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Nazionalsocialista, escapista o umanista? Il dibattito sullo Shakespeare di Sutermeister

Nel documento collana diretta da Franco Perrelli / 12 (pagine 193-200)

Nel 1990 (e dunque in concomitanza con l’ottantesimo compleanno di Suter-meister) usciva sulle pagine della rivista musicologica svizzera «Dissonanz/Dis-sonance» un duro articolo firmato da Antje Müller che metteva provocatoria-mente in parallelo le forniture belliche al Terzo Reich da parte dell’industria elvetica e le «munizioni spirituali [geistige Munition]» offerte alla politica

cul-15 Cfr. L.A. von Arnim, C. Brentano, Des Knaben Wunderhorn. Alte deutsche Lieder, 3 voll., Mohr u. Zimmer, Heidelberg 1806-1808, vol. 1, p. 181.

16 Si rileggano le osservazioni di Arman Schwartz sull’inizio di Suor Angelica nei saggi indicati

supra, nota 12.

17 Tra le raccolte di poesia tedesca che tramandano il Brautgrablied abbiamo utilizzato

Poeti-scher Lustwald: Sammlung von Gedichten älterer großentheils jetzt unbekannter Dichter, a cura di F.

turale nazionalsocialista dall’arte del compositore svizzero, accusato di essersi posto al servizio del regime hitleriano senza patire alcuna conseguenza personale dopo il 1945 e soprattutto senza avvertire mai la necessità di fare pubblicamente autocritica18.

Nell’analisi della Müller, Romeo und Julia esibisce implicitamente tutti i requi-siti delle cosiddette Volkstum-Opern allestite negli anni del nazionalsocialismo, ovvero di quelle opere radicate nel «carattere nazionale [Volkstum]» fortemen-te incoraggiafortemen-te soprattutto a partire dal 1939. Sul piano musicale, ciò significa evitare accuratamente «lo stigma della ‘degenerazione’ [Entartung]», riassunto nella triade «atonalità, stile di canzone o elementi desunti dal jazz». Opponendo a essa l’ossequio all’identità musicale del popolo tedesco (das Volkstümliche): diatonismo della scrittura, armonie modali eredi della tradizione del Volkslied, forme musicali semplici. E anche riconoscendo direttamente sulla scena il ruolo del Volk, delle masse, attraverso la valorizzazione del coro, che oltretutto – quan-do si sposta dietro le quinte e assume la natura di una voce “irreale” – consen-tirebbe a Sutermeister di imprimere all’opera «un forte tono misticheggiante».

Sul piano del soggetto, Antje Müller nega un significato politico al Romeo and

Juliet shakespeariano: ciò che trova disturbante nell’opera di Sutermeister – e

congeniale all’ideologia nazionalsocialista – è «la glorificazione [Verherrlichung] musicale della morte, alla quale le persone sono pronte per amore o lealtà».

Diciamo subito che non possiamo non cogliere una forzatura in quest’ultima tesi. Se c’è una Verherrlichung della morte, lo è piuttosto nel senso di una “trista-nizzazione” di Shakespeare: tanto che la partitura – polarizzata su un triangolo che ha in Capuleti una sorta di re Marke iracondo e brutale – si conclude con un Liebestod di Julia in piena regola. Ed è appunto al Tristan und Isolde, e non al Führerprinzip (la sottomissione dell’individuo alla volontà assoluta dell’uomo forte), come vorrebbe in sostanza la Müller, che fanno pensare le parole con cui Haußwald descrive sulla ZfM il contenuto della scena finale dell’opera: «la gran-dezza commovente dell’amore puro, che trova nella morte la sua più profonda realizzazione [Erfüllung]»19.

