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La rilevanza della qualificazione soggettiva degli enti non societari nell’ordinamento tributario

elementi sulla cui base determinare la commercialità di un ente, e nei successivi paragrafi le norme speciali in tema di qualificazione dell’attività per detti enti.

2. La rilevanza della qualificazione soggettiva degli enti non societari nell’ordinamento tributario.

La qualificazione soggettiva di un ente non societario come commerciale o non commerciale riveste, come già accennato in precedenza, un’importanza

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fondamentale nel determinare il regime fiscale dello stesso, non solo per quanto concerne le imposte sui redditi, ma anche in materia di Iva (244).

Dato che la distinzione tra enti commerciali e non commerciali è innanzitutto contenuta nel corpus di norme in tema di imposte sui redditi, è necessario esaminare in primo luogo quanto recato da quest’ultime. Più in dettaglio, ai fini delle imposte sui redditi è centrale innanzitutto l’articolo 73 del Tuir, che individua i soggetti passivi Ires, e dispone che siano assoggettati a tale imposta (oltre che le società commerciali) sia gli enti commerciali, sia gli enti non commerciali (245).

Tuttavia, il fatto che tutti gli enti non societari siano soggetti ad Ires non comporta che essi siano trattati in maniera analoga: il successivo articolo 75 prevede infatti modalità di determinazione del reddito radicalmente differenti a seconda che un ente sia classificato come commerciale o non commerciale. I primi sono infatti equiparati alle società commerciali, per cui vale in tal caso il medesimo principio della forza di attrazione al reddito d’impresa anche dei redditi “oggettivamente” non d’impresa, mentre i secondi determinano invece il reddito complessivo quale somma dei risultati delle singole categorie reddituali – alla stregua, dunque, di una persona fisica (246) (247). Proprio a causa di ciò, in

(244) G. TABET, Verso una nuova tassazione degli enti non profit, in Rass. Trib., 1997, 574, osserva che la scelta effettuata in sede tributaria di distinguere tra enti commerciali e non commerciali ha risentito fortemente delle novità che si registravano in quel periodo (quali quelle relative al’esercizio di un’attività commerciale da parte di enti pubblici) in sede civilistica, volte a superare la tradizionale e rigida contrapposizione tra enti del libro I (concepiti come centri di imputazione di attività non economica) ed enti del libroV (concepiti quali centri di attività produttiva). Sul punto si veda anche S. BOFFANO, Disciplina fiscale e “finalità” degli enti del terzo settore, in G. ZIZZO, La fiscalità del terzo settore, Milano, 2011, 93.

(245) Il primo comma dell’art. 73 Tuir prevede infatti che sono soggetti ad Ires:

«a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché le società europee di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato;

b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;

c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;

d) le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.»

(246) Cfr. l’articolo 143, commi 1 e 2 (in cui si rinvia anche all’articolo 8 in tema di determinazione del reddito per i soggetti Irpef) del Tuir

(247) Osserva al riguardo G. ZIZZO, Ragionando sulla fiscalità del terzo settore, in G. ZIZZO (a cura di), La fiscalità del terzo settore, cit., 3, che «d’altra parte, mentre le organizzazioni con scopo di lucro (soggettivo) sono create per generare ricchezza a favore dei partecipanti, sicché la

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coerenza con tale sistema di tassazione la legge delega per la riforma del sistema tributario n. 80 del 2003 ne aveva previsto (articolo 3, primo comma, lett. a) il trasferimento dall’area dell’Ires a quella Irpef/Ire, con la conseguente adozione del regime impositivo previsto per le persone fisiche, ma il disegno di riforma non ha avuto completa attuazione (248).

