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Nel quale Gargiuvîn ha una sua esclamazione consueta

Nel documento Antonio Beltramelli. Gli uomini rossi. (pagine 23-30)

La gaia città del piano, sede degli avvenimenti ch'io narro, ospitava allora una combriccola di anarchici, gen-te di piacevole eccezione.

Detti anarchici non erano propriamente seguaci de l'etica patologica stirneriana, nè conoscevano l'utopisti-co l'utopisti-comunismo de l'Owen, o gli imperativi categorici del Bakounine e del Kropoktine; erano uomini semplici, fe-delissimi sudditi di Sua Maestà la miseria e amanti della libertà che trascina i figli suoi su la terra e sul mare sotto ali di fiamma.

I ben pensanti li chiamavano vagabondi; Augusto Re-gida, bello spirito gioviale, li diceva gli intellettuali del-lo strame; ed erano in realtà un po' de l'uno e de l'altro, in giusta misura.

[26]

Ora, capo della combriccola, era Gargiuvîn, omunco-lo deforme.

S'egli fosse nato nel Medioevo, avrebbe fatto fortuna allogandosi presso qualche Corte quale giullare. Nel se-colo de l'acciaio, la creatura del riso, si era votata alla

CAPITOLO III.

Nel quale Gargiuvîn ha una sua esclamazione consueta.

La gaia città del piano, sede degli avvenimenti ch'io narro, ospitava allora una combriccola di anarchici, gen-te di piacevole eccezione.

Detti anarchici non erano propriamente seguaci de l'etica patologica stirneriana, nè conoscevano l'utopisti-co l'utopisti-comunismo de l'Owen, o gli imperativi categorici del Bakounine e del Kropoktine; erano uomini semplici, fe-delissimi sudditi di Sua Maestà la miseria e amanti della libertà che trascina i figli suoi su la terra e sul mare sotto ali di fiamma.

I ben pensanti li chiamavano vagabondi; Augusto Re-gida, bello spirito gioviale, li diceva gli intellettuali del-lo strame; ed erano in realtà un po' de l'uno e de l'altro, in giusta misura.

[26]

Ora, capo della combriccola, era Gargiuvîn, omunco-lo deforme.

S'egli fosse nato nel Medioevo, avrebbe fatto fortuna allogandosi presso qualche Corte quale giullare. Nel se-colo de l'acciaio, la creatura del riso, si era votata alla

morte.

La gaiezza, allorchè persegue un uomo, gli fa un co-modo e ridevole nido nelle cose più scabre.

Gargiuvîn era piccolo e sciancato; le sue gambe di-vergevano talmente da formare il chiaro disegno di una X. Un viso pallido, magro, dagli occhietti arguti e mali-gni, aventi sempre un'espressione canzonatoria; i capelli tagliati a fratina e le orecchie dismisurate eran comple-mento a l'insieme.

Per questo gnomo, i poliziotti, le leggi e la moneta, erano impacci di cui si poteva far senza poichè rappre-sentavano avanzi di barbarie. La sua anarchia in queste tre istituzioni trovava i suoi punti cardinali.

Lo seguiva Arfàt, uomo alto e bitorzoluto dagli occhi piccolissimi e celesti. Arfàt aveva nella vita due odii:

l'acqua e le donne. Si era ascritto al partito anarchico militante [27] perchè doveva a Gargiuvîn cinque lire. Pa-gava di persona.

Essendo brutto e taciturno, le donne ed i fanciulli lo temevano, raccontando sul suo conto avventure orrende, delle quali il mite solitario avrebbe avuto per primo, somma paura.

Arfàt faceva lo spranghino ed era conosciuto da tutta la città, sì per l'arte sua come per il grido gutturale e in-dimenticabile.

Secondo, era Marcôn, piccola ed esaltata creatura, che assumeva pose profetiche. Portava a zazzera i capel-li sì che da questo suo costume e dai piccocapel-li occhi neri e dal naso lungo e puntuto, gli era nato il nomignolo di morte.

