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RAI s.p.a

Nel documento Pubblico e privato nelle società legali (pagine 150-200)

La società Radio televisione italiana Spa, già disciplinata dalla legge n. 103/1975, ha da sempre presentato profili problematici per il ruolo che nell’ambito gestionale, lo Stato ha ricavato. L’articolo 3 della menzionata legge disponeva che “Il Governo può provvedere al servizio pubblico della radio e della televisione con qualsiasi mezzo tecnico, mediante atto di concessione ad una società per azioni a totale partecipazione pubblica sentita la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La concessione importa di diritto l’attribuzione alla concessionaria della qualità di società di interesse nazionale, ai sensi dell'art. 2461 del codice civile”247.

247 Al riguardo la dottrina formulò numerosi rilievi poiché gli articoli da 8 a 12

della legge n. 103/1975 prevedevano una disciplina organizzatoria della società concessionaria fortemente derogatoria delle norme codicistiche, soprattutto in relazione al consiglio di amministrazione della Società, i cui 16 membri erano così eletti: sei dall’assemblea dei soci; dieci “dalla Commissione parlamentare con la maggioranza di tre quinti dei suoi componenti, dei quali 4 scelti sulla base delle designazioni effettuate dai consigli regionali. Ciascun consiglio regionale designa da uno a tre nominativi nei trenta giorni anteriori alla scadenza del consiglio di amministrazione e, nella prima attuazione della presente legge, entro quindici

Nel 2004, in vista dell’avvio della privatizzazione sostanziale della società, nonché della riforma di sistema necessaria in vista del passaggio alla tecnica digitale, la legge n. 112/2004 ha profondamente innovato il sistema di governance aziendale. Le disposizioni ivi contenute, confluite nel Testo Unico della radiotelevisione (d.lgs. n. 177/2005), hanno dettato una disciplina generale inerente termine della concessione, struttura, organizzazione e oggetto sociale della concessionaria del servizio pubblico. Al riguardo giova tuttavia precisare che l’art. 49 del TU prevede due regimi, il primo destinato a valere sino alla completa dismissione delle azioni possedute dallo Stato, il secondo, a norma del comma 10, applicabile a partire dal novantesimo giorno successivo alla alla data di chiusura della prima offerta pubblica di vendita, effettuata ai sensi dell’articolo 21, comma 3, della legge 3 maggio 2004, n. 112. “Ove, anteriormente alla predetta data, sia necessario procedere alla nomina del consiglio di amministrazione, per scadenza naturale del mandato o per altra causa, a ciò si provvede secondo le procedure di cui ai commi 7 e 9”, ovvero secondo la disciplina che appresso si vedrà. Ed infatti il consiglio di

amministrazione, composto da nove membri, è nominato

dall’assemblea e svolge anche funzioni di controllo e di garanzia circa il corretto adempimento delle finalità e degli obblighi del servizio

giorni dalla sua entrata in vigore. Trascorsi i termini, la Commissione procede sulla base delle designazioni pervenute”. Su questo assetto intervennero poi norme successive, soprattutto negli anni novanta, che resero ulteriormente anomala la struttura della società. Si vedano, al riguardo, NIGRO, Sulla natura giuridica della Rai-Radiotelevisione italiana, in Cons. St., 1977, II, pagg. 785 ss.; VISENTINI, Partecipazioni pubbliche in società di diritto comune e di diritto speciale, Milano, 1979; FRAGOLA, Radiotelevisione, in Nuovissimo Digesto italiano, VI App., Torino, 1986, pagg. 264 ss.

pubblico generale radiotelevisivo248, ma il meccanismo di nomina viene

influenzato dalla quota statale delle azioni della società. Invero, fin quando il numero delle azioni alienate sul mercato non superi la quota del 10% del capitale della Rai s.p.a.249, la commissione parlamentare

per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi continua a indicare sette dei nove membri del CdA, mentre i restanti due – tra cui il Presidente – vengono nominati dal socio di maggioranza, ovvero il Governo (il Ministero dell’Economia e Finanze detiene tutt’ora il 99,55% del capitale sociale, mentre il restante 0,45% è posseduto dalla SIAE)250.

248 Possono essere nominati membri del consiglio di amministrazione i soggetti

aventi i requisiti per la nomina a giudice costituzionale ai sensi dell'articolo 135, secondo comma, della Costituzione o, comunque, persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali. Ove siano lavoratori dipendenti vengono, a richiesta, collocati in aspettativa non retribuita per la durata del mandato. Il mandato dei membri del consiglio di amministrazione dura tre anni e i membri sono rieleggibili una sola volta.

249 Al riguardo il comma 9 dispone che “fino a che il numero delle azioni alienato

non superi la quota del 10 per cento del capitale della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, in considerazione dei rilevanti ed imprescindibili motivi di interesse generale connessi allo svolgimento del servizio pubblico generale radiotelevisivo da parte della concessionaria, ai fini della formulazione dell’unica lista di cui al comma 7, la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi indica sette membri eleggendoli con il voto limitato a uno; i restanti due membri, tra cui il presidente, sono invece indicati dal socio di maggioranza. La nomina del presidente diviene efficace dopo l’acquisizione del parere favorevole, espresso a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. In caso di dimissioni o impedimento permanente del presidente o di uno o più membri, i nuovi componenti sono nominati con le medesime procedure del presente comma entro i trenta giorni successivi alla data di comunicazione formale delle dimissioni presso la medesima Commissione”.

