Prestare ascolto alle mere emozioni può comportare il rischio di dare una diretta rilevanza agli oggetti delle
emozioni, assecondandone anche la possibile
“irrazionalità”.
Senza addentrarci in questa sede nel dibattito avente ad oggetto la maggiore o minore razionalità propria del fenomeno emotivo129, ci limitiamo ad osservare come uno dei moniti più acuti contro il rischio di avallare giuridicamente istanze irrazionali, per mezzo di politiche pubbliche di tipo “emozionale”, provenga da una studiosa autrice di un rilevante contributo di studio per la rivalutazione del ruolo cognitivo, e non meramente irrazionale, delle emozioni. È proprio Martha Nussbaum che, muovendo dalla profonda rilevanza del fattore
128 R.DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, op. cit., p. 125.
129 Data la vastità del tema, ci limitiamo a segnalare, quale introduzione al problema della razionalità delle emozioni, al saggio di C. CALABI, Che cosa hanno in comune l’amore, il disprezzo e l’assassinio premeditato? Emozioni, basi cognitive e razionalità, in AA. VV., a cura di T. Magri, Filosofia ed emozioni, Milano, 1999, pp. 51 ss.; della stessa autrice, v. anche EAD., Le varietà del
sentimento, op. cit., pp. 258 ss.; cfr. M. NUSSBAUM, L’intelligenza
emozionale nel diritto (v. supra), ritiene doverosa una “selezione” delle emozioni a cui possa essere “prestato ascolto” quali fattori tali da poter influire positivamente nella normazione di un sistema liberale.
La prospettiva che viene delineata implica che si valutino i fondamenti cognitivo razionali delle emozioni al fine di poter verificare se la trasposizione in dettami normativi sia compatibile con i principi di una società democratica e liberale. Nel complesso, il panorama descritto non nega la possibilità di un positivo apporto dei fenomeni emotivi al mondo del diritto: afferma però l’esigenza di un’analisi e una selezione.
La necessità di un filtro normativo, ossia di un passaggio di confronto fra l’emozione in senso psicologico, i suoi fondamenti cognitivi e i presupposti che si assumono a fondamento di un sistema liberale, risulta essenziale anche per emozioni ritenute in grado di fornire un positivo apporto nella dimensione sociale. La compassione, emozione pur appropriata, “è inaffidabile e
parziale”, e il suo “impiego”, quale principio ispiratore di un sistema di istituzioni poste a regolamentazione della vita pubblica “non può fornire nulla di concreto se non è
saldamente ancorata a una concezione di beni fondamentali”130.
Nella concezione della Nussbaum, l’etica pubblica non si fonda su una matrice puramente emotiva: anche un fenomeno psicologico “positivo” deve essere messo in condizione di operare all’interno di un determinato assetto di valori: la compassione, ove spontanea, può essere comunque “guidata”, mentre quella non spontanea “è
plasmata dalle strutture sociali e giuridiche”. L’idea di fondo è quella di una società che possa sì assecondare gli
interessi dei cittadini, ma che debba soprattutto
promuovere l’educazione al rispetto di diritti
fondamentali131.
Per la Nussbaum, la valorizzazione delle emozioni va inserita all’interno di un contesto di cui sono parte costitutiva diritti e doveri: diritti di libertà e doveri di reciproco rispetto. I diritti non derivano da emozioni: un ascolto critico delle emozioni può gettare luce su pretese di riconoscimento di diritti, contribuendo altresì ad evidenziare la necessità di limiti, ove l’emozione costituisca il riflesso di concezioni prevaricatorie. Vi sono infatti emozioni portatrici di una carica discriminatoria, come il disgusto, il quale è dominato da una componente di irrazionalità poiché si lega ad idee di contaminazione e ad un rifiuto dell’animalità (e dunque della limitatezza e della mortalità) umane, inducendo a prediligere un’immagine fittizia dell’essere umano, che conduce alla emarginazione e alla stigmatizzazione di ciò che può risultare “anomalo” o “diverso” 132. Il disgusto rappresenta un emozione da non assecondare: “ciò di cui c’è bisogno,
allo stato dei fatti, è una concezione politica della persona che tragga un senso dal fatto che tutti abbiamo corpi mortali e che per qualche verso e in diversa misura ci
131 M.NUSSBAUM, L’intelligenza, op. cit., pp. 507 ss.; da ultimo, v. EAD. Not for profit, Princeton, 2010, pp. 27 ss.
132 Il disgusto può rivolgersi ad oggetti primari, e risulta in questo senso quasi riconducibile ad una reazione di fronte ad un pericolo (viene fatto l’esempio del senso di repulsione che l’uomo prova di fronte alle feci, in quanto potenziali vettori di agenti infettanti), oppure può rivolgersi ad oggetti “socialmente mediati”, intendendo quell’emozione negativa che si può provare nei confronti dei membri di cosiddetti “gruppi impopolari” (minoranze razziali, ebrei, omosessuali): v. M. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità, op.
troviamo tutti in stato di bisogno e siamo tutti disabili”. Da ciò la critica a leggi che adducano quale disvalore la mera turbativa, ossia la sensazione, reale o potenziale, di disgusto che un soggetto possa provare. Si contesta, in altri termini, l’idea secondo cui il mero disgusto possa costituire un danno tale da legittimare un intervento di coercizione legale, dovendosi invece ricercare forme di disvalore legate alla lesione della pari dignità sotto forma di umiliazioni e discriminazioni133.
È attraverso il filtro di principi normativi che le emozioni possono divenire un eventuale referente per le scelte di politica del diritto: la previa individuazione di un orizzonte di valori costituisce il parametro per un
procedere ad un “riconoscimento” normativo
dell’emozione. Pur muovendo da prospettive di tipo psicologico, l’interpretazione dei dati di conoscenza necessita di essere filtrata attraverso un orizzonte di valori che si assumono a fondamento della prospettiva politica che si intende attuare. Nell’ottica della studiosa di Chicago, l’opzione valoriale è quella di un liberalismo progressista “l’idea, cioè, di un ordinamento sociale
basato sul concetto di dignità umana e su relazioni fondate sulla reciprocità e il mutuo rispetto, incluso il rispetto per le concezioni diverse del bene ultimo nella vita umana”134.