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Natura giuridica delle criptovalute

L’introduzione del concetto di criptovaluta pone problemi d’inquadramento da un punto di vista giuridico per il fenomeno, dovuti al fatto che le stesse abbiano natura virtuale,

polimorfa118, ibrida (poiché rispondono a varie esigenze), anonima (presumibile o meno) e ubiqua. Sapendo che in letteratura economica non vi è una corrente di pensiero unanime che considera o meno le criptovalute come equiparabili a moneta avente corso legale, proviamo a vedere all’interno di quale “categoria giuridica” si potrebbero inserire Bitcoin e le sue implementazioni alternative.

Il concetto economico di “Moneta”

All’inizio della trattazione è stata presentata la differenza tra valuta digitale e virtuale, proviamo ora però a chiederci cosa rende una valuta (ossia una unità di scambio) uno strumento uniformemente accettato come “moneta”.

Gli economisti solitamente sostengono che la moneta per essere tale, debba possedere le tre seguenti caratteristiche: unità di conto, mezzo di scambio e riserva del valore.

Mezzo di scambio

Una delle principali funzioni di ogni moneta è quella di strumento di intermediazione negli scambi di beni e/o servizi.

Si possono identificare varie caratteristiche delle criptovalute come mezzo di scambio che differiscono sostanzialmente dalle valute tradizionali: in primis i costi di transazione nelle operazioni effettuate attraverso queste ultime, i quali risultano minori rispetto a quelli degli attuali sistemi di pagamento e che fungono solo da copertura per il mantenimento del sistema (ad esempio nel caso del Bitcoin per ricompensare i Miners); non ci sono costi legati a terze parti o intermediari. Per le valute tradizionali invece oltre ai costi di produzione, si aggiungono quelli di autenticazione, trasporto, sorveglianza (anche se nel caso dei Bitcoin dovremmo considerare come costo anche quello legato al consumo di energia). Le possibilità di crescita come mezzi di scambio per le criptovalute si riscontrano anche nella loro maggiore anonimità e trasparenza che permettono a chiunque di seguire la catena di transazioni ma non sempre di sapere la vera identità di chi le ha compiute (questo però come abbiamo già visto è anche il principale problema a fini antiriciclaggio e di lotta alla criminalità).

Dopo aver elencato le principali caratteristiche che potrebbero favorire l’adozione delle criptovalute come mezzi di scambio soffermiamoci anche sulle limitazioni di queste ultime che potrebbero ostacolarla. Uno dei principali problemi in questo ambito si riscontra nel fatto che a differenza delle monete aventi corso legale, il bitcoin e i le altre criptovalute non sono universalmente accettati come strumento di pagamento e non vi è alcun obbligo ad esempio per un venditore di accettare bitcoin come contropartita per le proprie merci o servizi (come per esempio accade nell’area europea dove chiunque è obbligato ad accettare, come strumento di pagamento, gli Euro). Inoltre l’uso di criptovalute in scambi di mercato comporta alti rischi per gli utilizzatori coinvolti, dal momento che non vi è alcuna autorità demandata a risolvere le dispute tra le parti e nessun meccanismo disponibile per annullare o modificare una eventuale transazione erronea.

Unità di conto

Per soddisfare la funzione di unità di conto, come qualsiasi altra moneta, una valuta dovrebbe essere in grado di misurare il valore relativo di beni, servizi e delle altre transazioni nell'economia. Identifichiamo due caratteristiche chiave delle criptovalute come unità di conto, che differiscono sostanzialmente dalle valute tradizionali: divisibilità e volatilità dei prezzi.

