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CAPITOLO 3. La Legge n 85/ 2009: colmato il vuoto normativo in tema

3.2 Le ipotesi di prelievo coattivo attualmente previste

3.2.1 L’art 224 bis c.p.p.: una nuova tipologia di perizia

3.2.1.1 Presupposti del relativo provvedimento

A tal proposito, la norma chiarisce che l’accertamento è riservato ai soli procedimenti relativi a un delitto doloso o preterintenzionale, sia consumato, sia tentato, per il quale sia stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni e negli altri casi stabiliti dalla legge. Il limite edittale si salda con le previsioni dell’art 280, 1 comma c.p.p. in tema di misure cautelari e dell’art. 381, 1 comma c.p.p. sulla possibilità di arresto facoltativo in flagranza, sulla base di una medesima logica che tende a percepire come inadeguata una compressione della libertà personale quando si proceda per reati meno gravi226.

Del resto, si tratta, nella maggior parte dei casi, di fattispecie per la prova delle quali l’esigenza di un’indagine genetica risulta essere decisamente marginale227. A questo dato si somma anche quello dello scarso disvalore sociale che generalmente viene accordato a determinate tipologie di reato. Non risulta, invece, altrettanto lampante la ragione alla base del disposto quando prevede che si possa procedere a prelievi corporali anche “negli altri casi previsti dalla legge”. Si tratta di una formula che, in un primo momento, sembrava vanificare quel principio di tassatività che ha guidato la mano del

226 Cfr. A. Camon, La disciplina delle indagini genetiche, in Cass. Pen., 2014, cit., 1426 ss.

L’autore pone in luce un aspetto critico della disciplina. Essendo la gravità del reato un presupposto anche del prelievo coattivo ex art. 359 bis c.p.p., vi è il rischio che il pubblico ministero possa gonfiare artificialmente l’addebito. Mentre, infatti, nel caso di accertamenti disposti in sede di perizia, l’addebito ha già passato il vaglio in sede di udienza preliminare, in sede di indagine spetterà allora al giudice cui viene richiesta l’autorizzazione negare la stessa nei casi di “ipervalutazione” del fatto, escludendo che questi debba limitarsi a prendere atto che la

notitia criminis scavalca il limite di pena indicato dalla legge.

87 legislatore nella redazione del testo e che dalla dottrina228 è stata successivamente salvata, qualificandola come “clausola di apertura”per il futuro: sarebbe prospettabile il profilarsi un domani, sulla spinta del progresso tecnologico, di ulteriori ipotesi di accertamento corporale a fini probatori, che, pertanto, potrebbero trovare ingresso nel circuito processuale proprio attraverso quell’apertura e che, in ogni caso, soggiacerebbero alle regole generali oggi previste dall’art. 224 bis c.p.p.

L’ulteriore condizione che deve sussistere è che per l’esecuzione della perizia sia necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale229. Il precetto non si esaurisce con questa indicazione di generale portata, ma si completa con l’elencazione delle tipologie di atti inquadrabili all’interno della categoria e che vengono tipizzati nel prelievo di capelli, peli o mucosa del cavo orale.

Anche in tal caso la littera legis non chiarisce, ma, al contrario, contribuisce a sollevare dubbi riguardo la natura tassativa oppure meramente esemplificativa delle ipotesi richiamate. Anche se l’espressione letterale farebbe propendere

228 M. Panzavolta, Il profilo dell’istituto, cit., 1221 ss.

229 Con l’adozione di questa locuzione il legislatore ha disatteso le aspettative di quella parte della

dottrina che spingeva affinché adottasse una classificazione dei prelievi che si incentrasse sulla distinzione tra “accertamenti invasivi” e “accertamenti non invasivi”, riconnettendovi livelli di garanzie differenziate. Scartata questa idea, il legislatore ha preferito adottare l’ambiguo criterio dell’”integrità fisica”, secondo il quale la sfera corporale di un soggetto può considerarsi violata da un qualunque atto che si risolva nell’asportazione di materiale biologico, a prescindere dal grado di concreta invasività dell’operazione posta in essere, finendo così per appiattire su un unico livello le più varie tipologie di prelievo. In tal senso M. Stramaglia, Prelievi coattivi e garanzie processuali, cit., 259.

88 per la seconda opzione, la dottrina230, privilegiando un’interpretazione costituzionalmente orientata, è unanimemente protesa verso la prima delle due: quindi, saranno consentite solo le tipologie di prelievo espressamente indicate, che, peraltro, risultano sufficientemente varie per consentire che l’indagine genetica possa aver luogo in modo efficace in qualsiasi situazione.

A restringere maggiormente il cordone dell’ambito applicativo della norma, è deputato il prosieguo della stessa, che perviene a stabilire, a completamento del quadro finora delineato, le finalità che giustificano il ricorso all’istituto: la determinazione del profilo del DNA è l’unica tra le varie applicazioni prospettabili che permetterebbe eventualmente di ricorrere anche a modalità operative implicanti una compressione della sfera corporale. Così, in ipotesi, non sarebbe consentito spingersi oltre la ricostruzione dell’identità genetica dell’interessato, ad esempio, verificando la predisposizione a tenere certi comportamenti, la sussistenza di determinate patologie ecc.

Dunque, in presenza di ambedue le condizioni finora analizzate, il giudice avrà la facoltà di disporre con ordinanza motivata l’esecuzione coattiva della perizia.

A chiusura della disposizione il legislatore precisa l’ulteriore caratteristica che la misura adottata deve possedere, al fine di scoraggiare un ricorso alla stessa in un’ottica di mera discrezionalità, che finirebbe per annullare le tutele altrimenti approntate. Così, l’inciso finale del primo comma acconsente all’uso processuale della perizia coattiva, ma solo se essa risulta “assolutamente indispensabile” per la prova dei fatti.

230 P. Felicioni, L’Italia aderisce al Trattato di Prum: disciplinata l’acquisizione e l’utilizzazione probatoria dei profili genetici, in Dir. Pen. e Proc., 2009, 11- all. 2, cit., 6 ss.; M. Panzavolta, Il profilo dell’istituto; cit., 1221 ss.

89 Tale requisito, espressione del criterio della minima offensività, risponde all’esigenza di configurare il prelievo coattivo in termini di extrema ratio, ancorando la legittimità del suo impiego all’impossibilità di ottenere i medesimi risultati attraverso metodiche alternative, che consentano di contenere al minimo il pregiudizio psicofisico per la persona. Allo stesso modo, il ricorso a tale tipo di accertamento dovrà essere escluso quando non è in grado di apportare al processo un contributo cognitivo fondamentale231 Più in generale, l’intero sistema del prelievo, percorso da una tensione ideale verso un bilanciamento degli interessi in conflitto, potrebbe dirsi232 rispondente al criterio economicistico dell’ “utilità marginale”: ogni marginale aumento di afflittività dell’operazione coattivo-ablativa deve essere giustificato da un proporzionale incremento della “redditività” cognitiva della stessa, risultando altrimenti illegittimo.

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