• Non ci sono risultati.

Fin dal primo manifesto politico del Mouvement Républicain Populaire, apparso nel settembre del 1944, la riforma dello Stato Sociale francese e l'estensione dei suoi benefici alle categorie della classe media e dei lavoratori indipendenti appariva come uno degli obiettivi primari dell'azione politica del partito democristiano. Tale volontà riformatrice si poneva in realtà nel solco di una tradizione politica e di una riflessione intellettuale che aveva coinvolto il movimento democratico-cristiano francese sin dagli anni Venti.

La diversità degli attori che parteciparono a tale dibattito riflette la complessità del movimento cattolico francese, diviso non solo a livello politico, con la presenza di tre formazioni partitiche1, ma anche a livello di organizzazioni e movimenti sociali. Tuttavia, ai fini del nostro discorso, due elementi sembrano assumere particolare importanza, sia in considerazione dell'“oggetto” a cui tali elementi fanno riferimento, sia in considerazione della loro influenza sulla definizioni della dottrina e della pratica politica del Mouvement Républicain Populaire.

Il primo di tali elementi fa riferimento alla grande riflessione portata avanti dal Parti Démocratique Populaire (PDP) fin dalla sua fondazione in merito al tema della riforma dello Stato; il secondo invece ha per oggetto l'evoluzione dell'approccio all'analisi della società da parte di alcuni segmenti del movimento cattolico francese – in particolare l'Action Catolique de Jeunesse Française (ACJF), e in misura minore le Settimane Sociali – e l'adeguamento delle loro strutture e della loro azione alle diverse esigenze emerse da tale approccio.

Pertanto, prima di addentrarci nello studio specifico del Mouvement Républicaine Populaire, può essere utile affrontare in via preliminare i quesiti posti dai temi

1 Si tratta del Parti Démocrate Populaire, la Jeune République e l'Union Populaire Républicaine d'Alsace. Cfr Pierre Letamendia, Le mouvement républicain populaire. Le MRP: l'histoire d'un

appena accennati.

1. Riforma dello Stato ed evoluzione sociale nel pensiero politico e sociale cattolico negli anni Venti e Trenta

La fondazione del PDP nel 1924 fu profondamente segnata dal dibattito relativo alla trasformazione e riforma dello Stato. Alla base di tale volontà riformatrice c'erano due elementi principali: il primo, di lungo periodo, faceva riferimento alla tradizione del pensiero politico di ispirazione cattolica, ed aveva l'obiettivo di ammodernare l'ordinamento dello Stato – definitosi sulla base dei principi emersi dai processi rivoluzionari fin dal 1789 – sulla scorta delle indicazioni elaborate dalla dottrina sociale della Chiesa; il secondo elemento, invece, si agganciava in maniera più precisa a quel dibattito che a cavallo fra gli anni Venti e Trenta alimentò la riflessione sul rapporto fra Stato e democrazia alla luce dei cambiamenti politici e sociali che a partire dalla fine della primo conflitto mondiale si erano in qualche modo acutizzati e radicalizzati, sfociando in alcuni casi – come quello italiano – in un crollo della democrazia.

Il manifesto programmatico del PDP partiva da due presupposti “ideologici” fondamentali. In primo luogo l'accettazione piena e convinta della Repubblica come forma di Stato frutto di una lenta evoluzione che affondava le proprie radici nello spirito di libertà e autonomia dei comuni medievali; in secondo luogo l'accettazione della democrazia, intesa non solo come partecipazione dei cittadini alla vita politica, ma come strumento di diffusione delle virtù civiche2.

Dal punto di vista ideologico, alla base del rapporto fra Stato, Repubblica e Democrazia, è possibile individuare nell'approccio del PDP almeno tre grandi filoni teorici. Il primo di questi è il popolarismo, “dottrina” che nell'azione di don

2 Da questi due principi di base derivavano i cosiddetti quattro punti cardinali del Partito: attaccamento alla Repubblica e alle libertà politiche; estensione della democrazia all'ambito economico e sociale; azione di educazione civica e morale; politica estera in grado di conciliare gli interessi francesi con la pace internazionale. Cfr. Jean-Claude Delbreil, Centrisme et

démocratie-chrétienne en France: le Parti démocrate populaire des origines au MRP, 1919-1944, Paris, Publications de la Sorbonne, 1990, pp 95-96.

