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CAPITOLO 3. La Legge n 85/ 2009: colmato il vuoto normativo in tema

3.1 Nozioni preliminari e ambito applicativo

Prima di inoltrarci nella disamina in dettaglio di quella parte del dettato normativo che costituisce oggetto del nostro interesse, sarebbe opportuno dedicare uno spazio a quei concetti chiave della materia, che, difatti, il legislatore non si sottrae dal definire.

A tal proposito all’art. 6 distingue tra “reperto biologico” e “campione biologico”: nel primo caso si tratta di quella quantità di sostanza biologica che

81 si acquisisce sulla scena del delitto o comunque su cose pertinenti al reato; nel secondo è quella che viene, invece, asportata dalla persona sottoposta al prelievo. Da entrambe è possibile estrarre o, per meglio dire, tipizzare il “profilo del DNA”, definito come “la sequenza alfanumerica ricavata dal DNA e caratterizzante ogni singolo individuo”.

C’è da aggiungere, poi, che le nozioni di reperto e campione richiamano generalmente il distinguo tra raccolta e prelievo. La prima risulta limitata all’apprensione di tracce biologiche da luoghi, cadaveri o cose; il secondo, invece, implica necessariamente un intervento su un soggetto vivente212.

L’analisi del lessico usato dal legislatore fa comprendere che l’accertamento corporale, quando implica un prelievo, consiste, in realtà, in un’articolata scansione procedimentale, che si snoda attraverso più momenti213. Il dato normativo si concentra, però, solo sul primo di essi: l’acquisizione del campione con ablazione di materiale biologico dalla persona. A questo farà poi seguito la successiva fase di determinazione del profilo genetico ed, infine, sarà necessario procedere alla comparazione critico-valutativa tra il profilo così estratto e altro profilo, sia esso tipizzato dal reperto rinvenuto sulla scena

criminis o reperito nella Banca dati nazionale del DNA.

L’accertamento in cui si concretizza l’indagine genetica risente di alcune variabili relative in primis alla fase procedimentale in cui viene disposto, ma anche della ripetibilità o irripetibilità dell’attività o dell’eventuale urgenza della stessa: tale attività trova oggi un’inedita collocazione nell’ambito della

212 A. Cocito, L’ambito definitorio, in Banca dati del DNA e accertamento penale, a cura di L.

Marafioti- L. Luparia, Giuffrè, 2010, cit., 84. La puntualizzazione non ha solo un rilievo terminologico, recando implicazioni sul piano dei limiti e delle garanzie connesse alle operazioni consentite. Basti pensare al fatto che le limitazioni sancite dalla Corte Cost. con sent. 238/1996 operano esclusivamente con riferimento al prelievo.

82 perizia (art. 224 bis c.p.p.) o dell’accertamento tecnico del pubblico ministero (art. 359 bis c.p.p.), secondo uno schema basato sull’alternativa tra consenso della persona da sottoporvi e coazione esercitabile solo con provvedimento del giudice.

Dunque, dalla novella legislativa si trae una summa divisio che vede il consenso dell’interessato come criterio discretivo214: solo l’eventualità in cui

esso manchi è, però, espressamente regolamentata dal disposto, in ragione del fatto che la necessità di una costrizione fa scattare il limite costituzionale della libertà personale. Per contro, nessuna tutela ad hoc è prevista nel caso in cui la persona manifesti il proprio assenso215: dovrà, perciò, ritenersi che tali attività potranno legittimamente essere effettuate dal pubblico ministero e dal giudice senza alcuno sbarramento di sorta, seppur entro i confini degli ordinari poteri accertativi che sono loro riconosciuti.

Aspra la critica della dottrina216 nei riguardi di questo vuoto normativo: eppure è pacifico che l’individuo non ha un pieno potere di disporre del proprio

214 I. Boiano, L’obbligo di informazione sulle finalità del prelievo di campioni organici, cit., 4352.

Rileva come il consenso dell’interessato rappresenti più che una semplice formalità, poiché la legittimità dell’operazione di prelievo dipende dalla sua validità. In tal senso vedi anche G. De Leo, Il prelievo coattivo di materiale biologico nel processo penale e l’istituzione della Banca dati

nazionale del DNA, cit., 931 ss. Anche l’autore afferma che quest’area di imprecisione ed

incertezza è particolarmente grave, tenuto conto della sanzione di inutilizzabilità che colpisce ex art. 191 c.p.p. le prove assunte in violazione di legge.

