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1.2. Postdramatisches Theater Il teatro dopo il dramma, tra montaggio e

1.2.4. Montaggio e transtestualità

Lřestetica del montaggio cinematografico ha permeato nel corso del Novecento non solo, come è ormai noto, il genere narrativo, ma anche quello drammaturgico, nella composizione tanto di testi drammatici propriamente detti, sia di sceneggiature per il teatro.

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Tale tendenza appare particolarmente singolare se si tiene conto che il padre del montaggio cinematografico, il regista russo Sergej Ejzenštejn, aveva ideato questa particolare tecnica estetica per supplire alle carenze della fruizione cinematografica rispetto a quella teatrale, come si legge:

è evidente che un avvenimento ripreso Ŗin modo teatraleŗ non può funzionare sullo schermo. Recitare anche in modo ideale una scena di fronte a una macchina da presa e poi mostrarla sullo schermo non potrà mai dare risultati paragonabili per intensità a quelli che otterremmo dalla recitazione di uomini in carne ed ossa e non dal loro riflesso sullo schermo.72

Per superare il problema dellřassenza del rapporto vivo tra lřattore e il suo pubblico, Ejzenštejn punta su modalità che non sono teatrali, ma che appartengono al mezzo cinematografico, fra le quali, appunto, il montaggio:

supponiamo che si tratti di una scena di omicidio. Ripresa in un Ŗunico piano generaleŗ, avrebbe il venticinque per cento dellřeffetto che potrebbe produrre a teatro. Come stanno le cose? Proviamo a rappresentarla in modo diverso. Spezziamola in primi piani e piani medi […] Questi pezzi, Ŗconvenientementeŗ montati, opportunamente scanditi secondo il ritmo necessario, figurativamente correlati, nel loro complesso possono raggiungere al cento per cento lřeffetto che avrebbe la stessa scena in unřazione continua come in teatro […].73

Nonostante appartenga specificamente allřestetica cinematografica, il montaggio riesce sin dai primi del Novecento ad influenzare il genere drammaturgico, infatti, come nota lo studioso Luigi Allegri:

il primo Novecento induce una de-sacralizzazione del testo scritto, che comporta inevitabilmente il rifiuto dellřopera drammaturgica come entità unitaria e assoluta, intangibile nella sua perfezione che sta a monte dellřevento e in fondo può prescindere da esso.74

Che il fatto teatrale, a partire dal Novecento, si discosti dal testo scritto o perlomeno lo desacralizzi, è stato già ribadito altrove. Quello che appare interessante nellřanalisi di Allegri è la sua identificazione del criterio guida della

72 Ejzenštejn 1985, p. 164. 73 Ejzenštejn 1985, p. 164. 74 Allegri 1993, p. 113.

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drammaturgia novecentesca, a quanto pare, fortemente influenzata dallřestetica del montaggio. Infatti, prosegue Allegri:

se vogliamo sintetizzare in una formula, lo slittamento teorico è dalla nozione di opera a quella di operazione, che nega la assolutezza a priori di ogni elemento (testo compreso) per rendersi totalmente leggibile nel procedimento che costruisce lo spettacolo. Il criterio guida, anche dietro suggestioni che vengono dal linguaggio cinematografico, è dunque quello del montaggio, che unisce le singole componenti senza la pretesa di fonderle in unřopera unitaria […].75

La posizione di Allegri, a ben vedere, fa pendant alla produzione drammaturgica delle avanguardie espressionistiche, e allřopera di Bertolt Brecht nello specifico. Ma si è sempre nellřambito del testo scritto drammaturgico, e non di quello spettacolare, ovvero, la messinscena. Per questřultima sarebbe infatti inaccettabile un discorso di montaggio delle parti senza risoluzione in un prodotto finale complesso per quanto si voglia, ma comunque unitario, a meno di non sconfessare le numerose teorie semiotiche e non solo precedentemente citate.

Nel corso del Novecento, il ricorso al montaggio è documentato anche al di là dellřestetica brechtiana, tantřè che:

grazie soprattutto alla straordinaria diffusione dei film dei programmi televisivi […] il montaggio si è talmente radicato nellřesperienza percettiva del pubblico Ŕ e di lì nella prassi compositiva dei drammaturghi Ŕ che oggigiorno la tecnica della giustapposizione paraipotattica, diffusasi ben al di fuori dellřelitario ambito delle sperimentazioni artistiche Ŕ in linea per altro anche con la postmoderna tendenza allřabolizione delle gerarchie estetiche Ŕ viene comunemente impiegata non solo per la creazione di Řopere di ricercař, ma anche per la confezione di Řprodottiř destinati ad un vasto pubblico.76

Al di là della scrittura propriamente drammaturgica, come si vedrà, il montaggio non si esime dal confronto con la scrittura per la scena. Fra gli altri, per esempio, nei testi spettacolari di Jurij Ljubimov infatti il ricorso al montaggio, oltre che dichiarato, diviene un carattere specifico, intrinseco quasi della composizione scenica. 75 Allegri 1993, p. 113. 76 Longhi 1999, p. 232.