Sturzo aveva trovato una sintesi fra riflessione teorica e pratica politica3. L'adesione del PDP al popolarismo, come indica il nome stesso del partito, si sostanziava in una concezione organica della società e del popolo, inteso quest'ultimo come un corpo unico articolato in gruppi diversi. L'autonomia di tali gruppi sociali – la famiglia, le professioni, i comuni, le regioni – doveva sostanziarsi nella loro partecipazione alla formazione del diritto, che integrato con quello autonomo dello Stato, avrebbe garantito la definizione di un principio di autorità effettivo ma non illimitato. La ripresa da parte del popolarismo del tema dei corpi intermedi si riallacciava in maniera evidente alla questione della riforma corporativa dello Stato, elemento che lasciava in qualche modo irrisolto all'interno della dottrina del PDP il rapporto fra Stato e democrazia. Come sottolineato da uno dei teorici del partito, Marcel Prélot, l'idea organicistica del popolo e della società non aveva in sé un carattere prettamente democratico, ragion per cui essa andava integrata con elementi dottrinali provenienti da altri filoni teorici, ed in particolare il personalismo e l'istituzionalismo4.

Fra i grandi teorici del pensiero personalista ad aver avuto un'influenza notevole nell'elaborazione dottrinale del PDP, grazie anche ad una serie di collaborazioni alla rivista del partito, Politique, è necessario citare il filosofo Paul Archambault. Al centro delle sue riflessioni c'era il rapporto fra individuo e società, che trova nel “personalismo democratico” un punto di equilibrio in grado di soddisfare tanto la libertà dell'individuo, sottratto ad ogni forma di costrizione, quanto le esigenze della società integrate in un unico principio di autorità5.

Sul concetto di autorità fu lo stesso Archambault ad appoggiarsi in maniera esplicita alla teoria istituzionalista elaborata da Maurice Hauriou. Al centro di tale riflessione si poneva ancora una volta il rapporto fra libertà e sovranità: la soluzione di tale dualismo avrebbe dovuto consistere in una riforma che riconoscesse ai gruppi sociali un ruolo istituzionale e giuridico finalizzato alla

co-3 Luigi Barbieri, Persona, Chiesa e Stato nel pensiero di Luigi Sturzo, Soveria Mannelli, Rubettino, 2002. Giorgio Campanini, Nicola Antonetti, Luigi Sturzo: il pensiero politico, Roma, Città nuova, 1979.

4 Jean-Claude Delbreil, Centrisme et démocratie-chrétienne en France, cit., pp. 108-110.

produzione del diritto6.

Se questi furono dunque i principali filoni teorici che contribuirono ad arricchire il dibattito interno al PDP, c'è da chiedersi in che modo essi furono integrati nelle proposte programmatiche avanzate dal partito.

La riforma amministrativa dello Stato basata sul decentramento e sul riconoscimento del ruolo delle regioni e delle comunità locali fu sicuramente una delle conseguenze programmatiche di questa profonda riflessione intellettuale. Alcuni elementi puntuali, quali la forte presenza all'interno del partito di due componenti regionaliste molto importanti, ossia quella dell'Alsazia-Lorena e quella bretone, possono aiutare a capire il forte accento posto su tale aspetto. E' allo stesso tempo vero, però, che tale indirizzo trova una piena comprensione se posto all'interno della tradizione politica democratico-cristiana, che attribuiva alle comunità locali lo stesso ruolo di corpo intermedio riconosciuto a soggetti quali la famiglia e le organizzazioni professionali. Nell'idea del PDP, dunque, la riforma dello Stato, ovvero la democratizzazione della sua costituzione, doveva passare attraverso un diverso sistema di rappresentanza che integrasse questi tre soggetti cui si è appena fatto riferimento7.

Non per nulla, accanto alla decentralizzazione, altri punti essenziali del programma del PDP riguardavano la riforma del suffragio. Due erano le direttrici fondamentali di tale indirizzo: in primo luogo l'estensione del diritto di voto alle donne, nonché il riconoscimento del cosiddetto voto familiare, finalizzato a garantire una vera rappresentanza alle famiglie nel contesto nazionale. In secondo luogo, per ciò che riguardava le organizzazioni professionali, il PDP si fece sostenitore di un'estensione di tali organizzazioni affinché tutte le categorie, e non solo i lavoratori dell'industria, protessero contribuire, in piena libertà ed autonomia, alla definizione degli obiettivi sociali e politici della nazione8.