La gaiezza, allorchè persegue un uomo, gli fa un co-modo e ridevole nido nelle cose più scabre.

Gargiuvîn era piccolo e sciancato; le sue gambe di-vergevano talmente da formare il chiaro disegno di una X. Un viso pallido, magro, dagli occhietti arguti e mali-gni, aventi sempre un'espressione canzonatoria; i capelli tagliati a fratina e le orecchie dismisurate eran comple-mento a l'insieme.

Per questo gnomo, i poliziotti, le leggi e la moneta, erano impacci di cui si poteva far senza poichè rappre-sentavano avanzi di barbarie. La sua anarchia in queste tre istituzioni trovava i suoi punti cardinali.

Lo seguiva Arfàt, uomo alto e bitorzoluto dagli occhi piccolissimi e celesti. Arfàt aveva nella vita due odii:

l'acqua e le donne. Si era ascritto al partito anarchico militante [27] perchè doveva a Gargiuvîn cinque lire. Pa-gava di persona.

Essendo brutto e taciturno, le donne ed i fanciulli lo temevano, raccontando sul suo conto avventure orrende, delle quali il mite solitario avrebbe avuto per primo, somma paura.

Arfàt faceva lo spranghino ed era conosciuto da tutta la città, sì per l'arte sua come per il grido gutturale e in-dimenticabile.

Secondo, era Marcôn, piccola ed esaltata creatura, che assumeva pose profetiche. Portava a zazzera i capel-li sì che da questo suo costume e dai piccocapel-li occhi neri e dal naso lungo e puntuto, gli era nato il nomignolo di

Marcôn che, in dialetto romagnolo, significa cornacchia.

Prima di essere anarchico, Marcôn, per seguire la sua manìa divinatoria, diceva la ventura.

Egli era l'uomo della campagna. Quando l'udivano cantare di lontano le giovanette, gli anziani ch'erano a l'opera nei campi, correvano su la strada e l'aspettavano ridendo e gli battevano le mani in coro.

Per i contadini Marcôn era un filosofo [28] perchè sa-peva di lettere. Tale qualità gli era conferita da l'abito ch'egli avea di recar sempre seco una sdruscita coppia del Libro dei Sogni, ove erano gli alti insegnamenti di magia.

Per queste qualità e per altre che in seguito si espli-cheranno, Marcôn si era fitto in capo di avere avuto da Dio l'incarico di un apostolato e si era ascritto al partito degli anarchici.

Seguivano Schignòtt, Apulinèr e Don Vitupèri. Schi-gnòtt viveva dei rifiuti degli uomini e sdegnava l'elemo-sinare. Era quasi ignudo e portava il capo scoperto; un capo adorno da una folta criniera fulva, aggrovigliata, piena di lampeggiamenti cupi.

L'uomo scalzo amava la luce ed era taciturno.

Apulinèr e Don Vitupèri venivano ultimi. Un ortolano e un prete; un ortolano mattoide e un prete, ricco come deserti polari.

Tutta l'anarchia si riassumeva in questi sei tipi i quali non avrebbero minacciata neppur l'ombra di un uomo.

[29]

Pure, nella gaia città del piano, essi erano come il Marcôn che, in dialetto romagnolo, significa cornacchia.

Prima di essere anarchico, Marcôn, per seguire la sua manìa divinatoria, diceva la ventura.

Egli era l'uomo della campagna. Quando l'udivano cantare di lontano le giovanette, gli anziani ch'erano a l'opera nei campi, correvano su la strada e l'aspettavano ridendo e gli battevano le mani in coro.

Per i contadini Marcôn era un filosofo [28] perchè sa-peva di lettere. Tale qualità gli era conferita da l'abito ch'egli avea di recar sempre seco una sdruscita coppia del Libro dei Sogni, ove erano gli alti insegnamenti di magia.

