termini latini perspicere e prospectiva. Essa si traduce in una struttura ottica e mentale in cui lo spettatore

guarda sì qualcosa davanti a sé (significato derivante dal concetto latino prospectiva), ma, allo stesso tempo, permette anche di vedere attraverso di essa

ciò che l’autore intende rappresentare e ciò che questi vuol far percepire allo spettatore (significato derivante dal concetto latino di perspicere).

Dunque, per Leon Battista Alberti, il pittore deve imitare il visibile e, la prospettiva, deve diventare il mezzo che egli adotta per il raggiungimento di tale scopo.

Insieme alla prospettiva, un altro elemento fondamentale dell’arte teorizzato da Alberti, è quello della finestra. La finestra albertiana diventa l’immagine della dimensione artistica descritta e teorizzata dall’autore del De Pictura. Essa determina l’accesso dello spettatore al mondo rappresentato dal pittore. Guardando l’opera d’arte, lo spettatore è come se fosse affacciato ad una finestra a contemplare la realtà pittorica che si trova al di là di essa. Ma, nel De Pictura, Leon Battista Alberti espone “un’idea di rappresentazione che implica l’imitazione come riproduzione, come duplicazione dell’oggetto, anche se ciò è,

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nello stesso tempo, contraddetto dal fatto che l’osservatore non può ingannarsi, né confondersi perché è avvertito dalla cornice [corsivo mio]”8. Dunque, secondo l’autore, lo spettatore ha coscienza della cornice che delimita la finestra albertiana, tanto che vedere attraverso la finestra vuol dire percepire il mondo che si trova al di là di essa e, allo stesso tempo, percepire la cornice che la delimita e la definisce. È quest’ultima che determina il contesto della realtà che racchiude e, senza contesto, non vi sarebbe alcun significato e denotazione delle azioni che si svolgono in essa. “La cornice avverte lo spettatore che il mondo dentro la finestra è nello stesso tempo simulato e rappresentato”9

. Alberti, così facendo, definisce un nuovo tipo di opera d’arte: il quadro-finestra.

Significativa, a tal riguardo, è un’incisione di Albrecht Dürer, un pittore, un incisore e matematico tedesco che contribuisce molto alla diffusione nel Nord Europa della prospettiva come tecnica pittorica rivoluzionaria. Questi accoglie e diffonde il concetto che vi è alla base della struttura prospettica, ossia la possibilità di riprodurre le immagini con un’elevata precisione per mezzo della matematica. Nell’incisione significativa di Dürer è possibile notare che il pittore usa una vera e propria finestra per riprodurre la donna che ha davanti a sé e che, rispetto a lui, si trova al di là di essa. Questo strumento intermedio (la finestra tra il pittore e l’oggetto da riprodurre) determina una precisa visione del mondo, in cui: il rapporto tra l’artista e l’oggetto osservato è unidirezionale. Il pittore volge il suo sguardo verso l’oggetto che intende raffigurare attraverso la finestra; così facendo, si può osservare come lo sguardo segua una dinamica unidirezionale che va: dall’artista all’oggetto osservato e non viceversa.

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Alfonso Maurizio Iacono, L’illusione e il sostituto, saggi Bruno Mondadori 2010, p. 54

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In altre parole, il modello finestra prevede una relazione che ha un senso unidirezionale tra l’io e il mondo, tra il soggetto e il suo oggetto, e non prevede una relazione multidirezionale tra soggetti. È l’individuo che guarda l’oggetto attraverso la finestra e, in tal modo, l’osservatore diventa “padrone e signore dell’oggetto osservato”10

. Il pittore si serve di una tavola prospettica che permette di vedere il corpo secondo linee e cifre, le quali poi si traducono in ordinate e ascisse come nel modello cartesiano. Inoltre il termine perspectiva (che vuol dire

vedere attraverso) riflette ancora di più l’idea di una conoscenza in cui l’artista e

il mondo esterno sono separati da una finestra. Allo stesso tempo, il termine

prospectiva, che si traduce con guardare davanti, presuppone il senso di frontalità

tra l’osservatore e il mondo, quindi, un ulteriore senso di separatezza e unidirezionalità.

L’uomo dunque è circondato da finestre, ossia da spazi in-quadrati e in-corniciati che gli permettono di avere coscienza delle realtà che lo circondano.

Ma, rispetto a questa visione rinascimentale unidirezionale del rapporto io-finestra-mondo, si afferma a partire dall’800 (principalmente con Hegel e Marx) e pienamente nel ‘900 (come è possibile osservare con lo stesso Merleau-Ponty) una visione dell’uomo come essere sociale che si struttura nelle relazioni.

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Cambio paradigmatico nella filosofia di Merleau-Ponty della

percezione nell’arte e del ruolo del pittore: accesso ad un mondo

intermedio che si colloca intorno a noi e non più di fronte

L’io, quindi, non si determina più in uno spazio isolato che si pone di fronte al soggetto, ma si struttura in relazione ad altri soggetti e in relazione al fatto di avere il mondo intorno a sé. Si supera così il dualismo cartesiano della separazione delle sostanze, e viene a determinarsi un processo ontologico ed epistemologico che vede l’individuo sia soggetto che oggetto delle sue analisi. Ciò avviene in un mondo che non è qualcosa di altro da sè, ma in un mondo in cui il soggetto stesso è immerso. Si viene a delineare sempre più il passaggio dal concetto di dualismo a quello di dualità, ossia il passaggio dalla centralità della separatezza tra rappresentazione e realtà, tra sostanza e materia, tra originale e copia, tra illusione e verità, alla centralità della relazione degli opposti appena citati.