Ma al di là del mondo operaio, organizzato in sindacati di vario orientamento – fra

6 Ibidem, pp. 118-120.

7 Ibidem, pp. 132-133.

cui per l'appunto la Confédération Française des Travailleurs Chrétiens (CFTC) – a quali altri gruppi concreti doveva essere aperta l'organizzazione professionale? In che modo tali organizzazioni avrebbero rispecchiato la complessità della società francese degli anni Venti e Trenta?

Per cercare di trovare una risposta a tali quesiti, può essere utile osservare l'evoluzione di una delle più importanti realtà dell'associazionismo cattolico francese, che proprio a cavallo fra gli anni Venti e Trenta modificò profondamente la propria struttura per venire incontro alle esigenze poste dall'evoluzione sociale. Si tratta dell'Association Chatolique de Jeunesse Française (ACJF), associazione fondata da Albert de Mun nel 1886 con la vocazione di intraprendere un'opera pastorale diretta in maniera particolare alle giovani generazioni. Il 1927 rappresentò un anno di svolta per il movimento della gioventù cattolica. Le vicende legate alla creazione della Jeunesse Ouvrière Chrétienne (JOC) furono senz'ombra di dubbio l'elemento catalizzatore di tale cambiamento, sebbene a partire dal 1916 l'idea di un orientamento ed una specializzazione professionale dell'associazione fossero in qualche modo auspicate da dirigenti quali Charles Flory e Jean Lerolle. Posta di fronte al fatto compiuto della creazione di una associazione autonoma di gioventù operaia, che nel giro di pochi mesi aveva visto crescere la propria presenza territoriale e il numero degli iscritti, la risposta dell'ACJF fu quella di tentare la via dell'integrazione della JOC, garantendole al contempo uno statuto di autonomia. In qualche modo l'ACJF riconosceva la specificità della gioventù operaia e la conseguente necessità di adeguare i metodi dell'associazione alle esigenze specifiche di tale segmento sociale. Il successo dell'operazione – nel 1929 la JOC poteva contare su più di diecimila iscritti e quaranta federazioni territoriali – spinse la direzione dell'ACJF a fare della specializzazione il metodo maestro della propria azione di penetrazione sociale. Videro così la nascita la JEC (Jeunesse Etudiante Chrétienne), la JAC (Jeunesse Agricole Chrétienne), la JMC (Jeunesse Maritime Chrètienne) e la JIC (Jeunesse Indépendante Chrétienne)9.

E' bene porsi la questione se tale trasformazione rispondesse a delle semplici

esigenze organizzative o se piuttosto essa non fosse il sintomo di un cambiamento profondo nell'approccio cattolico all'analisi della società.

In un certo qual senso, e pur nella diversità dei campi di interesse, la trasformazione dell'ACJF rispondeva a quell'imperativo di osservazione della realtà sociale che aveva animato i teorici dell'istituzionalismo cui si è fatto riferimento in precedenza. René Rémond la lega al contempo alla diffusione della sociologia religiosa che proprio in quegli anni esprimeva una nuova sensibilità:

L’acceptation de la différence, c'est la prise en compte des réalités sociales. C'est un renversement de perspective: elle postule que les chrétiens ont des leçons à tirer de l'examen de la réalité, que l’Église a quelque chose à entendre du monde”10.

La specializzazione ebbe inoltre una conseguenza sulla democratizzazione dell'ACJF. Al posto di una élite proveniente dalle categorie sociali più elevate, cui si attribuiva una funzione educativa e a volte paternalistica nei confronti delle altre categorie, la creazione delle sezioni specializzate diede modo all'associazione dei giovani cattolici di creare per ognuna di esse una sorta di élite proveniente dallo stesso tessuto sociale degli associati. Dal punto di visto teorico ciò implicava in qualche modo il passaggio dal concetto di società verticale a quello di società omogenea, ovvero una società dove i gruppi sociali si trovano su un livello di parità, potendo tutte ambire a un ruolo direttivo nella società e nella politica11. L'ultimo elemento su cui è utile porre l'accento è che tale specializzazione accelerò in qualche modo una maggiore riflessione sul concetto di classe sociale come strumento cognitivo per leggere la realtà sociale, superando i concetti più tradizionali di mestiere o professione.