Per queste qualità e per altre che in seguito si espli-cheranno, Marcôn si era fitto in capo di avere avuto da Dio l'incarico di un apostolato e si era ascritto al partito degli anarchici.

Seguivano Schignòtt, Apulinèr e Don Vitupèri. Schi-gnòtt viveva dei rifiuti degli uomini e sdegnava l'elemo-sinare. Era quasi ignudo e portava il capo scoperto; un capo adorno da una folta criniera fulva, aggrovigliata, piena di lampeggiamenti cupi.

L'uomo scalzo amava la luce ed era taciturno.

Apulinèr e Don Vitupèri venivano ultimi. Un ortolano e un prete; un ortolano mattoide e un prete, ricco come deserti polari.

Tutta l'anarchia si riassumeva in questi sei tipi i quali non avrebbero minacciata neppur l'ombra di un uomo.

[29]

Pure, nella gaia città del piano, essi erano come il

simbolo di ogni crudeltà, di ogni efferatezza onde non avveniva assassinio o furto, senza che la coscienza pub-blica ne li incolpasse.

Così, allorquando, con fulminea rapidità, si sparse fra gli abitanti della città repubblicana, la notizia della scomparsa di Europa, scomparsa che non si poteva ri-collegare con nessun plausibile amore tanto da determi-narne una fuga, la mente dei più ricorse a un atto di cru-deltà compiuto, per ignota e terribile vendetta, dalla tri-bù selvaggia degli anarchici.

Gian Battifiore, il quale non poteva per l'alta posizio-ne occupata in paese (disimpegnava la carica di sinda-co), iniziare piccole ricerche, il giorno stesso in cui la sua bella figlia aveva seguito chi sa quale sorte, adunò gli assessori del Comune, più intimi suoi, e con essi ten-ne consiglio.

Intervennero: Bortolo Sangiovese, Ardito Popolini, Tragico Arrubinati e Bartolomeo Campana.

Molto si parlò e molto si discusse, finchè, [30] data la perfetta oscurità nella quale la cosa era ancora avvolta, si decise attendere i primi risultati che avrebbe ottenuto la pubblica sicurezza.

Ciononostante il mondo repubblicano era messo ad alto rumore e corso dalle voci più disparate. Si parlava di una congiura dei clericali, di una vendetta di Monsi-gnor Rutilante. Solo il nome di Manso Liturgico non comparve poichè, del vero, nulla era ancora palese.

Fumo e bagliori rossigni esaltarono ed esasperarono i repubblicani i quali, quasi per coscienza continua di so-simbolo di ogni crudeltà, di ogni efferatezza onde non avveniva assassinio o furto, senza che la coscienza pub-blica ne li incolpasse.

Così, allorquando, con fulminea rapidità, si sparse fra gli abitanti della città repubblicana, la notizia della scomparsa di Europa, scomparsa che non si poteva ri-collegare con nessun plausibile amore tanto da determi-narne una fuga, la mente dei più ricorse a un atto di cru-deltà compiuto, per ignota e terribile vendetta, dalla tri-bù selvaggia degli anarchici.

Gian Battifiore, il quale non poteva per l'alta posizio-ne occupata in paese (disimpegnava la carica di sinda-co), iniziare piccole ricerche, il giorno stesso in cui la sua bella figlia aveva seguito chi sa quale sorte, adunò gli assessori del Comune, più intimi suoi, e con essi ten-ne consiglio.

Intervennero: Bortolo Sangiovese, Ardito Popolini, Tragico Arrubinati e Bartolomeo Campana.

Molto si parlò e molto si discusse, finchè, [30] data la perfetta oscurità nella quale la cosa era ancora avvolta, si decise attendere i primi risultati che avrebbe ottenuto la pubblica sicurezza.

Ciononostante il mondo repubblicano era messo ad alto rumore e corso dalle voci più disparate. Si parlava di una congiura dei clericali, di una vendetta di Monsi-gnor Rutilante. Solo il nome di Manso Liturgico non comparve poichè, del vero, nulla era ancora palese.

