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Già negli anni Trenta andavano diffondendosi nella Penisola teorie liberiste e i gruppi sociali in ascesa caldeggiavano la necessità di farle fiorire e metterle in pratica. Fu a partire dal 1835 che il Piemonte incominciò ad aprirsi ad una vera politica liberista103 e ad

“introdurre nella struttura stessa dello stato quella concezione liberale che già pervadeva il settore economico”104. A influenzare le politiche subalpine furono “le tendenze sempre più estese in Europa per l’abolizione dei dazi e il libero scambio delle merci […] Ma parte decisiva nel convincere i dirigenti piemontesi della necessità di qualche liberalizzazione doganale giocheranno le preoccupazioni per il prosperare del contrabbando e il peso crescente sopportato, per via dell’indiscriminata difesa della produzione interna, da altre categorie economiche (come i commercianti) e dalla più vasta massa dei consumatori”105.

Carlo Alberto a metà degli anni Trenta e nei primi anni Quaranta diede un importante impulso alle politiche riformiste che investirono infrastrutture, politiche daziarie, istruzione, sistema di pesi e misure e rilanciarono l’economia piemontese106.

Promulgò i codici civile, penale e commerciale (1842), ponendo fine al protezionismo sabaudo.

Il re inaugurò una politica doganale d’ispirazione liberista, avviando, secondo alcuni studiosi “una metamorfosi economico sociale del Piemonte”107. Tra il 1838 e il 1840 le

tariffe doganali subirono i primi “ritocchi liberali”108 che avrebbero permesso alla società piemontese di percorrere finalmente “la via del progresso”109.

103 Broglio d’Aiano R., La politica doganale del Piemonte dal 1815 al 1834, cit., p. 471.

104 Mastellone S., Il trattato di commercio franco-piemontese (1840-1846), in «R.S.R.», a. XXXIX, fascc. II- III (1952), p. 171.

105 Castronovo V. (a cura di), L’industria cotoniera, cit., p. 307.

106 Bernardino A., op. cit., p. 49. Leonetti F., Banche, Ferrovie, Telai. L’economia piemontese alle soglie dell’Unità, 1837-1858, Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, Torino 2012, p. 24.

107 Si veda Prato G. in Demarco D., op. cit., p. 192.

108 Izzo L., Storia delle relazioni commerciali tra l’Italia e la Francia dal 1860 al 1875, Edizioni scientifiche Italiane, Napoli, 1965, p. 4, Nicali A., op. cit., p. 19.

Con il manifesto camerale del 17 marzo 1834, il sovrano ridusse la protezione granaria e abolì il divieto di esportazione. Le prime politiche di apertura di Carlo Alberto, supportato dal giureconsulto Giovannetti, costituirono i segni di una riflessione più responsabile sulla questione del libero scambio e dei suoi effetti positivi sull’economia degli Stati110. Nel 1833 Giovannetti sostenne apertamente “che i vincoli sono contrari alla legge

eterna della società, scontentano il commercio, affievoliscono il sentimento dell’obbedienza, demoralizzano i paesi interi massime i limitrofi”111.

Con Carlo Alberto il Piemonte avviò in materia doganale una fase assolutamente nuova. Il decennio 1840-1850 presenta un’insolita coerenza nelle scelte d’indirizzo. “Il mirabile genio di Cavour”112 portò a termine, con una “vigorosa accentuazione”113, un’azione politica ed economica già di fatto predisposta: “il secondo decennio carlo- albertino” fu “periodo di preparazione al boom degli anni di Cavour”114. Tuttavia il

Piemonte necessitava di ben altro, per mettersi al passo dei paesi industrializzati, per quanto fossero stati organici gli interventi carlo-albertini115. Ciò fu possibile grazie allo svilupparsi

di una mentalità liberista, alla capacità di sfruttare una posizione geografica tra Francia e Austria, alla presenza del porto più importante della Penisola, alle iniziative di una borghesia commerciale “che, memore dell’esperienza napoleonica, voleva inserire il Piemonte, in un ampio e libero sistema economico” 116, e grazie, infine, alla classe politica

che seppe trarre vantaggio dalle nuove circostanze economiche e politiche117.

