• Non ci sono risultati.

Il nome di Zeus nel Cratilo di Platone

Capitolo II: L’Agamennone: strategie linguistiche

II.I.III Il nome di Zeus nel Cratilo di Platone

Per approfondire l’analisi del nome di Zeus, è necessario fare riferimento alla proprosta etimologica di Platone che troviamo nel Cratilo. Abbiamo già visto che la questione da cui il Cratilo prende le mosse riguarda la correttezza dei nomi (ὀρθότης τῶν ὀνομάτων) e come in questa indagine Platone non tralasci il nome di Zeus (395e-396b). Siamo nella sezione dell’opera in cui Socrate esamina insieme ad Ermogene i nomi attribuiti secondo natura, che rispecchiano l’indole dell’essere a cui sono posti. Così, dopo aver etimologizzato il nome di Tantalo, dice:

‘φαίνεται δὲ καὶ τῷ πατρὶ αὐτοῦ λεγομένῳ τῷ Διὶ παγκάλως τὸ ὄνομα κεῖσθαι: ἔστι δὲ οὐ ῥᾴδιον κατανοῆσαι. ἀτεχνῶς γάρ ἐστιν οἷον λόγος τὸ τοῦ Διὸς ὄνομα, διελόντες δὲ αὐτὸ διχῇ οἱ μὲν τῷ ἑτέρῳ μέρει, οἱ δὲ τῷ ἑτέρῳ χρώμεθα— οἱ μὲν γὰρ ‘Ζῆνα,’ οἱ δὲ ‘Δία’ καλοῦσιν— συντιθέμενα δ᾽ εἰς ἓν δηλοῖ τὴν φύσιν τοῦ θεοῦ, ὃ δὴ προσήκειν φαμὲν ὀνόματι οἵῳ τε εἶναι ἀπεργάζεσθαι. οὐ γὰρ ἔστιν ἡμῖν καὶ τοῖς ἄλλοις πᾶσιν ὅστις ἐστὶν αἴτιος μᾶλλον τοῦ ζῆν ἢ ὁ ἄρχων τε καὶ βασιλεὺς τῶν πάντων. συμβαίνει οὖν ὀρθῶς ὀνομάζεσθαι οὗτος ὁ θεὸς εἶναι, δι᾽ ὃν ζῆν ἀεὶ πᾶσι τοῖς ζῶσιν ὑπάρχει: διείληπται δὲ δίχα, ὥσπερ λέγω, ἓν ὂν τὸ ὄνομα, τῷ ‘Διὶ’ καὶ τῷ ‘Ζηνί.’166

In questo passo risulta chiaro il percorso etimologico che abbiamo descritto in precedenza: Platone recupera da Esiodo167 ed Eschilo l’etimologia con ‘ὅν τε διὰ’, ‘διαὶ’, ma introduce un nuovo collegamento con il verbo ζῆν. Il nome di Zeus in greco ha una declinazione particolare: da un originario *Djēϝs- si ha il nominativo

166

“E pare che anche al padre di lui (Tantalo) che viene detto Δία il nome sia apposto benissimo: ma non è facile capirlo. In realtà il nome Δία è quasi come una frase, e dividendolo in due parti alcuni se ne servono di una e altri ci serviamo dell’altra, e così alcuni lo chiamano Ζῆνα altri Δία. Ma queste due parti fuse insieme rivelano la natura del nome che è appunto quello che noi sosteniamo, che un nome deve essere in grado di fare. Infatti non esiste per noi né per tutti gli altri uno che sia maggiormente causa dello ζῆν (“vivere”) se non chi è padrone e re di tutte le cose. Accade dunque che a ragion veduta questo dio sia chiamato colui mediante il quale (δι᾽ ὃν) il vivere (ζῆν) è proprio di tutti gli esseri viventi. Ma come ho detto il nome, che è uno solo, è stato diviso in due parti: Δία e Ζῆνα”.