Fumo e bagliori rossigni esaltarono ed esasperarono i repubblicani i quali, quasi per coscienza continua di

so-spetto, si rivolsero al campo dei loro nemici, cercando almanaccare e costruire castelli inconsistenti. Gian Bat-tifiore, chiuso nel suo mutismo preferito, non prestò orecchio alle voci maligne e la polizia iniziò l'opera sua.

Stava Gargiuvîn, una sera, lavorando in compagnia di Plè, il suo vecchio cane dal pelame rossigno e dalla gran testa piagata.

Su una corniola finiva di tracciare la linea perfetta di un teschio; sua specialità questa poichè non aveva accet-tato mai di eseguire disegno differente.

[31]

Volgeva il crepuscolo. Si udivan dai sottostanti corti-li, stridori di girelle, acciottolii di stoviglie, voci di don-ne sussurrare e cantare; il cielo si tingeva in rosa su gli alberi lontani ed era violetto su tutto il mareggiare dei tetti.

Ad un tratto l'anarchico udì bussare con violenza alla porta sì che gridò:

- Chi è?

- Aprite! - rispose una voce rude. Gargiuvîn riconob-be il visitatore e si alzò sorridendo. Quand'ebriconob-be dischiu-so l'usciuolo grigio, cinque agenti di pubblica sicurezza si precipitarono nel suo stambugio con cipigli feroci ed atti di prudenza gladatoria.

Poi, il più anziano parlò:

- Voi siete Armando Ginni detto Gargiuvîn?

- Sicuro! - rispose l'anarchico levando il capo.

- Allora seguitemi.

- Per quale ragione?

spetto, si rivolsero al campo dei loro nemici, cercando almanaccare e costruire castelli inconsistenti. Gian Bat-tifiore, chiuso nel suo mutismo preferito, non prestò orecchio alle voci maligne e la polizia iniziò l'opera sua.

Stava Gargiuvîn, una sera, lavorando in compagnia di Plè, il suo vecchio cane dal pelame rossigno e dalla gran testa piagata.

Su una corniola finiva di tracciare la linea perfetta di un teschio; sua specialità questa poichè non aveva accet-tato mai di eseguire disegno differente.

[31]

Volgeva il crepuscolo. Si udivan dai sottostanti corti-li, stridori di girelle, acciottolii di stoviglie, voci di don-ne sussurrare e cantare; il cielo si tingeva in rosa su gli alberi lontani ed era violetto su tutto il mareggiare dei tetti.

Ad un tratto l'anarchico udì bussare con violenza alla porta sì che gridò:

- Chi è?

- Aprite! - rispose una voce rude. Gargiuvîn riconob-be il visitatore e si alzò sorridendo. Quand'ebriconob-be dischiu-so l'usciuolo grigio, cinque agenti di pubblica sicurezza si precipitarono nel suo stambugio con cipigli feroci ed atti di prudenza gladatoria.

Poi, il più anziano parlò:

- Voi siete Armando Ginni detto Gargiuvîn?

- Sicuro! - rispose l'anarchico levando il capo.

- Allora seguitemi.

- Per quale ragione?

- La saprete.

- Amo meglio saperla subito! - esclamò l'anarchico volgendo gli occhi a smorfia; [32] ma l'anziano che se ne avvide, disse, rivolto a' suoi:

- Prendetelo e ammanettatelo!

Già stavan per compir l'opera, i bravi, allorchè, ten-dendo le braccia, chiese Gargiuvîn, col suo miglior sor-riso:

- Voglio farvi una preghiera: Posso?

- Dite, presto! - rispose rudemente l'anziano.

- Prima di seguirvi - riprese l'anarchico - permettete provveda alla vita di Plè, mio affettuoso fratello.

Fattosi su le scale poi, chiamò a più riprese:

- Schignòtt? Schignòtt?

