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CAPITOLO 3. La Legge n 85/ 2009: colmato il vuoto normativo in tema

3.2 Le ipotesi di prelievo coattivo attualmente previste

3.2.1 L’art 224 bis c.p.p.: una nuova tipologia di perizia

3.2.1.2 I possibili destinatari

L’attenzione ai soggetti passivi del prelievo induce alcune considerazioni. Anzitutto, dalla lettura dell’art. 224 bis c.p.p. si evince che l’intervento coercitivo può riguardare tanto l’imputato quanto terze persone, anche incapaci o minori di età. Tanto si deduce dal disposto del comma 1, che parla espressamente solo di “persone viventi” senza ulteriori aggettivazioni e, ancor più, dal successivo comma 3, che prevede che l’ordinanza che dispone la perizia sia notificata, oltre che all’imputato, anche all’ “interessato”. Infine, in modo ancora più netto, risulta dall’interpolazione operata nell’art. 133 disp.

231 A. Camon, La disciplina delle indagini genetiche, cit., 1426 ss.

90 att. c.p.p., in cui l’accompagnamento coattivo viene esteso “alla persona sottoposta all’esame del perito diversa dall’imputato”233.

Si tratta di precisazioni di non secondario rilievo alla luce dei risvolti problematici che ne seguono, specialmente nella fase di concreto esercizio dei poteri di accertamento, e su cui, pertanto, è bene soffermarsi. Per prima cosa occorre chiedersi quando può risultare necessario acquisire il contributo biologico di un terzo non imputato.

Una prima eventualità vede come oggetto del prelievo la persona offesa: viene commesso un reato ed è necessario ottenere il profilo genetico della vittima, per differenziarlo da quello dell’aggressore. In ipotesi del genere il soggetto da sottoporvi dovrebbe ben essere disposto a collaborare. Peraltro, non è da scartare nemmeno la possibilità che il terzo che non è persona offesa possa avere interesse a fornire un campione biologico al fine, ad esempio, di escludere ogni suo possibile coinvolgimento nella fattispecie delittuosa.

Esistono, tuttavia, dei casi in cui l’estensione di attività ablative di tale sorta a soggetti terzi può implicare profili di criticità.

Il pensiero volge preliminarmente verso quelle pratiche di ricerca indiretta, note come familiar searching. Nei test genetici il familiare assurge a un ruolo del tutto peculiare: una volta assodato che le caratteristiche genetiche degli individui hanno la peculiarità di essere condivise dai membri di uno stesso

233

Vedi anche M. Pierdonati, Accompagnamento coattivo e operazioni peritali, in Banca dati del

DNA e accertamento penale, a cura di L. Marafioti- L. Luparia, Giuffré, 2010, cit., 290 ss. Il

nuovo inciso dell’art. 133 disp. att. presenta una latitudine assai ampia, includendo chiunque sia interessato dall’operazione peritale forzosa e si dimostri riottoso a sottoporvisi: dunque, il sospettato non formalmente indagato, la persona offesa dal reato, i familiari dell’imputato o dell’indagato, i soggetti lambiti dalla vicenda criminosa (perché ad es. presenti sul luogo del delitto o durante la commissione dello stesso) e, comunque, qualsiasi altro terzo estraneo al procedimento penale.

91 gruppo biologico o familiare234, è immediato intuire come l’estrazione del profilo del DNA da un consanguineo possa consentire in molti casi di risalire all’autore del reato. Basti pensare al caso concreto di un soggetto latitante o irreperibile: in ipotesi del genere potrebbe essere possibile ricondurre allo stesso una traccia di materiale biologico lasciata su un oggetto repertato sulla scena del crimine solo ricorrendo al prelievo e alla successiva estrazione del profilo genetico di un familiare235.