Una prospettiva analoga è adottata dal legislatore ai fini dell’Irap: anche in tale imposta, infatti, la qualificazione di un ente quale commerciale o non commerciale - da effettuarsi, per l’espresso rinvio fatto dagli articoli 3 e 10, c. 5, del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 ai criteri previsti in tema di Ires - comporta un diverso meccanismo di determinazione dell’imposta: in particolar modo, nell’articolo 10 del D. Lgs. n. 446 del 1997 sono previsti due differenti modalità di determinazione del valore della produzione netta per gli enti non commerciali, a seconda che questi svolgano esclusivamente attività non commerciale (e in tal caso il valore della produzione netta è costituito sostanzialmente dai compensi erogati dall’ente per prestazioni lavorative) o svolgano anche un’attività commerciale (e in tal caso la base imponibile a queste relativa è determinata secondo i medesimi criteri previsti per le società e gli enti commerciali) (249).

loro capacità economica può in qualche modo essere confusa con quella di questi ultimi (in quanto destinata a convertirsi, con modalità e tempi variabili, nella capacità economica degli stessi), le organizzazioni senza scopo di lucro (soggettivo) si rivelano, al pari delle persone fisiche, come terminali della ricchezza che producono. E se la capacità economica che manifestano è munita della medesima autonomia di quella che manifestano le persone fisiche, essa indubbiamente può essere apprezzata, al pari di quella di queste ultime, come espressione di attitudine a partecipare al riparto delle pubbliche spese.»

(248) Infatti, nelle intenzioni del legislatore delegante l’Ires avrebbe dovuto assoggettare ad imposizione solo quegli enti che, sulla base della loro forma giuridica o per il contenuto della loro attività istituzionale (ovverosia, rispettivamente, le società e gli enti commerciali) danno luogo unitariamente ad attività commerciali, mentre l’Ire avrebbe dovuto colpire residualmente quei soggetti (persone fisiche ed enti non commerciali) il cui reddito non si manifesta unitariamente ma come singole categorie. Si veda al riguardo P. ROSSI, Enti non commerciali residenti, in A. FANTOZZI (a cura di), Tuir e leggi complementari, Tomo III del Commentario breve alle leggi tributarie a cura di G. FALSITTA, A. FANTOZZI, G. MARONGIU, F. MOSCHETTI, Padova, 2010, 727.

(249) Più in dettaglio, l’articolo in parola prevede che «1. Per gli enti privati non commerciali di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e) che svolgono esclusivamente attività non commerciali, la base imponibile è determinata in un importo pari all'ammontare delle retribuzioni spettanti al personale dipendente, dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui all'articolo 47 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dei compensi erogati per collaborazione coordinata e continuativa di cui agli [articoli 49, comma 2, lettera a) ], nonché per attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente di cui all'articolo 81, comma 1, lettera l) del citato testo unico n. 917 del 1986. Sono in ogni caso escluse dalla base imponibile le remunerazioni dei sacerdoti e gli assegni ad esse equiparati di cui all'articolo 47, comma 1, lettera d) , del predetto testo unico, nonché le somme di

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Anche ai fini dell’Iva la distinzione tra enti commerciali e non commerciali ha una rilevanza fondamentale. Innanzitutto, occorre osservare che la definizione di ente commerciale o non commerciale ai fini Iva e ai fini delle imposte sui redditi è essenzialmente la medesima, poiché la disciplina in materia di Iva non definisce cosa si debba intendere per “oggetto esclusivo o principale” per cui, in un quadro di nozioni essenzialmente unitario, così come già delineato nei capitoli precedenti in tema di attività d’impresa commerciale (essendo, come si è esaminato nei paragrafi precedenti, la nozione di attività commerciale ai fini Iva sostanzialmente la medesima rispetto a quella prevista nelle imposte sui redditi), anche in tale ambito si ritiene di dover adottare la medesime nozioni di ente commerciale e ente non commerciale delineate nelle imposte sui redditi (250).

Anche riguardo all’Iva la qualificazione di un ente non societario diviene essenziale, e anche in tal caso non nel determinarne il regime fiscale applicabile bensì nella stessa applicabilità dell’imposta in taluni casi, poiché l’articolo 4 prevede, al comma 2, n. 2, che si considerano in ogni caso effettuate nell'esercizio di imprese le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da enti non societari che abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (o agricole), mentre al comma 4 si prevede che, se tali enti non cui alla lettera c) dello stesso articolo 47 del medesimo testo unico esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche relative a borse di studio o assegni.