Un'importante caratteristica distintiva del Bitcoin è la sua divisibilità quasi infinita, il che implica che i prezzi possono essere quotati in più posizioni decimali (ad oggi queste ultime sono 8 ma potrebbero aumentare in futuro). In effetti, la divisibilità è una caratteristica necessaria per una valuta al fine di accogliere una equa valutazione per transazioni di tutti i tipi e dimensioni. Per contro però, le differenze di prezzo dell'entità di più cifre decimali (ad esempio quattro o più) possono confondere gli utilizzatori e causare loro problemi nella comprensione e nel confronto tra i prezzi relativi di beni e servizi. Per tale ragione, la maggior parte delle valute del mondo usa non più di due decimali per le quotazioni (Yermack 2014)119.

Un secondo aspetto da tenere in considerazione per quanto riguarda la capacità di uno strumento di fungere da unità di conto sta nel fatto di considerare la volatilità del prezzo dello stesso. I prezzi delle varie criptovalute mostrano una volatilità di breve periodo

estremamente elevata, che diminuisce la loro capacità di rappresentare un'unità di conto affidabile. Le frequenti variazioni dei prezzi causano costi diretti e indiretti ad imprese e consumatori: le aziende che ad esempio utilizzano bitcoin, devono adeguare i prezzi frequentemente, altrimenti potrebbero subire una diminuzione dei ricavi (a causa di beni e servizi sottoprezzati) o una perdita di competitività (a causa di beni e servizi troppo cari). Questo diventa particolarmente problematico per le imprese che pagano in moneta tradizionale per l’acquisizione dei propri fattori di produzione ma che poi accettano anche pagamenti in criptovaluta al momento della vendita, poiché genera discrepanze nei prezzi relativi tra output ed input in presenza di elevata volatilità. I frequenti cambiamenti dei prezzi a loro volta diventano un fattore di disturbo per i consumatori, poiché diventa più difficile per questi ultimi individuare il valore reale di un bene o servizio.

Riserva di valore

Il valore del denaro deve rimanere stabile nel tempo per consentirne l'uso negli scambi in diversi momenti.

Le valute tradizionali sono solitamente inflazionistiche, il che significa che il loro valore si riduce nel tempo e quindi diminuisce la capacità della moneta stessa di funzionare come riserva di valore (anche se negli ultimi anni per quanto riguarda l’inflazione si necessiterebbe di una discussione a parte). Al contrario, un importante vantaggio delle criptovalute è la loro protezione contro l'inflazione come rifugio dall'interferenza dei governi. Dato che, con i meccanismi attuali, per molte criptovalute il numero futuro di Coin o Token è limitato ad un massimo (vedasi i 21 milioni di unità totali previsti per Bitcoin) senza alcuna espansione oltre tale importo (se non data dalla divisione delle stesse in unità più piccole, fattore che però comunque non ne cambierebbe, nella sostanza, il numero totale), queste ultime saranno esposte a pressioni deflazionistiche se il loro uso come alternativa di investimento o come mezzo di scambio aumenta. Possiamo concludere che, in assenza di pressioni inflazionistiche, la popolarità di Bitcoin e delle altre criptovalute dovrebbe aumentare rispetto alle valute tradizionali, sebbene la pressione deflazionistica possa agire come una forza compensativa.

Una delle principali minacce alla capacità delle criptovalute di preservare il loro valore per i titolari è il problema della sicurezza informatica. In passato, molti proprietari di queste ultime hanno perso i loro risparmi a causa di furti o attacchi informatici. Le valute

tradizionali danno la possibilità di proteggersi dal furto tramite il deposito delle stesse presso un intermediario bancario che ne garantisce la custodia, le criptovalute invece, dovendo essere conservate in supporti informatici propri o di terze parti (non sempre affidabili come garanti) risultano maggiormente esposte a rischi.

Riassumendo perciò, una moneta, a livello giuridico/economico, sarà accettata come tale se si ritiene che: una certa quantità di quest’ultima rappresenti il valore di un bene acquistato/ceduto, verrà accettata ovunque nel momento in cui si vorrà utilizzarla per acquistare/vendere un altro bene e che la stessa non perderà il suo valore nel tempo che intercorre tra la cessione di un bene e l’acquisto di un altro. Tutte le 3 caratteristiche identificano la moneta in quanto tale e la mancanza di una di queste porterebbe alla non accettazione di uno strumento come moneta in una transazione.

