• Non ci sono risultati.

Il Principato di Piemonte disponeva di un sistema doganale già nel XVI secolo. Esso prevedeva che la riscossione dei proventi fosse data in appalto a privati. Tuttavia la maggior parte dei traffici sfuggiva al controllo, poiché sulle Alpi prevaleva un contrabbando, dai tratti quasi imprenditoriali, sia di importazione (sale e tabacco dalla Liguria, lana, tessuti, manufatti dalla Lombardia e dalla Svizzera), sia di esportazione (seta, grano e vino). Per diverso tempo, le direttrici dei contrabbandieri furono principalmente tre: Francia, Svizzera e Lombardia (in particolare l’Alessandrino)63.

Riformato negli anni 1702, 1720, 1726, 1730 e 1757, l’impianto doganale settecentesco cessò con l’occupazione napoleonica del 1798. Fino a quel momento le mercanzie erano suddivise in quattro categorie e sottoposte a pedaggi differenti: generi e merci di prima necessità, di seconda necessità, merci di lusso e merci che “servono al vizio”64.

La Sardegna disponeva invece di un sistema di matrice spagnola ben diverso da quello piemontese. Le entrate doganali, nel Settecento, rappresentavano la maggiore fonte d’introiti per l’Isola, ma esse erano aleatorie “poiché dipendevano dall’andamento climatico e produttivo”65. Le esportazioni isolane risentivano della concorrenza straniera, a causa

dell’elevato prezzo del grano sardo, delle spese di produzione, degli affitti delle terre, dell’usura e dei dazi proibitivi. A fine secolo, il Censore Generale Cossu premeva per una liberalizzazione del commercio del grano, del formaggio e del bestiame, ma la Segreteria agli Interni, su istanza delle piccole realtà produttive locali, optava invece per barriere doganali elevate. La prima apertura si manifestò con le iniziative assunte dal ministro Graneri, il quale sostenne progetti che favorivano l’agricoltura e l’allevamento, l’abolizione delle dogane interne e la riforma fiscale66.

63 Nicali A., Storia delle dogane. Profili storici della politica doganale italiana, ed. curata da Favale G., in www.agenziadogane.it, p. 13.

64 Broglio d’Aiano R., La politica doganale del Piemonte dal 1815 al 1834, in «G.E.R.S.», serie III, a. XXIII, vol. 44 (1912), pp. 440-441.

65 Tore G., Governo e modernizzazione economica in età sabauda, in Aa.Vv., La Camera di Commercio di Cagliari (1862-1997). Storia, economia e società in Sardegna dal dominio sabaudo al periodo repubblicano, Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Cagliari, Cagliari 1997, vol. 1 (1720- 1900), p. 26.

66 Bernardino A., La finanza sabauda in Sardegna (1741-1847), Fratelli Bocca, Torino 1924, pp. 35-56; Puddu G., Il commercio marittimo del regno di Sardegna nel Settecento, Cuec, Cagliari 2010, pp. 97-158; Tore G., Governo e modernizzazione, cit., pp. 26, 41, 120-121, 131-132; Maurandi P., La cultura economica nella prima metà dell’Ottocento, in Sotgiu G., Accardo A., Carta L. (a cura di), Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia. Atti del Convegno di studi (Oristano, 16-17 marzo 1990), S’Alvure, Oristano 1991, vol. 1, p. 302; Boscolo A., Bulferetti L., Del Piano L., Sabattini G., Profilo storico-economico della Sardegna dal riformismo settecentesco ai piani di rinascita, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 51, 85, 104.

Gli elementi che per tutta la metà del Settecento accomunarono l’Isola agli Stati di Terraferma furono “le marcate manifestazioni d’inadeguatezza”67: l’esosità dei dazi, le

vessazioni, le distorsioni del contrabbando, la mancanza di funzionalità per l’intero comparto doganale, “istituto dalle strutture antiche, di poco mutato rispetto alle omologhe istituzioni del periodo aragonese e spagnolo”68.