167

Platone riprende il modello di Zeus esiodeo anche per descrivere il Demiurgo nel Timeo (vedi Regali M.,

~ 67 ~

Ζεύς perché -j-, davanti a vocale, si assimila con la dentale sonora in fricativa alveolare, poi il digamma si vocalizza e la prima vocale del dittongo

-ηυ-> -ευ- per la legge di Osthoff si abbrevia; al genitivo *Djϝos > -j- davanti a consonante si vocalizza e il digamma intervocalico cade, dando Διός. In questo modo Platone riconduce il nome di Zeus a due distinte etimologie possibili: Ζῆνα, connesso al verbo ζῆν168, e Δία, spiegato come colui per mezzo del quale (‘δι᾽ ὃν’) si realizza ogni cosa169. Così Zeus sarebbe ad un tempo causa e mezzo della vita di tutti i viventi. Socrate introduce l’etimologia di Zeus come paradigma della giusta corrispondenza fra natura della cosa e nome (‘παγκάλως τὸ ὄνομα κεῖσθαι’), ma tale corrispondenza non è facile capire (‘ἔστι δὲ οὐ ῥᾴδιον κατανοῆσαι’).

168

Cfr. Eur. Orest., 1635 ‘Ζηνὸς γὰρ οὖσαν ζῆν νιν ἄφθιτον χρεών’.

169

Cfr. Erga, v.4. Diogene di Apollonia (fr. II, 305, 20) spiega l’etimologia presentata da Platone: “Δία μὲν γὰρ δι’ ὃν τὰ πάντα, Ζῆνα δὲ καλοῦσιν παρ’ ὃν τοῦ ζῆν αἴτιός ἐστιν ἢ διὰ τοῦ ζῆν κεχώρηκεν”.

~ 68 ~

II.II: Elena

Un altro personaggio interessante per l’analisi linguistica dell’Agamennone è Elena, figura centrale nella tragedia in quanto, sebbene non presente in scena, è considerata la causa scatenante del dramma argivo. Questa sua centralità è sottolineata ed esaltata tramite un’attenta riflessione etimologica relativa al suo nome che Eschilo avanza in modo puntuale nel II stasimo. Prima di tale riflessione, tuttavia, nella tragedia sono presenti altri richiami ad Elena; osserviamoli in breve. Il primo riferimento ad Elena si ha al v. 62, dove il coro parla della partenza di Agamennone e Menelao verso Troia per combattere la guerra sorta ‘πολυάνορος ἀμφὶ γυναικός’. Con questo nesso Eschilo segnala la responsabilità di Elena vista come causa di guerra, una responsabilità spesso ribadita nell’Iliade tramite espressioni come ‘κύων κακομηχάνου ὀκρυοέσσης’ (VI 344)170. Significativa importanza in questo nesso assume l’epiteto πολυάνωρ, che troviamo attestato nel senso di “popoloso” negli Uccelli di Aristofane (v. 1313)171. In Eschilo il significato dell’epiteto è diverso e richiama la nota bigamia di Elena172. La radice di ἀνήρ, ripetuta una seconda volta nel nome Ἀλέξανδρος (v. 61) e che ritroveremo nell’etimologia del nome di Elena173, evidenzia il legame di Elena con gli uomini, in particolare con Paride, e le pene che provoca loro. Nuovamente Eschilo accosta

170

Cfr. Roisman H.M., Helen in the « Iliad »: «causa belli» and victim of war, <<American Journal of Philology>>, v. 127(1), 1-36 2006.

171 Cfr. Dunbar N., Aristophanes, Birds. Edited with introduction and commentary by Nan Dunbar, Oxford

1995, nota al verso.

172

Già Esiodo (fr. 176 M-W) parla delle molteplici nozze di Elena. Anche Stesicoro nel fr. 223 Davies dice: ‘οὕνεκα Τυνδάρεος/ ῥέζων ποκὰ πᾶσι θεοῖς μόνας λάθετ’ ἠπιοδώρου/ Κύπριδος· κείνα δὲ Τυνδαρέου κόρας/ χολωσαμένα διγάμους τε καὶ τριγάμους τίθησι/ καὶ λιπεσάνορας’. La poligamia delle Tindaridi è così motivata dalla rabbia di Afrodite, trascurata da Tindaro durante un sacrificio. Sui versi di Stesicoro vedi Willi A., Sikelismos: Sprache, Literatur und Gesellschaft im griechischen Sizilien (8.-5. Jh. v. Chr.), Basel 2008, pp. 51-118.

