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E NTI PUBBLICI E PARTECIPAZIONE DELLO S TATO NELL ’ ECONOMIA NELLE SCELTE

Nel documento Pubblico e privato nelle società legali (pagine 98-103)

DAL CODICE CIVILE

L’Istituzione dell’IRI può essere letta come il segnale che il legislatore, piuttosto che utilizzare il pur collaudato sistema

173 Si veda QUADRI, cit., pag. 326. L’art. 2 del d.p.r. 14 giugno 1967 n. 544

attribuiva al CIPE, su proposta del ministro per le partecipazioni statali: la verifica, in tempo utile per la realizzazione, della conformità al programma economico nazionale dei programmi annuali e pluriennali dell’IRI e dell’ENI e degli altri enti pubblici controllati del ministero delle partecipazioni statali, nonché l’esame delle modificazioni e dello stato d’attuazione; la formulazione, anche ai fini dell’ordine di priorità delle diverse iniziative, delle direttive generali di particolare riliveo per l’attuazione dei programmi stessi. Infine al CIPE è stato attribuito il compito di esprimere parere sulle proposte che riguardano l’aumento dei fondi di dotazione, apporti al patrimonio o, comunque, contribuzioni dello Stato, a vantaggio dell’IRI, dell’ENI o degli altri enti pubblici controllati dal ministero delle partecipazioni statali. Alla luce di tali norme, di fatto al Ministro veniva devoluta solo l’iniziativa per attivare l’azione politica del comitato, cui di contro spettava l’adozione di fondamentali decisioni politiche, sebbene ciò non significasse svalutare la posizione costituzionale del ministro in quanto organo politico permanente preposto al ministero delle partecipazioni e dotato quindi di una particolare competenza del settore. A lui spettava infatti il controllo in generale dell’attività del settore, dirigendolo in esecuzione delle decisioni politiche adottate dal CIPE. Comunicazione, informazione e attuazione erano i momenti caratteristici dell’attività ministeriale, per i quali avrebbe risposto politicamente innanzi al Parlamento.

dell’azionariato, preferisse avvalersi della mediazione tecnica dell’ente pubblico economico, che consentiva di utilizzare gli organismi costituiti come strumento della politica economica dello Stato174, e nel

contempo risolveva quel «contrasto ontologico» tra lo Stato e la struttura e la disciplina della società per azioni, quest’ultima diretta alla realizzazione di interessi individuali ed al perseguimento dello scopo di lucro, in contrapposizione con le ragioni dell’intervento economico dello Stato, mirato invece al raggiungimento di interessi pubblicistici che avrebbero dovuto sovrastare e dominare l’intero sistema economico175. I numerosi dibattiti dottrinari dell’epoca, intenti

a risolvere tale contrasto, furono tuttavia superati “con audacia innovatrice e precisione di caratteri normativi, dal codice civile del 1942”176,

nel quale il legislatore ha affrontato e risolto il problema dell’impresa e della società per azioni, a partire dall’art. 2093 c.c. che detta uno statuto generale dell’impresa, cui si riconducono parimenti soggetti privati e pubblici, in ragione del quale sia lo Stato che gli enti pubblici sono sottoposti, in virtù dell’attività di impresa esercitata, alle norme dettate

174 IRTI, Dall’ente pubblico economico alla società per azioni (profilo storico-giuridico), in

ID., L’ordine giuridico del mercato, cit., pag. 159 ss. L’A. sottolinea che ragioni ideologiche, oltre che di tipo economico-finanziario, presiedono alla nascita dell’Iri poiché “l’indole totalitaria del fascismo, che viola l’antico confine tra sfera pubblica e sfera privata, rifiuta la neutralità dell’economia e si fa organica dottrina di tutti gli interessi nazionali…lo Stato fascista rivendica a se anche il campo dell’economia, e organizza dentro di se l’intera vita della nazione”. (pag. 160).