Sorge a tal proposito la questione se una persona possa essere costretta a fornire, anche contro la sua volontà, informazioni che incriminano il familiare. Si tratta, in sostanza, di sondare la possibilità di un’estensione analogica della regola prevista a proposito dell’istituto della testimonianza: si profila, infatti, un paragone tra la posizione processuale del testimone, che offre un apporto per mezzo di dichiarazioni, e quella del consanguineo chiamato a sottoporsi a pratiche ablative, non a caso definito anche “testimone genetico”.

È ben noto che l’art. 199 c.p.p. dà la facoltà ai prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal rendere testimonianza, attribuendo rilievo a quel sentimento di “solidarietà familiare”. Si vuole evitare, cioè, che quel soggetto venga posto di fronte alla scelta tra due alternative: rivelare episodi da cui

234 La condivisibilità è caratteristica strettamente connessa all’ereditabilità del corredo genetico.

Ogni individuo presenta un assetto del DNA cromosomico ereditato per metà dalla madre e per metà dal padre con regioni variabili che sono riassortite in modo casuale. Vedi V. Barbato- G. Lago- V. Manzari, Come ovviare al vuoto sui prelievi coattivi creato dalla sentenza n. 328 del

1996, cit., 362.

235 Un’applicazione concreta si ebbe nella vicenda relativa alla cattura del boss Bernardo

Provenzano, nella quale si procedette all’esame comparativo delle tracce estratte da alcuni campioni di tessuto con il profilo genetico del fratello del boss, che fu così smascherato: tali campioni risultavano erroneamente appartenenti a un certo Gaspare Troia, a causa di una sostituzione messa a punto dallo stesso Provenzano.

92 potrebbe conseguire una condanna per il familiare oppure dichiarare il falso, rischiando, però, di essere perseguito penalmente.

Ora, è evidente che l’art. 199 c.p.p. si riferisce alla testimonianza e non alla richiesta di materiale biologico236. In più, oltre il dato letterale, deve essere anche considerata la radicale diversità concettuale tra il testimone in senso stretto e quello genetico: il primo è, più semplicemente, un mediatore di conoscenza, chiamato a dichiarare a terzi un fatto per lui stesso neutro; il secondo, invece, è un soggetto al quale si chiede di cedere una parte di sé237. Ciò rende conto della diversità di vedute in dottrina.

Da un lato c’è chi238

, facendo leva anche su modelli di ordinamento processuale oltrefrontiera ormai consolidati, si assesta su una posizione volta ad escludere categoricamente la possibilità di imporre un prezzo simile a un libero cittadino. Dall’altro, una fetta non meno considerevole propende, invece, verso il riconoscimento della legittimità di pratiche di tale spessore indirizzate verso un soggetto non direttamente coinvolto nelle vicende processuali, giungendo a riconoscere un obbligo di collaborazione, riconducibile al dovere di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.239.

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In senso contrario C. Fanuele, Dati genetici e procedimento penale, cit., 49. Afferma che anche il corpo umano potrebbe essere considerato una “fonte di prova” di natura “dichiarativa”, perché è in grado di fornire dichiarazioni equivalenti (anzi, più attendibili) alle dichiarazioni provenienti da una persona che collabora, attivamente, con il proprio interlocutore, rispondendo alle sue domande.

237 Distinzione messa a punto da A. Santosuosso- G. Gennari, Il prelievo coattivo di campioni biologici e i terzi, cit., 395 ss.

238 A. Santosuosso- G. Gennari, Il prelievo coattivo di campioni biologici e i terzi, cit., 395 ss. 239 Così M. Panzavolta, Il profilo dell’istituto, cit., 1221 ss; P. Felicioni, L’acquisizione di materiale biologico a fini identificativi o di ricostruzione del fatto, in Prelievo del DNA e banca dati nazionale, a cura di A. Scarcella, Cedam, 2009, cit. 223.