173

~ 69 ~

Elena ad un ἀνήρ ai vv. 403-26, dove narra il ratto della donna, l’abbandono del talamo nuziale e le sofferenze che la sua partenza reca a Menelao174:

‘λιποῦσα δ᾽ ἀστοῖσιν ἀσπίστοράς τε καὶ κλόνους λογχίμους ναυβάτας θ᾽ ὁπλισμούς, ἄγουσά τ᾽ ἀντίφερνον Ἰλίῳ φθορὰν βέβακεν ῥίμφα διὰ πυλᾶν ἄτλητα τλᾶσα: πολλὰ δ᾽ ἔστενον τόδ᾽ ἐννέποντες δόμων προφῆται: ‘ἰὼ ἰὼ δῶμα δῶμα καὶ πρόμοι, ἰὼ λέχος καὶ στίβοι φιλάνορες. πάρεστι σιγὰς ἀτίμους ἀλοιδόρους ἄλγιστ᾽ ἀφημένων ἰδεῖν. πόθῳ δ᾽ ὑπερποντίας φάσμα δόξει δόμων ἀνάσσειν. εὐμόρφων δὲ κολοσσῶν ἔχθεται χάρις ἀνδρί: ὀμμάτων δ᾽ ἐν ἀχηνίαις ἔρρει πᾶσ᾽ Ἀφροδίτα. ὀνειρόφαντοι δὲ πενθήμονες πάρεισι δόξαι φέρου- σαι χάριν ματαίαν. μάταν γάρ, εὖτ᾽ ἂν ἐσθλά τις δοκῶν ὁρᾷ, παραλλάξασα διὰ χερῶν βέβακεν ὄψις οὐ μεθύστερον πτεροῖς ὀπαδοῦσ᾽ ὕπνου κελεύθοις.’175 174

Esamina questi versi Ghali-Kahil L.B., Les enlèvements et le retour d'Hélène dans les textes et les

documents figurés, Parigi 1955, pp. 123-5. Sul ratto di Elena in generale vedi l’introduzione di Orsini P., in Collouthos. L’enlèvement d’Hélène, Paris 1972, pp. VII-XXVII.

~ 70 ~

L’aggettivo μάταιος, seguito dall’avverbio μάταν, rende l’idea dell’inconsistenza dell’immagine di Elena, ormai lontana dalla casa di Menelao, e il suo carattere falso, ingannevole, menzognero176. Elena qui presentata è sì la vittima della passione di Paride che scatena la guerra “per una donna non sua” (v. 448 s.), ma anche colei che decide di fuggire, “osando ciò che non è lecito”, portando sofferenze e morte ai Troiani. È particolare il fatto che qui Elena sia associata ad una divinità, in quanto l’avverbio ῥίμφα177 (v. 407) solitamente indica la celerità con cui una dea fugge via. Il termine si trova solo nell’epica, dove abbraccia il significato di ταχέως e ῥαιδίως, e in Pindaro in riferimento alle dee178. Dunque Eschilo sta associando Elena ad una divinità, com’è palese al v. 419 dove Elena è chiaramente legata ad Afrodite a cui l’accomuna la bellezza che trapela dal suo sguardo e incanta chi si imbatte nei suoi occhi179. Pochi versi dopo viene descritta come un fantasma (φάσμα) che compare nei sogni di Menelao e tormenta le sue notti; si potrebbe leggere un accenno all’ εἴδωλον di Stesicoro180. Elena lascia dietro di sé morte, dolore e desolazione, gettando Menelao nell’umiliazione e nel

175

“Ed essa, lasciando ai cittadini/ tumulto di scudi e imboscate, e navi in assetto di guerra,/ uscì leggera dalle porte, osando ciò che non è lecito,/ e portò con sé a Ilio invece della dote/ la morte. E molto gemevano i profeti della casa/ gridando: ‘iò iò reggia! Reggia! Sovrani!/ iò talamo e passi guidati da amore/ sulle tracce di un uomo!/ Ho negli occhi il silenzio umiliato,/ senza rimprovero, incredulo,/ di chi patì l’abbandono./ E nel rimpianto della sposa ormai oltre mare/ un fantasma sembrerà regnare sulla reggia. Lo sposo/ detesta la grazia delle belle statue:/ in assenza dei suoi occhi/ si è dileguata Afrodite./ Sopraggiungono immagini di sogno dolorose,/ recando consolazione: vanamente/ la cara sembianza appare/ e sfugge dalle mani,/ per scomparire subito/ lungo i sentieri alati del sonno”.