Il 12 dicembre 1840, il governo piemontese introdusse numerose modifiche in materia doganale118. La liberalizzazione del 1842 diede poi il “primo scossone”119. La tariffa

sarda del 1846, confrontata con quella del 1830 segnava evidenti ribassi su zuccheri, cotone, stoffe, metalli in verghe, barre, lastre. Dal 1832 al 1846, furono conclusi non meno di 26 trattati commerciali, tra cui quello firmato con la Francia nel 1843120.

In Francia tale accordo era stato lungamente avversato dal gruppo dei protezionisti, guidati dal Thiers, che avevano difeso l’impianto protezionista. Il trattato fu firmato in un momento in cui il ministro Guizot temeva i successi dello Zollverein tedesco e per questo

110 Romani M., op. cit., pp. 87-88; Mastellone S., op. cit., p. 150. 111 Mastellone S., op. cit., p. 151.

112 Bernardino A., op. cit., p. 49.

113 Luraghi R., Agricoltura, industria e commercio in Piemonte dal 1848 al 1861, Torino 1967, pp. 178, 213. 114 Doria G., Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, vol 1, Le premesse (1815-1882), Milano 1969, pp. 25, 34. Fece eccezione il comparto manifatturiero.

115 Luraghi R., op. cit., pp. 178, 213. 116 Mastellone S., op. cit., p. 171. 117 Ibid.

118 Ivi, p. 151; Castronovo V. (a cura di), L’industria cotoniera, cit., pp. 307, 309, 323; Crepas N., op. cit., p. 149; Bulferetti L., Costantini C., op. cit., p. 413.

119 Doria G., Investimenti, cit., p. 22

120 La Macchia A., La competitività dell’industria francese e il mercato sardo nella prima metà dell’Ottocento, Franco Angeli, Milano 2013; Demarco D., op. cit., p. 219; Traités publics de la Royale Maison de Savoie avec les puissances étrangères depuis la paix de Château Cambresis jusqu’à nos jours publié par ordre du Roi, vol. VI, Turin, L’imprimerie Royale, MDCCCXLIV, sulle relazioni commerciali con la Francia si vedano le pp. 48-50; 293-309; Trattati e convenzioni di commercio e di navigazione fra stati esteri raccolti da Vincenzo Gallo, Tipografia Weis, Trieste 1844, nello specifico sulla Francia pp. 125-135.

volle sottrarre il Regno di Sardegna all’influenza dei tedeschi. I negoziati franco-piemontesi si ravvivarono particolarmente quando Guizot, nel 1842, cercò di stabilire con il Belgio una nuova convenzione (mai realizzata), per dare vita ad un’unione doganale che controbilanciasse nelle frontiere meridionali quella tedesca a Nord. Fu in questo momento che lo statista “pensò d’intrecciare rapporti più stretti con la Sardegna. […] in tal modo le industrie del Midi non avrebbero sofferto per lo spostamento del centro di gravità del commercio nazionale”121, considerato che alcuni uomini politici tedeschi avevano

addirittura prospettato l’estensione al Baltico e al Mediterraneo dell’unione doganale. Nel caso di blocco doganale orientale, la Francia di Guizot non poteva che rispondere con la creazione di una simile realtà ad Occidente, e il coinvolgimento del Piemonte avrebbe arginato la penetrazione austriaca nell’area. Il ministro puntava a strappare il Regno di Sardegna all’influenza economica asburgica e a sostituirla con quella francese, trasformando la monarchia orleanista in un nuovo arbitro degli equilibri europei. Guizot puntava a sostituirsi a Metternich e il piccolo Regno era un baluardo da conquistare. Le relazioni tra Francia e Piemonte, rafforzata dalla stipula di un contratto, sarebbero state “un avvenimento di importanza internazionale. Il Piemonte, economicamente e politicamente, costituiva il punto di frizione tra la Francia e l’Austria; era lo stato cuscinetto che impediva all’influenza francese di estendersi in Italia, come al commercio francese di irradiarsi più facilmente da Genova verso le province dell’Impero austriaco”122. Gli accordi avrebbero infatti messo in crisi il predominio austriaco e sarebbero stati segno evidente di un mutato clima degli equilibri europei:

le corti assolutistiche, anche se non legate alla monarchia orleanista da vincoli dinastici, ritenevano oramai opportuno per la tranquillità interna e per l’ordine europeo appoggiarsi ad un sistema moderato che rappresentasse ideologicamente la terza forza […] Il Guizot asseriva di non credere alla esistenza della netta opposizione tra monarchie assolutistiche e monarchie costituzionali, e di credere piuttosto alla possibilità di un’intesa.

