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Da moto di ribellione ad azione di cambiamento nella società civile

di Angela Fioroni

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Come quando non si può toccare una ferita perché in essa si trova un nervo scoperto e toccando quello si fa trasalire tutto il sistema nervoso della persona, così ci sono realtà e situazioni che aprono, di fronte al soggetto, dimensioni incredibilmente sensibili, essenziali, che compromettono i valori assoluti, la cui integrità è necessaria per cogliere il significato della vita. In queste realtà e situazioni ci pare di toccare ciò che c'è di più sensibile nell'esistenza, l'assoluto, ciò che ci riguarda senza possibilità d'appello e che provoca in noi una reazione incontenibile.

Casaldáliga Pedro e Vigil José Maria

Vorrei cominciare a parlare di indignazione etica a partire da un’esperienza che ho incontrato lavorando nel mondo delle amministrazioni comunali:

nel 2010 ho avuto l’opportunità di operare con un movimento di genitori di bambini del nido, della scuola materna e della scuola elementare della città di Milano; una realtà eterogenea e multiculturale, molto impegnata e intelligente.

4Segretaria di Legautonomie Lombardia, si occupa di attivare gruppi di lavoro fra amministratori che desiderano sperimentare modalità più ricche e articolate di confronto con i propri cittadini. È stata sindaco di Pero (MI) dal 1997 al 2007.

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Nel movimento di genitori ho colto il ruolo dell’ironia come trait d’union tra l’indignazione come emozione e l’indignazione che diventa generatrice di nuovi modi di essere, che diventa costruzione di nuovi mondi possibili.

Alcuni gruppi di genitori si sono fortemente arrabbiati con il Comune di Milano perché non li ascoltava, li trattava male e li accusava di inventarsi i problemi affermando, invece, che nelle scuole tutto funzionava perfettamente; allora i genitori hanno costruito un sito - Cascina Farlocca -, e hanno fatto un’operazione leggera e ironica, simile a quella narrata da Orwell in La fattoria degli animali: riportando in esso tutto ciò che succedeva nelle scuole dei figli, come se fosse successo nella cascina orwelliana.

Successivamente, questi genitori – indignati e arrabbiati ma senza canali per esprimere la loro indignazione e la loro rabbia - hanno organizzato riunioni, prima nelle scuole e poi nella sala Corridoni della Provincia di Milano (che, pur avendo 500 posti, è risultata non essere sufficientemente grande), per denunciare la situazione e per proporre concrete soluzione ai problemi.

L’organizzarsi intorno alla costruzione del sito della Cascina Farlocca ha anticipato ciò che è successo nella campagna elettorale di Pisapia a Milano.

Quando l’allora candidato sindaco è stato attaccato dalla Moratti nel confronto su Sky, la situazione poteva degenerare; invece, i sostenitori di Pisapia hanno reagito inventando delle lunghissime filastrocche ironiche nelle quali hanno scaricato tutta la rabbia che avevano dentro; a quel punto l’indignazione è diventata generatrice di un voto e di nuovi comportamenti.

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Infatti, mi auguro, e per quello che posso lavorerò in questa direzione, che i comportamenti che si sono creati in questo periodo restino generativi e non si trasformino in comportamenti aggressivi, di sfiducia o di eccessiva richiesta. Ciò che di più bello è successo durante la campagna elettorale 2011 a Milano è stato vedere la piazza sorridente che ha abbandonato la consueta carica di rabbia, di tensione, di oppressione, di non ascolto.

Spero che questo approccio possa rimanere e ciò dipenderà da una parte dalle risposte che saprà dare il Sindaco e, dall’altra parte, dalla capacità dei milanesi di mantenere questo atteggiamento positivo.

Per quanto mi riguarda mi sono formata nelle ACLI, seguita da don Cesare Sommariva, ricevendo una formazione tutta centrata sul sociale. Come ACLI nel Settanta a Pero abbiamo appoggiato la Democrazia Cristiana che era un gruppo cresciuto all’interno del nostro oratorio ma che, una volta in amministrazione, ha fatto esattamente il contrario di quello che discutevamo insieme.

Allora io con altri sono passata al Partito Comunista, nel quale ho riposto una grande aspettativa: era il partito di Berlinguer ed erano prossime le elezioni del 1975. Mi aspettavo di entrare in un partito nel quale respirare tutto l’entusiasmo che io e i miei amici avevamo; invece, mi sono ritrovata in un contesto in cui la caratteristica di fondo troppo spesso era l’odio nei confronti degli altri, degli oppressori, degli industriali, dei padroni, ecc..

Ricordo ancora un intervento che feci in un’occasione di dibattito:

«Capisco che si possa far politica per odio se uno è stato tanto vittima; ma si può fare politica anche da un altro punto di vista: per amore»; tutti erano allibiti, come se parlassi una lingua non conosciuta.