Napoleone, il grand douanier69, con il decreto di Berlino del 21 novembre 1806, sancì il blocco continentale e fece della vigilanza doganale uno dei punti cardine della propria politica anti-britannica. A seguito dell’occupazione napoleonica, il ferreo e ben strutturato sistema doganale francese si estese al Piemonte (1802), alla Liguria (1805), ai ducati di Parma, Piacenza e Guastalla (1805), alla Toscana (1808), al Lazio e all’Umbria (1809). Nei due stati satellite, il Regno italico (governato dal viceré Eugenio e costituito da Lombardia, Veneto, Romagna, Marche e parte dell’Emilia) ed il Regno di Napoli (costituito da Campania, Abruzzi, Puglia e Calabrie affidato a Murat) vigeva un sistema autonomo non lontano da quello in vigore nel resto dei territori occupati. Quando, dopo la sconfitta dell’Imperatore, le realtà statali precedenti si ricomposero, esse avevano oramai assorbito l’impianto doganale alla francese. In particolare, il Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele I (1802-1821) fu uno di quelli che riuscì a recepirne gli aspetti modernizzanti70.

Il quadro delle relazioni commerciali post-napoleoniche risultò completamente mutato anche per la Sardegna: il protezionismo francese, il blocco continentale e la presenza navale inglese a tutela dei Savoia rifugiatesi a Cagliari, segnarono una cesura nella storia del commercio sardo. Le tradizionali direttrici dei traffici furono spezzate e in età napoleonica la Sardegna si ritrovò completamente isolata, senza contatto con il resto dei territori peninsulari. Essa si vide obbligata ad aprire nuove rotte d’interscambio, rivolgendosi ad altre aree geografiche: Sicilia, Spagna, Austria e Russia71.

67 Puddu G., op. cit., pp. 100-101. 68 Ibid.

69 Nicali A., op. cit., p. 10. 70 Ivi, p. 13.

71 Sul Blocco continentale e le ripercussioni sull’economia isolana si vedano Tore G., Governo e modernizzazione cit., pp. 142, 144, 164-166; Id., Tecnici, letterati ed economia agricola: il dibattito sulla «nuova agricoltura» nella Sardegna del primo ’800, in Sotgiu G., Accardo A., Carta L. (a cura di), op. cit., vol. 1, pp. 369-371; Id., Grano, annona e commercio tra i moti antifeudali e l’età napoleonica, in Carta L., Murgia G., Francia e Italia negli anni della Rivoluzione, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 331-332, 336-338; Lepori M., Serri G., Tore G., Aspetti della produzione cerealicola in Sardegna (1770-1849), in «A.S.M.O.C.A.», nn. 11- 13 (1980), pp. 193-195; Calia I., Francia e Sardegna nel Settecento. Economia, politica, cultura, Giuffré, Milano 1993, pp. 125-126, 131, 166, 171-173; Sotgiu G., Storia della Sardegna sabauda 1720-1847, Laterza, Roma-Bari 1984, pp. 239-260; Boscolo A., Bulferetti L., Del Piano L., Sabattini G., op. cit., pp. 65, 73-74, 81; Accardo A., Nicola G., Scegliere la patria. Classi dirigenti e Risorgimento in Sardegna, Donzelli, Roma 2010, pp. 33-53; Accardo A., Dal fallimento dei moti Angioyani alla Regione autonoma, in Accardo A., Masala F., Tore G., Di Felice M.L., Storia delle città italiane, Cagliari, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 5-26. Si vedano inoltre O’Rourke K.H, The worldwide economic impact of French Revolutionary and Napoleonic Wars, 1793-1815, in «J.G.H.», 1 (2006), pp. 123-149; Bulferetti L., Costantini C., Industria e commercio in Liguria nell’età del Risorgimento (1700-1861), Milano 1966, pp. 268-271, 277-278, 299-300, 306-307; La Macchia A., La competitività dell’industria francese e il mercato sardo nella prima metà dell’Ottocento, Franco Angeli, Milano 2013, pp. 9-10; Leonetti F., Banche, cit., p. 22.