Una voce cavernosa rispose e, poco dopo, il pezzente si presentò su la porta.

- Ascolta Schignòtt! - riprese Gargiuvîn: - Io sono in-vitato da questi signori; forse rimarrò assente qualche giorno. In questo tempo ti affido il mio caro Plè. Abbine cura come fosse una tua pupilla, il tuo cibo prediletto.

(Non dico la tua amante perchè sei troppo brutto). Il suo pasto lo sai: quattro ossa al giorno: niente più perchè [33]

soffre di gastricismo. Non viziarmelo. Serbalo puro ed amalo!

Rivoltosi poi alle guardie, disse loro:

- Eccomi!

Queste lo presero in mezzo e, cianchettando ed ondu-lando, l'anarchico si avviò giù per le scale. Su la sua fac-cia pallida era un indefinibile sorriso di scherno.

- La saprete.

- Amo meglio saperla subito! - esclamò l'anarchico volgendo gli occhi a smorfia; [32] ma l'anziano che se ne avvide, disse, rivolto a' suoi:

- Prendetelo e ammanettatelo!

Già stavan per compir l'opera, i bravi, allorchè, ten-dendo le braccia, chiese Gargiuvîn, col suo miglior sor-riso:

- Voglio farvi una preghiera: Posso?

- Dite, presto! - rispose rudemente l'anziano.

- Prima di seguirvi - riprese l'anarchico - permettete provveda alla vita di Plè, mio affettuoso fratello.

Fattosi su le scale poi, chiamò a più riprese:

- Schignòtt? Schignòtt?

Una voce cavernosa rispose e, poco dopo, il pezzente si presentò su la porta.

- Ascolta Schignòtt! - riprese Gargiuvîn: - Io sono in-vitato da questi signori; forse rimarrò assente qualche giorno. In questo tempo ti affido il mio caro Plè. Abbine cura come fosse una tua pupilla, il tuo cibo prediletto.

(Non dico la tua amante perchè sei troppo brutto). Il suo pasto lo sai: quattro ossa al giorno: niente più perchè [33]

soffre di gastricismo. Non viziarmelo. Serbalo puro ed amalo!

Rivoltosi poi alle guardie, disse loro:

- Eccomi!

Queste lo presero in mezzo e, cianchettando ed ondu-lando, l'anarchico si avviò giù per le scale. Su la sua fac-cia pallida era un indefinibile sorriso di scherno.

Fra un formicolìo di fanciulli, di donne e di sfaccen-dati, l'improvvisato corteo giunse al corpo di guardia. Su la porta erano schierati, in due ali, alcuni poliziotti che tenevano a freno i curiosi.

- Largo! largo! - gridò l'anziano avanzando.

Fra un sussurio crescente, Gargiuvîn sbucò dalla fol-la; ma quando fu per entrare ne l'andito, si piantò su le gambe sbilenche, alzò il capo in comico atteggiamento, guardò in viso le guardie e gridò loro:

- Amici!... Son di ritorno!

Poi, fra un impeto improvviso di fischi, di urla e di ri-sate, scomparve dietro l'ombra della fiera legione.

[34]

Fra un formicolìo di fanciulli, di donne e di sfaccen-dati, l'improvvisato corteo giunse al corpo di guardia. Su la porta erano schierati, in due ali, alcuni poliziotti che tenevano a freno i curiosi.

- Largo! largo! - gridò l'anziano avanzando.

Fra un sussurio crescente, Gargiuvîn sbucò dalla fol-la; ma quando fu per entrare ne l'andito, si piantò su le gambe sbilenche, alzò il capo in comico atteggiamento, guardò in viso le guardie e gridò loro:

- Amici!... Son di ritorno!

Poi, fra un impeto improvviso di fischi, di urla e di ri-sate, scomparve dietro l'ombra della fiera legione.

[34]

CAPITOLO IV.

Nel documento Antonio Beltramelli. Gli uomini rossi. (pagine 23-30)