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Dall’occhio mentale alla stesura in versi: riflessione terminologica e aspetti scenic

Il tentativo di “classificare” il materiale eterogeneo di cui si compongono i manoscritti delle Fiabe ha condotto a sondare il significato usuale di alcuni termini tecnici, abitualmente usati nelle questioni teatrali e retrospettivamente concepiti in modo intercambiabile (“scenario”, “soggetto”, “canovaccio”, etc.)1, e a compiere un parziale spoglio lessicale all’interno della produzione gozziana2.

Almeno per quel che concerne le opere a stampa e i manoscritti del Fondo riguardanti le Fiabe3 eliminiamo immediatamente dall’orizzonte gozziano

il termine “canovaccio”: esso infatti non appartiene al vocabolario dell’autore e, come il contributo di Piermario Vescovo mette in luce4, si deduce che non sia mai stato utilizzato da alcun drammaturgo italiano del Settecento con il significato che l’uso corrente gli attribuisce5 (anche i “francesizzati” Riccoboni e Goldoni impiegavano il lemma “canevas” scrivendolo in francese e mai in italiano).

Il vocabolo “scenario” occupa una percentuale davvero esigua nel lessico di Gozzi e, per quel che abbiamo potuto rilevare, compare in stretto riferimento alle sue opere solo in due occasioni, mentre è utilizzato talvolta in maniera dispregiativa, per riferirsi alla produzione goldoniana d’esordio. Le due

1 A

NNA MARIA TESTAVERDE, La scrittura scenica nel XVII secolo, in Carte di scena, a cura di GIOVANNA LAZZI, Firenze, Polistampa, 1998 (catalogo della mostra Firenze, Biblioteca Riccardiana, 21 dicembre 1998 – 20 marzo 1999), pp. 33-34: «questo metodo di costruzione del testo drammaturgico [della commedia all’improvviso], concepito per le funzionalità operative della messinscena, ha prodotto molteplici forme di redazione delle trame narrative: scenario, soggetto, canovaccio, mandafuora sono i più frequenti vocaboli con i quali i contemporanei hanno definito le scritture sceniche di alcuni drammi. I lemmi appartengono ad un repertorio linguistico di tecnica scenica che nel tempo ha livellato le varianti semantiche, finendo con l’assimilarli in un’unica accezione sinonimica».

2 Si intende qui offrire solo un parziale affondo in questo vasto e complicato argomento su cui ci ripromettiamo di tornare in futuro.

3

Certamente la progressiva disamina del Fondo Gozzi recherà nuove informazioni anche rispetto alla terminologia adoperata dallo scrittore.

4 Da appunti inediti di Piermario Vescovo: «“Canovaccio” come indicazione del “testo a soggetto” è un francesismo, perché solo in francese, e non in italiano, esistono prima un referente e un traslato figurato pertinenti all’uso […] nella lingua francese canevas indica la tela grezza che serve di base all’arazzo».

5 SALVATORE BATTAGLIA, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2004, voce ‘canovaccio’: «trama scritta, schema della commedia dell’arte o a soggetto».

occorrenze in cui la parola è adoperata si trovano in un manoscritto della

Turandot proveniente dal Fondo e nella Prefazione a stampa di Cimene Pardo:

Dopo apparato / come nel scenario / siede Altoum, gl’altri tutti battono / la fronte in terra, poi siedono ai loro posti6.

Lo scenario del secondo, terzo, quarto e quint’atto fu sorprendente, legatissimo alla rappresentazione, ed efficace soccorso all’illusione7.

Analizzando entrambi i contesti di riferimento, è evidente che al lemma sono attribuiti due significati diversi: nell’ultimo passo Gozzi sta sottolineando la particolare cura con cui Cimene Pardo venne messo in scena dalla compagnia del teatro San Giovanni Grisostomo e con il vocabolo allude, ovviamente, al complesso apparato scenografico della pièce, certamente non irrilevante se pensiamo alle didascalie previste per l’opera e, in particolare, per gli atti menzionati8; la prima occorrenza, invece, allude a qualcosa di diverso dalla

6 Fondo Gozzi, 3.5, Turandot, c. 10r. Il corsivo è nostro. 7 C

ARLO GOZZI, Cimene Pardo, Venezia, Curti, 1792 (Opere del conte, cit., t. X), p. 6. Il corsivo è nostro.

