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Premettiamo che nelle Fiabe l’orientalismo di cui l’onomastica è impregnata concerne più propriamente il genere fiabesco e, nonostante i nomi delle città e dei personaggi siano desunti dalla tradizione letteraria e da quella di viaggio1, il loro impiego serve certamente per designare immediatamente un mondo “altro”:

in confronto con l’ambiente orientale goldoniano quello gozziano è privo di informazioni sulla vita quotidiana, sui costumi e abitudini sociali, sulla lingua […] la realtà remota della fiaba teatrale è quella fiabesca. Non valgono dettagli particolari, perché la fiaba si svolge per definitionem in spazi e tempi lontani non o poco precisati2.

1 La maggioranza dei nomi esotici utilizzati da Gozzi nelle Fiabe, oltre a comparire nel Cabinet des Feés e in alcune pièces foraines, si reperisce in BARTHOLOMEO D’HERBELOT, Bibliothèque orientale ou Dictionaire universel contenant generalement tout ce qui regarde la connoissance de Peuples de l’Orient, Paris, par la Compagnie des Libraires, 1697. In esso si è registrata la presenza di: Timour, Tourandokth, Alton, Thogrul, Zein, Schirin, Barach, Ismael, Khanzadah, Gulendam, Zobeidah, Uzbek, Saed, Bedreddin, Massoud, Abdalla. Inoltre la Bibliothèque orientale testimonia l’esistenza di alcuni luoghio in cui Gozzi sceglie di ambientare le vicende fiabesche : Serandib («nom de l’isle la plus fameuse de la Mer, que les Arabes appellent la Mer de Erkend, qui est l’Ocean Indique ou Oriental», ivi, p. 806), Teflis («ville du la Province de Schirvan, ou plûtost de Gurgistan, que nous appellons la Georgie», ivi, p. 876), Caracoram («ville qu’Octai Kaan fils de Genghizkhan bâtit dans pays de cathai», ivi, 253), Namkink («c’est le nom d’un ville du Cathai», ivi, p. 660) e Balsora («ville que l’on appelle communément aujourd’hui Bassora ou Balsora ; elle est située sur le Tigre à une journée & demie de la ville d’Abadan», ivi, 916).

2 SUSANNE WINTER, Dalla “commedia di carattere orientale” alla “fiaba orientale teatrale”. Orientalismi goldoniani e gozziani, in Carlo Goldoni e Carlo Gozzi. Evoluzione e involuzione della drammaturgia italiana settecentesca, eds. Gutierrez Carou, Javier & Jesus G. Maestro, «Theatralia. Revista de Poética del Teatro», 8, Pontevedra, Mirabel, 2006, p. 231. Almeno negli intenti, l’orientalismo fiabesco è molto diverso da quello goldoniano della “trilogia persiana” (1753-1756) evocato, secondo Gozzi, con il solo scopo di attirare più pubblico: «[la terza bocca del mostro] fingeva personaggi eroici di paesi lontani, di costumi, e di leggi non conosciute dal popolo, e qui con le novità faceva nascere curiosità nella gente la quale si ravviluppava di nuovo» (CARLO GOZZI, Teatro comico all’Osteria del Pellegrino, in IDEM, Opere edite ed inedite, cit., 1805, t. I, p. 182). A “favore” della scelta operata da Goldoni si deve però ricordare il concomitante passaggio dal teatro Sant’Angelo al più spazioso San Luca (cfr. PIERMARIO VESCOVO, Carlo Goldoni: la meccanica del vero, in CROTTI ILARIA,RICCIARDA RICORDA e PIERMARIO VESCOVO, Il “Mondo vivo”. Aspetti del romanzo, del teatro e del giornalismo nel

Settecento italiano, Padova, Il Poligrafo, 2001, pp. 55-152, in particolare 103-117) che poteva essere motivo di rinnovamento nel repertorio, nonché le raccomandazioni di Vendramin a scrivere «commedie teatrali» e non solo di parole (Cfr. DINO MANTOVANI, Carlo Goldoni e il Teatro di San Luca a Venezia, Carteggio inedito (1755-1765), Milano, Treves, 1885, p. 117). Le atmosfere esotiche goldoniane consentono una ricca e inusuale scenografia, e offrono la possibilità di trattare il tema di una passione cieca e violenta – peraltro giudicata scandalosa da Gozzi - in un “altrove” lontano. Sulla questione cfr. MARZIA PIERI, Introduzione, in CARLO GOLDONI, La sposa persiana. Ircana in Julfa, Ircana in Ispana, a cura di MARZIA PIERI,