La corte di Torino, seppur sostenitrice del ramo legittimo borbonico e avversaria della Monarchia di Luglio, condivise le posizioni dello statista francese. “Il regime doganale piemontese, nei riguardi dello Stato vicino, continuò ad ispirarsi alla diffidenza prevalsa nel 1815, quando, come reazione all’unità creata dall’Impero, erano state elevate barriere protettive della riconquistata indipendenza. Le divergenze politiche, dovute alle mene legittimistiche di Carlo Alberto, avevano ancor più inasprito i rapporti”. Fu Solaro della Margarita a proporre all’ambasciatore francese a Torino il trattato di commercio e navigazione e Parigi rispose favorevolmente. Si apriva finalmente una fase di dialogo tra due Stati “fino ad allora in posizione di distanza reciproca”123.

A spaventare inizialmente il governo francese fu la possibilità di “un improvviso risveglio del commercio genovese a detrimento di Marsiglia, punto nevralgico dell’industria

121 Mastellone S., op. cit., pp. 149, 153-154. 122 Ivi, pp. 149, 163, 170.

e dell’economia nazionale”, ma a prevalere fu la necessità di potersi riferire ad un nuovo partner commerciale, “reame di quattro milioni di abitanti, i quali in genere godono di una vera prosperità, presenta per le sue condizioni uno sbocco importante per l’industria straniera”124. Il trattato fu firmato il 28 agosto del 1843, il 22 aprile furono siglati gli atti

definitivi che divennero esecutivi il 20 maggio 1846, dopo ben sette anni di negoziati. Il riavvicinamento economico migliorò i rapporti politici, “anche perché sembrò in quegli anni che la politica estera dovesse orientarsi sulla base di accordi doganali e commerciali”125.

Il Piemonte, durante i complessi negoziati, non accettò mai di essere sfruttato “a guisa di colonia”, poiché seguiva da un decennio un indirizzo nuovo, contrario alle dipendenze economiche: “con una graduale diminuzione delle tariffe doganali il Regno sardo cercava di facilitare l’entrata e l’uscita di merci, e mediante accordi bilaterali con altri Stati, tendeva ad impedire che una sola nazione prendesse il sopravvento economico sul paese”126 e “invece

d’isolarsi, oppure legarsi economicamente con uno stato solo, tendeva ad aprire sempre più i suoi confini commerciali”127. In definitiva schiacciato tra due potenze, Francia ed Austria,

lo Stato sabaudo non intendeva servire da campo di battaglia a nessuna delle due. Il regno sardo fu invero “il punto di convergenza degli interessi francesi e degli interessi austriaci, e quasi a sua insaputa, divenne ad un certo momento l’ago dell’equilibrio internazionale”128.

Grazie al trattato il Piemonte riuscì a strappare alcune concessioni su vini, acquavite, proprietà artistica e letteraria. La Francia ridusse di un quinto i dazi d’entrata sul bestiame via terra e trasformò la tassa a testa in tassa a peso. La bandiera piemontese fu ammessa nei porti francesi con diritto di reciprocità129. Guizot chiese nel 1844 che il regime

daziario fosse esteso anche all’isola di Sardegna che rispondeva, come già visto, ad una tariffa doganale differente. Il 6 dicembre 1844, la convenzione fu estesa anche all’Isola130.