Sulla base di quest’evoluzione concettuale, è possibile analizzare l’importanza che Merleau-Ponty dà all’arte in generale, e al mondo della pittura in particolare, nel processo gnoseologico presente nella sua opera L’occhio e lo Spirito.

Qui l’autore si pone l’obiettivo di comprendere la “scienza segreta che il pittore possiede”11

quando opera in ambito artistico, tant’è che Merleau-Ponty inizia questo scritto proprio con una frase incisiva di Paul Valéry, secondo cui “il pittore si dà con il corpo”12, ed “è prestando il suo corpo al mondo che il pittore

trasforma il mondo in pittura”13

. La base fattuale (che accomuna l’uomo e il

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M. Merleau-Ponty, L’Occhio e lo Spirito, p.16

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Ivi, p.17

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mondo) fa sì che il soggetto possa percepire la realtà che ha intorno a sè proprio grazie ai suoi stessi sensi. Ciò che l’uomo sa del mondo lo sa a partire da una sua veduta o da una sua propria esperienza, e quindi, per conoscere il mondo, deve prima di tutto sentirlo. Da ciò, segue l’importanza che la fenomenologia di Merleau-Ponty attribuisce ai sensi: questi sono validi strumenti gnoseologici che permettono al soggetto di avvicinarsi agli oggetti sensibili, di coglierli e conoscerli. Il mondo esiste perché lo percepisco tramite i sensi. L’uomo conosce l’insieme degli oggetti sensibili sulla base della loro fatticità.

A sua volta il pittore, nello specifico, percepisce gli oggetti sensibili che lo circondano mediante il suo corpo in un modo ancora più particolare: egli presta il suo corpo al mondo, e ,dunque, presta la sua capacità di percezione sensibile, con l’intento di trasformare ciò che lo circonda in pittura, ossia in opera d’arte.

Il pittore è un io che sente ed è ciò che lo rende presente a se stesso e al mondo. Egli crea e determina un legame sensoriale tra sé e il mondo proprio grazie al corpo.

La corporeità del pittore, e la base fattuale di ciò che egli intende rappresentare, diventano le chiavi di lettura dell’arte pittorica così come la descrive Merleau-Ponty. La frase di Valéry precedentemente citata permette al lettore di cogliere al meglio questo concetto chiave della fenomenologia di Merleau-Ponty: il corpo diventa il mezzo principale tramite cui il pittore conosce e si relaziona al mondo, ed è tramite questo che egli non si pone più solo di fronte alla realtà esterna, ma si pone intorno ad essa. Con questo cardine filosofico, il filosofo francese si fa promotore di un cambiamento gnoseologico molto significativo nella teoria della percezione e della fenomenologia. La frontalità unidirezionale rinascimentale

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viene sostituita da una nuova concezione epistemologica, secondo cui: l’uomo, per conoscere il mondo, deve sentirsi intorno ad esso, parte di esso, e non più soltanto di fronte.

Il corpo è oltretutto un corpo operante ed effettuale, ossia intreccio di visione e

movimento. Merleau-Ponty attribuisce un grande spessore gnoseologico al

concetto di corporeità e a quello di visione, perché è proprio grazie ad essi che l’uomo è in grado di conoscere il mondo. La corporeità propria del soggetto che conosce è l’elemento in comune con la realtà oggettuale: l’individuo, in quanto soggetto corporeo, si avvicina all’oggetto sensibile e diventa consapevole di essere nel medesimo spazio oggettivo dell’oggetto esterno. Il suo è dunque un corpo vedente e sensibile, ma anche visibile e sensibile per se stesso: egli è annoverabile tra le cose, è fatto della stessa stoffa del mondo e “guarda ogni cosa, ma può anche guardarsi”14

.

Dunque l’uomo, nel processo cognitivo descritto da Merleau-Ponty, non si pone

di fronte al mondo, ma intorno ad esso: egli rivela una nuova relazione con il

mondo, non più frontale, ma di intorno. Sentire il mondo significa sentirsi parte di ciò che ci è intorno.

Il soggetto che vuole conoscere l’oggetto sensibile non deve più essere diviso da quest’ultimo dalla finestra albertiana, ossia da una vera e propria finestra che separa l’io dal mondo, ma deve essere messo in relazione con esso. Infatti, la finestra albertiana ha bisogno della visibilità della cornice per funzionare al meglio: per percepire e riprodurre l’oggetto sensibile bisogna guardare al di là di essa, e dunque bisogna nettamente percepire questa realtà come un qualcosa di

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altro e distante da noi. Il mondo che si colloca al di là della cornice in Alberti è inevitabilmente un esterno. Questa concezione della finestra riflette un ideale di conoscenza in cui l’osservatore e il mondo (per l’appunto esterno) sono separati. Con Merleau-Ponty, la finestra diventa il mezzo tramite il quale il soggetto accede al mondo che osserva: l’attraversamento di questa finestra mette il soggetto in comunicazione e in relazione con il mondo, e fa sì che l’io sia intorno ad esso. Nella pittura è evidente questa nuova concezione epistemologica e gnoseologica inaugurata da Merleau-Ponty, ed è per questo motivo che l’autore de L’occhio e lo

spirito si sofferma sull’importanza dell’arte in generale e, della pittura, in

particolare.