176 Cfr. Bettini M.-Brillante C., Il mito di Elena. Immagini e racconti dalla Grecia ad oggi, Torino 2002, p. 114

ss.

177

Cfr. O’Sullivan J.N., “ῥίμφα”, in Snell B., Lexikon des frühgriechischen Epos, vol. 4, Göttingen 2006.

178 Cfr. Pindaro, fr. 70b Maehler dove si parla di Artemide. 179

Cfr. Il. III, 156-60. Qui i Troiani, vedendola sulle mura, la definiscono simile ad una dea, ma in antichità trovarsi faccia a faccia con una divinità comportava il pericolo di restare ciechi o ricevere una punizione, come dimostra l’episodio di Anchise in H. Ven. 181-90.

180

Sul problema dell’ εἴδωλον la bibliografia è vasta. A partire dall’antichità già il peripatetico Cameleonte (fr. 193 PMG) aveva segnalato l’esistenza di due palinodie, la prima delle quali contro Omero che aveva descritto Elena a Troia e non la sua immagine, l’altro invece contro Stesicoro. Indaga sulla palinodia Arrighetti, op. cit. (1987), p. 58 ss.; Pallantza E., Der Troische Krieg in der nachhomerischen Literatur bis zum

~ 71 ~

rimpianto della sposa di cui rimane soltanto un’immagine onirica, un fantasma che sfugge e non si lascia catturare. Già in questa sezione lirica si percepisce il significato del nome di Elena, come se Eschilo volesse anticipare l’etimologia che verrà presentata in modo più esplicito nei versi successivi (v. 688 s.). Infatti si parla dei cittadini e delle navi la cui distruzione è provocata dalla fuga della donna e il coro si augura di non essere mai “distruttore di città” (v. 472 ‘μήτ᾽ εἴην πτολιπόρθης’)181. Ma la figura di Elena è qui solo evocata attraverso il ricordo della sua colpa, non viene ancora nominata; queste anticipazioni sono funzionali al momento in cui il nome compare con tutta la sua potenza semantica182. Ella è “la funesta compagna e funesta abitante/ inviata da Zeus protettore dell’ospite,/ un’Erinni che causa pianto alle spose”, dunque uno strumento divino di cui Zeus si serve per trarne vendetta dell’offesa ricevuta, riducendo in polvere Troia (vv. 823 ss.).

Nel secondo stasimo dell’Agamennone troviamo un altro interessante esempio dell’uso dell’etimologia in Eschilo. Il coro ha terminato il suo dialogo con l’araldo a cui aveva chiesto notizie in merito al ritorno di Menelao. Di questi non si hanno notizie e se ne teme la morte insieme a quella di tutto l’esercito acheo. Dopo la tragica descrizione del naufragio, il popolo argivo intona il suo canto contro la donna causa di tanti lutti:

‘τίς ποτ᾽ ὠνόμαζεν ὧδ᾽ ἐς τὸ πᾶν ἐτητύμως— μή τις ὅντιν᾽ οὐχ ὁρῶμεν προνοί- αισι τοῦ πεπρωμένου γλῶσσαν ἐν τύχᾳ νέμων;— τὰν δορίγαμβρον ἀμφινει- 181

Cfr. Earp, op. cit., pp. 39-53 per l’analisi delle parole rare usate da Eschilo.

182

Una stessa tecnica è evidente anche in Sept. 472 ss. dove il nome di Polinice viene menzionato da Eschilo dopo la descrizione dell’eroe stesso. Cfr.Dawson C.M., Aeschylus, The Seven against Thebes, a translation with commentary by Christopher M. Dawson, London 1970, p. 72.