Nel 1835 Carlo Alberto concesse il permesso di esportazione della seta grezza dalla Savoia, dal Ducato di Genova e dal principato di Oneglia. Nel 1841 abolì i vincoli che non permettevano di attivare a pieno l'industria e il commercio delle sete. Verso il 1840, la produzione serica dominava l'economia piemontese e in quegli anni la lavorazione subiva una fase di passaggio dai piccoli laboratori agli stabilimenti più grandi, sia quelli destinati alla produzione di seta grezza, sia quelli destinati alla tessitura serica che produceva velluti, broccati, damaschi, fazzoletti, scialli, oramai presenti su tutti i mercati europei, americani, e persino asiatici. L'industria laniera beneficiò di nuovi impulsi grazie all'allevamento dei merinos spagnoli e all'introduzione delle macchine per la filatura meccanica131. Il potenziamento della rete stradale avviato da Napoleone “per stringere saldi legami tra il

124 Ivi, pp. 144, 149-150. 125 Ivi, pp. 144, 170. 126 Ivi, p. 150. 127 Ivi, p. 170. 128 Ivi, pp. 167, 170.

129 Ivi, p. 147; Izzo L., Storia delle relazioni, cit., p. 31; Romeo R., Cavour e il suo tempo, cit., vol. II, p. 464; Izzo L., Vicende della politica commerciale italo-francese dal 1860 al 1892, «R.S.R.», a. XLVI, 2-3 (aprile-settembre 1957), p. 396.

130 Mastellone S., op. cit., p. 169.

Piemonte e la Francia”132 venne ripreso da Carlo Alberto, dopo la parentesi di Vittorio

Emanuele I e di Carlo Felice. Le strade locali, fondamentali per lo svolgimento dei traffici da e per i mercati agricoli e industriali furono potenziate. Fiere ed esposizioni aumentarono di numero133. Dopo la “fusione perfetta”, anche la Sardegna entrò a pieno titolo nel regime

doganale sabaudo134: la separazione tra i due Stati cessò con il decreto del 6 maggio 1848,

quando l’Isola venne interamente sottoposta al sistema di Terraferma: “si realizzarono con queste misure, progressi importanti sulla via di una migliore unificazione dei domini sabaudi e del superamento della vecchia frammentazione di origine feudale nella concezione unitaria di uno Stato liberale fondato sulla comune volontà espressa dalla società civile”135. L’abolizione del dazio di esportazione negli Stati di Terraferma fu un sollievo negli anni di carestia, così come l’abolizione dei dazi d’entrata dell’olio e del vino, concessa da Carlo Alberto con la rinuncia dell’antica autonomia (30 novembre 1847). Con il Regio Decreto del 6 maggio 1848 furono eliminati altri ostacoli alla libera circolazione delle merci. Anche la Sardegna, in base agli accordi del 18 agosto 1843 e del 22 aprile 1846 poté esportare in Francia e nei possedimenti francesi africani bestiame e formaggio come le altre province continentali. Si trattava di una decisione che avrebbe potuto svincolare l’Isola dal dominio e dal monopolio stabilito da alcuni genovesi. I prezzi infatti erano monopolizzati da pochi acquirenti. I prodotti sardi giungevano per essere venduti solo a Genova nonostante, la Sardegna stesse alle porte di Francia, Malta, Napoli e Africa136.

Il trattato segnò un passaggio importante che favorì l’ingresso in Sardegna di merci e capitali, nonché il contatto con sistemi capitalistici più avanzati. Prima dell’Unione con il Piemonte, il problema degli scambi con l’estero e dei dazi doganali, del commercio interno e dei prezzi calmierati, la necessità di privilegi all’industria, la carenza di liquidità e la mancanza di banche erano stati continuamente oggetto di riflessione da parte di alcuni uomini di governo. Il commercio della Sardegna languiva: scarse le importazioni per la mancanza di capacità d’acquisto, scarse le esportazioni per la penuria dei prodotti esportabili. La “fusione perfetta” sancì l’unione del mercato sardo con quello degli Stati di Terraferma, volto all’eliminazione delle differenti tariffe doganali137. Il desiderio di allineare

le strutture giuridico-amministrative della Sardegna a quelle della Terraferma era scaturito in parte anche dal desiderio di poter beneficiare dei vantaggi della lega doganale e di poter mutare le sorti del commercio isolano138.