L’artista, in quanto intreccio di visione e movimento, prima di iniziare a dipingere la sua opera d’arte, deve vedere un oggetto e, nel medesimo istante, celare lo sfondo in cui questo si colloca. Egli deve fissare il proprio sguardo sull’oggetto in questione fino a vedersi in esso, ossia fino ad immergersi totalmente in esso. Vedere ciò che l’artista intende rappresentare si traduce con la capacità dello stesso di uscire e liberarsi da una posizione di frontalità rispetto all’oggetto, fino ad immergersi in esso. Egli, da essere di fronte al mondo, si dà al mondo: ossia “presta il suo corpo al mondo”15

.

Infatti, il rapporto che si determina tra il pittore che osserva e l’oggetto osservato è simile a quello tra uno specchio e la sua immagine speculare. Quest’ultima esiste grazie all’atto stesso della riflessione in cui sono coinvolti la cosa in sé (che verrà riflessa) e un mezzo che è in grado di rifletterla (lo specchio). Lo specchio può “vedere” grazie alla sua superficie riflettente, mentre ciò che viene

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riflesso è il mondo. Lo sguardo del pittore si sofferma su un oggetto specifico e si immerge in esso fino a penetrarlo.

Merleau-Ponty sostiene, ne L’occhio e lo spirito, che lo specchio abbia a che fare con il processo della visione ed è come se lo ricreasse. Tale strumento di riflessione, così come la visione, è in grado di rendere accessibile al corpo vedente il corpo visibile. Infatti: nel rapporto tra lo specchio e l’immagine speculare, il corpo vedente è lo specchio, mentre il corpo visibile è il mondo che si riflette nello specchio, ossia la sua immagine riflessa. Dunque chi vede è lo specchio e ciò che viene osservato è il mondo.

Ma, la superfice dello specchio, riproducendo su di sé il mondo sensibile, viene modificata dall’atto stesso della riflessione. Allo stesso modo l’artista, in quanto vedente, percepisce con lo sguardo il mondo sensibile e ciò modifica il suo essere. L’autore infatti afferma: “Lo specchio appare perché io sono vedente-visibile, perché esiste una riflessività del sensibile […]. Attraverso lo specchio, il mio esterno si completa […]”16

. In questo modo lo specchio ricrea il processo della visione e ,in particolare, ricrea quella visione propria del pittore mentre osserva il suo oggetto. Il filosofo francese definisce l’artista come: “colui che non sa di fronte a una visione che sa tutto, che non siamo noi a fare, che si fa in noi”17. Ciò sta ad indicare il fatto che: il pittore è un individuo che non riesce a cogliere l’oggetto sensibile che intende raffigurare se posto di fronte ad esso, e quindi distaccato da esso. Ma, se il pittore pensa e determina se stesso in una posizione di intorno rispetto al mondo, allora egli riesce a cogliere l’oggetto sensibile.

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M. Merleau-Ponty, L’Occhio e lo Spirito, p. 27

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Quest’ultimo è percepibile e sensibile perché si mostra a noi con una visione che non siamo noi a fare, ma che si fa in noi.

Secondo Merleau-Ponty, l’artista è colui che ha la capacità di conoscere il mondo che gli sta intorno attraverso se stesso: egli vede il mondo e lo conosce in sé perché esso si trova intorno a sé.

Così facendo, Merleau-Ponty ritiene che l’artista interroghi e si rivolga al mondo in un modo ben preciso: egli rivolge il proprio sguardo all’oggetto come se fosse quest’ultimo a svelarsi in noi, e non il contrario. Il pittore osserva la realtà che lo circonda secondo il modo in cui essa si svela a lui.

L’artista, nell’osservare l’oggetto che intende raffigurare, non si colloca più al di là della finestra albertiana, ma si serve invece di essa per entrare nello stesso spazio del mondo oggettuale. Egli percepisce i contorni di questa finestra e, di conseguenza, è consapevole della sua cornice. Tale consapevolezza fa sì che il pittore attraversi la cornice per accedere ed entrare nel mondo oggettuale, sapendo di avere tale realtà intorno a sé. Essere coscienti della cornice, che delimita la finestra, indica la consapevolezza di aver attraversato la finestra per accedere ad un mondo che l’io vuole cogliere. Attraverso la finestra, il pittore può entrare nel mondo che gli sta intorno, ed è sempre attraverso di essa, che l’artista dota tale realtà di significato: la cornice, infatti, determina il senso del contesto del mondo che delimita.

La finestra diventa così un vero e proprio varco, che permette all’occhio dell’artista di andare al di là del semplice visibile. L’occhio artistico vede attraverso la finestra un mondo che non si limita ad essere ciò che l’occhio umano vede, ma volge se stesso verso qualcosa che va oltre il visibile. Di conseguenza, lo

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sguardo del pittore è in grado di tornare nella sua realtà (e quindi di riattraversare la finestra) per procedere alla riproduzione di ciò che ha visto. Questo movimento dell’artista, dal proprio mondo al mondo che egli coglie in seguito all’immersione del sè nell’oggetto, è possibile grazie ad una particolare struttura visiva che Merleau-Ponty chiama: struttura immaginaria del reale, o più semplicemente terzo

occhio.