8

Ivi, pp. 42-43, II.3-4: «apresi la decorazione alla veduta del Castello di Pardo sopra un’altezza, con ponte levatojo, che deve attraversare il fiume Segra, il quale scorre a’ piedi di quella altezza. Sopra un’alta torre del Castello, la quale avrà una grossa campana, sta una sentinella aragonese. Al suono di militari strumenti giunge Nugno condottiere della truppa di aragonesi di Ernesto, e di molti carriaggi di vettovaglie. La bandiera spiegata di questa truppa sarà grande, e averà sopra dipinto un Cavaliere armato all’antica a cavallo, che con la lancia uccide un dragone […]. Calasi il ponte levatojo che attraversa il fiume»; p. 65, III, p. 83, III.7, p. 88, III.9: «la decorazione è una sala corta con un sofà alla turca, e un tavolino nel palagio di Zeliamo. Questa sala averà due porte chiudibili una alla parte dritta, l’altra alla sinistra che conduca agli appartamenti di Cimene», «La decorazione rappresenta un bosco corto. Odesi un nembo in lontano. Sentesi di dentro suono di trombe, e istrumenti militari, con uno strepito d’armi, e di abbattimenti. Escono con le spade ignude, ed affannati alla battaglia» «I turchi assaltano gli aragonesi. Se limo si azzuffa con Ernesto. Dopo una breve mischia, entrano tutti combattendo. Il bujo della notte si avanza gradatamente. Apresi la decorazione ad altra scena. Vedesi da una parte una montagna altissima piena di rupi, burroni, cespugli, scoscesa, e praticabile, le cui vie per salirla son varie, e riferiscono al di dentro della scena. Questa montagna avrà una caverna alla radice. Dall’altra parte vedesi una forte cortina delle mura di Mequinenz. È visibile in questo muro il forte portone de’ giardini di Zeliamo attraversato da planche di ferro. Nel fondo, e dietro la montagna vedesi il fiume Segra che segue il suo corso in dietro, e si nasconde scorrendo lungo le mura della città. Tra le montagne e le dette mura v’è una picola riva del fiume per comodo dello sbarco di qualche naviglio. La oscurità della notte è assai avanzata. Il nembo tuona, folgoreggia, e piove»; p. 106, IV.1; «La decorazione rappresenta una sala d’armi all’antica nel Castello di Pardo, con sedie, tavolini e lumi. Gli addobbi di questa sala sono, elmi, scudi, targhe, zagaglie, lancie, mazze ferrate, ecc. Sopra tutto trofei di spoglie vinte a’ turchi, bandiere con lune, turbanti, ecc.»; pp. 138-139, V.6-7 «Apresi la decorazione alla gran piazza di Mequinenz. Le fiamme che incendiano parte della Città, e le fiaccole che la illuminano. La battaglia di Turchi, e di aragonesi è generale e feroce. Sarà in arbitrio il rappresentare questa guerra notturna, e quest’incendio con tutti quegli oggetti che sono connaturali alle circostanze […]. Il giorno rischiara la città. Il Re è portato in trionfo da’ suoi soldati sopra agli scudi, che formano una scalinata. È preceduto da Alvaro, Sancio, Mendo, Uffiziali, e soldati, molti turchi schiavi, molte teste con turbanti, inalberate sopra le aste».

scenografia, cioè all’insieme dei movimenti scenici e alle entrate e alle uscite dell’imperatore Altoun e della sua corte.

L’appunto si trova nel manoscritto del Fondo che reca la prima stesura in versi della Turandot all’inizio della carta 10r e il foglio che lo precede contiene la conclusione del primo atto. Nella seconda stesura in versi l’inizio del secondo atto è siglato da un dialogo comico fra Truffaldino e Brighella, assente nella precedente versificazione, ma, dal momento che la carta 10r non reca alcuna informazione relativa all’atto o alla scena ai quali essa si riferisce siamo portati a ipotizzare che Gozzi abbia scritto anche nella prima verseggiatura le battute tra le maschere, ma che il Fondo non le abbia conservate. Si può presumere, dunque, che l’autore, dopo il dialogo fra Truffaldino e Brighella, abbia redatto l’appunto sullo scenario, che riguarda, evidentemente, le modalità con cui i cortigiani entrano dalla porta principale, menzionata in precedenza, e si dispongono in scena (momento peraltro narrato con dovizia di particolari nella seconda verseggiatura)9. Il drammaturgo sembra fare riferimento a una stesura di quest’ingresso corale già tratteggiato nel dettaglio, con ogni probabilità alludendo allo “scenario” concepito tecnicamente come il foglio contenente le entrate e le uscite degli attori, che recava, verosimilmente, lo schema dell’ingresso di tutti i personaggi facenti parte della corte dell’imperatore Altoum.