Tra il 1830 e gli anni che precedettero l’Unità, la svolta liberista sabauda non costituì un caso isolato nel territorio peninsulare. Sotto Gregorio XVI, lo Stato Pontificio, già a partire dal 1831, attuò una politica doganale liberale, che destò le proteste di alcuni

132 Luraghi R., op. cit., p. 177. 133 Demarco D., op. cit., p. 229. 134 Serra S., op. cit., p. 183.

135 Romeo R., Gli scambi, cit., pp. 8-9.

136 Boscolo A., Bulferetti L., Del Piano L., Sabattini G., op. cit., p. 164; Camera di Commercio di Genova (a cura di), Notizie sulla patria industria dopo il 1850 ed elenco dei premiati nella esposizione industriale aperta a Genova nel 1854, Tipografia e litografia Pellas, Genova 1857, p. 56.

137 Maurandi P. La cultura economica, cit., pp. 292-293.

settori produttivi, tra cui quello delle terraglie139. Le politiche doganali “distensive” vennero

riprese dai ministri di Pio IX. Il primo dazio ad essere abbassato fu quello sul grano e sugli altri cereali, sia per l’introduzione che per l’estrazione. Tuttavia si dovette attendere il 17 aprile 1848 per un vero progetto di riforma. L’abbandono di ogni tipo di protezione, secondo l’opposizione, avrebbe potuto comportare il crollo dell’industria locale e la disoccupazione di migliaia di operai. La tariffa venne promulgata il 5 maggio 1849, sotto la Repubblica romana con il triumvirato Mazzini-Saffi-Armellini. Quando il 3 luglio arrivarono i francesi e cadde la Repubblica ritornò in vigore la tariffa doganale del 1830 e le modifiche attuate durante l’esperienza repubblicana.

Si presentò subito la necessità di riavviare una politica di protezionismo moderato. Il 7 ottobre 1854 il cardinale Antonelli emanò l’editto che introduceva la diminuzione di alcuni dazi140.

Il Regno delle Due Sicilie, il 18 agosto 1845 e il 9 marzo 1846 fece cadere le protezioni per molte merci. I Borbone stipularono un trattato con l’Inghilterra il 29 aprile 1845. In Piemonte e nel Regno delle Due Sicilie si faceva insomma strada una politica volta a collocare all’estero i prodotti agricoli locali141.

Sulla scelta di un indirizzo doganale liberale da parte di diversi Stati della Penisola, pesò il successo dello Zollverein, la lega daziaria degli Stati tedeschi guidati dalla Prussia a partire dal 1834142. Il progetto di una Lega doganale italiana nacque proprio sulla falsariga dell’esempio tedesco. Nel caso italiano, a stimolarla era la dimensione politica piuttosto che gli interessi economici143. Il tentativo di creare un’unione doganale era auspicato dal

federalismo di Carlo Cattaneo144. Il progetto fu inizialmente avversato dal Piemonte che premeva per la riduzione reciproca dei dazi145. La posizione di Pio IX fu fondamentale nella

creazione di nuovi equilibri di scambio in una vasta area della Penisola. Il Pontefice fu uno dei primi a farsi promotore dell’unione doganale e a tal fine entrò in negoziato con la Toscana, il Piemonte e gli altri Stati italiani, che intravidero nell’iniziativa una prospettiva antiaustriaca. La Lega aveva come fine ultimo l’“incremento della dignità e della prosperità italiana”146. Era da lungo tempo evidente il disagio dei traffici a causa della molteplicità delle

barriere doganali e delle leggi, della differenza delle monete, delle misure e dei pesi. La posizione di alcuni Stati rispetto alle costruzioni ferroviarie era ancora di rigetto e la rete peninsulare risultava vanificata dalla frammentarietà. Entro “una piattaforma moderata”147,

la Lega doganale costituiva un progetto volto a superare la mancanza di una rete

139 Broglio d’Aiano R., La politica doganale degli Stati italiani dal 1815 al 1860, cit., pp. 619-625. 140 Ivi, pp. 625-627, 628 e ss.

