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La nozione d’impresa quale elemento fondamentale per la qualificazione fiscale di un soggetto e per l’applicazione del corretto statuto normativo

tributario

Nel precedente capitolo si sono illustrati i fattori che hanno caratterizzato l’elaborazione della nozione di impresa commerciale ai fini tributari, sottolineando la derivazione di tale nozione dalla corrispondente definizione civilistica (a sua volta influenzata profondamente dalla disciplina economica) ed esaminando quali sono le ragioni che hanno condotto ad un ampliamento rispetto al disposto del codice civile.

Nel presente capitolo si cercherà quindi di analizzare più in dettaglio la nozione tributaria di impresa, ed in specie quali sono in via di principio i requisiti

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che una determinata attività deve soddisfare per essere ricompresa nella fattispecie-impresa, nonché quando sussistono in concreto tali requisiti di modo da consentire di qualificare ai fini tributari una data attività come attività d’impresa, e di conseguenza qualificare il soggetto che pone in essere tale attività come imprenditore (122) (123).

L’importanza della valutazione della commercialità o meno di un’attività e di un ente (laddove con “commercialità” si indicherà nel presente lavoro, per brevità, l’attitudine di un’attività ad essere qualificata come esercizio di impresa commerciale) è particolarmente evidente se si considera l’ambito delle persone fisiche e degli enti non societari, per i quali cioè la commercialità non è stabilità

ex lege: infatti, dalla qualificazione di un soggetto come imprenditore

commerciale o meno discende non solo il regime fiscale (Ires/Irpef e Iva) applicabile allo stesso, ma anche una serie di conseguenze quali ad esempio, come già ricordato nel precedente capitolo, l’obbligatorietà della tenuta di scritture contabili e gli adempimenti ai fini dell’Iva (124).

Come si vedrà meglio nel prosieguo, tale qualificazione è poi particolarmente importante in taluni casi borderline, in cui la qualificazione di un’attività e di un soggetto come commerciale o meno non rileva solo al fine di determinare lo statuto normativo applicabile ai fini tributari a tale soggetto, ma anche per determinare ciò che è fiscalmente rilevante e ciò che invece non lo è

(122) A tal fine si ricorda che l’impresa costituisce un elemento logicamente anteposto all’imprenditore, in quanto la prima viene intesa come fattispecie, ed il secondo come soggetto al quale tale fattispecie è ascrivibile. E’ pertanto chiaro come la questione sia innanzitutto il determinare se una tale attività costituisce esercizio d’impresa, dato che da ciò discende anche la qualificazione del soggetto a cui è ascrivibile tale attività come imprenditore (semmai, l’unica questione che riguarda il soggetto imprenditore in quanto tale è quando una data attività può essere imputata ad un soggetto).

(123) Appare opportuno precisare che nel presente capitolo le locuzioni “attività imprenditoriali”, “attività d’impresa”, e “attività commerciali” saranno utilizzate come sinonimi, se non diversamente indicato, delle attività d’impresa commerciale.

(124) Come è noto, infatti, l’articolo 73 del Tuir prevede, oltre alle società,che «sono soggetti all'imposta sul reddito delle società: […]

b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;

c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;

d) le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato».

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(125). Peraltro, occorre osservare che una delle ragioni dell’importanza (e della complessità) di tale valutazione è indubbiamente il fatto che l’esercizio d’impresa è per sua natura una fattispecie dagli incerti confini che la stessa ha con l’esercizio di attività di lavoro autonomo, nonché con la categoria reddituale dei “redditi diversi” (ovverosia, il non esercizio di un’attività d’impresa commerciale).