L’accezione del termine “scenario”, in questo caso, è affine a quella espressa da Andrea Perrucci nel trattato Dell’arte rappresentativa premeditata

ed all’improvviso (1699)10, in cui esso viene definito come una sorta di scaletta con le indicazioni per gli attori relativamente alle loro entrate ed uscite col richiamo alle battute di riferimento preposte allo scopo11, configurazione che lo rende assimilabile al “mandafuora”12.

9 Fondo Gozzi, 3.5, Turandot, c. 9v: «Precedono le guardie alla chinese; poi otto dottori, che vanno a’ loro posti, poi Magnifico che si mette da una parte del trono d’Altoum, poi Tartaglia che si mette dall’altra parte, poi Altoum riccamente vestito alla Chinese, vecchio con barba nera lunghissima. Altoum siede sul suo trono, i Dottori si inginocchiano con inchino battono la fronte per terra, poi si alzano e siedono a’ loro posti. Termina la marcia».

10 Sull’importanza di questo trattato si rimanda a P

IETRO SPEZZANI, Dalla commedia dell’arte a

Goldoni, Padova, Esedra, 1997, pp. 121-216.

11 ANDREA PERRUCCI, Dell’arte rappresentativa premeditata, ed all’improvviso, parti due, Napoli, presso Michele Luigi Mutio, 1699, pp. 149-151: «l’incontro col personaggio, che deve uscire è anche difettoso, perché alle volte s’incontra con tal’uno, che si deve sfuggire, come un nemico coll’altro, il Padre col figlio, che va evitando, e si viene a fare una terribile improprietà; di più volendo questi uscire, e quegli entrare si lascia la scena vuota, e si offende l’Uditorio. Per non incorrere in questo difetto si suole da alcuni fare uno scenario, di questo modo si dà ad ogni scena, o uscita un titolo del numero, v. g. Prima, 2. 3. 4. 5. 6. o pure una lettera dell’Alfabeto: A.

Se nel caso della Turandot, l’impiego del lemma equivale alla definizione perucciana, nella Prefazione a Cimene Pardo esso indica, senza dubbio, l’apparato scenografico dell’opera, in un significato molto prossimo a quello che si riscontra, per esempio, nelle Memorie di Lorenzo Da Ponte, in cui il termine è utilizzato in coppia con vestiario, comprensivo delle “robbe per la scena” e dei costumi13.

In effetti le accezioni gozziane del vocabolo sono entrambe testimoniate dal Grande Dizionario della Lingua Italiana:

1.complesso degli elementi scenici, costituiti dal fondale e dalle quinte, usati nelle rappresentazioni teatrali e nelle riprese cinematografiche. 5. Nella commedia dell’arte, traccia, canovaccio, costituito da uno schema e da indicazioni e appunti utili all’improvvisazione degli attori e anche, all’ordine di comparizione degli attori stessi sul palcoscenico. – Anche: il foglio su cui erano riportate tali indicazioni (con riferimento sia a quello affisso dietro le quinte e usato dagli attori sia a quello usato dal buttafuori)14.

Il Dizionario redatto dal Tommaseo, presentando come estinto l’identificazione del lemma con «foglio in cui sono descritti i recitanti, le scene, i luoghi pe’ quali volta per volta devono uscire in palco i comici»15 documenta B. C. D. E. F. e poi in un foglio di carta, che si affigge al muro dietro il Proscenio, si scrive così, quanfo fusse, v. g. Il pastor fido . ARCADIA / ATTO PRIMO / Scena prima / escono per B / Silvio Ite voi che chiudeste / Linco Lodo ben Silvio il venerar gli Dei. / vanno via per F, ove sono soggiunte le prime parole, che dicono uscendo, e per dove devono entrare, e così tenendo in memoria il Recitante quelle prime parole, che ha da dire per dove ha da uscire, e per dove entrare, non si viene a fare incontratura di scena, ed alcuni vi scrivono ancora l’ultime parole, di chi termina la scena antecedente, accióche chi vien fuori udendo l’ultime parole di chi entra esca, v. g. / Lin. che col piacere di Venere concetto / e va via per F. / Scena II / Per C / Mirtillo Cruda Amarilli, che col nome ancora / Ergasto Mirtillo Amor fu sempre un fier tormento Ergasto Foschi nembi di duel pioggia di pianto / E vanno via per G / e così da scena, in scena, e da Atto in Atto fino alla fine».

12 S. B

ATTAGLIA, GDLI, cit., voce ‘mandafuora’: «Foglio sul quale era segnato l’ordine di comparizione degli attori sul palcoscenico».