Il dibattito è ripreso più recentemente grazie a un saggio pubblicato da Chris Walton su «Tempo», che riesamina le conclusioni della Müller prendendo in

18 A. Müller, Heinrich Sutermeister, der ‘Neutrale’ im NS-Staat, in «Dissonanz/Dissonance», 25, 1990, pp. 10-14.

19 Haußwald, Heinrich Sutermeister cit., p. 435. Sugli elementi costitutivi del «mito del

Liebe-stod» incapsulato nella tragedia cfr. Shakespeare, Romeo and Juliet cit., pp. 2-3. Rende esplicita la

sovrapposizione dei due finali la rivisitazione cinematografica firmata da Baz Luhrmann (William

Shakespeare’s Romeo + Juliet, 1996), nella quale la visione dei due corpi allacciati nella morte,

in-frammezzata da immagini dalla loro breve storia, è appunto accompagnata dalle note estreme della partitura di Wagner. A sottolineare la scelta di Luhrmann è ad esempio l’Introduction a Romeo and

considerazione un altro episodio controverso della carriera di Sutermeister: la visita ufficiale del compositore nel 1964 alla Repubblica Sudafricana, allora sulla via delle sanzioni internazionali per la politica di apartheid. La descrizione che Walton fa della drammaturgia musicale di Romeo und Julia sembra più aderen-te di quella (un tantino preconcetta) della Müller e dei recensori che cita: una «combinazione di immediatezza alla [Carl] Orff, un linguaggio musicale ispirato dal primo modernismo», notevoli capacità di orchestratore e un istinto dram-matico che si ispira al modello del teatro verdiano20. L’opera di Sutermeister, del resto, si metterà in competizione diretta con il teatro di un altro studente e amico di Orff, Werner Egk (Die Zaubergeige, 1935; Peer Gynt, 1938), il «cauto modernista» baciato dal successo e autore di musica «vagamente dissonante e acerba, aspra per qualcuno, ma [...] solidamente diatonica»21. Ed è significativo che Walton eviti, a differenza della Müller, di ritenere la musica di Romeo und

Julia responsabile in sé di una sorta di “nazificazione” di Shakespeare: discorso

complesso che dobbiamo qui abbandonare – non prima però di aver ricordato l’antico monito di Dahlhaus a non cadere nella trappola di considerare tout court nazionalsocialista ogni «tendenza a evitare gli estremismi della Nuova Musica, a ricollegarsi a tradizioni nazionali, reali o fittizie, a cercare un sostegno sociale nel pubblico dei ‘normali’ frequentatori di concerti e di opere, per decenni trattato con sufficienza»22.

Ci interessa invece ciò che Walton dice del libretto di Romeo und Julia:

al fine di conferire massimo risalto all’elemento amoroso, le due famiglie in stato di guerra vengono quasi del tutto dimenticate, sebbene siano la raison d’être dell’intera trama. Il risultato è non solo una romanticizzazione del dramma, bensì – in un certo senso – la sua depoliticizzazione (circostanza, questa, che ha anche allineato

perfet-20 C. Walton, Black or Brown? Heinrich Sutermeister in Apartheid’s Web, in «Tempo», LXI, 239, 2007, pp. 41-51.

21 M.H. Kater, The Twisted Muse: Musicians and Their Music in the Third Reich, Oxford Uni-versity Press, Oxford-New York 1997, pp. 53, 185. Lo stesso Kater fornisce informazioni utili a dimostrare che Sutermeister percepiva Egk come il rivale da superare all’interno della cerchia di Orff: cfr. il cap. 1 di Id., Composers of the Nazi Era: Eight Portraits, Oxford University Press, Oxford-New York 2000. Die Zaubergeige costituisce un probabile precedente diretto di Romeo und

Julia anche nell’uso di lirica barocca tedesca: cfr. K.H. Ruppel, Libretto und Dichtung, in W. Egk, Musik Wort Bild. Texte und Anmerkungen, Betrachtungen und Gedanken, Albert Langen Georg

Müller, München 1960, pp. 11-18: 13.

22 C. Dahlhaus, Implicazioni politiche della drammaturgia operistica. A proposito di alcune opere

tedesche degli anni Trenta, in Id., Dal dramma musicale alla Literaturoper (1983), Astrolabio,

Ro-ma 2014, pp. 242-251: 243. In un contesto analogo, FiamRo-ma Nicolodi è tornata recentemente a interrogarsi su quanto sia «difficile precisare quali furono i tratti distintivi della musica fascista» (nella Postfazione: trent’anni dopo scritta per l’imminente ristampa del suo Musica e musicisti nel

ventennio fascista, Discanto, Fiesole 1984; si ringrazia la studiosa per aver consentito di leggere in

tamente il compositore con la posizione politica neutrale e attendista [fence-sitting]

del suo governo)23.

