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Fu Cavour il vero portavoce e promotore di una politica riformista nel Regno di Sardegna. Le sue parole d’ordine erano: libero scambio, ferrovie, spesa pubblica, stimoli creditizi, apertura al capitale estero, laicizzazione, rinnovamento e alleanze internazionali158. In

particolare “la pubblica spesa era da lui intesa come strumento essenziale per il beneficio risveglio di tutte le attività economiche dello stato”159 e proprio dall’intervento statale

sarebbe dovuto partire il cambiamento160.

Cresciuto in un ambiente conservatore, ma non reazionario, Cavour era legato all’imprenditoria agraria vicina agli ambienti borghesi161. Avviato prima alla carriera militare,

preferì ritagliarsi uno spazio nelle imprese agricole, commerciali e bancarie, parte del patrimonio familiare a lui affidato nel 1835. In particolare si trasformò in imprenditore agricolo all’avanguardia, commerciò con successo riso e grano e fabbricò persino candele. Intraprese numerosi viaggi in Francia, Inghilterra, Svizzera e Belgio162 e divenne uno dei

fondatori della Banca di Torino. Queste pluriattività fecero di lui un personaggio versatile, capace di muoversi con disinvoltura negli ambienti agricoli, commerciali e bancari del Piemonte e attentissimo osservatore delle dinamiche e delle problematiche economiche interne e internazionali. Sostenitore del moderatismo orleanista del juste milieu, simpatizzante dei moti del Trenta e della Rivoluzione di Luglio, si mantenne a distanza dalla politica fino al 1847. Credeva fortemente nel sistema monarchico-costituzionale e nel principio della proprietà. Contrario al feudalesimo e ad un modello di aristocrazia gretta, avversava la rivoluzione, la democrazia, il socialismo e il comunismo163.

Prima del 1848, le riforme istituzionali in senso liberale inaugurate da Carlo Alberto avevano favorito l’economia e il Conte elogiava i benefici del libero scambio sulle relazioni diplomatiche e sulla cooperazione internazionale. Ancor prima di diventare Ministro, Cavour premeva per riforme che stimolassero le esportazioni, soprattutto di prodotti agricoli quali vini, sete grezze, riso, bestiame e olio. Lo sviluppo delle infrastrutture era indispensabile, per accelerare gli scambi tra le diverse zone, non solo della Penisola, ma anche oltreconfine164.

158 Ivi, pp. 143, 145.

159 Luraghi R., op. cit., p. 182. Si veda anche Sirugo F. (a cura di), Scritti di economia: 1835-1850/Camillo Cavour, Feltrinelli, Milano 1962, p. XXXVIII.

160 Luraghi R., op. cit., p. 182.

161 Izzo L., Storia delle relazioni commerciali, cit., p. 20, Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano 1995, vol. IV, Dalla rivoluzione nazionale all’unità (1849-1860), III ed., pp. 121-124.

162 Izzo L., Storia delle relazioni, cit., p. 20, Candeloro G., op. cit., pp. 121-124. 163 Candeloro G., op. cit., pp. 121-125

Cavour fu autore di numerosi saggi in riviste svizzere, parigine e piemontesi. Negli scritti apparsi nella Bibliothèque Universelle de Genève, tra il 1844 e il 1845, manifestò tutto il suo sostegno al liberismo, fonte di innumerevoli vantaggi165. Studioso di problemi economici, le sue riflessioni erano impregnate di spirito realistico, poiché auspicava per l’Italia un progresso simile a quello europeo, attraverso l’attuazione di precise strategie all’interno di una cornice finanziaria, scientifica ed infrastrutturale ben definita:

Partecipò insomma attivamente, prima come studioso, poi come ministro, a quel grande movimento liberale e insieme liberista che fu espressione dello sviluppo impetuoso della borghesia e del sistema capitalista intorno alla metà del secolo XIX. Due condizioni erano necessarie, secondo lui, perché questo sviluppo si realizzasse: l’accumulazione dei capitali e il progresso tecnico dell’industria, dell’agricoltura e dei trasporti166.