A seguito dell’abdicazione di Napoleone a Fontainebleau (6 aprile 1814), gli austriaci occuparono il Piemonte giungendo dalla Lombardia e preannunciarono alla popolazione “il ritorno dei principi amati”72. La Restaurazione aveva inizio, ma a nulla valse il tentativo di ripristinare quanto Napoleone aveva cancellato. L’esperienza dell’impianto doganale francese ebbe un impatto talmente rilevante nella Penisola, che i regimi “restaurati” non poterono più ritornare alla situazione precedente:

va rilevato che il modello francese lasciò ovunque una tale impronta di serietà ed efficienza che anche con la Restaurazione degli Stati pre-napoleonici la struttura doganale venne lasciata pressoché immutata e continuarono ad esistere i principi dell’amministrazione doganale statale, dell’abolizione delle dogane fra parti dello stesso Stato, dell’esistenza di un corpo militare di supporto al servizio civile […] Nel 1802, il Piemonte venne inglobato nella Repubblica francese ed entrò a far parte del territorio doganale di quello Stato. L’amministrazione doganale francese diede prova di efficienza e capacità e la sua organizzazione improntò la riforma doganale che si ebbe nel Regno di Sardegna dopo la Restaurazione73.

Con l’occupazione napoleonica venne imposta una tariffa doganale che aveva come primo scopo quello di proteggere le merci d’oltr’Alpe e di favorire la produzione francese. Quando ai Savoia furono restituiti i territori in loro possesso prima dell’armistizio di Cherasco, ovvero la Savoia, la Sardegna, il Nizzardo e il Piemonte e una nuova acquisizione, la “scomoda” Repubblica di Genova (divenuta, con denominazione “più monarchica”, ducato di Genova), furono mantenuti per un certo periodo i dazi francesi. Tra le motivazioni giustificative vi erano senza dubbio la consapevolezza che l’economia piemontese fosse una realtà satellite, oramai fortemente dipendente da quella francese, nel cui territorio mancavano quelle industrie che esistevano invece in Francia e alle quali il Piemonte aveva fatto riferimento per tutta l’epoca napoleonica, per colmare le proprie lacune produttive. Il Regno di Sardegna non sarebbe stato capace di svincolarsi da una tale “dipendenza” negli anni immediatamente successivi al Congresso di Vienna. I rapporti con la Francia erano ancora indispensabili per tenere in vita il commercio locale74.

Nel 1814 il Regno integrò i territori liguri che avevano costituito la Repubblica di Genova e, con questi, acquisì il grande porto genovese e numerosi sbocchi diretti al mare. La Liguria entrò a far parte del regno sabaudo, mantenendo il porto franco, “un magnifico diamante che gli orafi piemontesi”75 ancora per molti decenni, non sarebbero stati in grado

di incastonare76. La cerniera doganale ligure-piemontese continuava a permanere e l’annessione non fu indolore, in quanto “l’inglobamento della Liguria nel Regno di

72 Nicali A., op. cit., p. 15. 73 Ivi, pp. 11, 15.

74 Broglio d’Aiano R., La politica doganale del Piemonte dal 1815 al 1834, cit., p. 441. 75 Nicali A., op. cit., p. 17.

76 Ibid.; Crepas N., Le premesse dell’industrializzazione, in Amatori F., Bigazzi D., Giannetti R., Segreto L. (a cura di), Storia d’Italia. Annali 15. L’industria, Giulio Einaudi Editore, Torino 1999, p. 149.

Sardegna comportò un urto fra le due diverse impostazioni socio-economiche che avevano, per secoli, improntato i governi di Piemonte e Liguria”77.