La rassegna delle varianti onomastiche costituisce un’operazione spesso utile per individuare cronologicamente la prima fonte d’ispirazione del drammaturgo3, ma non solo: la scelta dei nomi consente di identificare una fase di lavoro posteriore a tutte quelle fino ad ora prese in considerazione; Gozzi, dopo aver avere visto l’intera vicenda fiabesca coll’occhio mentale, dopo averne scritto l’ossatura e averla dialogata, compie una revisione del testo che non consiste solamente nel labor limae sulla singola pièce, bensì in una collazione complessiva tra le Fiabe e gli appunti relativi.

Le diverse stesure presenti nel Fondo testimoniano un’incessante ripensamento dei nomi dei personaggi da parte del veneziano, tale da avvalorare l’ipotesi secondo cui l’autore lavorasse alla completa formulazione del testo partendo da appunti presi in precedenza, e che quindi, nel tempo intercorso tra l’abbozzo iniziale e la redazione finale di una fiaba, potesse portarne a termine un’altra scegliendo definitivamente i nomi dei personaggi; tale decisione comportava, ovviamente, alcune modifiche nell’onomastica adottata anteriormente. Ciò spiega il motivo per cui nei materiali inediti riguardanti I

pitocchi fortunati (1764) si incontra, espunto, il nome Dilara, presente nella

Zobeide composta l’anno precedente.

Gozzi spesso riutilizza i nomi precedentemente depennati da una composizione fiabesca o ne crea ex novo per sostituirli con altri. Un esempio del primo caso è identificabile nella Donna serpente: nel Serpente, la sorella del protagonista è Schirina, nome che viene in un secondo momento cambiato con quello di Canzade, rimasto fino alla versione finale. Tale avvicendamento pone un problema di datazione perché Schirina è un personaggio della Turandot, fiaba andata in scena circa un anno prima della Donna serpente ed è improbabile che Venezia, Marsilio, 1996, pp. 19-22, pp. 62-63 nota 28 e p. 68 nota 38. L’ambientazione delle vicende in luoghi lontani ed esotici fu una scelta compiuta anche da Tasso che per il Torrismondo (1587) dichiarò di aver preferito un paese lontano e poco conosciuto per permettersi una maggiore libertà creativa e narrativa (TORQUATO TASSO, Discorsi del poema eroico, in IDEM, Discorsi dell’arte poetica e del poema eroico, a cura di LUIGI POMA, Bari, Laterza, 1964, libro II, p. 109: «Dee dunque il poeta schivar gli argomenti finti, massimamente se finge esser avvenuta alcuna cosa in un paese vicino e conosciuto, e fra nazione amica, perché fra’ popoli lontani e ne’ paesi incogniti possiamo finger molte cose di leggieri senza toglier autorità alla favola. Però di Gotia e di Norveggia e di Suevia e d’Islanda o dell’Indie Orientali o di paesi di nuovo ritrovati nel vastissimo Oceano oltre le Colonne d’ Ercole si dee prender la materia de’ sì fatti poemi»).

3 Punto di riferimento costante in quest’indagine sono state le pagine di G.LUCIANI, Carlo Gozzi, cit., vol. II, pp. 502-529.

il drammaturgo intendesse reimpiegare un nome già utilizzato in precedenza. Analogamente, il nome Sarchè presente in Zeim re de’ geni, figura, cassato, nel manoscritto inedito del Mostro Turchino4 ed era assegnato alla sorella del

protagonista destinata ad essere sacrificata all’idra; tale personaggio scompare nell’ultima stesura della fiaba, ma il dato saliente è di aver reperito un nome – approssimativamente Il mostro turchino è stato composto nel 1764 - impiegato in seguito, circa un anno dopo, in un altro contesto fiabesco.