Se ci basassimo però solamente su questa definizione per così dire di “letteratura economica”, allora nessuna delle attuali valute potrebbe considerarsi moneta, in primis poiché nessuna delle stesse ha mantenuto o può mantenere valore per un periodo illimitato di tempo (inflazione, crisi). Sembra dunque che il concetto di mantenimento del valore sia più un qualcosa di soggettivamente diffuso, ossia che il valore di uno strumento definito come moneta debba essere mantenuto pressoché tale per un periodo sufficientemente lungo in base a quando il soggetto che lo detiene pensa di spenderla. Inoltre nessuna moneta cosiddetta tradizionale (pensiamo a Dollaro, Euro o Yen) è accettata ovunque, infatti non è possibile ad esempio pagare in tutto il mondo utilizzando dollari (sebbene sia la moneta più diffusa) bensì spesso vi è la necessità di convertire la stessa in moneta locale del luogo in cui si vuole effettuare una transazione. Da ciò si evince che la definizione di moneta può essere applicata in senso lato oppure tramite un’accezione più ristretta poiché nella realtà la definizione data dalla letteratura economica è difficilmente riscontrabile contemporaneamente in tutte le sue sfaccettature. Andando poi oltre la definizione letteraria del termine, è possibile ricostruire la storia dell’utilizzo della moneta, dall’antichità ad oggi. Risulta complicato stabilire con precisione le origini delle società monetarie, sembra infatti che i primi pagamenti effettuati con una qualche forma di denaro risalgano addirittura al 2.200 a.C.

La natura della moneta è mutata nel corso dei secoli, in origine la stessa assumeva la connotazione di moneta merce: vale a dire di uno strumento di pagamento rappresentato da un bene avente valore intrinseco come oro o argento, con una quantità limitata per natura. Successivamente la stessa si è per così dire evoluta in rappresentativa, ossia in banconote che potevano essere scambiate per una determinata quantità di oro o argento ed infine nelle economie moderne, ha assunto il ruolo di moneta fiduciaria (cosiddetta fiat) dichiarata a corso legale ed emessa da una banca centrale senza però alcun valore intrinseco. La stessa infatti basa il proprio valore sulla fiducia riposta dagli utilizzatori nei confronti della banca centrale che dovrà mantenerlo. Al giorno d’oggi poi la moneta può esistere anche indipendentemente da una rappresentazione fisica, ad esempio su un conto corrente come registrazione informatica, oppure come deposito su un conto di risparmio.

Pur integrando alcune funzioni della moneta, le criptovalute non ricadono in nessuna delle precedenti categorie, non essendo moneta merce in quanto non possiedono un valore intrinseco, moneta rappresentativa poiché rappresentano solo se stesse e non hanno un valore sottostante e moneta fiat dal momento che non sono emesse da una banca centrale. Riflettendo su quanto detto fino ad ora, da un lato si potrebbe essere portati ad affermare che le criptovalute, essendo comparabili alle valute tradizionali (fiat) in molteplici aspetti per quanto riguarda l’uso, potrebbero essere definite moneta. Ricordandoci poi quanto diceva Adam Smith ossia che: “All money is a matter of belief” (tutto il denaro è una questione di fede) questa tesi parrebbe ulteriormente confermata. Non dobbiamo però dimenticarci che, data l’evoluzione del concetto di moneta negli anni e ritrovandoci ora in un’epoca in cui la moneta ha funzione fiduciaria in quanto emessa da banche centrali, quest’ultima è accettata come tale ed identificata dal rispettivo termine (“moneta appunto”) nel momento in cui è riconosciuta dagli stati nei quali ha corso legale. Perciò, non essendo le criptovalute considerate come moneta avente corso legale nella maggior parte dei paesi, sembra più opportuno concludere (almeno ad oggi) che la stessa non ricade nell’accezione di moneta, perlomeno per quella che noi consideriamo moneta “tradizionale”.

