Per un’edizione della Donna serpente
2. Nota al testo
Per quanto concerne la parte filologica della Donna serpente si è scelto di proporla in una maniera un po’ diversa da un’edizione “classica” e abbiamo deciso di non allestire un vero e proprio apparato, pur dando conto delle varianti in altra maniera.
Questa soluzione nasce dalla constatazione che le differenze più interessanti dal punto di vista sostanziale che intaccano profondamente lo svolgimento della trama dell’opera intercorrono tra l’edizione e le varie stesure manoscritte a nostra disposizione - e quindi non tra l’edizione e il suo antigrafo - stesure che, in alcuni casi sono esigue o incomplete; ma oltre a questi limiti “materiali” ne esiste uno di respiro più ampio che investe la natura stessa, eterogenea, dei documenti: ci troviamo, infatti, ad avere testi “preventivi”, cioè che precedono la messinscena - e in questo raggruppamento confluiscono anche gli “avantesti”1 conservati nel Fondo Gozzi considerati comunque testi vivi e autonomi, non pensati in vista di un approdo alla pubblicazione bensì di un loro certo e imminente approdo al palcoscenico - e testi “consuntivi” 2, che la seguono.
Adottando i criteri dell’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Gozzi, che non prevede un apparato genetico e che pone sempre come primo riferimento l’edizione Colombani, riportare tutte le varianti in apparato, lo avrebbero, a nostro avviso, reso “muto” e si sarebbero perse tutte quelle differenze strutturali, riguardanti cioè lo sviluppo della trama o comunque preziose per l’individuazione di un dato (l’ingresso in campo di una tradizione letteraria, un’ipotetica datazione ecc.). Proprio nel tentativo di renderle, invece,
1 A
LMUTH GRÉSILLON e JEAN-LOUIS LEBRAVE, Manuscrits-Écriture. Production linguistique, «Langages», 69, 1983, p. 7: «Chiamiamo avantesto l’insieme dei documenti che vengono prodotti nel corso della genesi del testo nella ‘fabbrica’, nel ‘laboratorio’, nello ‘studio’ dell’autore».
2 Per la definizione di testo “preventivo” e “consuntivo” si rinvia a S.F
ERRONE, Drammaturgia e
immediatamente intellegibili3 e per visualizzare meglio il processo ideativo e
creativo del testo, «lo studio del testo-nel-tempo […] la sua elaborazione»4 si è
scelto di non allestire un apparato, riservando nella presentazione di ciascun testimone, un commento discorsivo sulle varianti ritenute importanti, perseguendo la volontà di offrire non un’edizione «interpretativa», secondo la definizione di Gianfranco Contini:
Di un autografo (o suo equivalente) l’edizione interpretativa riproduce ciò che interessa e omette, intenzionalmente o spontaneamente, ciò che non interessa. In sostanza essa è la traduzione o adattamento di un sistema, storicamente individuato, in altro sistema; nulla di categoriale la distingue dalla traslitterazione, se non il fatto che per l’autore e per l’editore vige una stessa condizione di base, non però assolutamente identica, ciò che rischia di sottrarre la coscienza delle differenze a un’assidua vigilanza5.
In questo modo, affidando alla descrizione dei singoli testimoni anche il loro commento, risultano più lampanti tutte quelle differenze relative a un uso del testo diverso da quello esclusivo della lettura: ad eccezione dell’antigrafo, gli altri manoscritti assolvono la funzione di essere stati concepiti e scritti per il teatro, e, dunque, comprendono un maggior numero di indicazioni sceniche destinate alla realizzazione spettacolare, sono privi di ogni commento relativo alla rappresentazione (cioè consuntivo) e presentano zone di testo che potremmo definire “aperte” nel senso che erano destinate a trovare un’effettiva risoluzione solamente sul palcoscenico, in una dimensione di compenetrazione profonda tra testo e scena che Gozzi, insieme al capocomico e agli attori, aveva messo in atto e che proprio grazie a questi documenti recentemente ritrovati – a differenza, per esempio, di quanto c’è dato sapere per Goldoni – è ora possibile portare alla luce per tentare di penetrare non solo nel modus operandi dello scrittore in senso stretto, ma in quello dell’uomo di teatro tout court. Nelle prime tre Appendici,
3 G
IANFRANCO CONTINI, Breviario di ecdotica, Milano-Napoli, Ricciardi, 1986, p. 9: «Un’edizione assolutamente scientifica, quale è ovviamente augurabile, non però sempre necessariamente in prima istanza, paga un pedaggio di ‘illeggibilità’. Leggibilità e illeggibilità, quasi in una sorta di principio d’indeterminazione, corrispondono a funzioni diverse della fruizione letteraria. È comprensibile che chi si preoccupa della ‘vita’ di una scrittura […] respinga nel gelo del museo o nella polvere dell’archivio ciò che in qualche caso rischia di essere una caricatura della filologia».