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Ma più in generale, la sceneggiatura di molti testi spettacolari che analizzerò verte sulla rielaborazione di testi primari, siano essi romanzi, racconti, pagine di diario, poemi. Questa occorrenza piuttosto marcata nelle linee registiche dei direttori Jurij Ljubimov, Eimuntas Nekrošius, Alvis Hermanis, pone dunque il problema della definizione delle opere portate sulla scena. In effetti, queste ultime rientrano in quella particolare operazione solitamente definita come adattamento di testi in prosa nella scena, laddove, il termine Ŗadattamentoŗ diviene spesso sinonimo,di Ŗriduzioneŗ o Ŗtraduzioneŗ per la scena.

Nel caso specifico di questa tesi, va poi ciò sottolineato come lřadattamento rappresenti in realtà solo una delle modalità messe in atto dai registi sopra citati. Jurij Ljubimov infatti realizza non soltanto adattamenti di romanzi per il teatro, ma da quasi un ventennio frequenta con successo e metodo una vera e propria estetica del pastiche.

Al fine di non incorrere in una confusione terminologica e anche per rendere più agevole la comprensione dei testi spettacolari che verranno in seguito analizzati, è opportuno, seppure in modo sintetico, fare chiarezza su caratteristiche, differenze, peculiarità che intercorrono tra pratiche quali Ŗadattamentoŗ, Ŗriduzioneŗ e Ŗpasticheŗ.

Da un punto di vista generale, è possibile collocare le pratiche sopra citate nella categoria che Gérard Genette, nel suo saggio Palimpsestes. La Littérature au

second degré77, definisce «transtestualità, o trascendenza testuale del testo»78, ovvero tutto ciò che mette il testo «in relazione, manifesta o segreta, con altri

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Genette 1982.

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testi»79. Nello specifico, Genette rintraccia cinque tipi di relazioni transtestuali 1) lřintertestualità, definita a sua volta da Julia Kristeva come quel movimento per cui «nello spazio di un testo numerosi enunciati, presi da altri testi, sřincrociano e si neutralizzano»80; 2) la relazione tra l’opera e il paratesto ovvero il titolo, sottotitolo, prefazione, postfazione, note, premesse e tutti i vari tipi di «segnali accessori, autografi o allografi, che procurano al testo una cornice (variabile) e talvolta un commento ufficiale o ufficioso»81; 3) la metatestualità, ovvero, la relazione di commento che lega un testo a un altro testo di cui esso parla, senza necessariamente citarlo o nominarlo; 4) lřipertestualità consistente in ogni relazione tra un testo B, detto «ipertesto»82, e un testo anteriore A detto «ipotesto»83; 5) lřarchitestualità ovvero «una relazione assolutamente muta, articolata tuttřal più da una menzione paratestuale di pura appartenenza tassonomica»84.

Ai fini della mia analisi, risulta di particolare interesse, fra tutte, la categoria dellřipertestualità poiché garantisce la derivazione di un testo da un altro testo per mezzo di una «trasformazione semplice»85 o «trasformazione indiretta, che diremo imitazione»86.

Connessa alla dinamica dellřipertestualità è la forma estetica del pastiche, in senso generale definito come «a quotation or Řsamplingř of one text by another»87, e

79 Genette 1997, p. 3. 80 Kristeva 1978, p. 97. 81 Genette 1997, p. 5. 82 Genette 1997, p. 7. 83 Genette 1997, p. 8. 84 Genette 1997, p. 7. 85 Genette 1997, p. 10. 86 Genette 1997, p. 10. 87

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considerato da Genette come un genere, seppur minore, caratterizzato da una dinamica di ipertestualità. Ma per Genette il pastiche è anche:

una sorta dřomaggio, ad ogni modo. Questo termine tradizionale […] designa piuttosto bene il regime non satirico dellřimitazione, che non può restare neutra e non può che scegliere fra la presa in giro e il riferimento ammirativo Ŕ con la possibilità comunque di mescolarli in un regime ambiguo che mi sembra essere la sfumatura più adatta per un pastiche sfuggito alle volgarità aggressive della caricatura.88

Per Richard Dyer invece il fenomeno del pastiche è dotato di una ben più ampia complessità. Anzittutto, va ricordato che, dal punto di vista dellřanalisi filologica, il termine stesso di pastiche deriva dallřitaliano Ŗpasticcioŗ, attestato già a partire dal 1535 e indicante una «pietanza per lo più costituita da un involucro di pasta frolla o dřaltro tipo e da un ripieno di pasta alimentare, precedentemente cotta e adeguatamente condita, generalmente fatta cuocere al forno»89. Proprio lřidea di una vivanda elaborata mescolando alimenti diversi, è stata tradotta dallřambito gastronomico a quello artistico. Infatti, come ricorda Richard Dyer:

pasticcio referred to paintings produced by one painter using the motifs of another and

presented as the latterřs work. One of the earliest known such uses occurred in 1619 when a Roman Cardinal discovered that the painting sold to him by Terence of Urbino as a Madonna by Raphael turned out to be by Terence himself. The Cardinal summonted the painter and told him that when he wanted a pie (a pasticcio) he ordered one from his cook […].90

Dallřaneddoto riportato da Dyer si evince come, sin dagli esordi, il pastiche, è stato caratterizzato non soltanto dalla mescolanza degli elementi, ma anche dal carattere imitativo di un prodotto secondario rispetto allřoriginale. Infatti, lo studioso nota come il termine pastiche possa essere utilizzato per definire una numerose congerie di fenomeni, tra i quali:

an insulting depiction, empty harking back to obsolete models, an inferior version, second rate imitation, empty historical recreation, parody, idealisation of a style, something that is

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Genette 1997, p. 108.