Ciò non vuol dire tuttavia che la valutazione in merito alla commercialità di un’attività o di un soggetto sia irrilevante per i soggetti che sono in ogni caso imprenditori commerciali ai fini Ires e Iva per espressa disposizione legislativa, come le società (126): al contrario, la rilevanza della qualificazione come commerciale o meno dell’attività svolta si comprende bene se si fa riferimento ad una serie di disposizioni che pongono rilievo proprio sull’esercizio di una effettiva attività commerciale. E’ il caso, come descritto nel precedente capitolo, delle disposizioni in tema di esenzione delle plusvalenze da cessione di partecipazioni, nonché delle disposizioni in tema di indeducibilità dei costi per operazioni con soggetti domiciliati nei c.d. paradisi fiscali e in tema di controlled foreign

companies (127); in tali norme, infatti, la qualificazione dell’attività svolta dal soggetto non rileva per finalità proprie di tale soggetto, cioè determinare il regime

(125) Così anche M. BEGHIN, La capitalizzazione del profitto in beni non esclude l'esercizio dell'attività di impresa, in Corr. Trib. n. 20 del 2008, 1612.

Si pensi ad esempio al regime fiscale delle plusvalenze da cessione di immobili: com’e noto, l’articolo 67, comma 1, lettera c) del Tuir prevede l’imponibilità delle sole plusvalenze emergenti da cessioni effettuate entro i cinque anni dall’acquisto, mentre non sono soggette ad imposizione le plusvalenze realizzate quando la cessione è avvenuta oltre i cinque anni dall’acquisto; ebbene, è chiaro come qualificare un soggetto che cede un immobile dopo oltre cinque anni dall’acquisto tra i non imprenditori (e quindi non assoggettando ad imposizione la plusvalenza) o tra i soggetti imprenditori (per i quali le plusvalenze sono invece sempre imponibili come componenti del reddito d’impresa) fa pervenire a risultati radicalmente differenti, che consentono di far capire la rilevanza non solo in via di principio, ma anche l’impatto pratico-operativo, della disamina che si cerca di effettuare nel presente capitolo.

(126) Ci si riferisce in particolare ai fini Irpef/Ires alle norme di cui agli articoli 6, comma 3, del Tuir («i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi d’impresa […]»), e 81 del Tuir, e ai fini Iva l’articolo 4, comma 2, n. 1 del D.P.R. n. 633 del 1972.

(127) Tali disposizioni sono rispettivamente, si ricorda, l’articolo 87 del Tuir in tema di esenzione sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni (c.d. participation exemption), che prevede tra i requisiti il fatto che la partecipata eserciti un’attività commerciale ai sensi dell’articolo 55 del Tuir, l’articolo 110 del Tuir in tema di indeducibilità dei costi per operazioni con imprese localizzate in taluni Stati o territori (comma 10), il quale prevede una disapplicazione della norma nei casi in cui «le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva», nonché gli articoli 167 e 168 del Tuir in tema di controlled foreign companies o CFC, i quali prevedono anch’essi la non applicazione se il soggetto residente dimostra che il soggetto estero svolge «un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento»

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fiscale di tale soggetto – il quale, del resto, può ben essere aprioristicamente determinato ex lege - ma rileva per finalità di altri contribuenti, i quali, per la non applicazione di disposizioni antielusive, si trovano a dover valutare se vi sia un effettivo esercizio di attività commerciale in capo appunto ad un soggetto terzo (con tutti i problemi in merito alle difficoltà nella valutazione di tali requisiti in capo a soggetti con i quali si ha solo un rapporto di partecipazione o financo solo “di mercato”).

E’ di tutta evidenza che, sulla base di quanto appena accennato, la qualificazione di un’attività come commerciale o no rileva innanzitutto al fine di determinare se un soggetto sia o meno un imprenditore commerciale. Nel prosieguo del presente capitolo si esamineranno quindi innanzitutto la valutazione della commercialità in termini generali (e in quanto tali che possono essere riferiti primariamente ai soggetti persone fisiche), per poi analizzare nei successivi due capitoli le peculiarità della valutazione circa la commercialità in capo agli enti diversi dalle società, nonché aspetti relativi alla valutazione dell’attività effettiva in capo ad un soggetto terzo a fini antielusivi (norme in tema di participation

exemption e norme anti paradisi fiscali e CFC sopra riportate).

2. Gli elementi caratterizzanti l’impresa commerciale ed il loro

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