Si noti il curioso chiasmo: per Antje Müller, Romeo and Juliet è un dramma in sé apolitico, che Sutermeister “politicizza” enfatizzando l’amore/morte dei protagonisti; per Chris Walton, al contrario, la tragedia di Shakespeare è in-trinsecamente politica, ed è invece la scelta del compositore di preservare solo l’amore che la “depoliticizza”. In entrambi i casi, a quanto sembra, col risultato di assecondare la politica culturale del regime.

Già, ma quale politica culturale, esattamente? Da tempo gli storici ci rac-contano che la Germania del Terzo Reich assunse rapidamente la forma di «una paralizzante struttura policratica», nella quale «diverse reti neo-feudali di au-torità de facto diedero inizio a una spietata battaglia giurisdizionale [...], con-tendendosi il potere complessivo, le competenze specifiche, nonché il favore del Führer»24. Lo scontro non risparmiò ovviamente gli affari culturali, e nello specifico musicali. Fiumi d’inchiostro sono stati versati sul lungo duello tra Al-fred Rosenberg, ideologo del Nsdap e fondatore della Kampfbund für deutsche Kultur, e Joseph Goebbels, ministro del Reich per la Propaganda25: un duello che oppose la linea ultrareazionaria, ortodossa, intransigente del primo e la linea pragmatica, di compromesso del ministro. Consapevole della necessità di soste-nere il morale della popolazione e della Wehrmacht al fronte («la depressione non fa vincere le battaglie»26), Goebbels riconosceva infatti ai tedeschi il diritto a una loro Wonderland, ovvero a una cultura di massa capace «di far sognare e di allontanare, almeno temporaneamente, gli spettatori dalle tristezze della vita quotidiana»27.

Se abbiamo compreso la lettura di Walton, a rendere il Romeo und Julia “de-politicizzato” di Sutermeister adatto ai palcoscenici della Germania di Goebbels sarebbe insomma proprio la stessa «radicale mancanza di rapporto con l’epoca», lo stesso «escapismo» o «fuga dalla realtà» che Dahlhaus attribuisce al quasi

23 Walton, Black or Brown? cit., p. 42.

24 A.A. Kallis, Nazi Propaganda and the Second World War, Palgrave Macmillan, Basingstoke (UK)-New York 2005, p. 219.

25 Per una sintesi in lingua italiana si vedano L. Lorusso, Orfeo al servizio del Führer.

Totalita-rismo e musica nella Germania del Terzo Reich, L’Epos, Palermo 2008, e il cap. Dalla dissonanza all’armonia di R.J. Evans, Il Terzo Reich al potere 1933-1939 (2005), Mondadori, Milano 2011, pp.

176 sgg.

26 Lorusso, Orfeo al servizio del Führer cit., p. 191.

27 Dal capitolo II (Narrazioni mainstream) dell’edizione digitale di A.M. Banti, Wonderland. La

cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd, Laterza, Roma-Bari 2017. Prendiamo in prestito il

termine Wonderland da questo volume, nel quale indica quella cultura di massa rassicurante e con-solatoria che esplode negli Stati Uniti negli anni bui a ridosso dello scoppio della crisi economica del 1929.

contemporaneo Capriccio (1941) di Strauss28. In termini simili si è espresso Erik Levi: per agguantare il successo, il compositore svizzero «aveva indubbiamente sfruttato una vena di tardo romanticismo escapista che fornì il necessario sollie-vo emotisollie-vo dalla dura realtà della guerra»29.