Possiamo trovare un'eco di tale evoluzione nella Settimana Sociale del 1939

10 René Rémond, L'A.C.J.F. de 1927 à 1957, spécialisation des mouvements, grandes orientations

nationales et internationales, acheminement vers la crise ultime, in Faculté de théologie et de

philosophie du Centre Sèvres, L'ACJF: une création originale, actes du colloque public

organisé par la Faculté de théologie et de philosophie du Centre Sèvres, Paris, 20-21 novembre 1987, Paris, Médiasèvres, 1988, pp. 33-34.

dedicata a “Le problème des classes dans la communauté national et dans l'ordre humaine”. In tale occasione a quella specializzazione secondo “classi sociali” operata dall'Azione Cattolica Francese veniva attribuito un triplice effetto. Essa infatti permetteva in primo luogo ad ogni classe sociale di «prendre conscience d'elle-même, parce que l'individu prend conscience d'appartenir à une classe»; in secondo luogo essa permetteva ad ogni classe di trovare la propria collocazione tanto dal punto dell'evoluzione storica quanto da quello delle relazioni sociali: «ceci prépare la classe à comprendre les autres classes sans les nier ni se nier soi-même»; infine, grazie a tali fenomeni, la classe poteva tendere a purificarsi «en améliorant ses jugements, ses institutions, en critiquant ses privilèges» 12.

Giudizi, istituzioni, privilegi. Furono proprio questi i punti a partire dai quali, all'interno dello stesso consesso, Albert Gortais si apprestò a dipingere un quadro delle classi medie francesi alla fine degli anni Trenta. Dopo aver individuato nello spirito di indipendenza e nella responsabilità due elementi distintivi di tale classe sociale, il segretario generale dell'ACJF e futuro dirigente dell'MRP esprimeva un giudizio assai critico sulla capacità delle classi medie di affrontare la crisi che fin dalla fine della Grande Guerra le affliggeva. Le classi medie, in sostanza, avevano perso la capacità di giudicare tanto se stesse quanto le novità emerse nella realtà sociale:

Pour être objectif, il faut reconnaître que les victimes portent une lourde responsabilité dans leur malheur. […] Prévoyants quand il s'agissait du patrimoine individuel, elles n'ont pas su prévoir le terme d'une évolution collective. […] Il [le petit bourgeois] demeurait aveugle, égoïste. Or cette addition de petits égoïsmes ne faisait pas un grand égoïsme, mais une vaste impuissance13.

Un giudizio meno severo veniva invece espresso su quella nascente “istituzione”

12 Eugène Masure, L'éducation des classes par les mouvements spécialisés d'action catholique, in Semaines sociales de France, Le problème des classes dans la communauté nationale et dans

l'ordre humain: compte rendu in extenso des cours et conférences, Semaines sociales de France, Bordeaux, XXXI session 1939, Lyon, Chronique sociale de France, 1939, pp. 479-497.

13 Albert Gortais, Le rôle social des classes moyennes dans la communauté nationale, in Semaines sociales de France, Le problème des classes dans la communauté nationale et dans l'ordre

che era il sindacato unico delle classi medie, finalizzato a raggruppare le varie organizzazioni professionali. Con una importante riserva:

Sur le plan de l’organisation sociale, le syndicalisme de classe moyenne mérite qu'on lui fasse confiance, à condition qu'il ne soit pas lui-même l'objet d'une exploitation à des fins peu désintéressés.

Privilegi infine.

Un effort d'éducation est alors nécessaire, car l'éminence du rôle des classes moyennes et de la bourgeoisie n'autorise pas à ne faire que leur apologie”.

Il punto di vista del segretario dell'ACJF era dunque estremamente lineare: per rendere effettiva una vera collaborazione sociale, le classi medie dovevano in qualche modo superare la loro condizione di egoismo sociale, a partire proprio da quegli elementi – attaccamento alla libertà e al rispetto della persona umana, ruolo della famiglia – che ne facevano un soggetto sociale estremamente permeabile al messaggio cristiano14.