Da imputare al secondo caso, cioè alla soppressione di alcuni nomi per altri non rinvenibili nei manoscritti, sono, per esempio, le correzioni nella Donna

serpente di Torgut, il gigante moro che assedia la città di Teflis, in Morgone e del protagonista Ruzvanscad in Farruscad, e, nell’Augellino belverde, di Barbara/Renzuola in Barbarina e di Fosca in Tartagliona.

Nelle nuove carte del Fondo si riscontrano anche cassature definitive di alcuni nomi dalla lista dei personaggi, benché essi permangano nelle battute dei protagonisti, come quello di Elmaze, la madre del principe Calaf nel manoscritto della Turandot. Il nome si rinviene nel testo matrice della fabula gozziana, l’Histoire du prince Calaf et de la princesse de la Chine, contenuta nelle Mille et

Un Jours. A tale raccolta, e più in generale al Cabinet des Fées, il drammaturgo attinge spesso per le Fiabe, sia per le vicende, come ha ulteriormente confermato il Racconto del principe dell’aquila marina, sia per l’onomastica. Si pensi, per esempio, oltre a quanto già evidenziato da Luciani5, a Schirine dell’Histoire de

Malek et de la princesse Schirine, a Rezia e a Bedreddin dell’Histoire du roi

Hormoz, surnommé le Roi sans chagrin, e a Taher dell’Histoire de Couloufe et

de la belle Dilara; né va dimenticato il riscontro del nome Gulinda nelle pagine contenenti pochi appunti della Donna serpente, che risulta dalla contrazione dell’originale persiano Gul-Hindy.

Il nome Elmaze consente anche di ricondurre le Fiabe ad un’altra grande fonte d’ispirazione, il Théâtre de la Foire: infatti, nella Princesse de la Chine tra i personaggi figura anche Elmazie. I riferimenti gozziani di tipo onomastico alle

4

Fondo Gozzi, 4.4, Il mostro turchino, c. 1r.

5 G. LUCIANI, Carlo Gozzi, cit., vol. II, pp. 506-507: «pour l’identification des sources non précisées, il est difficile de se fonder sur les noms des personnages: certains se retrouvent assez exactement dans la source correspondante, sous une forme plus ou moins modifiée. Si Calaf subsiste, Tourandocte est devenue Turandot, Altoun-Khan Altoum, Schéhréstany a été simplifiée en Cherestanì, comme Zeloulou en Zelou, Adelmuc en Adelma et Timurtasch en Timur. En revanche c’est sans doute le désir de simplifier pour la scène qui a amené Gozzi à condenser Gul-Hindy en Gulindi et à transormer en Farruscad l’imprononçable Ruzvanscad».

pièces teatrali francesi del periodo compreso tra 1715 e 1730 sono molteplici: Dilara, Zelica, Usbeck, Farzana, Torgut, Rezia, Dardanè, Sindbad, Zemine, Timur-Can e Bedreddin.

Il caso dei Pitocchi fortunati esemplifica la stratigrafia di fonti accumulate nelle composizioni fiabesche: dallo studio delle poche pagine manoscritte del Fondo, è emerso che il nome originale di Angela, la figlia di Pantalone di cui si innamora il sovrano Usbec e che sfila davanti al visir Muzaffer, è Zemrude6. Tale appellativo è sì impiegato dal veneziano proprio nei

Pitocchi fortunati, ma per designare un altro personaggio, la moglie ripudiata: si deve risalire fino alla novella contenuta nelle Mille et Un Jours, l’Histoire du

prince Fadlallah, fils de ben-Ortoc, roi de Moussel per imbattersi in una donna, Zemrude appunto, che, proprio come Angela nella fiaba gozziana, si presenta davanti al perfido visir. Se la fonte persiana era già stata individuata7, preme sottolineare il progressivo allontanamento dal modello orientale8, che invece, in seguito alla conoscenza delle nuove carte, in modo ancora più sostanziale di quanto non sia stato espresso in passato, si può affermare fosse alla base dell’ideazione dello scrittore, a tal punto da determinare la stessa attribuzione dei nomi anche nelle sue Fiabe.