La posizione di Levi e di Walton è indubbiamente ragionevole, dettata dal buonsenso. Eppure, quando il 7 febbraio 1950 Romeo und Julia viene messo in scena alla Staatsoper di Berlino, e dunque nel territorio della Repubblica demo-cratica tedesca, in una Germania ormai tagliata in due dalla “cortina di ferro”, il successo è clamoroso; e l’impressione è che a questo successo non sia affatto estranea proprio quella “politica” che Levi e Walton lasciano fuori dalla porta. La reazione del pubblico berlinese lascia infatti supporre che almeno una parte degli spettatori identifichi le famiglie Capuleti e Montecchi di Sutermeister con quell’Est e quell’Ovest che hanno cominciato a scambiarsi «affondi e colpi»

(Ro-meo and Juliet, I, 1, 113). E interpreti l’opera nei termini di un ispirato

«manife-sto umanista»: «il trionfo dell’amore sulla politica distruttrice»30.

Varrà dunque la pena di grattare un poco la vernice “escapista” di Romeo

und Julia, andando probabilmente al di là delle stesse intenzioni di Sutermeister.

Gli elementi interessanti, sotto la superficie, non mancano, e correggono almeno in parte l’impressione di un’opera «tout amour, et tout l’amour», per dirla con Bellaigue. Prendiamo il primo quadro, che riscrive molto liberamente la prima scena della tragedia shakespeariana, trasformandola in un assalto dei Montecchi al palazzo dei Capuleti: ai personaggi si sostituiscono le masse, in una gigantesca zuffa annunciata da schiamazzi e rumori d’armi che si approssimano minacciosi da dietro le quinte (Allegro ed agitato). Scandito dalle grida terrorizzate delle donne veronesi, lo scontro si conclude come in Shakespeare con l’intervento sdegnato del Principe Escalus. Sutermeister compone una musica primitivista e ritmica alla Orff, siglata dal suono inquietante di un gong percosso con un battente metallico e solcata dai glissando delle voci e dei tromboni: musica mo-dernista per «bestie selvagge» – così le due fazioni rivali saranno apostrofate dal Principe nella traduzione di Schlegel31. Il palcoscenico infine si svuota per la-sciare il campo a Romeo e al suo vecchio servitore Balthasar. L’uscita in scena di

28 Dahlhaus, Implicazioni politiche cit., p. 246.

29 E. Levi, Opera in the Nazi Period, in Theatre Under the Nazis, a cura di J. London, Manches-ter University Press, ManchesManches-ter 2000, pp. 136-186: 165.

30 M. Kraus, Die musikalische Moderne an den Staatsopern von Berlin und Wien 1945-1989.

Paradigmen nationaler Kulturidentitäten im Kalten Krieg, J.B. Metzler, Stuttgart 2017, pp. 25-27.

31 Schlegel traduce infatti «Männer!? Nein: Wilde Tiere!» il rimprovero «You men, you be-asts!» dell’originale, in qualche modo intensificandolo (I, 1, 83). Per la traduzione del Romeo and

Juliet di Schlegel abbiamo utilizzato l’edizione primonovecentesca con testo a fronte della

Tempel-Verlag, Leipzig [s.a.] e quella a cura di D. Klose, Reclam, Stuttgart 20142 (basata sull’ultima edizio-ne pubblicata edizio-nell’arco della vita di Schlegel, edizio-nel 1843-1844).

Romeo è un esempio perfetto di quel gioco di incastri millimetrici con il testo di Shakespeare che avevamo evocato all’inizio, parlando del mélange wagneriano della colonna sonora di Ludwig II.

H. Sutermeister, Romeo und Julia W. Shakespeare, Romeo and Juliet

(trad. A.W. Schlegel) 3. Szene

Romeo nähert sich langsam von rechts.

BAlthAsAr

Gnädiger Herr...

romeo

Sag mir nichts, ich hört’ es alles schon. Haß gibt hier viel zu schaffen... Warum denn dieser Haß? Langsame Dämmerung. Für sich, sehr ruhig: Montague – – Capulet – – Was für ein Fluch auf diesem Hasse ruht! Und ich ein Montague... Was ist denn »Montague«? Es ist nicht Hand, nicht Fuß, nicht Arm noch Antlitz, noch ein anderer Teil,

der Menschen eignet...