175 DI CHIO, sub vocem Società a partecipazione pubblica, cit., pagg. 158 ss. Come è

stato sottolineato, fu proprio tale incompatibilità ad agitare la dottrina italiana del diritto commerciale e amministrativo proprio in quella fase storica, promuovendo talune ingegnosi tesi, quale quella del negozio indiretto con la quale nel 1931 Ascarelli spiegò il caso della società che abbia per socio unico una persona giuridica pubblica. Cfr. IRTI, Dall’ente pubblico economico alla società per azioni (profilo storico- giuridico), in ID., L’ordine giuridico del mercato, cit., pag. 162.

176 In tal senso IRTI, Dall’ente pubblico economico alla società per azioni (profilo storico-

dal codice sulle imprese in generale; gli enti pubblici economici sono altresì sottoposti alle ulteriori disposizioni che compongono il cosiddetto statuto dell’imprenditore commerciale e quindi (fatta eccezione la sola soggezione al fallimento, ex art. 2221), alle norme sull’iscrizione nel registro delle imprese, sulla rappresentanza commerciale, sulle scritture contabili177.

Il legislatore del 1942 riconobbe dunque espressamente la possibilità che gli enti pubblici esercitassero attività d’impresa, come emerge dalla Relazione del Ministro Guardasigilli ove si legge che “lo Stato trova spesso conveniente organizzare le imprese da esso assunte nelle stesse forme dell’impresa privata – specialmente nella forma della società per azioni – nel qual caso non vi è luogo a parlare, in senso formale, di impresa pubblica. Ma anche se l’esercizio dell’impresa viene assunto da un ente pubblico con gestione diretta o se l’impresa si organizza come ente pubblico autonomo, non vi è una ragione aprioristica perché l’impresa pubblica non sia assoggettata alla disciplina del codice civile che vale per l’impresa privata, in quanto questa e quella operino sullo stesso piano”178.

177 Cfr. GALGANO, in Pubblico e privato nella regolazione dei rapporti economici, in

AA.VV., La Costituzione economica, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., cit., pag. 126.

178 Dottrina e giurisprudenza avevano, sino all’entrata in vigore del codice civile

del 1942, che – stante la formulazione degli articoli 7 e 8 del codice di commercio del 1882, gli enti pubblici non potessero assumere la qualifica di commercianti e non risultassero, dunque, strutturalmente sottoposti alla correlativa disciplina. Non si trattava di un orientamento unanime, ma certamente aveva avuto un peso nell’inquadramento giuridico di tutti quegli enti che venivano espressamente qualificati come pubblici dalla legge e risultavano al medesimo tempo affidatati di attività tipicamente commerciali. Il legislatore era consapevole delle problematiche legate alla difficile qualificazione delle società per azioni di diritto singolare in uno schema che poneva da un lato la società anonima e dall’altro l’ente pubblico. Dunque, abrogando proprio gli articoli 7 e 8 del codice di commercio del 1882 vennero a cadere alcuni dei più rilevanti appigli di cui si erano serviti coloro che, prima del 1942, avevano negato la possibilità che un soggetto metaindividuale potesse essere contemporaneamente qualificato come ente pubblico e società anonima. Cfr. PIZZA, Le società per azioni di diritto singolare tra partecipazioni pubbliche e nuovi modelli organizzativi, cit., pag. 203.

Dalla lettura combinata di questo articolo con l’art. 409 n. 3 c.p.c. si è tratta la nozione “di ente pubblico economico come dell’ente che esercita in modo esclusivo o prevalente, in regime di monopolio o di libera concorrenza, l’attività imprenditoriale, e sempre che tale attività sia un semplice mezzo per la realizzazione di un fine pubblicistico. Gli enti pubblici economici sono imprenditori, e sottoposti, al pari dei privati, allo statuto generale dettato dal codice civile”179. Una pariteticità di condizioni tra attività economica

pubblica e attività economica privata quale principio ispiratore dell’intero Libro V del codice, che ha imposto allo Stato – imprenditore di assoggettarsi alle medesime regole giuridiche in virtù delle quali operano i privati.