Questo tipo particolare di sguardo è uno sguardo dell’interno, ossia è quell’occhio che ha attraversato la cornice e che ha colto l’essere del mondo che si pone non di fronte, ma intorno all’uomo.

È un occhio che permette al pittore di realizzare un’opera artistica che rappresenti il modo in cui il suo essere è stato modificato dal contatto visivo col mondo sensibile. Infatti, l’artista, nel momento in cui osserva la realtà oggettuale, viene colpito da stimoli esterni e ciò porta ad una modificazione interiore del suo essere. Di conseguenza, sarà questo ciò che l’artista intende raffigurare. La sua non è una mera riproduzione dell’oggetto così come si presenta in natura (com’era invece per l’artista secondo Alberti), ma questi diventa la mano che raffigura una visione dipesa da un occhio interiore, ossia dal terzo occhio. Il pittore si presta a rappresentare le modificazioni del suo io, le quali dipendono dall’atto della visione stessa.

Ricollegandosi al rapporto tra immagine speculare e specchio sopra analizzato, l’io dell’artista è diventa la superficie dello specchio che viene modificata man mano che qualcosa si riflette su di essa. Tale modificazione diventa il fuoco della struttura immaginaria del reale, ossia del terzo occhio.

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Nel momento in cui l’artista volge il proprio sguardo verso il mondo, vedendo ciò che va al di là del mero visibile, egli attraversa la finestra che gli permette di accedere ad una realtà che ha la sua stessa base fattuale. Aver attraversato la finestra comporta la consapevolezza di ciò, e comporta il fatto che si denota di significato il mondo in cui si è inseriti. L’occhio dell’artista coglie così il senso e il significato di ciò che vede, e già quest’atto fa sì che egli sia la prima superficie sulla quale è possibile rappresentare la modificazione del suo io interiore. L’artista, colpito da tale modificazione interiore, riattraversa la cornice che gli ha permesso di accedere ad un tale grado percettivo della realtà oggettuale, e torna nel suo mondo quotidiano per raffigurare e riprodurre su tela la visione che egli ha dentro di sé. A tal proposito risulta più chiara la frase di Merleau-Ponty poc’anzi analizzata, nel momento in cui l’autore francese definisce il pittore18 come: “colui che raffigura secondo una visione che si fa in lui”. Questo è ciò che l’artista mira a realizzare nella sua opera: il mondo che egli vede non diventa oggetto della sua opera d’arte, ma è il modo secondo cui egli vede la realtà che gli è intorno che diventa insieme di colori e linee sulla sua tela.

Il pittore, quando volge il suo sguardo verso il mondo che lo circonda, vede attraverso una cornice, ossia vede attraverso il suo terzo occhio e, tramite ciò, l’artista vede secondo il quadro. Egli riproduce la realtà oggettuale con l’intento di rappresentarla nel modo in cui ha posato lo sguardo su essa, ossia nel modo in cui l’ha vista: non procede semplicemente a riprodurla come fosse una copia, ma le conferisce una profondità interpretativa.

18

Secondo Merleau-Ponty, l’artista è: “colui che non sa di fronte ad una visione che sa tutto, che non siamo noi a fare, che si fa in noi”. M. Merleau-Ponty, L’Occhio e lo Spirito, p.25

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A questo punto, è curioso ed interessante osservare il ruolo che ha lo spettatore nel momento in cui assiste a tutto questo processo pittorico interiore che ha caratterizzato l’io dell’artista, e che viene sunto nella sua opera d’arte. Quando lo spettatore osserva l’opera artistica, egli vede il quadro secondo l’artista, ossia secondo il suo terzo occhio. Infatti, l’obiettivo del pittore, è quello di realizzare un’opera attraverso la quale sia possibile vedere secondo il modo in cui lui stesso ha osservato l’oggetto della sua arte. L’opera diventa la massima espressione interpretativa di ciò che l’artista vede, ed è ,dunque, compito dello spettatore cogliere il senso che il pittore vuol dare alla sua arte. Il terzo occhio è il mezzo di cui l’artista (in generale, e il pittore in particolare) si serve per vedere e immergersi nella realtà che lo circonda. Ciò produce modificazioni nel suo essere, le quali determinano e sono alla base della rappresentazione che successivamente egli genera sulla tela. Lo spettatore, dunque, è chiamato dall’artista a vedere

secondo il suo19 terzo occhio: ossia ad osservare la sua opera d’arte e a cogliere in

essa tutte queste particolarità intime e profondità interpretative che l’autore ha voluto conferirle.

In tal modo, colui che osserva l’opera d’arte è in grado non solo di interpretarla, ma di vedere il quadro e le immagini mentali di chi l’ha creato.

Merleau-Ponty, a tal proposito, afferma: “l’occhio vede il mondo, ciò che manca al mondo per essere quadro, e ciò che manca al quadro per essere se stesso”20. Infatti, l’artista osserva il mondo, e vede in esso ciò che gli manca per diventare quadro: egli guarda la realtà intorno a sè mediante il suo terzo occhio, ossia con un occhio e uno sguardo particolare che lo rendono in grado di cogliere ciò che va

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Riferimento al terzo occhio dell’artista.

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oltre il mero visibile e sensibile. È proprio tale differenza di percezione che l’artista intende raffigurare nella sua opera. Egli coglie l’elemento mancante che serve al mondo per diventare quadro, ossia coglie le modificazioni del suo essere che dipendono e derivano dallo sguardo che volge al mondo. Il pittore è in grado di cogliere l’immagine mentale della realtà intorno a lui, ed è proprio questa ciò che mira a rappresentare.