La tariffa francese venne modificata solamente rispetto ad alcuni settori: l’industria del tessile, del ferro, dello zucchero e del caffè e l’allevamento del bestiame. Se un regime doganale restrittivo poteva essere tollerato in una realtà come la Francia, dove esistevano le fabbriche e dove i commercianti e gli industriali trovavano all’interno dei confini nazionali un vivace bacino produttivo da cui trarre materie prime e in cui rivendere manufatti, non si poteva dire altrettanto per il territorio sabaudo. Le barriere avrebbero portato alla contrazione degli scambi e i dazi proibitivi avrebbero avuto un effetto inibitorio per l’ingresso di quelle merci di cui il Piemonte, tornato ai Savoia, era carente e che erano necessarie per tenere vitale l’attività commerciale. La tariffa provvisoria del 1814 (le disposizioni in materia doganale vennero emanate il 1 giugno 1814) fu sostituita nel 1815 dalla Tariffa dei diritti di Dogana di entrata, uscita e transito negli antichi Stati di Sua Maestà. Gli accennati conati di moderato proibizionismo generarono subito reazioni volte a garantire maggiori barriere doganali. Nel 1816, dietro istanza dei fabbricanti, vulnerabili di fronte alla temibile concorrenza della Francia, furono elevati i dazi sui panni e sui vetri. Inoltre, per promuovere l’industria locale, venne innalzato il dazio sul ferro lavorato78. Il 3

gennaio 1816 fu proibita l’uscita delle granaglie, ma il provvedimento divenne impopolare79.

Sulle politiche daziarie influirono anche quelle degli stati confinanti che applicavano tariffe proibitive, capaci di tenere fuori dai loro confini i prodotti piemontesi80.

Sebbene le tariffe doganali non potessero più prescindere dalle “grandi trasformazioni in atto nell’esperienza europea occidentale di produzione”81, tra il 1815 e il 1830, quando in gran parte dell’Europa si impose una politica protezionista, i trattati di commercio e di navigazione vennero scoraggiati82. Il passaggio da anni di tensione bellica al

nuovo equilibrio dettato dal Congresso di Vienna fu decisamente brusco. Le innumerevoli difficoltà si sommarono alle innovazioni francesi apportate ai sistemi preesistenti83. Dopo il 1815, la protezione delle merci che circolavano nel mercato interno fu una scelta generalizzata degli Stati italiani. Dopo la Restaurazione, i governi delle entità territoriali restaurate optarono per una politica vincolistica da antico regime84: per tutto il venticinquennio successivo le tariffe doganali vennero inasprite in nome della “legge del produttore”a scapito delle esigenze dei consumatori85. Solamente il Granducato di Toscana

77 Nicali A., op. cit., pp. 16, 17.

78 Broglio d’Aiano R., La politica doganale del Piemonte dal 1815 al 1834, cit., pp. 441-443. 79 Nicali A., op. cit., p. 17

80 Ivi, p. 18, Romani M., Storia economica d’Italia nel secolo XIX. 1815-1914, Giuffrè, Milano 1968, vol. 1, Introduzione e parte prima, pp. 154-156

81 Romani M., op. cit., p. 3.

82 Broglio d’Aiano R., La politica doganale degli Stati italiani dal 1815 al 1860, in «G.E.R.S.», serie III, a. XXII, vol. 43 (2° semestre 1911), p. 652.

83 Romani M., op. cit., p. 34.

84 Demarco D., L’economia degli stati italiani prima dell’Unità, in «R.S.R», a. XLIV, fascc. II-III (aprile- settembre 1957), p. 206.

85 Castronovo V. (a cura di), L’industria laniera in Piemonte nel secolo XIX, in «ILTE», serie II, Torino 1964, p. 494.

applicò la formula dell’illimitata libertà nel commercio del grano e una politica di gran lunga più permissiva86.