Se da una parte i Pitocchi fortunati rinviano alle Mille et Un Jours attraverso l’Histoire du prince Fadlallah, fils de ben-Ortoc, roi de Moussel e attraverso l’Histoire de Couloufe et de la belle Dilara9 per il tema trattato, il ripudio di una moglie e l’impiego da parte del marito di un “hulla” per riaverla, dall’altra però sono profondamente intrisi della vis comica proveniente dalla

pièce del Théâtre de la Foire, la cui vicenda, diventando l’argomento principale a differenza dell’originale orientale, viene maggiormente sviluppata e descritta, analogamente a quanto avviene nei Pitocchi fortunati.

In quest’ottica, i nomi costituiscono le impronte delle diverse tradizioni cui attinge l’invenzione composita delle Fiabe. Seguirne le tracce, le

6 Fondo Gozzi, 4.5, I pitocchi fortunati, c. 3r. 7 G.LUCIANI, Carlo Gozzi, cit., vol. II, p. 513.

8 In questo caso, l’adozione del nome di Angela per la protagonista, potrebbe rinforzare la tesi espressa da Ginettte Herry secondo cui nei Pitocchi fortunati l’eco shakespeariana di Measure for Measure agisce molto più profondamente di quanto finora sostenuto (GINETTE HERRY, I pitocchi fortunati, les contes persane et Measure for Measure, Carlo Gozzi entre dramaturgie de l’auteur, cit., pp. 267-277).

9 Anche questa novella è già stata identificata come fonte per i Pitocchi fortunati da Luciani; le carte manoscritte del Fondo corroborano tale tesi perché nell’elenco dei protagonisti appare il nome Gulendam, che è facilmente rapportabile a quello di Ghulendam presente nell’originale persiano.

distribuzioni, le cassature, i ritorni significa penetrare più profondamente non solo il definirsi delle singole trame nell’occhio mentale dell’autore, ma tentare di datare le età e le influenze delle multiformi letture del drammaturgo, il principio, talvolta, di connessione di un repertorio, e l’ingresso in campo di una tradizione.

Proponiamo di seguito una tabella con le varianti onomastiche registrate nell’intero corpus fiabesco, comprensivo sia dei manoscritti del Fondo sia di quelli già posseduti dalla Biblioteca Nazionale Marciana10:

Nomi cassati nei manoscritti11 Nome sostituito nella stessa fiaba edita

Nome cassato in una fiaba che si ritrova poi in un’altra composizione fiabesca a stampa [Angela] (Il corvo) Armilla Angela (Il re cervo; I pitocchi

fortunati)

[Celio] (Il corvo) Norando Celio (L’amore delle tre

melarance)

[Rosa] (Il re cervo) Clarice

[Guzaratte12] (Il re cervo) Durandarte

[Canzema] (Turandot) Adelma Canzema (Zeim re de’ geni)

[Schirina] (La donna serpente) Canzade Schirina (Turandot) [Ruzvanscad] (La donna serpente) Farruscad

[Torgut / Torgutte] (La donna serpente) Morgone [Muezim] (La donna serpente) Atalmuc

[Cadige] (Zobeide) Zobeide

[Abuzaid] (Zobeide) Beder

[Mulladina] (Zobeide) Smeraldina

[Dilara] (I pitocchi fortunati) Zemrude Dilara (Zobeide) [Gulinda] (Il serpente) in vs

[Gulendam] (I pitocchi fortunati) Gulindì (Il mostro turchino) [Sadì] (Il mostro turchino) Personaggio

eliminato

[Faruc] (Il mostro turchino) Taer Faruc (Zeim re de’ geni) [Sarchè] (Il mostro turchino) Personaggio

eliminato Sarchè (Zeim re de’geni) [Pompea] (L’augellino belverde) Ninetta Pompea (L’augellino belverde) [Fosca] (L’augellino belverde) Tartagliona

[Barbara / Renzuola] (L’augellino

belverde) Barbarina

[Lugrezia / Vincenza] (L’augellino belverde)

Smeraldina [Brunoro] (Zeim re de’ geni) Alcouz

Da una parte lo studio dell’onomastica consente di avanzare delle proposte sulla scansione con cui le carte manoscritte sono state vergate,

10

Per completezza, visto che Doride e Il cavaliere amico furono composti negli stessi anni delle Fiabe, riportiamo le cassature onomastiche ivi presenti, rispettivamente: [Climene] Doride, [Marianna] balia di Doride; [Anselmo] Don Silvio, [Alberto] Don Ramiro, [Smeraldina] Cecchina, [Trappola] [Tartaglia] [Trappola] Giansimone.