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Voce Ŗpasticcioŗ in Vocabolario On Line della Lingua Italiana Treccani.

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like something else without being a direct imitation of it, a form of influence, a way of learning oneřs art, a useful rethorical craft, effective historical recreation.91

Ai fini del nostro discorso, è utile rilevare soprattutto il fatto che, il pastiche è in grado di realizzare un ipertesto in unřottica imitativa che per quanto complessa è influenzata dalla natura del modello.

La trasposizione o trasformazione seria può essere considerata come «la pratica ipertestuale più importante […] anche per la portata e la varietà dei procedimenti che vi intervengono»92. La forma di trasposizione più vistosa e diffusa è costituita dalla traduzione, ovvero, dalla resa di un testo da una lingua a unřaltra, ma costituisce trasposizioni anche la tran stilizzazione, ovvero, la riscrittura stilistica, «una trasposizione che ha come unica funzione un cambiamento di stile»93. La traduzione oltre che da una lingua a unřaltra o da uno stile a un altro, può caratterizzarsi anche come quella che Roman Jakobson definisce «traduzione intersemiotica o trasmutazione»94 che consiste «nellřinterpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici»95. Fra le forme di traduzione intersemiotica è possibile collocare la modalità dellřadattamento a proposito del quale studiosa Linda Hutcheon nota: «Like classical imitation, adaptation also is not slavish copying; it is a process of making the adapted material oneřs own. In both, the novelty is in what one does with the other text»96

. Ma lřadattamento non è solo un processo creativo che coinvolge anzitutto lřautore, ma anche un profondo processo ricettivo:

for the reader, spectator, or listener, adaptation as adaptation is unavoidably a kind of intertextuality if the receiver is acquainted with the adapted text. It is an ongoing dialogical

91 Dyer 2007, pp. 7-8. 92 Genette 1997, p. 246. 93 Genette 1997, p. 266. 94 Jakobson 2010, p. 57. 95 Jakobson 2010, p. 57. 96 Hutcheon 2013, p. 20.

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process, as Mikhail Bakhtin would have said, in which we compare the work we already know with the one we are experiencing.97

Oltre a contribuire al recupero del dualismo tra autore e fruitore, insito in ogni prodotto estetico, la definizione di adattamento proposta da Linda Hutcheon, ha il pregio di sgombrare una volta per tutte il campo dallřannosa questione della Ŗfedeltàŗ del testo adattato al testo di partenza. A tal proposito, Giorgio De Vincenti in un saggio dedicato allřadattamento (anche se declinato attraverso il

medium cinematografico) ricorda «come la domanda sulla fedeltà o meno al testo

di partenza non sia la più utile per lřinterpretazione, e possa rappresentare addirittura un falso problema»98. Infatti, secondo lo studioso, una volta tenute ben in conto le specifiche caratteristiche estetiche dei linguaggi dei testi di partenza e di arrivo, «sarà utile parlare del modo in cui il film Ŗlavoraŗ il romanzo, e cioè del tipo di lavoro critico, del tipo di lettura e interpretazione che il primo fa del secondo»99.

Ora, al di là della specifica situazione, come quella riportata da De Vincenti e riferita al caso classico dellřadattamento di un romanzo per il cinema, ritengo che nella citazione sopra riportata si tocchi il punto critico dellřestetica dellřadattamento. Questřultimo, come ricordato anche dalla Hutcheon, racchiude il duplice aspetto di lavoro creativo ex novo, non affetto dunque da nessuna tendenza imitativa, e lavoro critico del testo di arrivo sul testo di partenza. Va da sé che se il il testo B Ŗlavoraŗ il testo A, questo comporta una vera e propria rimessa in gioco dellřautorialità del testo stesso. Come illustrerò nel paragrafo successivo, tale questione è particolarmente dibattuta dagli studiosi di Ŗnarratologia teatraleŗ, ma è anche una occorrenza abbastanza evidente nei testi 97 Hutcheon 2013, p. 21. 98 De Vincenti 2002, p. 103. 99 De Vincenti 2002, p. 112.

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spettacolari che analizzerò. Ecco che dunque quella che è possibile definire la Ŗnuova autorialitàŗ delle dinamiche di adattamento, costituisce una questione carica di implicazioni estetiche, culturali, e anche legali, se si considera lřannosa

querelle relativa ai diritti dřautore dei testi adattati per il teatro. In quanto tale, la

domanda su cosa accada in un testo adattato e a chi/cosa sia riconducibile la sua paternità, attende, con urgenza, una valida risposta critica.

1.3. La narratologia teatrale. Una disciplina in statu nascendi