215 P. Tonini, Informazioni genetiche e processo a un anno dalla legge, in Dir. Pen. Proc., 2010,

cit., 886. Il legislatore, preoccupato di prevedere in ogni dettaglio l’ambito di operatività del prelievo coattivo, ha trascurato la disciplina delle operazioni in caso di prestazione di consenso, attribuendo allo stesso l’idoneità a superare ogni rilievo eccepibile.

216 Vedi in tal senso C. Conti, I diritti fondamentali della persona tra divieti e “sanzioni processuali”: il punto sulla perizia coattiva, in Dir. Pen. e Proc., 2010, fasc. 8, cit., 993 ss.

83 corpo217, acconsentendo, in ipotesi, al compimento di atti che possano lederne o finanche metterne in pericolo la vita, l’integrità fisica e psichica o la sua dignità. Si tratta del “nucleo intangibile” della persona, che rinviene una, seppure generica, tutela nel divieto di disporre del proprio corpo di cui all’art. 5 c.c.218, nonché della propria libertà morale ex art. 188 c.p.p. Ovvio è che, anche qualora si dovessero oltrepassare tali limiti nello svolgimento di attività procedimentali, i risultati così acquisiti sarebbero inutilizzabili ex art 191 c.p.p. Tuttavia, sarebbe stato opportuno che il legislatore prevedesse anche dei limiti e modalità procedurali rispetto ad interventi che pure presuppongono la disponibilità della persona che vi si sottopone, onde scongiurare possibili derive verso pratiche poco rispettose dei valori fondamentali.

D’altro canto, c’è anche da dire che lo stesso non ha minimamente curato i requisiti che pure l’assenso dovrebbe avere: non sancisce claris verbis che l’atto dispositivo sia informato e volontario.

217 Cfr. M. Croce, Genetica umana e diritto: problemi e prospettive, in Atti di disposizione del proprio corpo, a cura di R. Romboli, Pisa University Press, 2007, cit., 100 ss. L’autore affronta la

questione della libertà di disposizione delle proprie informazioni genetiche. Egli parte dal seguente dato: i conflitti tra le opposte esigenze di tutela della libertà personale e dell’integrità fisica sono generalmente risolti decretando una prevalenza della libertà, in ragione del principio personalista, quando gli effetti dell’atto di diposizione del proprio corpo si esauriscono nell’ambito della propria sfera individuale. Tuttavia, a ciò aggiunge una considerazione: le informazioni genetiche sono peculiari, in quanto condivise con i soggetti appartenenti alla medesima linea genetica. Dunque, conclude negando la possibilità di disporre liberamente di tali dati, visto che contemporaneamente si disporrebbe delle libertà appartenenti anche ad altri senza aver ricevuto il loro consenso. Allo stesso modo, esclude la possibilità di porre divieti assoluti di accesso alle proprie informazioni genetiche, non atteggiandosi le stesse solo come “proprie”.

218 Per una panoramica generale sull’argomento si rinvia a G. Anzani, Gli “atti di disposizione della persona” nel prisma dell’identità personale (tra regole e principi), in Nuova Giur. Civ.,

84 Resta, dunque, la questione relativa al grado di controllo che si intende riconoscere all’interessato, almeno quando acconsente, circa modi ed obiettivi di utilizzo del materiale genetico rilasciato. Così, in dottrina219 si sostiene che, in ogni caso, il consenso che concerne il prelievo richiederebbe informazione220 e consapevolezza circa le possibili implicazioni sulla salute della persona che vi è sottoposta, nonché riguardo le finalizzazioni investigative dell’atto, mentre sarebbe difficile ipotizzare un diritto alla conoscenza in dettaglio circa le tecniche di investigazione, le sorti221 del campione ecc.

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