Compito dello Stato era quello di sostenere i comparti produttivi e lo sviluppo delle comunicazioni, che avrebbero di riflesso favorito lo sviluppo del commercio167. Il

miglioramento economico avrebbe seguito inevitabilmente il nuovo sistema globale liberista e liberale168.

Il punto di riferimento era la politica inglese promossa dall’industriale Richard Cobden e sostenuta dal capo conservatore Robert Peel, il quale, nel maggio 1846 revocò definitivamente tutte le restrizioni sulle importazioni di derrate alimentari sul suolo inglese, inaugurando in Inghilterra il libero commercio dei grani. Se, in un certo qual modo, era stato piuttosto agevole accogliere prospettive liberiste per Leopoldo di Toscana, più complesso era adattarle al Piemonte o alla Sicilia. Ma secondo Cavour, ancor prima che salisse al governo, le certezze su cui impostare le riforme erano offerte dagli ottimi risultati delle politiche libero-scambiste inglesi e dalle prospettive di collocare agevolmente all’estero le proprie naturali della Penisola. Se “in parecchi Stati l’indirizzo della politica commerciale aveva conosciuto una evoluzione nel senso di un continuo distacco non solo dalle forme proibitive, ma anche da quelle dell’elevata protezione”, mantenersi nella soglia della tradizione, per molti regnanti, metteva al riparo da confronti con i progressi della scienza, necessari invece per attivare l’economia169. Il libero scambio in Inghilterra offriva un terreno commerciale aperto anche agli Stati italiani: le esportazioni sarebbero potute aumentate e ne avrebbe beneficiato i settori della seta, olio, riso, canapa, frutta e vino. Fondamentale era l’abolizione dei diritti differenziali che favorivano le imbarcazioni degli Stati preunitari. Per tali ragioni il Regno sardo doveva puntare sull’abolizione di tale sistema. Cavour non s’interessò alla Lega doganale170, era infatti convinto che “fosse

necessario anzitutto accentuare la complementarietà già esistente tra l’economia industriale

165 Ivi, pp. 21-22.

166 Candeloro G., op. cit., p. 127. Si veda anche Sirugo F. (a cura di), Scritti di economia, cit., p. XXV. 167 Candeloro G., op. cit., p. 127.

168 Romani M., op. cit., pp. 143, 145; Luraghi R., op. cit., p. 177. 169 Romani M., op. cit., p. 85.

170 Candeloro G., op. cit., p. 128. Si veda anche Sirugo F. (a cura di), Scritti di economia, cit., pp. XXXI- XXXIV

dell’Inghilterra e degli altri stati dell’Occidente”. Non era interessato al fatto che ad essere complementari fossero gli Stati preunitari171.

Egli non nutriva dubbio col fatto che la politica liberista avesse promosso lo sviluppo dell’economia inglese, il cui successo era il punto di riferimento dei fautori del libero scambio. L’Europa continentale, grazie al suo progresso, assorbiva capitali e prodotti dell’industria e a ridosso del 1848 fu l’Inghilterra a formarvi una zona di libero scambio, alla quale contribuì, in parte anche la Francia, quando, sotto Napoleone III, si scelse la strada del liberismo, seppur con fortissime opposizioni interne che obbligarono sempre al mantenimento di un certo livello della protezione. Così “si creò una certa concordanza d’interessi tra la borghesia industriale inglese e alcuni gruppi borghesi del continente, soprattutto finanziari e commerciali, che ebbe un peso notevole nelle trasformazioni economiche e politiche di vari paesi d’Europa”172.

Lo sviluppo industriale, dopo il 1850, divenne imponente anche in Francia, Belgio e Germania, dove il movimento finanziario e commerciale fu fondamentale per un ulteriore sviluppo. Fra il 1850 e il 1860 vi fu il boom delle costruzioni ferroviarie, con il notevole contributo dei capitali francesi ad opera delle banche parigine Rothschild, Laffitte, Talabot. Lo stesso imperatore Napoleone III fu fortemente influenzato dai gruppi bancari. Il Secondo Impero, reazione al socialismo, alla democrazia e alle soluzioni liberal moderate “fu anche l’espressione dei gruppi più dinamici del capitalismo francese […] I banchieri, gli affaristi, gli avventurieri politici, che si strinsero intorno a Napoleone III, cercarono da un lato di rafforzare il loro potere con una politica tendente a favorire la borghesia finanziaria ed industriale”173.