~ 72 ~ κῆ θ᾽ Ἑλέναν; ἐπεὶ πρεπόντως ἑλένας, ἕλανδρος, ἑλέ- πτολις, ἐκ τῶν ἁβροτίμων προκαλυμμάτων ἔπλευσε ζεφύρου γίγαντος αὔρᾳ, πολύανδροί τε φεράσπιδες κυναγοὶ κατ᾽ ἴχνος πλατᾶν ἄφαντον κελσάντων Σιμόεντος ἀ- κτὰς ἐπ᾽ ἀεξιφύλλους δι᾽ ἔριν αἱματόεσσαν’183. (vv. 681-96)

Qui Eschilo dà un’ulteriore dimostrazione di raffinatezza narrativa: costruisce un enigma il cui soggetto, il creatore del nome, rimane nascosto il più a lungo possibile e viene svelato solo alla fine di un’interrogativa, spezzata da una parentetica184. Ritorna il ritmo trocaico dell’ “inno” a Zeus, ulteriore spia del fatto che qui il coro sta di nuovo cercando le motivazioni della guerra di Troia, in questo caso attraverso il fascino distruttore dell’eroina.

Al v. 689 s. Eschilo propone la sua etimologia: ἑλένας, ἕλανδρος, ἑλέ-/πτολις. Il nome ‘Elena’ è connesso alla radice ἑλ- nell’accezione di "prendere, distruggere"185. Molti editori, tra cui Blomfield, mantengono la forma ἑλέναυς, perché sono dell’idea che un dorismo come ἑλένας sarebbe inopportuno in una

183

“Chi mai diede il nome/ in modo così profondamente vero/ -forse qualcuno che noi non vediamo,/ che con prescienza di ciò ch’è destinato/ muove la lingua cogliendo nel segno?-/ a Elena, la sposa conquistata con la lancia,/ la donna per la quale si contende?/ Perché tenendo davvero fede al proprio nome/ ella salpò al soffio di uno Zefiro gagliardo,/ lasciando le morbide e preziose cortine del talamo/ per essere distruttrice di navi, di uomini, di città;/ e innumerevoli cacciatori in armi la seguirono/ sulle orme invisibili dei remi/ di loro ch’erano approdati/ alle boscose rive del Simoenta/ ad opera della sanguinosa Contesa”.

184

Anche Democrito (68 B 26 DK) e Platone (Crat. 388d-389a) si interrogano su chi dia i nomi, chi sia il nomoteta. Cfr. Ademollo, op. cit. (2009), pp. 15-73; Aronadio F., Plato, Cratilo, introduzione e traduzione di Francesco Aronadio, Bari 1996; Sedley, op. cit. (2003).

185

~ 73 ~

spiegazione etimologica come questa. Fraenkel186 si limita a menzionare l'esistenza delle due forme e a dire che -νᾶς è l’equivalente dorico di -ναῦς. Tra gli editori recenti, Groeneboom, che stampa ἑλέναυς, si chiede se il dorismo non debba essere conservato in connessione con Μενέλας (osservazione già fatta da Verrall)187. Negazione di Menelao, Elena è ugualmente, in questo testo, quella di Paride: infatti il nome del Troiano è ripreso dall’aggettivo ἕλανδρος che è la negazione di Ἀλέξανδρος, il "protettore"188.

In una climax ascendente è descritto l’annientamento delle navi, degli uomini e delle intere città, senza alcuna possibilità di salvezza. Ἑλένη (ἑλέναυς) è ἀμφινεικής, l’oggetto della terribile contesa che non si limita ai soli due pretendenti Menelao e Paride, ma riguarda le rispettive città. È l’oggetto del desiderio che attrae ma nello stesso tempo intimorisce e porta morte, come testimonia la strofa γ: ‘πάραυτα δ᾽ ἐλθεῖν ἐς Ἰλίου πόλιν λέγοιμ᾽ ἂν φρόνημα μὲν νηνέμου γαλάνας, ἀκασκαῖον δ᾽ ἄγαλμα πλούτου, μαλθακὸν ὀμμάτων βέλος, δηξίθυμον ἔρωτος ἄνθος. παρακλίνασ᾽ ἐπέκρανεν δὲ γάμου πικρὰς τελευτάς, δύσεδρος καὶ δυσόμιλος συμένα Πριαμίδαισιν, πομπᾷ Διὸς ξενίου, 186 Ibid. 187

Per una consultazione di queste fonti vedi Bollack et Judet de La Combe, op. cit., p. 31 s.; Kovacs D., Why

is Helen fitly named? (Aesch. Ag. 681-692), <<Eikasmos>> XI (2000), pp. 71-2.