Il protezionismo sabaudo non poté che costituire, tra il 1815 e il 1831, un intralcio agli scambi, alla produzione agricola e allo sviluppo industriale87. L’accesso a mercati esterni

per prodotti quali vino, olio d’oliva, agrumi, lana, bozzoli e sete grezze si scontrava con numerosi ostacoli. I produttori chiesero la soppressione dei vincoli per collocare in aree più vaste i loro prodotti. I limiti erano dovuti in primo luogo alle esigenze del Tesoro e in secondo luogo alla protezione che era stata garantita ai produttori del settore agricolo, che premevano, al contrario, per il mantenimento di politiche vincolistiche. Tuttavia, se la tendenza a proteggere le realtà manifatturiere esistenti era diffusa, si segnalavano anche isolate sollecitazioni ad un allineamento al progresso tecnico europeo attraverso la circolazione di beni. È in questo contesto economico soffocante che s’inserirono in area sabauda le prime iniziative di imprenditori, operai, tecnici stranieri, svizzeri, francesi e tedeschi che colsero “con immediatezza le prospettive di convenienza […] contenute nel collocare nuove unità produttive all’interno di aree altamente protette e sprovviste di volontà e capacità imitativa”88.

Continuavano a sussistere divisioni doganali interne89 e le varie aree erano soggette a

differenti trattamenti fiscali. I provvedimenti illiberali sabaudi provocarono le lagnanze di chi aveva beneficiato delle politiche commerciali della Repubblica di Genova o di quelle dell’amministrazione francese. Il territorio del Regno di Sardegna, dal 1815 era formato da entità territoriali distinte e soggette a regimi doganali differenti: la Sardegna e la Contea di Nizza (porto franco)90 riunite dopo il 1848, il porto franco di Genova e quello di Oneglia che furono incorporati al sistema vigente in Piemonte dal 181891. Quando nel 1818 furono

abolite le barriere interne e Genova e Oneglia entrarono a pieno titolo nell’area doganale piemontese (Regia patente del 4 marzo 1818), il nuovo tariffario, fu sempre protettivo e tale si mantenne fino alla tariffa del 7 aprile 183592.

I dazi doganali emanati con Manifesto camerale del 14 marzo 1818 e del 19 febbraio 1830 evidenziano la netta separazione tra gli stati di Terraferma e l’isola di Sardegna93. A

complicare la situazione sarda era anche l’esistenza di un sistema doganale differente per ciascun porto, abolito nel 1820, quando il sistema fu unificato94.

86 Romani M., op. cit., p. 40. 87 Demarco D., op. cit., p. 206. 88 Romani M., op. cit., pp. 42, 51.

89 Correnti C., Maestri P. (a cura di), Annuario Statistico Italiano, a. I, 1857-1858, Tipografia Letteraria, Torino-Milano 1858, pp. 509, 512-513. I valori del commercio degli stati sardi sono espressi in franchi.

90 Nicali A., op. cit., p. 8.

91 Broglio d’Aiano R., La politica doganale del Piemonte dal 1815 al 1834, cit., pp. 440, 443. 92 Nicali A., op. cit., p. 19.

93 Romeo R., Gli scambi degli Stati sardi con l’estero nelle voci più importanti della bilancia commerciale (1819- 1859), Biblioteca di «Studi Piemontesi», Centro Studi Piemontesi, Torino 1975, pp. 8-9.

94 Serra S., La Reale Società Agraria ed Economica, in Aa.Vv., La Camera di Commercio di Cagliari (1862- 1997), vol. 1, cit., p. 197.

Nel 1818 il dazio d’ingresso sul grano, dopo le proteste degli agricoltori i quali temevano il nuovo grande concorrente, la Russia meridionale, venne aumentato. Ciò non impedì le importazioni cerealicole dal Mar Nero e dalla Sardegna, poiché la produzione locale non era in grado di soddisfare le esigenze annonarie e il Piemonte era costretto a rifornirsi di grano estero95. Nel 1818 furono aumentati i dazi sul vino e sui cereali a

protezione dell’agricoltura, i dazi sui tessuti (alti per quelli di cotone, lievi per quelli di lana e sete), mentre diminuirono i dazi sui rottami di ferro96. Le lamentele dei fabbricanti di stoffe

di lana e sete non tardarono. L’industria vinicola ne uscì favorita e l’industria tessile, che continuava ad importare cotone grezzo e filati fini, tra il 1818 e il 1819 aumentò l’esportazione di tessuti. L’importazione di stoffe di cotone (soprattutto inglesi) seguì un andamento ascendente97, mentre quella dei panni tra il 1818 e il 1819 diminuiva.