In questo clima Cavour puntava ad attuare una generale riforma liberista della tariffa doganale, prevedendo riduzioni in via unilaterale174. L’agricoltura, dal Settecento in

poi, aveva subito mutamenti importanti, quali l’aumento delle produzione di materie prime e semilavorate. Era aumentata l’importazione dei prodotti, richiesti dai ceti in ascesa. Borghesia mercantile e agraria e nobiltà detenevano i successi dell’accumulazione capitalista. L’inefficacia del sistema protezionistico era aggravato dalla ristrettezza territoriale dei piccoli stati e quindi da quella del mercato di riferimento. Cavour considerava il protezionismo quasi una sorta di oppiaceo per i produttori, i fabbricanti e i piccoli industriali che non trovavano nessun interesse a migliorare il proprio servizio in un sistema chiuso nel quale nessuna concorrenza era contemplata. In quegli anni andava oramai irreversibilmente diffondendosi “l’opinione che le manifatture difese dall’estera concorrenza con troppi dazi non si curavano della ricerca e dell’adattamento dei mezzi di lavorazione occorrenti per produrre a buon mercato e perfezionare i loro prodotti”175.

171 Candeloro G., op. cit., p. 128.

172 Sul Quay d’Orsay e il commercio internazionale si veda Bruley Y., Le Quai d’Orsay Impérial. Histoire du Ministère des affaires étrangères sous Napoléon III, Editions A. Pedone, Paris 2012, pp. 353-370. Si veda inoltre Candeloro G., op. cit., p. 11.

173 Candeloro G., op. cit., pp. 12-14, 25-26; Fohlen C. (a cura di), op. cit., pp. 5, 9. 174 Romeo R., Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 465.

175 Mastellone S., op. cit., p. 151; si vedano anche Candeloro G., op. cit., pp. 129-131; Castronovo V. (a cura di), L’industria cotoniera, cit., pp. 321-323.

L’industria laniera e quella cotoniera, per esempio, erano in grado di rispondere con estrema difficoltà alle richieste del mercato interno e le esportazioni languivano. La politica liberistica aveva come sostenitori capitalisti che investivano nel settore agrario e in quello mercantile176, consapevoli che i macchinari erano carenti nell’agricoltura e nella navigazione,

dove dominava la vela, così come nell’industria del tessile e della carta, settori in cui le macchine a vapore non erano affatto diffuse, a differenza di quanto avveniva all’estero, come per la marina francese177.

La scarsa disponibilità di carbon fossile implicava per i territori italiani spese notevoli per garantire l’uso del vapore, la nuova fonte di energia. I caratteri quantitativi e qualitativi della domanda interna, prima delle politiche cavouriane non stimolavano certo interventi migliorativi178 e il decennio era stato inaugurano dai rivolgimenti del 1848, che

avevano interessato tutta l’Europa, paralizzando per un certo periodo gli scambi.

Le suddette precondizioni furono quelle in cui Cavour si trovò ad operare, una volta sceso in politica. Eletto il 30 giugno giugno 1848, perse le elezioni nel gennaio 1849. Fece parte della III legislatura, sostenendo D’Azeglio e, infine, nella IV divenne ministro179.

La politica alla quale mirò nei diciannove mesi del Governo d’Azeglio fu l’introduzione del libero scambio180. Da Ministro della Marina, dell’Agricoltura e del Commercio (dall’11

ottobre 1850 all’11 maggio 1852) nel Gabinetto d’Azeglio, il Conte si mise quindi alla testa di un movimento liberoscambista che avrebbe fatto del Regno di Sardegna un’area di esemplare liberismo d’avanguardia, seppur le sue scelte non mancarono mai di pesanti opposizioni181. Nel febbraio del 1852 il Ministero della Marina, dell’Agricoltura, Commercio

e Marina fu soppresso. L’Agricoltura andò agli Interni e la Marina alle Finanze 182. Cavour divenne ministro delle Finanze il 19 aprile 1851, succedendo a Nigra, uomo di grande esperienza finanziaria, e mantenne il portafogli della Marina e del Commercio183.