188

~ 74 ~

νυμφόκλαυτος Ἐρινύς’189. (vv. 737-49)

E’ inquietante l’ambiguità del personaggio, non perché in Elena alberghino sentimenti opposti, ma solo perché lei nasconde la propria pericolosità sotto un aspetto rassicurante190. L’arrivo di Elena a Troia è accompagnato da una serenità quasi gioiosa, che coinvolge l’intera città. La sua bellezza, evocata attraverso il fascino esercitato dagli occhi, può destare turbamento, ma questo è di un genere che accompagna naturalmente la nascita del desiderio d’amore. Segue poi una repentina metamorfosi191: il personaggio cambia natura, le sue nozze hanno un esito funesto. Da amata sposa si trasforma in rovinosa compagna, che si abbatte sulla casa di Priamo come uno spirito vendicatore inviato da Zeus; assume allora il volto delle Erinni al servizio della divinità suprema garante di giustizia. Alla caratterizzazione negativa di Elena viene dato risalto attraverso il prefisso negativo δύσ-, δύσεδρος καὶ δυσόμιλος192. Come in Omero, il nome evoca distruzione e morte, ma diversamente dall’epica il suo coinvolgimento implica una responsabilità personale. Il nome non si limita a ricordare gli eventi luttuosi da lei provocati, ma riflette la natura stessa del personaggio, come se colui che le conferì

189

“Potrei dire che in principio venne alla città d’Ilio/ una sensazione di sereno senza vento,/ un gentile ornamento di ricchezza,/ un dolce dardo degli occhi,/ un fiore d’amore che pungeva il cuore./ Ma poi, cambiando all’improvviso, portò a termine/ un amaro compimento delle nozze,/ avventandosi contro i Priamidi,/ funesta compagna e funesta abitante/ inviata da Zeus protettore dell’ospite,/ un’Erinni che causa pianto alle spose”.

190

Quest’ambiguità di Elena è forse il retaggio di affrontare la realtà da molteplici prospettive, esaminata in Esiodo da Rowe C.J., 'Archaic Thought' in Hesiod, <<JHS>> 103 (1983), pp. 124-135. Anche Pandora (Th. 570 ss.; Erga 42 ss.) in fondo è un καλόν κακόν e in questo può essere comparata ad Elena. Sulle due diverse immagini che Esiodo ci fornisce di Pandora cfr. Calabrese De Feo M.R., La duplice fisionomia di Pandora in

Esiodo, in Arrighetti G., Poesia Greca, Pisa 1995, pp. 101-121.

191

Al v. 744 il verbo παρακλίνω connota il mutamento come una pericolosa devianza.

192 Lo stesso prefisso negativo ricorre in Il. III, 39, quando Ettore si rivolge a Paride con l’epiteto Δύσπαρις.

Quest’appellativo ricorre anche in Alcmane fr. 97 Davies (cfr. Calame C, Alcman. Fragmenta, edidit Veterum testimonia collegit Claudius Calame, Roma 1983); Hec. 944 s.; IA 1316. Sull’etimologia del nome di Paride vedi Di Giuseppe L., Euripide, Alessandro, Lecce 2012, p. 58 s.; Wilson J.R., The Etimology in Euripides,

Troades 13-14, <<AJPh>> 89 (1968), pp. 67-71; Kannicht, op. cit., pp. 20-22; Suter A.C., Paris/Alexandros: a study in homeric techniques of characterization, Ann Arbor (Mi.) 1984, p. 57 s. È interessante sottolineare

che la negatività di Paride è un elemento radicato nella sua stessa natura, come si evince dal prologo dell’Alessandro di Ennio (fr. XVIII Jocelyn) in cui si narra il sogno di Ecuba di dare alla luce la fiaccola che avrebbe distrutto Troia.