Sul terreno societario, il legislatore del 1942 risolveva poi il problema della partecipazione dello Stato al capitale delle società per azioni con gli articoli 2458 – 2460, miranti a sottoporre al diritto privato non solo – come nel caso degli enti pubblici economici – i rapporti esteri di impresa, ma anche i rapporti interni di organizzazione, come si evince, ancora una volta, dalla relazione del Ministro Guardasigilli, secondo la quale “il nuovo codice non poteva ignorare la categoria delle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici. Il frequente ricorso allo schema della società per azioni per la creazione di imprese che lo Stato intende sottrarre all’iniziativa privata o gestire in unione con questa riconferma sotto un nuovo profilo la vitalità dell’istituto della società azionaria. In questi casi è lo Stato che si assoggetta alla legge della società per azioni per assicurare alla propria gestione maggior snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici. La disciplina comune delle società per azioni deve pertanto applicarsi anche alle società con partecipazione

179 IRTI, Dall’ente pubblico economico alla società per azioni (profilo storico-giuridico), in

dello Stato o di enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano diversamente. Qualche incertezza peraltro è sorta nella dottrina e nella giurisprudenza per quanto attiene alla posizione degli amministratori e dei sindaci nominati dallo Stato o da enti pubblici. Si è ritenuto pertanto opportuno eliminare ogni dubbio al riguardo con una norma particolare affermante che gli amministratori e sindaci così nominati hanno gli stessi diritti e gli stessi obblighi di quelli nominati dall’assemblea”.

Dunque, nelle intenzioni del legislatore il fatto che le azioni di una società appartenessero in tutto o in parte allo Stato o agli enti pubblici non avrebbe potuto influire sulla disciplina giuridica di essa, sicché anche amministratori e sindaci di nomina pubblica avrebbero mantenuto gli stessi diriti e gli stessi obblighi di quelli eletti in assemblea.

Malgrado il legislatore avesse, con la regolamentazione del cosiddetto azionariato di Stato, chiarito che le due figure tecniche per mezzo delle quali lo Stato-imprenditore avrebbe potuto intervenire nell’economia fossero l’ente pubblico economico – reso compatibile con la qualifica di imprenditore e sottoposto al regime generale dell’impresa – e la società per azioni, controllata o partecipata da Stato o enti pubblici, e regolamentata in base alle norme suelle società anonime, il primo quarantennio di vigenza del codice è in realtà stato dominato dalla figura dell’ente pubblico economico, istituto giuridico che “non conosce né capitale di rischio né scopo lucrativo né distribuzione degli utili, ma soltanto fondi di dotazione erogati da autorità pubbliche; che rinnova il lacerante dissidio tra interesse pubblico, generatore di controlli e di direttive ministeriali, e attività economica; che, obbedendo a criteri di efficienza o di economicità introduce vincoli e oneri impropri; che, sottraendosi al fallimento e alle altre procedure concorsuali, altera la parità della

competizione economica e immette nel mercato elementi di anomalia e di eccezionalità”180.

Sono queste le ragioni di fondo, lucidamente enunciate da autorevole dottrina, che con forza prorompente, complice anche la fase storico-politica vissuta dal paese negli anni Ottanta, riaccesero il dibattito – invero mai sopito – tra legittimità dell’intervento pubblico nel mercato ed eccessiva proliferazione di enti pubblici economici, il cui costo di gestione ricadeva sul bilancio dello Stato, sfociato nel processo della trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni, come si vedrà nel prosieguo.

5.VERSO LA CRISI DEL SISTEMA DELLE PARTECIPAZIONI STATALI: L’AVVIO

Nel documento Pubblico e privato nelle società legali (pagine 98-103)