• Non ci sono risultati.

I motivi della scelta: il punto di vista delle associazioni

Nel documento STRUMENTI PER LA DIDATTICA E LA RICERCA (pagine 47-53)

3. I motivi della scelta

3.2 I motivi della scelta: il punto di vista delle associazioni

Per il mondo associativo non si può parlare di vera e propria selezione dei partner profit; molti hanno raccontato di continui tentativi, di ripetuti sforzi per entrare in contatto con un mondo diverso dal proprio e, spesso, ritenuto ostile e distante in partenza. Tuttavia anche qui possiamo notare alcuni fattori che inducono a preferire un soggetto piuttosto che un altro, che portano a ‘bussare’ solo ad alcune porte, non a tutte quelle che capita-no. In più, a differenza di quel che avviene solitamente nell’impresa,

l’av-vicinamento di una associazione ad attività di responsabilità sociale con un’azienda è un percorso lento, talvolta dibattuto, meditato internamente e costruito nel tempo.

C’è stato un lavoro preventivo di filiera che è iniziato già un anno prima [dell’avvio del progetto, ndr] […] quella selezione iniziale si è creata in que-sto anno e più di confronto: non è che ci siamo trovati a dire «C’è un bando della Regione, che facciamo?»!

La valutazione in termini etici ce la siamo posta negli anni, ha fatto par-te della crescita del settore. Prima nessuno faceva parpar-tenariati con soggetti commerciali, assolutamente! Li vedevamo con diffidenza e con grande pru-denza. Poi, piano piano, si crea il primo caso, poi il secondo, il terzo… […]

assieme alle altre associazioni abbiamo contribuito a creare una coscienza solidale proprio attraverso questa informazione, questi partenariati. Stessa cosa è successa con le aziende: abbiamo lavorato tanto, abbiamo fatto vedere che sappiamo lavorare e che quando c’è bisogno, noi ci siamo veramente e ci trovano!

Oggi ci sono ‘fior di Università’ che insegnano come fare fund raising.

Noi, invece, siamo della ‘vecchia guardia’, a noi non lo ha insegnato nessu-no… come posso dire? Ce lo siamo inventati noi, quelli della mia generazio-ne […] oggi c’è proprio una possibilità di occupaziogenerazio-ne, anche; sono figure professionali ben precise. Quindi, questa capacità di interloquire con sogget-ti così diversi fa di noi dei grandi professionissogget-ti.

Questo dimensione di maggiore professionalità nella gestione delle at-tività di fund raising emerge soprattutto nelle grandi associazioni, come si evince dalle parole di una intervistata:

Mi occupo di relazioni con le imprese e quindi cerco di far interloquire il mondo dell’associazione con l’esterno e, in particolare, con il mondo delle imprese. In passato questa area era genericamente definita come fund rai-sing; da 2-3 anni è stata integrata la parte diciamo ‘tradizionale’, di vecchia concezione di fund raising, con la parte industry. […] quindi possiamo dire che in questo momento la parte che si occupa di relazioni con le imprese si occupa soprattutto di corporate engagement, cioè di coinvolgere le aziende a 360°. Perciò si va oltre il supporto e il sostegno della singola attività, ma si cerca di coinvolgere le aziende in quello che è un percorso, una mentalità, di sostenibilità ambientale e un percorso di miglioramento delle performance ambientali.

I fattori che fungono da discrimine per il mondo non profit, possono essere così descritti:

• La notorietà del soggetto unita alla serietà e alla buona reputazione dell’azienda nell’opinione pubblica. Il marchio deve essere ‘convin-cente’, portatore di un’immagine positiva, in modo che l’associazione possa fidarsi di un curriculum aziendale rispettabile. Ciò facilita e velo-cizza l’incontro perché l’associazione può non possedere gli strumenti, le competenze o le risorse necessarie per approfondire la conoscenza e valutare oggettivamente la ‘qualità’ e la serietà del partner.

Riguardo la selezione e alla scelta del partner non ci siamo fatti grosse domande e le spiego perché. Si tratta di un marchio molto importante, forte, trasparente, comprovato… d’altronde è nelle case degli italiani, per cui non potrebbe essere diversamente!

C’è da dire che a WWF interessa collaborare con i leader, possibilmente, per far sì che si crei una contaminazione positiva nel mercato. Nel momen-to in cui un player importante decide di mettere in atmomen-to una certa politica ambientale, è molto più facile che gli altri si uniformino e imitino il leader e mettano in atto la stessa politica anche loro.

• Territorialità ovvero radicamento, vicinanza, prossimità, connotazione geografica dell’azienda, dei suoi vertici o dei prodotti:

Mi serviva un partner egregio sull’Isola d’Elba che mi desse l’opportunità di vei-colare questo defibrillatore ovunque qui. […] A quel punto sono andato all’Ac-qua dell’Elba. Perché? Perché è una piccola multinazionale elbana che è nata dal niente, ma che sta facendo molto anche dal punto di vista della solidarietà.