Merleau-Ponty, di conseguenza, vuole sottolineare la capacità del pittore di vedere sulla propria tavolozza il colore che il quadro attende.

Ma, una volta ultimata la sua opera, l’occhio dell’artista vede ancora “ciò che manca al quadro per essere se stesso”: egli, nel momento in cui termina la sua opera, per comprenderla, deve vederla e attraversare la cornice che la delimita per rientrare e reimmergersi nel mondo che ha voluto raffigurare. Il quadro rappresenta una finestra che permette, a chi osserva, di entrare nel mondo visto secondo l’occhio dell’artista. Ma, ciò che manca al quadro per essere se stesso, è la sua totale indipendenza da una cornice di senso che, invece, risulta necessaria per la comprensione dell’opera stessa, e che funge da confine che delimita due o più mondi di senso. L’occhio dell’artista (e di conseguenza quello dello spettatore) percepisce la cornice del quadro e, allo stesso tempo, percepisce ciò che va oltre il quadro e al di là della tela come insieme di linee, colori e prospettiva.

Ancora, il filosofo francese afferma in relazione a ciò: “strumento che si muove da sé, l’occhio è ciò che è stato toccato da un certo impatto col mondo, e lo restituisce al visibile mediante i segni tracciati dalla mano. […] infatti la pittura

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non celebra mai altro enigma che quello della visibilità”21

. In queste citazioni è possibile osservare come Merleau-Ponty evidenzi l’importanza di due organi fondamentali in ambito artistico: l’occhio e la mano.

L’occhio diventa l’elemento e il mezzo fondamentale che è in grado di rendere visibile ciò che non lo è: il terzo occhio, in particolare, rende visibile l’immagine mentale dell’artista, la quale deriva dalla realtà oggettuale che è visibile di per sé. Quest’occhio particolare diventa la nostra finestra privilegiata, capace di aprirci ad un mondo altro, ossia ad un mondo che si pone tra la nostra realtà quotidiana e quella propria dell’artista che ha voluto raffigurare nel quadro. Colui che osserva l’opera d’arte è dunque capace di immergersi in questo mondo altro poiché, una volta attraversata la cornice che lo delimita, è questa la realtà che lo circonda e, di conseguenza, la percezione della sua cornice dipende dalla nostra capacità e volontà di vederla.

Così facendo, la superficie, i punti, le ombre, i riflessi del dipinto sono solo il punto di partenza che permettono a chi guarda di vedere ciò che di per sé non è visibile. La pittura è molto importante nella fenomenologia di Merleau-Ponty perché essa non rappresenta il mondo sensibile, ma lo presenta: essa è una modalità di accesso all'essere del mondo.

L’altro importante organo, a cui l’autore francese attribuisce molta importanza in ambito artistico, è la mano dell’artista. Questa dà forma al visibile su un supporto materiale, ma ciò che ha creato non è mai una versione definitiva dell’oggetto raffigurato: ogni volta che il pittore vuole dipingere, è consapevole di creare una singola presentazione del mondo che non sarà mai quella definitiva.

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Il mondo di cui parla Merleau-Ponty è un mondo in cui noi siamo immersi e di cui noi siamo parte; l’opera artistica che rappresenta questo mondo è il risultato dell’esercizio che fa l’artista della propria visione, e dunque della propria capacità di vedere qualcosa che va al di là della mera percezione.

Relazione tra la visione di Leonardo da Vinci e il terzo occhio di

Merleau-Ponty

Un altro autore, filosofo e pittore che si è soffermato sull’importanza della visione nella pittura è stato Leonardo da Vinci con la sua opera Trattato della pittura22. Egli, in quest’opera, oltre ad esporre una teoria dell’arte pittorica, sostiene che la modalità di studio che deve essere adottata dai giovani pittori debba basarsi sull’esercizio della visione. Leonardo però, quando parla di visione, intende quel concetto peculiare di “terzo occhio” che sarà poi descritto dalla fenomenologia francese di Merleau-Ponty. Leonardo, infatti, afferma: “ […] è di grande utilità destare l’ingegno a varie invenzioni. E questa è se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie […]. Se avrai a invenzionare qualche sito, potrai lì vedere similitudini di diversi paesi, ornati di montagne, fiumi, sassi, alberi, pianure grandi, valli e colli in diversi modi: ancora vi potrai vedere diverse battaglie […], le quali tu potrai ridurre in integra e buona forma […]. […] nelle macchie de’ muri, e nella cenere del fuoco, o nuvoli, o fanghi, od altri simili

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Il Trattato della pittura è uno scritto di Leonardo da Vinci raccolto e pubblicato postumo nel 1651, che espone, nella prima parte, la teoria dell’arte pittorica, mentre, nella seconda parte, il modo in cui questa deve essere insegnata ai giovani pittori.

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luoghi, ne’ quali, se ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni […]: perché nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni”23

.