2. Se i soggetti di cui al comma 1 esercitano anche attività commerciali la base imponibile a queste relativa e determinata secondo la disposizione dell'articolo 5, computando i costi deducibili ivi indicati non specificamente riferibili alle attività commerciali per un importo corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e degli altri proventi considerati dalle predette disposizioni e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. La base imponibile relativa alle altre attività è determinata a norma del precedente comma 1, ma l'ammontare degli emolumenti ivi indicati è ridotto dell'importo di essi specificamente riferibile alle attività commerciali. Qualora gli emolumenti non siano specificamente riferibili alle attività commerciali, l'ammontare degli stessi è ridotto di un importo imputabile alle attività commerciali in base al rapporto indicato nel primo periodo del presente comma […]

4. Per gli altri soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e) , la base imponibile è determinata: a) per le società ed enti commerciali secondo le disposizioni degli articoli 5, 6 e 7 che risultano ad essi applicabili;

b) per le società ed associazioni esercenti arti e professioni secondo la disposizione dell'articolo 8;

[…]

5. Ai fini dell'applicazione del presente titolo le attività commerciali sono quelle considerate tali ai fini delle imposte sui redditi.»

(250) Sarebbe infatti del tutto improbabile che un ente sia qualificato come “commerciale” ai fini Ires e “non commerciale” ai fini Iva, o viceversa. Tuttavia, ciò non è impossibile:basti pensare, ad esempio, alle menzionate norme di cui all’articolo 4 del D.P.R. 633 del 1972, il quale prevede i al secondo periodo del quinto comma una deroga alla commercialità che non ha un omologo nelle imposte dirette.

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hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (o agricole), si considerano effettuate nell’esercizio di imprese solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di attività commerciali (o agricole) (251).

La presunzione di imprenditorialità prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972 – e la conseguente presunzione di inerenza delle acquisizioni di beni e di servizi - opera infatti per le società e per gli altri enti commerciali, ma non per gli enti non commerciali, per i quali occorre discriminare sempre tra operazioni svolte nell’esercizio dell’attività istituzionale e operazioni compiute nell’ambito dell’attività commerciale svolta dall’ente a fianco dell’attività istituzionale (252). Ciò non toglie tuttavia che, per gli enti non commerciali, la disapplicazione della presunzione di commercialità sia accompagnata dalla previsione di ulteriori presunzioni, seppur di portata più limitata, che coinvolgono sia specifiche attività considerate in ogni caso commerciali (anche se svolte da enti pubblici), sia ai rapporti che vengono instaurati con soci, associati o partecipanti (con alcune eccezioni anche in tale ultimo caso) (253).

(251) Il comma 4 della disposizione in parola prevede inoltre, al secondo periodo, specifiche disposizioni in tema di operazioni svolte nei confronti dei soci, associati o partecipanti, il cui contenuto è analizzato infra nel paragrafo relativo alle norme speciali per gli enti non commerciali. (252) P. CENTORE, Enti non commerciali: profili Iva nazionali e comunitari, in Enti non profit n. 11 del 2009, 11.

(253) La presunzione assoluta di commercialità di talune attività è contenuta nel quinto comma dell’articolo 4, il quale prevede che «agli effetti delle disposizioni di questo articolo sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, le seguenti attività:

a) cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, escluse le pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati (3);

b) erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore; c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;

d) gestione di spacci aziendali, gestione di mense e somministrazione di pasti; e) trasporto e deposito di merci;

f) trasporto di persone;

g) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; prestazioni alberghiere o di alloggio; h) servizi portuali e aeroportuali;

i) pubblicità commerciale;

l) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.»

La presunzione di commercialità delle operazioni svolte verso soci,associati o partecipanti è contenuta nel secondo periodo del quarto comma del medesimo articolo, secondo il quale «Si considerano fatte nell'esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione

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Nondimeno, distinguere tra enti commerciali e non commerciali rileva anche in ambiti diversi dalle imposte sui redditi, dall’Irap e dall’Iva, tra cui particolare rilevanza (anche dal punto di vista pratico-operativo) assume l’ambito applicativo dell’imposizione patrimoniale sugli immobili, ovverosia l’imposta comunale sugli immobili (Ici), sostituita dall’imposta municipale propria (Imu): sia nella disciplina in materia di Ici, sia in materia di Imu sono infatti esenti da imposta gli immobili utilizzati da enti non commerciali destinati esclusivamente allo svolgimento di determinate attività meritevoli (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive) nonché delle attività di religione o di culto (intendendo per quest’ultime, ai sensi dell’articolo 16, lett. a,della l. 20 maggio 1985, n. 222 quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana) che non abbiano esclusivamente natura commerciale (254) (255). Tale ultima disciplina reca peraltro un ulteriore problema, ovverosia accertare non la prevalenza dell’attività commerciale su quella istituzionale bensì la “non esclusività” dell’attività commerciale; ciò significa, in sostanza, che gli immobili destinati da enti non commerciali ad attività ricomprese nell’ambito applicativo in parola saranno esenti da Ici/Imu anche qualora svolgano un’attività commerciale, e financo in via prevalente, purché non in via esclusiva (256).