11 Intendiamo qui l’insieme dei manoscritti autografi gozziani, sia quelli già noti, sia quelli provenienti dal Fondo Gozzi.

12 Anche questo nome fa capolino in una novella di Gueullette, Les sultanes de Guzaratte ou les songes des hommes eveillés contes Mogols.

dall’altra permette di risalire alle fonti da cui Gozzi trasse spunto sia per i nomi sia per determinate situazioni dell’intreccio. Tratteremo il caso della Turandot, rimandando quelli relativi a La donna serpente, Il mostro turchino e Zeim re de’

geni ai rispettivi paragrafi.

L’attribuzione e la tipologia dell’onomastica si è rivelata una modalità molto proficua per ordinare cronologicamente i manoscritti relativi alla

Turandot. Dalla lettura della prima ossatura della fiaba si evince che il drammaturgo non avesse ancora risolto il problema dell’attribuzione degli appellativi per tutti i personaggi poiché in essa non sono connotate da nome le due ancelle di Turandot – cha saranno poi Adelma e Zelima – alle quali Gozzi fa riferimento impiegando generici, come «schiava innamorata di Calaf». Inoltre, in essa la moglie di Barach si chiama Ismaele e non Schirina come nell’edizione a stampa; quest’ultimo nome, però, la denota fin dalla seconda ossatura, in cui compare anche il nome di Adelma e che testimonia, dunque, la maggior resa di dettagli, assimilando questa versione in prosa – sia pure testimoniata da una sola facciata – alla stesura verseggiata e la sua attribuzione a una fase intermedia tra la prima ossatura e la stesura in versi contenuta nel Fondo.

Quest’ultimo dettaglio è pregno di considerazioni rilevanti: il nome Schirina compare nel manoscritto del Serpente, più precisamente nelle pagine spurie contenenti alcune scene cassate, benché già verseggiate. Dal momento che è impossibile che Gozzi avesse adottato lo stesso nome per due personaggi di due diversi testi si può ipotizzare che all’altezza cronologica della prima ossatura della Turandot, egli avesse già approntato la stesura in versi della

Donna serpente e che però, pur avendo quasi pronta questa fiaba, avesse preferito finire di stendere l’altra impiegando in essa, fin dalla seconda ossatura, il nome Schirina, poi mantenuto anche nell’edizione a stampa.

Tale ipotesi è rilevante se si pensa al motivo espresso nella Prefazione, già precedentemente preso in considerazione, per cui il drammaturgo decide di scrivere la Turandot: il dato onomastico indica che Gozzi aveva già scritto La

donna serpente – o che comunque era arrivato a un grado di rifinitura abbastanza avanzato – ma che, per evitare di incappare ancora in un giudizio negativo per la presenza in scena di metamorfosi, abbia optato per la scelta di comporre una fiaba senza magia, la Turandot appunto. Dopo la sua messinscena, l’autore dovette necessariamente cambiare l’onomastica della Donna serpente e

sostituire il nome Schirina, con cui era designata la sorella del protagonista, con quello di Canzade.

L’analisi della revisione onomastica del manoscritto della Turandot permette anche di collocare cronologicamente le due liste dei personaggi che si trovano nel fascicolo del Fondo13: esse non sono ascrivibili alla fase della prima ossatura – mancando in quest’ultima i nomi delle due ancelle della principessa – e, pertanto, vanno riportate al periodo della seconda ossatura.

I numerosi interventi gozziani sull’onomastica dei personaggi (i nomi dei luoghi rimangono sempre invariati tranne nel caso del Cavaliere amico, la cui ossatura mostra ben tre ripensamenti14) si dimostrano anche testimonianze assai preziose per il tentativo non solo di individuare il modello a cui Gozzi si ispirò, ma anche per ipotizzare l’ingresso in campo di una tradizione e di un repertorio. Si è già detto come le prime tre fiabe testimonino un legame con la tradizione italiana: L’amore delle tre melarance deriva da un racconto popolare assai diffuso15, Il corvo è desunto da una novella di Lo cunto de li cunti16e Il re cervo, pur adottando la trama di due novelle orientali, conserva ancora, nei nomi, un’impronta sostanzialmente italiana. Quest’ultima fiaba può dunque collocarsi

in limine tra la dismissione del repertorio di ispirazione locale e l’adozione a piene mani della tradizione orientale, appellativi compresi.