4 Ivi, p. 10. Più avanti, si legge: «Il perno attorno al quale il punto di vista sembra ribaltarsi è il testo come dato immobile. Questo postulato, implicito nell’ovvia lettura, è contraddetto meno dall’altrettanto ovvia pedagogia del testo come prodotto d’una ‘lunga pazienza’ che dalal rappresentazione, inerenta alal riflessione di Mallarmé e soprattutto di Valéry, del testo come prodotto d’una infinitudine elaborativa di cui quello fissato è soltanto una sezione, al limite uno spaccato casuale» (pp. 10-11).
proposte dopo il Commento, sono stati trascritti, in forma diplomatica, i passi e le annotazioni ritenute fondamentali per la miglior comprensione del materiale manoscritto.
In questa Nota al testo si sono comunque riportate le variazioni che intercorrono tra il testo edito e il suo antigrafo (principalmente grafiche, suddivise in categorie afferenti a due insiemi: le correzioni vergate con inchiostro più scuro, riconducibili, forse, a una mano diversa da quella di Gozzi e le varianti d’autore che, pur non cassate o modificate, non si ritrovano nell’edizione a stampa) e tra le due pubblicazioni, Colombani e Zanardi. Inoltre si è deciso di tralasciare completamente la collatio dell’interpunzione tra antigrafo e Colombani, dopo aver verificato, confrontando l’antigrafo con il
Serpente, vale a dire il testo immediatamente precedente ad esso, come essa sia aggiunta in maniera abbondante da una mano altra6.
Ecco, in sintesi e in ordine cronologico, le stesure parziali e complete, manoscritte ed edite:
A) Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, Fondo Gozzi, 10.14, Frammenti Teatro, cc. 36r- 37v.
B) Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, Fondo Gozzi, 4.2/2, La donna serpente, cc. 1r- 11v7.
C) Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, Fondo Gozzi, 4.2/1, Il serpente, cc. 1r-33v. D) Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, Fondo Gozzi, 3.1, Prefazioni, cc. 41r- 42r. E) Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, Manoscritti Italiani IX, 681 (=12071), (Antigrafo per la Colombani), cc. IIr-22v.
F) Edizione Colombani G) Edizione Zanardi
A) Fondo Gozzi, 10.14, Frammenti Teatro, cc. 36r-37v (frammenti della più antica stesura della Donna serpente)8
Carte sciolte contenute entro una camicia di carta su cui l’ordinatore Gaspare Gozzi (1856-1935) scrisse a matita “Frammenti Teatro”; secoli XVIII seconda metà e XIX inizio; cc. 102. Cartulazione nuova a matita, mm. 302 x 213 (dimensione maggiore, rilevata alla c. 1), mm. 173 x 117 (rilevata alla c. 6).
6 Sull’intermediazione tipografica ed editoriale cfr. ivi, pp. 19-20.
7 Con la riserva della carta 11r-v, come si spiegherà nella disamina di questo fascicolo di carte. 8 Il contenuto integrale delle carte è riportato nell’Appendice 1.
Le carte documentano la stesura della prima (molto sintetica rispetto a quella edita) e della seconda (incompleta) scena del primo atto e alcune scene del terzo atto, corrispondenti alla terza (testimoniata solo nella parte finale), quarta, quinta, sesta, settima, e ottava delle versione edita.