sociale e di formazione extra-scolastica della persona, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di una unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali».

(254) In materia di Ici la disposizione che prevede l’esenzione è l’articolo 7, primo comma, lettera i. Tale esenzione è stata ribadita relativamente all’Imu (la cui applicazione è stata anticipata al 2012 dall’articolo 13 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201) nel D. Lgs. 14 marzo 2011, n.23; tale decreto prevede, all’art. 9, comma 8, che «sono esenti dall'imposta municipale propria gli immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall'articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h), ed i) del citato decreto legislativo n. 504 del 1992».

(255) In merito all’attività di religione o di culto e al fatto che tale esenzione si intenda applicabile alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale si vedano l’articolo 7, comma 2-bis, del D.L. n. 203 del 2005 come modificato dall’articolo 93, primo comma, del D.L. n. 223 del 2006 (nonché le relative leggi di conversione).

(256) L’interpretazione di detto criterio ha peraltro comportato un significativo contenzioso giunto sino alla Suprema Corte, la quale con sentenza 16 luglio 2010 n. 16728 (ribadendo quanto già affermato nella precedente sentenza 8 marzo 2004, n. 4645) ha affermato, in relazione ad un fabbricato in cui la Piccola Fraternità di Santa Elisabetta di Assisi gestiva una "Casa religiosa di

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Infine, occorre altresì considerare che la qualificazione di un ente come commerciale o non commerciale assume rilevanza anche per quanto concerne gli adempimenti e gli obblighi previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973.

Infatti, l’articolo 20 del D.P.R. n 29 settembre 1973, n. 600 stabilisce delle disposizioni ad hoc per gli enti non commerciali, prevedendo in sintesi che (257):

(i) l’ente non commerciale che non esercita alcuna attività commerciale non deve tenere alcuna contabilità ai fini fiscali, anche in presenza di redditi quali quelli fondiari, di capitale o diversi;

(ii) l’ente non commerciale che esercita un’attività commerciale ha l’obbligo di istituire una contabilità separata in cui vanno indicati i componenti positivi e negativi relativi a detta attività commerciale.

ospitalità", che «la attività [di gestione della] “casa di ospitalità” non è riconducibile alla “attività di religione” come definita dalla L. n. 222 del 1985, art. 16, lett. a) ma rientra nelle "attività diverse" quali devono considerarsi "le attività commerciali o a scopo di lucro" a norma della L. n. 222 del 1985, art. 16, lett. b. […]», e per quest’ultime attività (tra le quali rientra anche la gestione di pensionati dietro pagamento di rette, fattispecie considerata dalla sentenza del 2004 sopra menzionata) non è prevista alcuna esenzione Ici.

(257) Più in dettaglio, ai sensi di tale articolo « Le disposizioni degli artt. 14, 15, 16, 17 e 18 si applicano, relativamente alle attività commerciali eventualmente esercitate, anche agli enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali. Indipendentemente alla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio, un apposito e separato rendiconto tenuto e conservato ai sensi dell'artt. 22, dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione indicate nell'articolo 108, comma 2- bis , lettera a) , testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Gli enti soggetti alla determinazione forfetaria del reddito ai sensi del comma 1 dell'articolo 109 - bis del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che abbiano conseguito nell'anno solare precedente ricavi non superiori euro 15.493,71, relativamente alle attività di prestazione di servizi, ovvero a euro 25.822,84 negli altri casi, assolvono gli obblighi contabili di cui all'18, secondo le disposizioni di cui al comma 166 dell'articolo 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662.»

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3. La qualificazione di un ente tra gli enti commerciali o non

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