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Nel 2010 abbiamo lavorato intensamente, come Legautonomie Lombardia, con tante associazioni e comuni per trasformare in positivo la rabbia verso un Governo che ha sostanzialmente destrutturato il nostro Stato, la scuola, la ricerca, l’università, e ha tentato di neutralizzare gli enti locali; a partire dal decreto 112 del 2008 in poi, fino alle manovre finanziarie del 2010 e del 2011 gli enti locali non hanno una risorsa economica su cui poter contare e questo comporta tagli al welfare locale e a tutti gli altri servizi. A seguito di ciò alcuni Sindaci hanno restituito le fasce al Prefetto e hanno organizzato manifestazioni; c’è stata parecchia indignazione, o forse rabbia che è un’emozione ancor più primitiva.

A quel punto abbiamo attivato una newsletter da inviare a tutti i comuni della Lombardia; nel primo numero abbiamo scritto: «Incominciamo noi…». Questo per noi significa che, in quanto amministratori e nonostante i tagli, possiamo fare di più e possiamo fare meglio perché non vogliamo perdere il nostro ruolo e la nostra identità né vogliamo far mancare ai cittadini questo importante presidio di democrazia e di relazione Stato – cittadini, che è il Comune.

C’è una cosa che a mio parere è molto vera: nei momenti di crisi la gente ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino e io credo che a livello locale le amministrazioni possano stare vicino alle persone.

Ai nostri piccoli comuni dico che noi siamo la filiera corta degli enti locali e i sindaci dei comuni piccoli sono i sindaci a chilometro zero, perché non c’è nessuno che si frappone tra il cittadino e il sindaco: i cittadini non si recano negli uffici comunali ma vanno direttamente dal sindaco, che deve essere capace di capire quali sono le situazioni dei suoi cittadini e di testimoniare la sua comprensione, la sua vicinanza.

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Con questa iniziativa abbiamo scoperto che c’è un terreno dove è possibile utilizzare l’indignazione come generatrice di modi di vivere nuovi e più belli rispetto all’attuale; occorre però che ci siano spazi di ascolto.

In genere partecipo a tutti gli incontri di formazione che svolgiamo con i dipendenti comunali perché mi interessa ascoltare le loro esperienze.

Ricordo, ad esempio, un corso di aggiornamento dove si parlava del regolamento del codice dei contratti; al termine dell’incontro un uomo mi ha ringraziata, dicendomi che i dipendenti hanno bisogno di comprensione e di stimoli perché altrimenti è difficile trovare energie per lavorare nelle amministrazioni locali.

Credo che, affinché l’indignazione diventi etica e generatrice, occorre che ci siano dei progetti, un futuro da guardare e da costruire; se restiamo schiacciati sull’oggi e sulle rivendicazioni è difficile trovare questa possibilità di crescita.

Ultimamente ho letto dei testi che mi incuriosivano molto perché gli autori cercavano di capire come si sta modificando la personalità dei giovani in relazione al fatto che da un lato ancora oggi il lavoro costruisce l’identità della persona e le dà dignità ma dall’altro lato esso è sempre più precario.

Questo divario, per esempio, agisce sulla percezione che una persona ha di se stessa.

Ho in mente una giovane donna di 38 anni che all’avvio del suo percorso professionale ha avuto subito un contratto a tempo indeterminato in uno studio di architetti; in seguito si è licenziata per fare la libera professionista part-time ma adesso si sente sempre senza un domani. Credo che non si possa vivere così: bisogna superare questa ambiguità perché non si può

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vivere con la perenne sensazione del “chissà che cosa può accadere domani”.

Eppure, anche le persone che lavorano e vivono tranquillamente e possono permettersi di fare delle scelte si sentono addosso la precarietà e temono che le cose possano cambiare da un momento all’altro. Forse bisogna approfondire questo aspetto e creare spazi di supporto a questo tipo di cambiamento che stiamo vivendo.

Ho letto con grande interesse il rapporto annuale del Censis, quello del 2010; in esso viene descritta la condizione in cui si trova la nostra società - che è completamente liquida - e l’infelicità generata da questa situazione.

Penso si debba andare a recuperare la felicità; il rapporto afferma che dobbiamo ritrovare il desiderio, in un mondo in cui abbiamo tutto e ci viene offerto il di più. L’avere tutto fa mancare pulsioni profonde per cui non sussiste più desiderio di cambiare e la società frana fino al punto che anche le idee e i valori, sui quali ci siamo basati - dall’etica ai valori della Costituzione e del lavoro - vengono intaccati.

Se quest’analisi è corretta, l’antidoto è ricostruire comunità dove si possano ricomporre tutti gli elementi del puzzle e dove l’indignazione, così come altre emozioni, possa essere riconosciuta e diventare generatrice di nuove modalità di essere per darci futuro e felicità.

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La fiducia. La danza del vulcano

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