In questo passo, “vedere” non indica semplicemente riportare su tela il paesaggio così come esso si manifesta davanti a noi. Leonardo, infatti, stimola il pittore a vedere, ad esempio, nelle “macchie, di cui sono imbrattati i muri”, dei paesaggi, montagne, fiumi, sassi e addirittura delle battaglie. Egli vuole attribuire alla vista un significato più profondo, ossia quello di saper entrare e immergersi completamente nel mondo che ci è intorno. Il giovane pittore deve essere in grado di vedere gli oggetti, il paesaggio e la natura partendo da cose semplici e particolari: le forme, le linee, le superfici e il colore. A partire da ciò, l’artista può progredire nella visione andando oltre la mera percezione. Egli, infatti, deve focalizzare la sua attenzione sulle semplici cose e, solo in un secondo momento, deve avere la capacità di vedere in esse altre cose più complesse. L’arte, dunque, è per Leonardo la risultante dell’esercizio della visione del giovane pittore di ciò che lo circonda. L’artista, mediante l’esercizio, passa da una visione-percezione a un tipo di visione che si accosta molto a quella racchiusa nel concetto di “terzo occhio”, propria della fenomenologia di Merleau-Ponty. Se volessimo usare dei termini e un contesto prettamente fenomenologico24, il pittore, secondo Leonardo, deve avere assolutamente la capacità di attraversare la cornice di senso che delimita la realtà quotidiana, per accedere ad un mondo altro che è dotato di senso e contesto suoi propri. Tale attraversamento è possibile grazie al particolare tipo di visione che è stata analizzata fino ad ora.

23

Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, Acquarelli Saggi, raccolta a cura di Mimma Dotti Castelli, maggio 1997, II parte, paragrafo 63, pag. 60-61

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Tornando all’autore francese, è necessario affermare che lo sguardo del pittore non è più solamente uno sguardo su un “di fuori” (quindi risultante di una relazione meramente fisico-ottica). Il mondo non è più davanti a lui per rappresentazione, ma: “è piuttosto il pittore che nasce nelle cose come per concentrazione e venuta a sé del visibile, e il quadro, infine, può rapportarsi a una qualsiasi cosa empirica solo a condizione di essere innanzitutto autofigurativo”25

. A tal proposito, Merleau-Ponty poggia il suo pensiero su temi e concetti che è possibile ritrovare in alcuni pittori rivoluzionari come, ad esempio, Klee, Kandinsky e soprattutto Paul Cézanne. Il filosofo francese vuole evidenziare come sia possibile saper cogliere la realtà che ci circonda, a partire dall’esteriorità delle cose che vengono percepite nel loro reciproco avvolgersi. Questi pittori sono stati capaci, con la loro arte, di coinvolgere lo spettatore a tal punto, da fargli attraversare una particolare cornice, che, a sua volta, gli permette di accedere ad una dimensione artistica in cui la componente principale è l’espressione interiore dell’artista, anziché una mera visione della realtà esterna.

Ad esempio, una delle correnti pittoriche che pone le sue basi su quanto appena detto è l’espressionismo26. Sono molti i pittori che aderiscono a questa corrente artistica, e tra questi vi è l’artista tedesco Paul Klee.

Il ruolo del pittore secondo Klee: rendere visibile (sichtbar machen) L’espressionismo, infatti, fa sì che l’occhio non sia rivolto al mondo sensibile, ma all’interiorità dell’uomo. L’occhio, dunque, diventa l’elemento mediano tra la

25 M. Merleau-Ponty, L’Occhio e lo Spirito, p.49 26

L’espressionismo è una corrente pittorica della fine dell’800, inizi ‘900. Viene definita come avanguardia artistica in cui emerge la propensione di un artista a esaltare, esasperandolo, il lato emotivo della realtà rispetto a quello percepibile oggettivamente.

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realtà esterna e la nostra più intima dimensione. Nello specifico, l’occhio dello spettatore, di fronte a lavori espressionisti, deve soffermarsi sull’intenzione dell’artista per comprendere appieno le sue opere.

Klee, dunque, così come aveva già fatto Cézanne prima di lui, vuole ampliare il contenuto del quadro, rendendolo meno ovvio e più ricco di contenuti rispetto a quelli espressi nelle opere naturaliste.

È possibile evidenziare un rapporto tra Klee (e quindi l’arte di cui si fa promotore) e Alberti nella teorizzazione del programma artistico ed epistemologico di entrambi. Come ho già espresso precedentemente, Alberti, nel De pictura, utilizza il concetto di rappresentazione, inteso come riproduzione e duplicazione dell’oggetto, come concetto fondamentale della sua teoria artistica. Quindi, l’obiettivo del pittore deve essere quello di imitare soltanto il visibile, e ciò viene raggiunto dall’artista grazie all’uso che egli fa di strumenti pittorici molto simili a quelli matematici. La commistione di arte, pittura, imitazione (intesa come duplicazione del visibile) e matematica diviene la caratteristica principale della teorizzazione artistica ed epistemologica dell’arte di Alberti. Quando lo spettatore osserva una sua opera, non può sbagliare nella sua interpretazione, poiché ritrova il visibile ( e quindi ciò che è stato visto dall’autore) sulla tela. Egli non può essere ingannato da ciò che viene rappresentato/riprodotto, e non può nemmeno confondersi su ciò che vede davanti a sé poiché è avvertito dalla cornice. Quest’ultima è l’elemento che racchiude l’opera di Alberti fino a renderla irraggiungibile. Ciò evidenzia un senso di separatezza e di distanza tra l’opera d’arte, intesa come volontà rappresentativa dell’artista, e lo spettatore, che è invece chiamato a leggere l’opera che trova davanti a sé. L’idea cardine di Alberti

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è, dunque, quella di delimitare e racchiudere la sua opera in una finestra, che a sua volta è limitata da una cornice che non permette allo spettatore di andare oltre il visibile e il riproducibile.