Le riforme cavouriane furono notevoli e pervasive. Il nuovo sistema fiscale, inaugurato dal predecessore con la proposta di aumento sull’imposta fondiaria, la tassazione dei beni ecclesiastici, l’imposta sui fabbricati, le imposte su industria e commercio, su arti, professioni e redditi da capitale, subì ulteriori modifiche, per cui commercio e industria furono chiamati a contribuire ai bisogni dello Stato con imposte dirette184. L’imposta sul reddito fu quella su cui si soffermò Cavour durante il suo

176 Candeloro G., op. cit., pp. 129-131; Mastellone S., op. cit., p. 151.

177 Romani M., op. cit., pp. 104-105; Fohlen C. (a cura di), op. cit., p. 6; Torelli L., Dell’avvenire del commercio europeo ed in modo speciale di quello degli stati italiani, Firenze 1859, vol. 2, p. 249.

178 Romani M., op. cit., pp. 104-105. 179 Candeloro G., op. cit., p. 131. 180 Ivi, p. 132.

181 Romeo R., Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., pp. 682-686; Demarco D., op. cit., pp. 236-237; Fohlen C. (a cura di), op. cit., p.7.

182 Romeo R., Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 653; Candeloro G., op. cit., pp. 131-132; Izzo L., Storia delle relazioni, cit., p. 20; Norsa P., Da Pozzo M., Imposte e tasse in Piemonte durante il periodo cavouriano, Comitato torinese dell’Istituto per la storia del risorgimento per il centenario del 1861, Torino 1961, p. 27.

183 Romeo R., Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 479.

mandato185. Nuove riforme doganali e bancarie, costanti punti all’ordine del giorno della

sua agenda, costituirono i capisaldi della sua politica riformatrice186.

Le nuove impostazioni economiche rispondevano ad un quadro sociale in decisivo mutamento. Nuovi gruppi dominanti s’imponevano con lo sviluppo del sistema capitalistico187. Il Conte si attivò coinvolgendo costantemente affaristi e Camere di

commercio:

Tutta la visione e la politica cavouriana era volta allo sviluppo dell’impresa e della borghesia produttiva, in alternativa alle posizioni parassitarie e di rendita: anche se erano un’impresa e una borghesia di cui egli vedeva i punti di forza e le linee di sviluppo nell’agricoltura moderna e nel commercio piuttosto che nell’industria”188. I nobili erano in declino e la borghesia in ascesa189.

La riforma doveva passare attraverso i trattati commerciali “a struttura nettamente liberista”190 e la via del cambiamento sarebbe stata agevolmente intrapresa. Cavour era consapevole del fatto che le industrie della seta, lana, canapa e lino, particolarmente sviluppate, non avrebbero risentito dell’apertura dei mercati. Più fragili risultavano invece l’industria del cotone e la siderurgia, incapaci di reggere qualunque confronto oltreconfine. Il Ministro non ebbe perplessità alcuna nell’eliminare quasi del tutto i dazi d’esportazione anche sulla carta, gli stracci, gli zuccheri. Sui cereali fu mantenuta ancora per qualche anno una moderata protezione191.

L’industria del cotone e della lana, fortemente protette, furono in un primo momento colpite dalle riforme che favorirono i tessuti francesi e inglesi, perché incapaci di rivolgersi a circuiti commerciali che non fossero i limitati mercati locali. I vantaggi di cui poterono beneficiare le due industrie furono l’abolizione dei dazi sulle macchine e sulle materie prime (cotone e lana) che venivano importate. Dopo il 1852, aumentò la produzione di filati e tessuti, al punto di soddisfare sempre più le esportazioni verso gli altri Stati italiani e verso l’estero. Nonostante i progressi, gli industriali del settore restavano di orientamento protezionista. Si trattava ancora di aziende a conduzione familiare autofinanziate, molto conservatrici, scarsamente interessate dal sistema di credito attivato da Cavour. I fabbricanti erano mercanti-imprenditori. Vi lavoravano donne e bambini ed erano scarsi gli investimenti nella tecnica192.