La complessa esperienza del movimento cattolico francese, così come le riflessioni che all'interno di esse si svilupparono nel corso degli anni precedenti il secondo conflitto mondiale, trovarono un punto di sintesi nella creazione dell'MRP. E' possibile infatti rinvenire una continuità di fondo fra il partito democristiano e i movimenti cattolici preesistente soprattutto in relazione a tre elementi fondamentali. Il primo di questi è la provenienza del personale politico. Fra i leader dell'MRP ritroviamo per esempio Charles Flory, Georges Bidault, Pierre-Henry Teitgen, François de Menthon, uomini politici che già avevano svolto un ruolo di primo piano all'interno del PDP; Paul Bacon, Robert Prigent, Maurice-René Simmonet, Albert Gortais invece provenivano dai differenti settori dell'ACJF; a completare il quadro c'erano personaggi quali Francisque Gay, più legato alle esperienze della democrazia cristiana francese dei primi anni del Novecento, da cui aveva preso origine l'esperienza politica della Jeune

République15. Un secondo elemento di continuità fra l'MRP riguarda l'approccio del partito rispetto alla complessità della struttura sociale della Francia del tempo. L'MRP ereditò soprattutto dall'ACJF l'idea di creare delle strutture specializzate per dare concreta rappresentanza ai vari settori della società – quello operaio, quello rurale, quello delle professioni indipendenti. Un terzo elemento di continuità riguardava infine la dimensione dottrinale, che individuava nel personalismo e nell'istituzionalismo i punti cardinali rispetto ai quali modulare l'azione politica del partito. La volontà di riformare lo Stato a partire dalle esigenze delle comunità territoriali, delle famiglie e delle organizzazioni professionali ebbe per la prima volta nella storia del movimento cattolico francese la possibilità effettiva di realizzarsi nel processo costituente della IV Repubblica e nelle legislature successive. Tale processo riformatore, tuttavia, lungi dall'essere un mero esercizio di traduzione in pratica della teoria politica, doveva scontrarsi non solo con proposte e ideologie politiche differenti, ma con gruppi e classi sociali – fra cui i vari settori delle classi medie – il cui rapporto con la modernità e il progressismo che l'MRP voleva incarnare era meno intenso di quanto il partito democristiano potesse auspicare.

2. La giustizia sociale fra democrazia e repubblicanesimo: la Libération de l'homme

Seule une Révolution économique et sociale accomplira les réformes profondes qui s’imposent. Il faut rompre avec le système capitaliste16.

L'orientamento del Mouvement Républicain Populaire in materia di giustizia sociale e democrazia economica appare con una certa chiarezza fin dai primi documenti approvati al Congresso di Parigi del 1944.

15 Sull'origine del personale politico dell'MRP si veda in particolare P. Letamendia, Le mouvement

républicain populaire, cit., pp. 27-46, e Emile-François Callot, Le Mouvement republicain populaire: origine, structure, doctrine, programme et action politique, Paris, Marcel Rivière,

1978, pp. 86-90.

16 MRP, Projet Pour Rebatir la France, I Congrès, Paris 1944. Arch. MRP, 350 AP/12, Congrès Nationaux.

Ad essere messo sotto accusa era non solo quel sistema capitalista all'interno del quale il valore della persona umana si trovava completamente assoggettato agli imperativi della massimizzazione del profitto, ma l'intera ideologia liberale, sostanzialmente individualista, che nell'esaltazione unilaterale delle libertà dell'individuo, avulso dal suo specifico contesto sociale, finiva per assumere un carattere per molti versi anarchico, e pertanto fondamentalmente distante dai principi base della stessa rivoluzione francese:

Nous avons donc le droit de rependre à notre compte les trois grands mots d'ordre de la Révolution française, en leur rendant le sens qu'ils avaient bien longtemps avant elle et dont il semble qu’elle-même, pour son malheur et le nôtre, ait en partie perdu le souvenir17.

Si rendeva pertanto necessario, agli occhi dei fondatori dell'MRP, un progetto complessivo di ricostruzione della Francia, a partire da quella ideologia repubblicana all'interno della quale si sostanziava il principio democratico. Se per democrazia si intendeva il governo del popolo da parte del popolo stesso, la prima barriera che agli occhi dell'MRP doveva essere infranta era proprio quella che impediva al popolo, inteso nella sua complessità, di partecipare in maniera effettiva alla gestione della cosa pubblica. In termini pratici un tale orientamento finiva per mettere in discussione il ruolo delle élite che fino a quel momento avevano garantito la direzione degli affari politici ed economici in Francia: la

Documenti correlati