13

LORENZO DA PONTE, Memorie, a cura di GIOVANNI GAMBARIN e FAUSTO NICCOLINI, Bari, Laterza, 1918, parte II (1777-1792): «Ebbene! - disse - andate da Rosemberg e ditegli ch’io vi do l’uso del teatro. Rosemberg mi ricevette con gran giubilo; ma entrò Thorwart, e questi, sotto vari pretesti, guastò la faccenda. - Eccellenza, non abbiamo né un ricco scenario né un ricco vestiario. Vi sarebbero sempre dispute tra cantanti italiani e attori tedeschi: non si possono trasportar le scene ogni giorno senza grandissimo disturbo».

14 S. BATTAGLIA, GDLI, cit., voce ‘scenario’. Nello stesso vocabolario si legge alla voce ‘buttafuori’: «persona incaricata di far sgombrare la scena prima dell’alzarsi del sipario e di avvertire gli attori del momento in cui devono entrare in scena». Nel testo di Giovanni Azzaroni si rinviene un differente significato per il termine “buttafuori” (o l’avvisatore): «il buttafuori avverte la direzione, gli attori e i suonatori dei giorni di prove e di spettacolo, nonché il pubblico delle interruzioni, cambiamenti o sostituzioni che accader possono in teatro per impreviste circostanze durante le rappresentazioni, quando non vi sia pronto altro mezzo per pubblicarle» (GIOVANNI AZZARONI, Del teatro e dintorni. Una storia della legislazione e delle strutture

teatrali in Italia nell’Ottocento, Roma, Bulzoni, 1981, p. 135).

15 NICCOLÒ TOMMASEO, Dizionario della lingua italiana nuovamente compilato dai signori Nicolò Tommaseo e cav. professore Bernardo Bellini con oltre 100.000 giunte ai precedenti

come nelle seconda metà dell’Ottocento, periodo della compilazione del vocabolario, il termine fosse impiegato solo nell’accezione di scenografia. E, infatti, se nel Settecento maturo la parola “scenario” indica senza alcun dubbio la scenografia, come attesta il trattato del Milizia16 - e ancora Giovanni De Gamerra nell’esporre le linee guida del suo progetto per il rinnovamento del teatro di Napoli, chiede esplicitamente che l’edificio venga dotato di uno “scenario” ad esso confacente17 - alla fine del Seicento, come già testimoniato dal trattato di Perrucci, il lemma allude, invece, al singolo foglio recante le entrate e le uscite degli attori, simile al mandafuora, stando all’impiego del termine nel Malmantile racquistato18.

Il vocabolo “scenario” compare anche nella prefazione scritta da Francesco Andreini al Teatro delle favole rappresentative di Flaminio Scala (1611):

Avrebbe potuto il detto Signor Flavio (perché a ciò fare era idoneo) distender l’opere sue, e scriverle da verbo a verbo, come s’usa di fare; ma perché oggidì non si vede altro che Comedie stampate con modi diversi di dire, e molto strepitosi nelle buone regole, ha voluto con questa sua nuova invenzione metter fuora le sue Comedie solamente con lo Scenario, lasciando a i bellissimi ingegni (nati solo all’eccellenza del dire) il farvi sopra le parole, quando però non sdegnino d’onorar le sue fatiche da lui composte non ad altro fine che per dilettare solamente, lasciando il dilettare et il giovare insieme, come ricerca la poesia, a spiriti rari e pellegrini19.

Se leggiamo un qualunque testo contenuto nella silloge seicentesca, il significato attribuito da Perrucci al termine copre solo in parte il concetto che in questa prefazione il vocabolo riveste: è vero che tutti gli “scenari” sono dotati delle indicazioni relative alle entrate e alle uscite dei personaggi, a volte arrivando a un grado estremo di scarnificazione delle battute come nel caso del

dizionari raccolte da Nicolò Tommaseo, Giuseppe Campi, Giuseppe Meini, Pietro Fanfani e da molti altri distinti filologi e scienziati, corredato da un Discorso preliminare di Nicolò Tommaseo, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1865-1879, voce ‘scenario’.

16 FRANCESCO MILIZIA, Del teatro, Venezia, Pasquali, 1773, p. 64: «La scena è in Cartagine, e l’Architettura è Gotica. Lo Scenario ugualmente che il Vestiario deve essere regolato dal Poeta». 17

GIOVANNI DE GAMERRA, Novo teatro, Pisa, Ranieri Prosperi, 1789, p. 3: «Espone rispettosamente il Gamerra, che il Novo teatro avrà bisogno d’una dotazione di Scenario corrispondente a quella decorosa apparenza, che egli si propone di stabilire in tutto […]. Questo scenario non abbisognerà meno d’una spesa di scudi 2000».