~ 75 ~

tale appellativo avesse conosciuto il futuro a cui era destinata. Il nome di Elena contiene dunque in sé un presagio di rovina, lutto, sangue, contese mortali: è lei la causa della decennale guerra di Troia. Ritorna il concetto dell’ ὀρθότης, della correttezza del nome assicurata dall’origine divina del nome. Tra il nome e l’oggetto si riconosce una rispondenza puntuale che solo chi conosce il futuro e il destino dell’uomo può stabilire, chiamandolo in modo veritiero (ἐτητύμως e πρεπόντως), e questa consapevolezza è rafforzata dall’interrogazione del v. 683, introdotta dalla particella μή che presuppone una risposta affermativa.

Euripide nelle Troiane ripropone la stessa etimologia del nome di Elena, seppur non esplicita193. Ai vv. 892 ss. Ecuba dice

‘αἱρεῖ γὰρ ἀνδρῶν ὄμματ᾽, ἐξαιρεῖ πόλεις, πίμπρησιν οἴκους: ὧδ᾽ ἔχει κηλήματα ἐγώ νιν οἶδα, καὶ σύ, χοἱ πεπονθότες.’ 194

La regina troiana non parla della distruzione delle navi perché non poteva sapere cosa sarebbe accaduto alla flotta greca di ritorno a Troia. Per il resto il richiamo all’Agamennone è del tutto chiaro: ‘αἱρεῖ…ἀνδρῶν ὄμματα’ suggerisce ‘ἕλανδρος’ eschileo195. Anche Gorgia196, nel tentativo di riabilitare la figura di Elena e screditare le accuse imputatele, fa riferimento al nome della donna e al destino che esso presagisce (82 B 11, 2 DK):

193

Sul personaggio di Elena nelle Troiane vedi Lloyd M., The Helen Scene in Euripides' Troades, <<The Classical Quarterly>>, New Series, Vol. 34, No. 2 (1984), pp. 303-313.

194 “Cattura infatti gli sguardi degli uomini, distrugge le città,/ incendia le casa: tali incantesimi ella

possiede./ Io la conosco, anche tu e quanti hanno sofferto” (trad. E. Cerbo). L’occhio di Elena è un elemento distintivo anche in Gorgia (Encomio di Elena, 19) e Teocrito (Idillio 18). Cfr.Paduano G., Gorgia, Encomio di

Elena, a cura di Guido Paduano, Napoli 2004, p. 39; Palumbo Stracca B.M., Teocrito, Idilli ed epigrammi;

introduzione, traduzione e note di Bruna M. Palumbo Stracca, Milano 1993, p. 308 s.

195

Anche Esiodo nel Catalogo delle donne (frr. 196-204 M-W) parla della forza attrattiva di Elena e del desiderio che suscita negli uomini. Cfr. Hirschberger M., Gynaikon Katalogos und Megalai Ehoiai: ein

Kommentar zu den Fragmenten zweier hesiodeischer Epen, München 2004, pp. 397-426.

196

~ 76 ~

‘τοῦ δ’ αὐτοῦ ἀνδρὸς λέξαι τε τὸ δέον ὀρθῶς καὶ ἐλέγξαι τοὺς μεμφομένους Ἑλένην, γυναῖκα περὶ ἧς ὁμόφωνος καὶ ὁμόψυχος γέγονεν ἥ τε τῶν ποιητῶν ἀκουσάντων πίστις ἥ τε τοῦ ὀνόματος φήμη, ὃ τῶν συμφορῶν μνήμη γέγονεν’.197

Qui Gorgia adduce come causa della cattiva fama che contraddistingue Elena nella tradizione, non le azioni da lei commesse, ma la φήμη, il malagurio del suo nome, destinato ad essere memoria di sventura. Ritroviamo qui alcuni termini che abbiamo già incontrato nell’Agamennone: μνήμη, “la memoria”, che nella tragedia viene spesso collegata ad Elena, memore dei mali e causa di essi; ὀρθῶς, qui non usata per confutare la correttezza del nome ma, al contrario, come garante della veridicità del λόγος di Gorgia che mette in dubbio l’etimologia di esso.