Dopo essere arrivati a questa possibile conclusione, potremmo allora chiederci se, a livello giuridico (e dunque al fine del relativo inquadramento normativo) il concetto di criptovaluta non possa situarsi all’interno di qualche altra macrocategoria:

• Potremmo definire le stesse come dei beni (assets)? In economia, a livello teorico, un bene è definito come qualsiasi mezzo (materiale o immateriale) suscettibile di essere utilizzato da parte di un individuo, per soddisfare un proprio bisogno, oppure al fine di produrre attraverso questo, un altro bene. Le principali caratteristiche che quest’ultimo deve possedere sono: utilità, ossia capacità di soddisfare un bisogno, disponibilità limitata ed accessibilità, intesa come possibilità di essere ottenuto in maniera abbastanza agevole utilizzando i normali mezzi a disposizione. Anche in questo caso a prima vista pare che le criptovalute posseggano tutte le caratteristiche sopra elencate; come però è possibile intuire, ogni ordinamento giuridico (nazionale o sovranazionale che sia), dà una propria definizione di proprietà e di bene che quindi potrebbe differire di caso in caso portando all’impossibilità di definire in maniera abbastanza uniforme il fenomeno.

• Potrebbero quindi essere commodities, ossia materie prime? Con questo termine (che deriva dal latino “commoditas”) ci si riferisce a un insieme di prodotti indifferenziati (ossia che non presentano una differenziazione qualitativa) per i quali esiste una domanda nel mercato. In questo caso però è evidente che l’essenza della criptovaluta non possa rientrare all’interno di questa categoria, in quanto mancherebbe fin da subito dell’aspetto fondamentale che la costituisce, ossia la materialità.

• Potrebbero essere security/strumenti finanziari? Il sistema delle criptovalute è un sistema in un certo senso autoregolato, pensato per agire in maniera autosufficiente all’interno di un insieme di regole che sono quelle che delineano il protocollo stesso che le costituisce. L’utilizzo di queste ultime perciò presuppone l’accettazione di queste regole auto-costituite dal sistema stesso che ne regolano il funzionamento e che non sono modificabili. Come nel caso della definizione di bene anche qui ci troviamo di fronte a possibili differenze nella qualificazione di uno

strumento come strumento finanziario in base all’ordinamento giuridico considerato. Se prendessimo ad esempio l’ordinamento italiano le criptovalute non potrebbero essere ritenute uno strumento finanziario in quanto non presenti nell’elenco di strumenti definiti come tali all’art. 1, comma 2 del Testo Unico della Finanza (TUF).

Queste riflessioni sono solo un’introduzione che permetterà poi di capire (nel corso del terzo capitolo) il perché, non essendoci nel mondo una definizione uniformemente condivisa del concetto di criptovaluta, i vari stati (o confederazioni degli stessi che siano) presentino ognuno definizioni e regolamentazioni talvolta differenti per il fenomeno. Inoltre le considerazioni precedenti portano a riflettere sul fatto che, rinchiudere le criptovalute all’interno di un unico concetto giuridico probabilmente sia riduttivo e allo stesso tempo pericoloso e che forse sarebbe più adatto lasciare in un certo senso aperta la definizione, concentrandosi piuttosto su disposizioni specifiche per quanto riguarda determinate categorie di utilizzatori, ambiti in cui avviene questo utilizzo od operazioni (come vedremo ad esempio per la conversione da criptovaluta a denaro avente corso legale e viceversa). Infatti, mentre il sistema su cui si basano le criptovalute è autosufficiente, le stesse, si configurano in differenti concetti giuridici a seconda del contesto o dello schema giuridico di riferimento.