Si è cercato di selezionare i partner che rappresentassero la varie fasi cri-tiche della filiera, partner fondamentalmente locali, laddove esistevano. […]

Ci vuole che siano attori toscani, perché volevamo fare una filiera integrata toscana per rivolgerci a distretti industriali toscani, quindi con l’obiettivo della massima ricaduta di valore sul territorio.

• Il capitale sociale dell’azienda, ovvero l’inserimento di questa in una rete relazionale che possa aiutare a sua volta il soggetto non profit ad essere conosciuto e aiutato nel raggiungimento delle proprie finalità:

La nostra idea è proprio questa: andare a cercare e ad agire su coloro che possono attivare il cambiamento. Nel cosa specifico, il WWF, nella relazione con le imprese tiene conto […], cerca di colloquiare anche con chi apparen-temente sembra l’antagonista massimo, perché effettivamente è grazie ad un intervento integrato, ad un cambiamento di approccio nelle politiche di que-sto attore che poi le cose possono cambiare, per generare quella emulazione positiva che cambia le cose.

Nel caso del progetto con Ikea c’era un elemento in più: la credibilità stessa di Ikea che può aver smosso […] secondo me, conta! A Ikea vanno anche persone che non abitano nella provincia di Firenze e che magari non conoscevano ATT, ma che hanno detto «Partecipo, anche se non me ne faccio niente del pupazzetto, partecipo perché se lo fa Ikea, mi fido!».

• Azioni solidali non solo come operazioni di marketing e di ‘facciata’, ma che coinvolgano in maniera più ampia e qualitativamente migliore l’azienda, affinché il partenariato porti frutti di lungo periodo, che va-dano oltre la singola azione comunicativa:

La cosa più interessante è proprio lo scambio: un progetto è soddisfacen-te quando vedi che il partner ha delle cose da dire, ecco, delle cose concresoddisfacen-te da portare!

Per noi era interessante far capire che [il partner aziendale, ndr] poteva fare i suoi business, ma poteva entrare a conoscere un mondo che spesso co-nosceva solo per “opportunità di comunicazione”. Noi gli abbiamo mostrato una realtà … poi dovevano valutarla loro, ma conoscendola in modo diretto.

[…] Abbiamo fornito conoscenza […] abbiamo dato informazioni per capire e leggere il territorio.

È un metodo che adottiamo con qualsiasi partner: che si consolidi il rap-porto è molto più importante che un ‘mordi e fuggi’ … certo, a volte è più faticoso, ci vuole più tempo, però poi dopo è meglio.

Nelle relazioni con le aziende una delle caratteristiche che vogliamo noi – e che vogliono anche loro! – è la specificità del progetto, cioè non racco-gliere fondi per l’AIL, ma per un progetto specifico. […] La cosa che mi ha colpito di più al momento della proposta è stata proprio questo catalogo [di raccolta punti, ndr], che coniugava sia il sociale che il commerciale in manie-ra equilibmanie-rata e corretta.

Tutti sgranano gli occhi e ci chiedono come abbiamo fatto a convogliare l’at-tenzione di questi soggetti: semplicemente andando a spiegare cosa facciamo.

Siamo credibili e semplici. Noi diciamo: «Quello che ci date servirà per questo».

(Circa 3 anni fa) ci eravamo resi conto, sempre più, che le aziende inizia-vano a capire l’importanza, in particolare nel settore ambientale, di approc-ciare un cambiamento più strutturale nella loro azienda. Nel coinvolgimento maggiore e un po’ meno una tantum.

Meno quindi legato ad un sistema e ad una collaborazione che nasce e muore. […] Lo stesso WWF si è reso conto che doveva, voleva ed era molto

più coerente con la propria mission, usare un approccio con l’azienda molto più globale e con progetti continuativi.

Io non mi presento mai chiedendo soldi. Io vado, presento i nostri obiet-tivi e poi dico: «Non ho bisogno che tu mi dia 300 o 400 euro; a me interessa che tu partecipi in toto alla nostra causa», il che significa che loro si sentono parte del progetto … infatti prendono subito la tessera di soci! […] Io voglio un’adesione non tanto come marchio, ma come causa; devono sposare la causa dal punto di vista culturale e dell’impegno. Loro [le aziende, ndr], quindi, devono mettere il proprio nome e il proprio prestigio a disposizione della causa […] devono mettere in gioco la propria credibilità.

Non mi aspettavo che Unicoop fosse così […] Per me era il posto dove vado a fare la spesa, stop! Invece hanno fornito un sacco di cose, sono stati molto attivi. La mia impressione personale è stata positivissima e di grande entusiasmo, perché loro si sono prestati per tutto, senza mai tirarsi indietro, anzi, magari sono stata più io a chiamare per consigli e informazioni e loro sempre disponibili.

Laura Solito, Letizia Materassi, DIVERSE eppur VICINE : associazioni e imprese per la responsabilità sociale, ISBN 978-88-6655-414-1 (print), ISBN 978-88-6655-415-8 (online PDF), ISBN 978-88-6655-416-5 (online EPUB) © 2013 Firenze University Press

Nel documento STRUMENTI PER LA DIDATTICA E LA RICERCA (pagine 47-53)