Se al pari di Francia, Germania e Belgio, negli Stati italiani e nel Regno di Sardegna, tra il 1850 e il 1860, l’economia venne trasformata grazie ad eventi politici cruciali, al nuovo indirizzo della politica economica e alla nuova classe di affaristi rampanti, una certa prudenza era d’obbligo. Fu proprio in nome di questa prudenza che Cavour non ridusse

185 Romeo R., Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., pp. 488, 496. 186 Ivi, p. 657.

187 Candeloro G., op. cit., p. 9.

188 Romeo R., Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 704. 189 Candeloro G., op. cit., p. 8.

190 Romeo R., Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 466.

191 Ivi, p. 467; Castronovo V. (a cura di), L’industria cotoniera, cit., p. 326. 192 Candeloro G., op. cit., pp. 197-198.

drasticamente i dazi, ma cercò di percorrere la via delle concessioni tariffarie attraverso i trattati193, per “la realizzazione sistematica ed integrale del sistema di libertà”194.

L’introduzione del libero scambio non poteva che passare attraverso la loro firma195. Il banco di prova delle iniziative liberiste divennero proprio gli accordi commerciali e di navigazione, che, nel contempo, costituirono lo strumento con il quale fu realizzata una politica anti-protezionista, poiché le tariffe daziarie erano state stemperate e rese via via meno gravose da numerosi accordi con grandi potenze quali Francia e Inghilterra. Tra il 1848 e il febbraio del 1858, furono così stipulati gli accordi commerciali e di navigazione con gli Stati che trainavano l’economia europea196.

Cavour difese tenacemente i principi del libero scambio e la riforma doganale, da realizzare per prima cosa mediante la stipula di trattati volti ad abolire le protezioni, fino alla riforma daziaria del 1851:

Veniva portata a termine quell’opera di revisione decisamente liberale che il Conte di Cavour aveva iniziato sin dal 1846 nei confronti della tariffa del 14 maggio 1818, che rappresentava l’espressione dei criteri proibitivi, difettosa sia nella forma che nella sostanza, modificata, ma sempre con intenti protezionistici – anno per anno fino al 1830, rimasta in vigore fino al 1835 e poi ritoccata, ma molto leggermente, nel 1838 e nel 1840. La tariffa sarda del 1851 presenta, fra le altre caratteristiche, la esenzione daziaria su molte materie prime197.

La Francia fu la prima nazione a stipulare accordi in materia commerciale e navale. Dal 28 agosto 1843, come già visto, esisteva una convenzione che divenne esecutiva, per quattro anni.

Il trattato, che segnava un nuovo avvicinamento, venne firmato il 5 novembre 1850 e ratificato il 6 febbraio 1851198. Era suddiviso in 3 parti: rapporti in materia di navigazione,

dazi doganali e nuovo regime della proprietà letteraria. Le trattative furono complesse e i piemontesi dovettero accettare restrizioni alla reciprocità nei diritti di navigazione, che registrarono un lieve regresso. La Francia accordava parità di bandiera per il commercio diretto, ma non per il commercio indiretto. Questo punto non interessava il regno di

193 Izzo L., Storia delle relazioni, cit., p. 31, Candeloro G., op. cit., p. 133; Norsa P., Da Pozzo M., op. cit., pp. 28-29

194 Romani M., op. cit., p. 133. 195 Candeloro G., op. cit., p. 132.

196 Demarco D., op. cit., p. 220; Raccolta dei Trattati e delle Convenzioni commerciali in vigore tra l’Italia e gli Stati stranieri compilata per cura del Ministero per gli Affari Esteri di S. M. il Re d’Italia, Tipografia G. Favale, Torino 1862, p. 163 e ss (trattato del 1843 sulla proprietà letteraria e artistica), 254 e ss. (trattato del 5 novembre 1850), 316 e ss (convenzione del 20 maggio 1851), p. 419 e ss. (convenzione del 14 febbraio 1852); Torelli L., op. cit., vol. 2, pp. 251 e ss; Luraghi R., op. cit., pp. 216-219.