Si tratta di due singoli fogli che però sono ascrivibili alla stessa fase ideativa/compositiva sia perché entrambi attestano il nome Ruzvanscad al posto di Farruscad, sia perché condividono la stessa tipologia di struttura, vale a dire una sorta di ossatura in cui la materia della fabula è già distribuita in atti e in scene, ma non ancora completamente versificata, una prassi, questa, testimoniata anche da altri “avantesti” delle Fiabe conservati nel Fondo. Proprio per l’eccezionalità di questo materiale e per la possibilità di confrontare gli stratificati livelli di lavoro - dall’«ideazione» all’«occhio mentale», asserisce lo stesso Gozzi9- della Donna serpente con quelli delle altre composizioni
fiabesche, ci pare opportuno mettere a fuoco la struttura che in-forma queste carte, cioè quella che, genericamente, abbiamo denominato ossatura. Abbiamo già asserito che il drammaturgo, durante le sue letture o meditazioni su di esse, si lascia spesso colpire da una singola “immagine” che traduce sulla carta in forma di rapido e conciso appunto, scattando un’istantanea per immortalare un solo e preciso momento narrativo che quasi sempre interessa proprio la raffigurazione visiva di un segmento testuale, a dimostrazione della sollecitudine con cui l’autore pensa alla resa spettacolare fin dal primo concepimento dell’idea. Anche nella Donna serpente si trova una scrittura della tipologia appena illustrata: se, infatti, abbandonando solo per un attimo queste due carte, ci spostiamo alla disamina del Fondo Gozzi 4.2/2, ci imbattiamo, in un angolo in basso a destra dopo la prima scena del primo atto (c. 1v), in quest’annotazione: «un asinello con le / orecchie pungenti e / la coda tagliente / Toro con corna e coda / di fuoco».Entrambi gli animali rimandano all’Orlando innamorato, rispettivamente al combattimento di Orlando nel giardino di Falerina contro l’asino mostruoso che presidia la porta di ponente e contro il toro posto a guardia della porta di mezzogiorno (quest’ultimo episodio confluisce poi nella prima prova a cui deve
sottoporsi Farruscad)10. Dopo questa fase, che approda ad un unico appunto, il
Fondo documenta l’abitudine gozziana a scrivere un brogliaccio, cioè la narrazione in prosa dell’intera fabula (prassi attestata anche per l’inedita Pulce. Si giunge poi alla fase della costruzione del testo teatrale propriamente inteso in cui la trama, a seconda del grado di revisione dell’ossatura (anche per essa, infatti, come per la versificazione rintracciamo più prove dell’autore), risulta divisa in atti e scene, ma ancora priva di battute vere e proprie che troveranno il loro compimento solamente con la versificazione, l’ultima fase di elaborazione dell’opera (la revisione, soprattutto linguistica, appartiene a un successivo e conclusivo momento e produce tutte quelle varianti che possiamo definire “di singole lezioni” ma che, almeno nel caso delle Fiabe, non intaccano la struttura complessiva dell’opera, anche se il testo del Serpente è, in realtà, un caso unico sotto questo aspetto perché presenta, al suo interno, intere scene cassate).
Ritornando alle nostre due carte, è interessante rilevare che, allo stadio di
ossatura, l’onomastica della fabula non è ancora concepita definitivamente, a parte i nomi del protagonista e del co-protagonista, Muezin – di cui ci occuperemo tra breve – e, per esempio, la fata che conduce l’eroe nel mondo altro è qui solo appellata «Fata», appunto, esattamente come nella primigenia
ossatura relativa alla Turandot, la schiava con cui dialoga la principessa è individuata semplicemente con il nome generico di «schiava innamorata di Calaf»11. La stessa indeterminatezza si riscontra nell’assenza dei nomi propri dei
10M.M.BOIARDO, L’inamoramento de Orlando, cit., II, IV, 56-61 e II, IV, 41-45: «Comme è la porta nela prima facia: / Tutta è di zoglie, e val un gran tesoro. / Non la diffende né spata né macia, / Ma un asino coperto a scaglie d’oro, / Et ha l’orechie longhe da doa bracia: / Comme coda di serpe quella piega, / E pilia e strengie a suo piacer, e lega. / […] Ma la sua coda taglia comme spata, / Né vi può piastra né maglia durare»; «E una porta di bronzo si diserra: / Fuor ussì il thor a megio dela terra. / Mugiando ussite il thor ala bataglia / E ferro e fuoco nela fronte squassa, / Né contrastar vi può piastra né maglia: / Ogni armatura con le corne passa. / […] Per questo la bataglia non s’arresta: / Con l’altro corno, ch’è di foco, mena».