141 Romani M., op. cit., p. 88. 142 Ibid.

143 Ivi, pp. 89-90. Si veda anche Mastellone S., op. cit., pp. 167-168.

144 Romani M., op. cit., pp. 135-137; Nicali A., op. cit., p. 32; Calderoni U., I cento anni della politica doganale italiana, Cedam, Padova 1961, p. 9.

145 Romani M., op. cit., pp. 89-90; si veda anche Mastellone S., op. cit., pp. 167-168. 146 Broglio d’Aiano R., La politica doganale degli Stati italiani dal 1815 al 1860, cit., p. 653.

147 Demarco D., op. cit., p. 235; Romani R., L’economia politica dei moderati, 1830-1848, in «S.eS.», 111 (2006), pp. 25-27; Fohlen C. (a cura di), Il trattato di commercio franco-italiano del 17 gennaio 1863”, in «ILTE», serie I, vol. XII, fasc. I, Roma 1963, p. 5.

commerciale interstatale. Il 31 luglio 1847 lo Stato Pontificio stipulò un patto con il Regno di Sardegna, il 29 novembre 1850 con la Toscana e, a seguire, un trattato di navigazione con le Due Sicilie148. Le trattative, concluse preliminarmente il 3 novembre 1847 fra i governi di Roma, Torino e Firenze, esclusero il Lombardo-Veneto, poiché Vienna non avrebbe mai permesso la realizzazione di una rete unificata, capace di avvicinare i suoi territori al resto degli Stati italiani149. Nel 1848, nel 1852 e nel 1857 anche l’Austria tentò di creare un’unione doganale con Modena e Parma, per contrastare gli effetti dell’esclusione dallo Zollverein e delle politiche ostili di Cavour150.

Di fatto la Lega non ebbe seguito alcuno. Si dovette attendere l’annessione delle provincie dello Stato Pontificio nel 1860, per veder cadere le barriere doganali tra gli Stati italiani. Solo allora le leggi piemontesi sulla tariffa doganale furono estese a tutto il territorio e si passò, anche negli ex territori pontifici, ad una politica di estremo liberismo151.

Nel ventennio che precedette le politiche di Cavour (1829-1849) nel nuovo panorama economico, i tradizionali indirizzi protettivi bloccarono l’armonioso sviluppo degli scambi152. Erano anni di grande fervore culturale, che si manifestava nelle accademie e

nelle università, durante i congressi, e si diffondeva attraverso le testate giornalistiche, grazie alle quali un numero sempre crescente di persone partecipava e contribuiva allo scambio d’informazioni economiche153 e “la questione dell’indirizzo da dare alla politica

degli scambi finisce per mettersi al centro della vita di ogni stato” 154.

Il problema della frammentarietà della rete ferroviaria nella Penisola era da tempo motivo di riflessione. L’inizio della rivoluzione ferroviaria, con l’apertura negli anni Trenta della linea Manchester-Liverpool, aveva da subito reso manifesto il ruolo centrale delle strade ferrate nello sviluppo. La “railwaymania” investì gli stati italiani solo molto tempo dopo155. Gli Stati peninsulari non erano ancora pronti a recepire i vantaggi di una rete

capillare, non esistevano i presupposti politici, né le risorse industriali o consumi tali da determinare la necessità impellente di accelerare la circolazione di merci. Negli anni Quaranta la siderurgia antiquata, così come l’attività meccanica, rispondeva al modesto fabbisogno e alle esigenze delle attività rurali, domestiche ed edili senza avere nessuna rilevanza e l’introduzione di un sistema di fabbrica era ancora limitato156. La necessità di dar vita a banche di sconto, emissione e deposito aveva origine da iniziative straniere o dall’occasione offerta in ambito commerciale di creare realtà concorrenziale agli istituti privati157.

148 Broglio d’Aiano R., La politica doganale degli Stati italiani dal 1815 al 1860, cit., p. 656. 149 Demarco D., op. cit., p. 235.

150 Romani M., op. cit., pp. 135-137; Nicali A., op. cit., p. 32; Calderoni U., op. cit., p. 9.

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