197 Calderoni U., op. cit., p. 4.

198 Raccolta dei Trattati e delle Convenzioni commerciali, cit., p. 254 e ss.; Fohlen C. (a cura di), op. cit., p. 3; Ministero delle Finanze, I trattati di Commercio, Dogana e Navigazione fra l’Italia e gli altri Stati in vigore al 1° Settembre 1911, Volume Primo, A-H, Stabilimento Tipografico G. Civelli, Roma 1911, p. 365; Camera di Commercio di Genova (a cura di), op. cit., p. III.

Sardegna le cui navi approdavano per lo più a Marsiglia, dove non vi erano diritti differenziali di navigazione, ma solo un lieve diritto di tonnellaggio. Le navi francesi avevano nei porti del Regno di Sardegna i medesimi trattamenti delle navi italiane; eventuali diritti doganali avrebbero tenuto lontane da Genova le imbarcazioni francesi199.

Dal punto di vista dei diritti doganali furono rispettati i reciproci interessi. Il regno sardo concesse la riduzione dei dazi sui tessuti di seta, che destò molte proteste tra i produttori di tessuti. Furono ridotti i dazi sui cuoi e sulle porcellane. Il Regno di Sardegna strappò alla Francia la diminuzione del dazio sui vini, importati in quantità dalla Francia, sia sui vini fini che su quelli ordinari. Si ebbero forti riduzione anche sui lavori di sartoria, sulle carte di lusso, e furono ridotti altresì i dazi d’importazione sul bestiame esportato in Francia. Furono ridotti anche i dazi su: riso, frutta, pelli lavorate, corallo, veli di seta. Furono decise, subito dopo la firma del trattato, riduzioni di nuovi dazi, in concomitanza alla stipula dei contratti con Belgio ed Inghilterra, ai quali, protestava la Francia, erano stati concessi altri vantaggi. Gli oli sardi erano esenti da dazi in Inghilterra, mentre il dazio in Belgio era tenue e, in aggiunta, i dazi sui vini erano molto favorevoli alla Sardegna. Il Regno di Sardegna firmò con la Francia una convenzione addizionale attraverso la quale estese ad essa le agevolazioni concesse all’Inghilterra e al Belgio con i trattati del 27 febbraio 1851 e il 24 febbraio. La convenzione addizionale con la Francia venne firmata il 20 maggio 1851200.

Il Piemonte dovette accettare una convenzione sulla proprietà letteraria, che limitò la libera circolazione dei prodotti intellettuali201. Quando nel 1850 venne concluso il trattato

con la Francia, la politica francese era ancora sostanzialmente protezionista202.

Nella discussione alla camera nel gennaio 1851, Cavour portò all’attenzione dei parlamentari tutti i punti deboli del trattato. Fino al 1843 le relazioni tra i due paesi erano rette sul comune diritto daziario e le merci importate ed esportate erano colpite da gravi diritti, tutte soggette a dazi elevati. Dal 1845 si cercò d’inserire principi più liberali, operando una riforma moderata. Per quanto riguarda i diritti di navigazione le due bandiere furono equiparate, ma il trattato del 1843 non fu all’altezza delle aspettative dei negoziatori piemontesi. Freno alla libera circolazione del sapere fu il trattato sulla proprietà letteraria, ampliato nel 1846. Il trattato del 1843 si concluse nel maggio del 1850 fino all’apertura dei citati negoziati. La Francia dichiarò subito di considerare il trattato del 1843 sfavorevole agli interessi francesi. I piemontesi offrirono un abbassamento del dazio su 58 articoli francesi e sugli articoli d’importazione piemontese dalla Francia, come i tessuti di lana e di seta. Il

199 Izzo L., Storia delle relazioni, cit., pp. 32-33.

200 Romeo R., Cavour e il suo tempo, vol. II, cit., p. 470; Atti del Parlamento Subalpino. Sessione del 1851 (IV legislatura) dal 23 novembre 1850 al 27 febbraio 1852 raccolti e corredati di note e di documenti inediti da Galletti Giuseppe e Trompeo Paolo, Documenti, vol. V, III delle discussioni della Camera dei Deputati

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