93 I pericoli paventati dall’allargamento anche a soggetti terzi delle attività indirizzate all’acquisizione del campione biologico diventano ancor più accentuati col profilarsi di pratiche volte a mettere a punto accertamenti genetici su vasta scala240. La finalità dello screening di massa può essere meramente esplorativa o può contribuire a restringere la cerchia dei sospettati: è ragionevole ritenere che, svolgendosi il prelievo di solito su base volontaria, il colpevole ben difficilmente si esporrà a conseguenze per lui pregiudizievoli, ma, d’altro canto, è proprio la ricerca di segni (rifiuti ingiustificati, comportamenti anomali ecc.) che possano indirizzare verso una certa persona a rendere funzionale il ricorso a tale strumento. A ciò si aggiunge il fatto che, pur non prestandosi al prelievo l’autore del crimine, sarà ugualmente possibile ottenere preziose informazioni da un ignaro donatore legato da vincoli di consanguineità con il responsabile del reato.

È fuor di dubbio, quindi, che si tratti di un congegno che può trovare utile impiego in ambito processuale, ma che necessiterebbe di una analitica regolamentazione.

Le modifiche apportate al codice di procedura penale hanno imposto al legislatore di mettere mano anche alla disciplina attuativa. Tra le novità che in questa sede ci interessano vi è l’introduzione dell’art. 72 bis disp. att. c.p.p., avente riguardo il prelievo di campioni biologici su minori e su persone incapaci o interdette. Dunque, la norma in esame affronta il problema posto dalla necessità di effettuare tali tipologie di prelievi su un soggetto che non sia in grado di compiere validamente atti giuridici, ossia, nel caso specifico, di esprimere il suo consenso allo svolgimento dell’atto. Si prevede

240 In Italia ha avuto un’applicazione piuttosto nota nel 2002 a Dobbiaco: la Procura della

Repubblica richiese la collaborazione degli abitanti maschi ed ottenne spontaneamente dagli stessi dei campioni di saliva, tra i quali si trovò poi quello di colui che risultò essere il padre dell’assassino.

94 conseguentemente che la potestà di prestare o negare lo stesso sia attribuita al genitore o al tutore e, quando questi manchino, non siano reperibili o si trovino in una situazione di conflitto di interesse, al curatore speciale.

Tale scelta del legislatore non è stata risparmiata da rilievi critici, in particolar modo con riguardo alle cautele previste per i minorenni. Anzitutto, si contesta l’ambito operativo del relativo istituto241

: sarebbe stato opportuno provvedere ad innalzare la soglia di gravità dei reati per il cui accertamento la perizia è consentita, rendendola omogenea con quella delle misure cautelari nei procedimenti contro minorenni, mentre si rimanda genericamente ai presupposti di cui all’art 224 bis c.p.p., con il solo limite della compatibilità. Peraltro, è stato ritenuto altresì incongruo che il legislatore non si sia premurato di differenziare, all’interno della categoria dei soggetti minorenni, le diverse fasce di età, attribuendo in ogni caso al genitore la potestà di manifestare il consenso al prelievo, anche quando, ad esempio, l’interessato sia un soggetto di poco infradiciottenne. Così, il minore, il quale sia perfettamente in grado di comprendere la portata dell’atto, risulterebbe esautorato di un potere che dovrebbe invece essere a lui riservato242.

241

Così M. Panzavolta, Il profilo dell’istituto, cit., 1225; Contra vedi P. Felicioni, L’accertamento

di materiale biologico a fini identificativi o di ricostruzione del fatto, cit. 224, secondo cui tale

confronto non è idoneo a supportare una limitazione dell’ambito applicativo del prelievo, in quanto le misure cautelari incidono sulla libertà personale del minorenne con un’intensità differente e sicuramente maggiore rispetto al prelievo.

242 Così rileva S. Quattrocolo, I risvolti attuativi delle novelle in tema di prelievi coattivi: raccolta di campioni su incapaci; verbalizzazione delle operazioni; distruzione dei campioni, in Banca dati del DNA e accertamento penale, a cura di L. Marafioti- L. Luparia, Giuffré, 2010, cit., 326. Ciò

emerge ancor più confrontando il dato normativo con la disciplina vigente in materia di processo a carico di imputati minorenni, che attribuisce a questi ultimi ampissime facoltà di scelta in ordine agli sviluppi del processo.

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