11 Fondo Gozzi, 3.5/2, Turandot, c. 38v. D’altronde, la “parte”, intesa come figura, precede l’individualità del personaggio l’“occhio mentale” anche nell’ideazione dell’opera artistica intesa nel senso più stretto; si pensi alle parole di Leonardo: «la pittura è prima nella mente del suo speculatore e non po pervenire alla sua perfezzione senza la manuale operazione. […]. Il pittore ha dieci varii discorsi, con li quali esso conduce al fine le sue opere, cioè luce, tenebre, colore, corpo,figura, sito, remozione, propinquità, moto e quiete» cit. in CESARE SEGRE, La descrizione al futuro: Leonardo da Vinci in La pelle di san Bartolomeo. Discorso e tempo dell’arte, Torino, Einaudi, 2003, p. 21. Segre constata l’anonimia con cui Leonardo, nel progetto scritto a proposito dell’Ultima cena, si riferisce ai personaggi, che, al massimo, definisce genericamente “apostoli”, anonimato che si rispecchia in alcune ossature gozziane in cui gli agenti sono nominati in maniera indistinta. Mi si permetta di riportare un passo, sempre di argomento figurativo, ma significativo per l’idea di creazione artistica: «però sarebbe bene che facesse [...] parecchi giorni prima i loro cartoni, schizzi o modelli, e quelli cento volte rivedere e considerare,
due figli dei protagonisti dei quali si accenna solamente l’età e il sesso, senza mai ricorrere ai nominativi e, ugualmente, nella mancata individuazione del toponimo della città. Se Ruzvanscad rinvia sia alla novella l’Histoire du roi
Ruzvanschad et de la princesse Cheristany sia al Rutzvanscad il giovine di Vallaresso, questi fogli testimoniano in modo lapalissiano, l’influenza della fiaba francese dal momento che in essa Muezin è proprio il nome del consigliere fedele del principe.
Il contenuto di queste poche scene permette di affermare che le due carte costituiscono la versione più antica della Donna serpente (almeno tra quelle a nostra disposizione), una versione in cui addirittura compariva e agiva il padre del principe: non il ministro Togrul, bensì il genitore si sarebbe dovuto recare nel mondo altro per riportare il figlio nel regno terreno (e, dunque, nell’intreccio sarebbe venuto meno il pathos congenito alla colpa del protagonista di aver fatto addirittura morire il padre per la sua dipartita).
In questa Ur-Donna serpente rinveniamo poi una delle più macroscopiche differenze con l’edizione inerente allo svolgimento della trama: se nella versione a stampa dopo la scomparsa di Farruscad con la fata Farzana la didascalia ci informa che con un prodigioso lampeggiare nell’aere sprofondano
tutti due (III.3), lasciando dunque la sala regia vuota, qui – ma ricorrerà anche nel Serpente nel quale, anzi, le scene in questione sono stese in maniera più dettagliata – rimane, invece, un fantoccio simile alla figura del principe davanti a cui poteva svolgersi una gag comica di Smeraldina, Brighella e Truffaldino; i due uomini chiedevano a turno la mano della donna al sovrano, il quale, essendo un manichino, non poteva fare altro che accennare un movimento di consenso con la testa, senza parlare, suscitando, con la sua perenne approvazione a qualunque cosa, equivoci e pretesti per zuffe fra i tre, situazione tipica dei canovacci della commedia all’improvviso. Inoltre, compare in queste carte, non come padre, ma come giudice; aggiungere, scemare, emendare e correggere bene la cosa come esser vuole; domandare, informarsi, leggere et aver bene a mente tutto il soggetto et ogni sua particolarità e qualità, tanto del proprio quanto degli accidenti; e non fare a la cieca, e dar tosto l’imprimeria et operare il pennello. Perchè, sì come non può esser buon poeta, secondo Orazio, chi non ha molte cassature fatte nel suo poema et emendatolo diece e vinti volte, così dirò del pittore, se non fa egli il simile. Quindi avviene che i nuovi notomisti del furioso ne le loro figure, figurette, figuraccie e figuroni fanno fare agli uomini, a l’arme, ai cavalli sforzi, pieghe et altr’atti tanto sgarbati, che la natura piange e l’arte ride, vedendo tanti ciarpelloni, tanti barbarismi, e tanti latini falzi, che tutto ‘l giorno si fanno» (Giovanni Andrea Gilio, cit. in CARLO OSSOLA, Autunno del Rinascimento. “Idea del Tempio” dell’arte nell’ultimo Cinquecento, Firenze, Olschki, 1971, pp. 173-174).
seppure già cassata, l’idea che Smeraldina fosse una delle ancelle del seguito di Cherestanì della quale si sarebbe innamorato Truffaldino.
Un’ultima variante molto rilevante si riscontra nel discorso di Truffaldino nel momento in cui pone nel 1753 l’anno di inizio della vicenda fiabesca; tale data è poi già qui cassata e cambiata in 1754, ma il particolare è utile per il tentativo di datare non la scrittura vera e propria della fiaba bensì l’ossatura, discorso che svilupperemo nel punto seguente, nell’analisi dei manoscritti del Fondo 4.2/2.
B) Fondo Gozzi, 4.2/2 La donna serpente, cc. 1r-11v (versificazione parziale e frammentaria della fiaba)12
Cartaceo; carte sciolte; anno 1762 circa; cc. 11 (cartulazione nuova a matita), mm. 286 x 206 (rilevata alla c. 1).