A porsi in modo totalmente opposto all’epistemologia artistica di Alberti, è Paul Klee assieme alla sua arte.

È già possibile notare una netta differenza, rispetto ad Alberti, nel momento in cui l’artista tedesco espressionista descrive e teorizza quello che deve essere il compito del pittore: questi non ha come scopo principale quello di riprodurre/duplicare il visibile, ma, al contrario, ha il compito di rendere visibile ciò che di per sé non è visibile, ossia ciò che sta oltre l’apparenza. L’idea di

rappresentazione in Klee è del tutto diversa da quella che si ha in Alberti:

l’oggetto che Klee rappresenta è quasi solo un riferimento a ciò che l’artista sente e vede nel momento della realizzazione del quadro. Il concetto di rappresentazione, qui tende quasi a rarefarsi e a porsi su un piano più recondito, tanto che l’oggetto rappresentato trascende l’oggetto che si trova in natura e che è frutto di ispirazione per l’artista. L’assenza di prospettiva in Klee determina un mutamento del contesto artistico rispetto a quello albertiano: “è l’oggetto della rappresentazione a diventare un mezzo della pittura che rende visibile. Se prima la cornice avvertiva che il mondo dentro la finestra è nello stesso tempo simulato e rappresentato, ora essa, negando radicalmente la simulazione [ossia la simulazione intesa come riproduzione/duplicazione]27, finisce con il porre la rappresentazione come problema. Il rendere visibile di Paul Klee è ciò che va oltre la

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rappresentazione visiva, perché quest’ultima diventa un mezzo, uno strumento per la ricerca di una visibilità che va al di là del visibile mostrato”28.

Il motto del pittore tedesco sarà infatti: “l’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile”. Paul Klee sente il bisogno di distinguere il concetto di riprodurre il visibile (con accezione prettamente albertiana) da quello di rendere visibile. Il primo viene fortemente criticato dal pittore tedesco poiché, in questo caso, l’opera d’arte implica il concetto di separazione tra artista-quadro-spettatore; egli, invece, vuol farsi promotore di una nuova dinamica artistica, che ha come chiave epistemologica quella di dipingere un oggetto che si fa referente di un qualcosa che va al di là della mera percezione.

Klee, come afferma Merleau-Ponty, non vuole uscire dalla natura, ma, al contrario, rende visibile (sichtbar machen) un “contenuto naturale che il naturalismo non riesce a far vedere”29

. Il compito del pittore, infatti, non è quello di riprodurre il visibile, ma di rendere visibile, e quindi, di far attraversare all’occhio dell’artista la finestra albertiana: “il contesto teorico entro cui Klee pensa è dunque quello di un visibile che va oltre il riproducibile, ovverosia di un operare artistico che prende consapevolezza strategica del fatto che l’elemento mimetico, insito nell’atto del riprodurre il visibile, da scopo della rappresentazione pittorica è diventato semplice mezzo per cogliere, attraverso il visibile, qualcosa che va oltre il visibile”.30

In tal modo, l’opera d’arte introduce lo spettatore ad un mondo altro, definibile anche come mondo intermedio, ed è lo stesso Klee che ne parla:

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Alfonso M. Iacono, L’illusione e il sostituto, saggi Bruno Mondadori 2010, p. 55

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ivi, p.67

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37 “Dico spesso, ma talvolta non viene preso abbastanza seriamente, che si sono aperti e si aprono per noi mondi che appartengono anche alla natura, ma nei quali non tutti gli uomini possono penetrare con uno sguardo, ch è forse proprio solo dei bambini, dei pazzi, dei primitivi. Io intendo, per così dire, il regno dei non nati e dei morti, il regno di ciò che può venire e vorrebbe venire, ma non deve venire, un mondo intermedio [corsivo mio]. Lo chiamo mondo intermedio poiché io lo sento tra i mondi percettibili esteriormente ai nostri sensi e posso afferrarlo intimamente in modo tale che posso proiettarlo verso l’esterno in forme equivalenti. Sono in grado di guardarlo ancora o di nuovo i bambini, i pazzi, i primitivi. E ciò che questi vedono e cercano è per me la più preziosa conferma. Poiché noi vediamo tutti allo stesso modo, anche se da parti diverse. È la stessa cosa in generale e in particolare su tutta la terra, nessuna fantasticheria ma una realtà dopo l’altra”31

.

Klee, così come Cézanne prima di lui, vuole ampliare i contenuti del quadro, ossia vuole ampliare il senso e il contesto che l’opera d’arte acquisisce nel momento in cui l’artista termina il suo lavoro. Da artista, Klee inaugura un nuovo modo di intendere il quadro e l’atto stesso della pittura. La stessa tela diventa una superficie su cui dipingere una realtà, che diventa qualcosa d’altro rispetto alla realtà quotidiana. Egli vuole coinvolgere lo spettatore in questo processo intimo ed epistemologico di comprensione del quadro, affichè egli stesso si senta parte, dentro ed immerso nell’opera, e non più solo di fronte ad essa. Per cogliere appieno la volontà del pittore, chi osserva deve abbandonare momentaneamente la realtà che ha intorno a sè, ed accedere ad un mondo altro (ossia ad un mondo

31

F. Klee, Vite e opere di Paul Klee, cit., pp.161-162 cfr. L. Schreyer, Erinnerungen an Sturm und Bauhaus, List Verlag, München 1966, pp.92-93.