Bedienter. Ei, gnädiger Herr, das wäre ein schlechter Koch [...] (IV, 2, 6)

romeo. [...] Ach, welch ein Streit war hier?

/ Doch sagt mir’s nicht, ich hört’ es alles schon. / Hass gibt hier viel zu schaffen, Li-ebe mehr. (I, 1, 174-175)

Prinz. [...] Wo sind sie, diese Feinde? –

Capulet! Montague! / Seht, welch ein Fluch auf eurem Hasse ruht, (V, 3, 290-291)

JuliA. [...] Was ist / Denn Montague? Es ist

nicht Hand, nicht Fuß, / Nicht Arm, noch Antlitz, noch ein andrer Teil / [Belonging to a man.] (II, 2, 40-42)

Come mostrano le parole sottolineate nella tabella, perfino le due insignifi-canti parole dell’imbeccata di Balthasar hanno una fonte potenziale: una scena del quarto atto, la conversazione tra Capuleti e un suo servo sui cuochi da ingag-giare per le nozze della figlia con il conte Paride. Poi Sutermeister ritorna al pri-mo atto, allo scambio tra Romeo e Benvolio («Non occorre che tu me lo dica, ho già sentito tutto»). Qui accade qualcosa di singolare, nella prospettiva di un’ope-ra che si vuole puun’ope-ramente “escapista”: Sutermeister potrebbe viun’ope-rare in direzione del tema amoroso semplicemente seguendo Shakespeare («Ci si dà molto da fare con l’odio, qui, ma più ancora con l’amore»), ma al contrario non intende affatto mollare la presa sullo scontro che ha animato la Piazza dei Signori, e sull’odio dei Capuleti e dei Montecchi che lo ha generato. Mette così insieme una fulminea “aria di sortita” per Romeo, un Andante mesto e riflessivo in La bemolle minore

che il personaggio intona a parte («tra sé»): i versi (leggermente ritoccati) appar-tengono addirittura alla conclusione della tragedia, dove sono pronunciati dal Principe di fronte ai cadaveri degli amanti («Capuleti, Montecchi, / guardate che maledizione è scesa sul vostro odio») [es. 1].

Nella sezione centrale di questa piccola forma chiusa (etwas fliessender, «un poco più scorrevole») Romeo si appropria dei versi celeberrimi di Giulietta sull’opposizione tra nominare ed essere («cos’è un Montecchi? / Non è una mano, un piede, un braccio, un volto, o qualunque parte di un uomo»), prima di tornare a intonare i duri versi del Principe.

I materiali musicali della sortita di Romeo, caricati di valenze “politiche”, non verranno dimenticati: rivivranno più avanti in un’aria vera e propria, quella di Julia. Si tratta di un altro Andante (in tempo d’una marcia funebre), una

me-Es. 1. Heinrich Sutermeister,

Romeo und Julia, I, 1 dopo

ditazione sconsolata sul destino che costringe la ragazza ad amare «il peggior nemico» della sua famiglia, basata su I, 5, 138-141 («Il mio unico amore nato dal mio unico odio! Uno sconosciuto / troppo presto visto e troppo tardi conosciu-to! / Nascita d’amore tra le più strane e rare, / che un odioso nemico io debba amare»), con un innesto dal sonetto 29 («When, in disgrace with fortune and men’s eyes») nella traduzione ottocentesca di Friedrich Bodenstedt32. Dissimu-lata all’interno dell’aria, la musica dell’Andante di Romeo ridiventa pienamente riconoscibile nella Verwandlung sinfonico-corale (ancora le «voci della notte» tra le quinte!) che ci traghetta dall’aria al Notturno della regina Mab [es. 2]. E che dunque ne ripropone implicitamente i temi, quasi a commento della

dispe-32 Cfr. il sonetto 56 in W. Shakespeare, Sonette, in deutscher Nachbildung von F. Bodenstedt, R. Decker, Berlin 1862, p. 71.

Es. 2. Heinrich Sutermeister,

Romeo und Julia, I, 6 dopo

Nel documento collana diretta da Franco Perrelli / 12 (pagine 193-200)