Si tratta di alcune carte, in parte sciolte e in parte contigue tra loro, ascrivibili, ad eccezione del foglio 11r-v, alla fase precedente la stesura del Serpente (Fondo Gozzi 4.2/1), Serpente che accoglie tutte le correzioni ivi presenti. Per maggiore chiarezza esamineremo questo faldone a gruppi di carte.
c. 1r-v: reca la versificazione della prima scena del primo atto e si tratta di un foglio singolo sciolto. La stesura è anteriore al Serpente perché i nomi delle fate sono scambiati: in questo foglio Zemina è la fata che osteggia Farruscad, mentre Farzana è quella che gli è amica. Inoltre, sul margine destro della carta 1r è presente l’elenco dei personaggi, una lista che pare un’annotazione/trascrizione frettolosa: le apposizioni ai nomi dei personaggi sono sintetiche e si limitano alla nuda descrizione delle loro qualifiche; così, per esempio, Cherestanì è semplicemente definita «regina» (e non «fata, regina d’Eldorado regno ignoto, sua sposa»). L’onomastica della lista è molto interessante e potrebbe farci congetturare che la stesura in prosa (brogliaccio) o l’ossatura avesse uno svolgimento in parte diverso da quello a noi noto. Intanto registriamo le cassature di alcuni nomi: il primo appellativo della sorella del
12 Il contenuto integrale delle carte è riportato nell’Appendice 2. La restituzione in questa forma dei fogli ha permesso di dare maggior evidenza alla complessa stratificazione di questi materiali, dei quali, appunto, più agevolmente si identificano le cassature e le relative sostituzioni.
protagonista era Schirina, qui poi cancellato e sostituito con il definitivo Canzade; originariamente le fate si chiamavano Gulinda e Zemina. Queste espunzioni sono significative per la datazione - o meglio per l’individuazione della scansione ideativa - delle ossature: Schirina, infatti, è il nome di un personaggio della Turandot. Questo dato ci porta a fare due congetture: o nella prima rappresentazione di quest’ultima fiaba, il 22 gennaio 1762, il personaggio di Schirina aveva un altro nome (ma è un’ipotesi poco probabile) o, nel momento della scrittura dell’ossatura della Donna serpente – un’ossatura non pervenutaci da cui Gozzi aveva poi desunto l’elenco dei personaggi riportato sul margine di questo foglio – la Turandot non era ancora andata in scena e quindi, il momento dell’ideazione della fiaba di Cherestanì e Farruscad potrebbe essere anticipato al 1761.
Il motivo per cui poi il drammaturgo abbia scelto di posticipare la sua presentazione al pubblico, prestando fede alle Prefazioni, si può individuare con relativa facilità: egli sentiva l’urgenza di dimostrare che il successo ottenuto non dipendeva solamente dal «mirabile delle apparizioni», vale a dire dall’apparato scenografico meraviglioso, ma fosse intrinseco all’opera stessa e una composizione come la Donna serpente, in cui, invece, proprio similarmente alla fiaba precedente, Il re cervo, conteneva moltissime scene di magia e una trasformazione, analoga a quella del re Deramo, di una donna in animale, non rispondeva a questa necessità, al contrario della Turandot che, invece, essendo scevra dell’elemento magico, era perfetta per lo scopo.
Dal punto di vista contenutistico, oltre a non essere indicate né la discendenza né l’età di Cherestanì, si registrano due assenze assolutamente rilevanti (in rapporto, invece, alla loro declamazione proprio - e già - in apertura della pièce): non compare alcun cenno al giuramento che dovrà prestare Farruscad e alla trasformazione della fata in serpente; in questo modo il pubblico non sarebbe stato reso edotto dello sviluppo della trama fin dalle prime battute dell’opera, contrariamente a quanto avviene nelle testimonianze manoscritte (ed edite) successive a questa.
cc. 2r-9r: si tratta della prosecuzione della verseggiatura testimoniata nel foglio 1r-v; l’onomastica delle fate, infatti, risulta ancora inversa rispetto a quella del Serpente. Queste carte documentano la versificazione dell’intero primo atto, ad eccezione della seconda scena, il lungo scambio di battute tra
Truffaldino e Brighella riguardante i fatti avvenuti negli anni passati. La ragione di questa mancanza può essere imputata alla semplice perdita del foglio che, come il primo a nostra disposizione, 1r-v contenente la prima scena, potrebbe essere stato materialmente tagliato e separato, quindi, dal restante manipolo di carte. Dal punto di vista linguistico le correzioni autografe su questo manoscritto