Nonostante i timidi progressi, la passività della bilancia commerciale restò costante. Il comparto che subì le maggiori modifiche fu dunque quello tessile, che interessò la seta (gallette e seta grezza), la cui estrazione era proibita sin da metà Settecento. Nel 1818 il progetto di eliminare il divieto d’esportazione venne subito accantonato, a esclusione di sete torte e organzini che venivano invece commercializzati senza problemi fuori dal regno. Nel 1827 i dazi d’uscita furono ulteriormente ridotti. I fabbricanti di tessuti di lana indussero il Consiglio del Commercio ad aumentare i dazi d’importazione: in misura forte per i tessuti grossolani, tenui per quelli relativamente fini98. A partire dal 1818 le politiche doganali tesero a proteggere parte della produzione dei filati, e tale protezione venne accresciuta ulteriormente a partire dal 1824. Fu aumentato anche il pedaggio per le importazioni di tessuti di cotone99. L’agricoltura piemontese produceva grandi quantità di canapa e per questo il Governo abbassò i dazi d’uscita, al fine di facilitarne l’estrazione. Salì invece il dazio d’importazione per la canapa grezza e la canapa pettinata100. Esistevano

inoltre i dazi di transito, soprattutto delle sete che dalla Lombardia entravano a Lione e Calais101.

Nel 1830 venne emanata l’ennesima tariffa doganale (19 febbraio 1830) che andò a sostituire quella del 1818. Nonostante l’interessamento di Carlo Felice ai problemi della Sardegna, la nuova disciplina non valse a migliorare lo stato dell’Isola in quegli anni102.

Le principali politiche proposte dalla Segreteria degli Interni, con il supporto della Camera d’Agricoltura e Commercio e dal Consiglio del Commercio riguardavano: la riduzione dei dazi d’entrata delle stoffe di cotone, del dazio d’importazione sull’acciaio, dei dazi d’esportazione degli organzini, la maggiore specializzazione sui dazi delle stoffe di seta, il raddoppio del diritto sulle stoffe e nastri garzati. I fabbricanti di panni, non sentendosi

95 Broglio d’Aiano R., La politica doganale del Piemonte dal 1815 al 1834, cit., pp. 447-448.

96 Ivi, pp. 443-444; sul regime doganale e le industrie laniere e cotoniere si vedano Castronovo V. (a cura di), L’industria cotoniera in Piemonte nel secolo XIX, in «ILTE», serie II, Torino 1965, in particolare le pp. 305-343; Id., L’industria laniera, cit., pp. 493-551.

97 Broglio d’Aiano R., La politica doganale del Piemonte dal 1815 al 1834, cit., p. 446. 98 Ivi, cit., p. 451.

99 Ivi, pp. 452-453; Castronovo V. (a cura di), L’industria cotoniera, cit., p. 306. 100 Broglio d’Aiano R., La politica doganale del Piemonte dal 1815 al 1834, cit., p. 453. 101 Ivi, p 454.

protetti a sufficienza, chiesero la proibizione delle importazione di stoffe di lana o un dazio raddoppiato. Il loro timore era dettato dalla consapevolezza che nei paesi esteri c’erano migliori maestranze e bassi costi della manodopera, dovuti al minor valore delle materie prime, agli investimenti governativi e agli aiuti sulle industrie, nonché ai possedimenti coloniali.

Gli aumenti sul traffico dei coloniali erano evidenti: l’import dello zucchero crebbe tra il 1825 e il 1830, rimase stazionario fino al 1835 per poi scendere. Il reddito doganale, fondamentale entrata dello Stato, quando registrava un andamento decrescente preoccupava il Governo. La politica daziaria, tra il 1818 e il 1830, rispose dunque sia ad istanze protezioniste che ai bisogni squisitamente finanziari del Tesoro.

Documenti correlati