L’onomastica del Corvo è strettamente connessa con quella dell’omonima fiaba basiliana in cui i protagonisti sono Iennariello e Milluccio - in Gozzi diventano Jennaro e Millo - mentre l’unico altro nome specificato nella novella, Liviella, la donna rapita, non è accolto e viene mutato in Armilla. È

13 Fondo Gozzi, 3.5, Turandot, c. 3r e c. 9v.

14 L’autore, infatti, decide di ambientare la pièce prima a «Fiorenza», poi a Milano e, solo infine, a Palermo, scelta che mantiene nell’edizione a stampa (Fondo Gozzi, 7.1, Il cavaliere amico, c. 1v).

15 In proposito si vedano ANGELO FABRIZI, Carlo Gozzi e la tradizione popolare: a proposito dell’«Amore delle tre melarance», in IDEM, Destino dell’antico. Da Dante a Saba, Cassino, Lamberti, 1997, pp. 75-93; GIUSEPPE COCCHIARA, L’albero dell’amore. Fenomenologia e poesia

di un tema novellistico popolare, in IDEM, Il paese di Cuccagna, e altri studi di folklore, Torino, Boringhieri, 1980, pp. 60-83; DOMENICO GIUSEPPE BERNONI, L’amore de le tre naranze, in IDEM, Fiabe e novelle popolari veneziane, Venezia, Filippi, 1968, pp. 127-140; VITTORIO IMBRIANI, Le tre melarance in IDEM, La novellaja fiorentina con la novellaja milanese, cronologia e nota introduttiva di Italo Sordi, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 305-313; LUDOVICO ZORZI, Struttura e fortuna della «Fiaba» gozziana, in Atti del convegno internazionale di studi musicali La fortuna musicale e spettacolare delle Fiabe di Carlo Gozzi cit., pp. 25-40 e MARGHERITA ORTOLANI, Il mistero della fiaba: L’amore delle tre melarance di Carlo Gozzi, in «Filologia antica e moderna», 2001, 20, pp. 73-108.

16 Francesco Bartoli nelle Notizie istoriche de’ comici italiani afferma di avere scritto una tragicommedia, La favola del Corvo, in metro sciolto; cfr. FRANCESCO BARTOLI, Notizie istoriche de’ comici italiani, Bologna, Forni, 1978 (anastatica dell’edizione padovana Conzatti, 1781-1782), t. I. pp. 76-77.

probabile che la prima scelta del nome della protagonista, Angela, fosse dovuta all’attrice che la interpretava, cioè Angela Sacchi, esattamente come il nome di Rosa, anziché di Clarice, nell’ossatura della Rappresentazione del re cervo (primo titolo del Re cervo) contenuta nel Fondo, potesse riferirsi alla comica Rosa Lombardi.

Al di là della permanenza dell’onomastica basiliana all’interno del

Corvo, l’ossatura della fiaba, contenuta nel manoscritto marciano già conservato nella Biblioteca Nazionale Marciana, rivela una maggiore aderenza al modello napoletano, da Gozzi alterato in sede di seconda verseggiatura; per esempio nella Rappresentazione del Corvo si legge:

Notisi che nella Fiaba le colombe dopo che si sono poste sull’albero e prima di ognuna delle parlate fecero quella voce che fanno i colombi / rucche rucche che noi diciamo zugo zugo17.

Il verso dei colombi a cui allude Gozzi si ritrova espresso in maniera identica nel Cuorvo:

Ed ecco, mentre mesurava ciento miglia de distanzia co due parme de cannolo, vedde passare no palummo e na palomma, che fermatose ‘ncoppa la ‘ntenna deceva lo mascolo rucche rucche e la femmina le respose […] e, ditto chesto, tornaie a gridare rucche rucche18 .

Se nel caso del Corvo è quindi indubbia la fonte a cui il drammaturgo attinge19, più controverso pare il caso del Re cervo. Infatti, la critica ha

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