Elena in Eschilo è una figura che sconfina al di là dell’umano. Lei è ‘νυμφόκλαυτος Ἐρινύς’ e deve essere maledetta come ‘παράνους Ἑλένα’. E tuttavia il suo potere irresistibile e la dolcezza delicata della sua colpa, che sembra naturale e innocente come gioco di un bambino felice, non sono mai stati lodati in modo più commovente: ‘ἔθρεψεν δὲ λέοντος ἶ- νιν δόμοις ἀγάλακτον οὕ- τως ἀνὴρ φιλόμαστον, ἐν βιότου προτελείοις ἅμερον, εὐφιλόπαιδα καὶ γεραροῖς ἐπίχαρτον. πολέα δ᾽ ἔσχ᾽ ἐν ἀγκάλαις νεοτρόφου τέκνου δίκαν, φαιδρωπὸς ποτὶ χεῖρα σαί- 197

“Chi si assume il compito di affermare rettamente il dovuto, deve anche confutare gli accusatori di Elena, una donna sul conto della quale è stata unanime e concorde sia la convinzione di quanti hanno ascoltato i poeti, sia la fama derivata dal suo nome, che richiama sventure”.

~ 77 ~

νων τε γαστρὸς ἀνάγκαις’ . (vv. 717-26)198

In questi versi Elena è paragonata ad un tenero cucciolo di leone che cresce mansueto fra la gente, ma che presto si rivela un terribile predatore quale impone la sua natura199. La similitudine rende esplicita le caratteristiche di Elena, seduttrice e devastatrice. Inoltre, in tutta l’Orestea il leone è una figura che agisce come strumento vendicativo delle Erinni200; in questo modo la similitudine diventa motivo conduttore di tutta la trilogia.

Bisogna precisare che non tutti gli studiosi riconoscono Elena nel leoncino. Per Hoving201 la similitudine si applica ugualmente a Paride, come ritengono gli studiosi antichi202. Sostenitore di questa tesi è anche Schulz203 che mette a confronto la tenerezza e dolcezza del leoncino con la descrizione effeminata di Paride, un uomo che appare affascinante ma che in realtà provoca la distruzione della città, ritratto trasmessoci fin da Omero204. Inoltre il suo è l’ultimo nome ad essere menzionato prima della similitudine. Ma queste interpretazioni sono rimaste isolate. Knox205 sottolinea l’importanza di questa immagine che “si presenta come un’ unità separata, formalmente delimitata dal suo contesto, ma la

198 “Così una volta un uomo/ allevò in casa sua un leoncino/ non allattato dalla madre, avido ancora della

mammella,/ mansueto nei primi tempi della sua vita/ amico dei bambini/ e delizia degli anziani;/ spesso stava fra le loro braccia,/ come un bimbo piccolo,/ guardando con occhio lucente la mano/ e pronto a far le feste/ spinto dall’impulso del ventre”.

199

Cfr. Aristoph. Ra. 1431a-32 e Plato, Gorgia 483. Nelle Rane Eschilo definisce Alcibiade “leone”, in quanto, analogamente ad Elena, è inquietante e potenzialmente pericoloso per la città. Sull’uso delle similitudini con animali in Eschilo vedi Stanford, op. cit. (1942), p. 89 s.

200

e.g. Ag. 1258 s.; 1224; Choeph. 717 s.; 733-6; Eum. 193 s.; 355 s.

201

Hoving W., Studiën over Aeschylus' Agamemnon, Purmerend, 1928, pp. 107-113.

202 Demetrio Triclinio nello scolio al v. 717 dice: ‘τὸν Ἀλέξανδρον λέγει’. 203

Schulze F., De imaginibus et figurata Aeschyli elocutione, Halberstadt 1854, 18-9 seguito da Nappa C.,

"Agamemnon" 717-36: The Parable of the Lion Cub, <<Mnemosyne>>, Vol. 47, Fasc. 1 (Feb., 1994), p. 85.

Documenti correlati