LORENZO LIPPI, Il malmantile racquistato, in Finaro [Firenze], nella stamperia di Giovanni Tommaso Rossi, 1676, I, 50.

19 FLAMINIO SCALA, Il teatro delle favole rappresentative, a cura di FERRUCCIO MAROTTI, Milano, Il Polifilo, 1976, vol. I, p. 13.

Creduto morto20, ma è altrettanto certo che le favole rappresentative sono presentate da Andreini e da Scala come il materiale su cui i nobili, e più in generale i dilettanti, possono «farvi sopra le parole», cioè possono costruire la commedia. Tuttavia, se pensiamo al significato di “scenario” nel trattato di Perrucci, non sembra plausibile che un gruppo di non professionisti possa ordirvi sopra la trama di un dramma, avendo solo a disposizione uno schema con gli ingressi e le uscite degli attori, giudizio espresso anche da Giuseppe Baretti21.

A conferma dell’osservazione, viene una battuta che il figlio di Francesco, Giovan Battista Andreini, mette in bocca al personaggio di Filino che, nelle Due comedie in commedia (1623) asserisce che gli basta leggere lo scenario per saper recitare la commedia22.

In ambito settecentesco, oltre alle attestazioni precedentemente ricordate che individuano lo “scenario” come apparato scenografico, ne reperiamo altre diverse. Baretti nell’Account of the Manners and Customs of Italy; with

Observations on the Mistakes of some Travellers, with regards to that Country

(1768) utilizza il vocabolo per indicare il foglio, appeso alle quinte, recante un conciso sunto della vicenda e le indicazioni delle entrate e delle uscite:

Not many of the compositions, in which these masked personages with the innamorato’s and servetta’s were introduced, are to be found printed, because they were seldom written. Their authors only wrote in a very compendious way the business of each scene in a progressive order; and sticking two copies of the scenario (so this kind of dramatic skeleton as called) in two lateral back parts of the stage before the entertainment began, each actor caught the subject of each scene with a glance whenever called forth by his cue, and either singly or colloquially spoke extempore to the subject23.

20 Ivi, vol. II, p. 230: «ISABELLA lo crede lo spirito d’Orazio; spaventata, ritorna in casa / LAURA fuora, fa il simile, via / FLAVIO il simile, via / PANTALONE il simile, via / PEDROLINO il simile via».

21 G

IUSEPPE BARETTI, An Account of the Manners and Customs of Italy, with Observations on

the Mistakes of some Travellers, with regards to that Country, in IDEM, Opere, a cura di FRANCO FIDO, Milano, Rizzoli, 1967, pp. 619-620: «of these scenario’s, or skeletons, a good many are still extant. One Flaminio Scala, a comedian, has published fifty of his invention in 1611. I once saw the book, but could not make much of any of his plots, which are not easily unravelled but by comedians long accustomed to catch their reciprocal hints» («di questi scenari, o scheletri, molti esistono ancora. Un attore comico, Flaminio Scala, ne ha pubblicati cinquanta di sua invenzione nel 1611. Una volta vidi il libro, ma non potei cavare gran che da canovacci le cui possibilità drammatiche non sono evidenti che ad attori avvezzi da molto tempo ad afferrare le loro scambievoli allusioni»). Il piemontese afferma, dunque, il contrario di quanto sosteneva Riccoboni, che trovava le composizioni di Scala troppo lunghe.

22 GIOVAN BATTISTA ANDREINI, Le due comedie in comedia, in Commedie dell’arte, a cura di SIRO FERRONE, Milano, Mursia, 1986, vol. II, p. 27, I, 2: «ROVENIO Messer Filino, quest’è la vostra parte della commedia, non è così? / FILINO Sì, mio signore, e la so benissimo; poiché Lelio, giovine di vostra signoria, n’ha così tutti ben istrutti che basta veder lo scenario d’ogni commedia e siamo atti a recitarla. E in questo suggetto io fo Narciso». Il corsivo è nostro. 23 G.BARETTI, An Account of the Manners and Customs of Italy, cit., p. 619 («non sono molte le commedie con le maschere, gli innamorati e le servette che si possono trovare a stampa, perché

Scipione Maffei adopera lo stesso lemma in riferimento alle composizioni dei comici:

nella fine di quel secolo [Seicento], e nel principio del corrente, uso s’introdusse ancora di non recitar più opere stampate o scritte, e per autori composte, ma di comporsene gli scenari a lor modo i comici stessi, e prendendo qua e là, d’imbrogliar drammi senz’ordine o forma, ripieni di oscenità24.

Inoltre, non possiamo non confrontarci con Goldoni che, nella Prefazione al Servitore di due padroni, adopera la parola “scenario” per distinguere il testo

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