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intermedio), che, a sua volta, diventa un intorno spaziale. Il mondo intermedio è una dimensione, per l’appunto intermedia, in cui lo spettatore è cosciente di trovarsi: egli sa, ed ha consapevolezza dell’attraversamento che ha fatto da una dimensione di senso ad un’altra. Questi, per trovarsi in un mondo intermedio, deve attraversare una cornice, ed è quest’ultima che va a determinare il senso e il contesto del mondo altro. La cornice del quadro, oltre che delimitare l’arte figurativa dell’artista, diventa il varco che mette in relazione l’artista, l’opera e lo spettatore. Il quadro risulta così in-corniciato sia se si intende la cornice come fisica e materiale, sia se la si intende come il limite dimensionale che mette in relazione due mondi: quello quotidiano e quello delineato dall’artista, e al quale questi vuole che si acceda per comprendere appieno le sue opere.

Così facendo, il contenuto artistico di Klee diventa meno ovvio e più ricercato rispetto a quello del naturalismo.

La capacità dell’artista deve essere quella di porre lo spettatore non più solo di fronte al suo quadro, e dunque suscitando delle interpretazioni e delle letture della sua opera che sono totalmente prive di coinvolgimento artistico ed emotivo. Ma, il pittore, secondo Klee, deve aprire in qualche modo gli occhi allo spettatore e permettergli di cogliere ciò che si cela dietro e oltre i tratti presenti sulla tela. Il mondo intermedio di cui parla Klee è un mondo a cui si accede attraverso una determinata cornice, che ne determina a sua volta il senso e il contesto.

I mondi intermedi sono a metà tra i mondi di senso, ed ognuno di essi fa riferimento ad almeno un altro mondo al quale assomiglia o tende ad autonomizzarsi. Questi sono molti e non sono divisi completamente tra loro, ma sono tutti in relazione reciproca: infatti, il mondo reale è connesso ad una

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molteplicità di mondi intermedi. Klee afferma che è proprio in questi mondi che la realtà viene vista con altri occhi: ossia con gli occhi dei bambini, dei pazzi e dei primitivi, quindi da persone che vedono la realtà attraverso illusioni.

Distinzione dei concetti illusione – inganno

È necessario, a questo punto, chiarire cosa si intenda con il concetto di illusione, in modo da comprendere al meglio ciò che Klee intende quando ne fa riferimento. Il termine illusione deriva dal latino “in ludo”, che letteralmente significa “stare, essere in gioco”. Ma, il concetto di illusione viene solitamente posto in relazione ad un altro concetto (altrettanto fondamentale), che è quello di inganno. I due termini, seppur nel linguaggio comune e d’uso vengano adoperati come sinonimi, in realtà implicano significati ed usi diversi.

L’illusione è uno stare in gioco che implica la consapevolezza del soggetto di entrare in un mondo intermedio: ossia è una condizione che permette di percepire il sostituto come tale. L’inganno, invece, comporta l’inconsapevolezza di entrare in un mondo altro, e ciò fa sì che il sostituto venga confuso con il sostituito. Nel primo caso, l’individuo sa di essere illuso (ne è consapevole), ossia sa di aver attraversato una cornice di senso che determina un nuovo contesto, e di conseguenza, non confonde l’originale con ciò che gli viene presentato come copia. Nel secondo caso, invece, il soggetto viene ingannato, ossia egli scambia e confonde totalmente l’originale con la copia, spacciando quest’ultima come qualcosa che in realtà non è. L’inganno, dunque, presenta nell’individuo una condizione e un senso di inconsapevolezza, che si pone nettamente in

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contrapposizione alla condizione di consapevolezza che invece accompagna l’illusione.

Infatti, ingannare significa trarre di proposito qualcuno in errore, ossia indurlo volontariamente a prendere una cosa per un’altra.

Un esempio significativo, che permette di osservare come viene adoperato il concetto di inganno in determinate situazioni, sta nel ruolo che assume oggi una particolare dimensione: ossia quella della simulazione.

In essa è implicito il concetto di inganno, perché, alla base di tale dimensione, vi è l’idea secondo cui qualcuno riesce a mostrarsi come se fosse qualcun altro. Dunque, è l’atto stesso di simulare che racchiude in sé il senso dell’inganno. Il soggetto che viene ingannato è in questo caso colui che non sa, e quindi colui che è inconsapevole del fatto di star scambiando e confondendo il sostituto con il sostituito.

Invece, facendo un esempio che si riferisce all’applicazione del concetto di illusione, è possibile prendere in esame un particolare oggetto: ossia l’Hobby-horse. Questo è definibile come uno strumento con cui i bambini giocano, ed è in esso che vedono un cavallo giocattolo, costituito da una testa di cavallo legata alla testa di un bastone. A tal riguardo, Gombrich osserva che il bastone in questione non è né un segno che significa il concetto di cavallo, e né il ritratto di un particolare cavallo, ma funge da sostituto al cavallo reale. Questo determinato strumento è dunque il sostituto del cavallo reale, che è invece ciò che viene sostituito. I bambini usano l’Hobby-horse e ci giocano, ma, fondamentalmente, si illudono che questo oggetto sia il cavallo vero.

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