250 Dispone il comma 6 dell’art. 49 citato, che “l’elezione degli amministratori

avviene mediante voto di lista. A tale fine l’assemblea è convocata con preavviso, da pubblicare ai sensi dell’articolo 2366 del codice civile, non meno di trenta giorni prima di quello fissato per l’adunanza; a pena di nullità delle deliberazioni ai sensi dell’articolo 2379 del codice civile, l’ordine del giorno pubblicato deve contenere

La nomina del presidente diviene efficace solo a seguito dell’acquisizione del parere favorevole della citata commissione parlamentare251, espresso a maggioranza dei due terzi dei suoi

tutte le materie da trattare, che non possono essere modificate o integrate in sede assembleare; le liste possono essere presentate da soci che rappresentino almeno lo 0,5 per cento delle azioni aventi diritto di voto nell’assemblea ordinaria e sono rese pubbliche, mediante deposito presso la sede sociale e annuncio su tre quotidiani a diffusione nazionale, di cui due economici, rispettivamente, almeno venti giorni e dieci giorni prima dell’adunanza. Salvo quanto previsto dal presente articolo in relazione al numero massimo di candidati della lista presentata dal Ministero dell’economia e delle finanze, ciascuna lista comprende un numero di candidati pari al numero di componenti del consiglio da eleggere. Ciascun socio avente diritto di voto può votare una sola lista. Nel caso in cui siano state presentate più liste, i voti ottenuti da ciascuna lista sono divisi per numeri interi progressivi da uno al numero di candidati da eleggere; i quozienti così ottenuti sono assegnati progressivamente ai candidati di ciascuna lista nell’ordine dalla stessa previsto e si forma un’unica graduatoria nella quale i candidati sono ordinati sulla base del quoziente ottenuto. Risultano eletti coloro che ottengono i quozienti più elevati. In caso di parità di quoziente, risulta eletto il candidato della lista i cui presentatori detengano la partecipazione azionaria minore. Le procedure di cui al presente comma si applicano anche all’elezione del collegio sindacale”.

251 Il direttore generale della RAI-Radiotelevisione italiana Spa è invece

nominato, ai sensi del comma 11 dell’art. 49, dal consiglio di amministrazione, d’intesa con l’assemblea; il suo mandato ha la stessa durata di quello del consiglio. I suoi compiti, oltre a quelli stabiliti dallo Statuto, sono disciplinati dal comma 12. Egli dunque: risponde al consiglio di amministrazione della gestione aziendale per i profili di propria competenza e sovrintende alla organizzazione e al funzionamento dell'azienda nel quadro dei piani e delle direttive definiti dal consiglio; partecipa, senza diritto di voto, alle riunioni del consiglio di amministrazione; assicura, in collaborazione con i direttori di rete e di testata, la coerenza della programmazione radiotelevisiva con le linee editoriali e le direttive formulate dal consiglio di amministrazione; propone al consiglio di amministrazione le nomine dei vice direttori generali e dei dirigenti di primo e di secondo livello; assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione degli altri dirigenti, nonché, su proposta dei direttori di testata e nel rispetto del contratto di lavoro giornalistico, degli altri giornalisti e ne informa puntualmente il consiglio di amministrazione; provvede alla gestione del personale dell’azienda; propone all'approvazione del consiglio di amministrazione gli atti e i contratti aziendali aventi carattere strategico, ivi inclusi i piani annuali di trasmissione e di produzione e le eventuali variazioni degli stessi, nonché quelli che, anche per effetto di una durata pluriennale, siano di importo superiore a 2.582.284,50 euro; firma gli altri atti e contratti aziendali attinenti alla gestione della società; provvede all’attuazione del piano di investimenti, del piano finanziario, delle politiche del personale e dei piani di ristrutturazione, nonché dei progetti specifici approvati dal consiglio di amministrazione in materia di linea editoriale, investimenti, organizzazione aziendale, politica finanziaria e politiche del personale; trasmette al consiglio di amministrazione le informazioni utili per

componenti, in base ad un meccanismo che conferisce alla figura di vertice del CdA le caratteristiche di presidente di garanzia, “ma è altrettanto indubitabile che questo metodo di nomina, seppure formalmente riconducibile alla volontà del Parlamento nel suo insieme, in realtà è concepito in modo tale da assicurare la prevalenza in seno al CdA di esponenti della maggioranza governativa”252. La nomina del

presidente del consiglio di amministrazione è effettuata dal consiglio nell’ambito dei suoi membri e diviene efficace dopo l’acquisizione del parere favorevole, espresso a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

Va in tale direzione anche il comma 7 dell’art. 49 citato, secondo il quale il “rappresentante del Ministero dell’economia e delle finanze nell’assemblea, in sede di nomina dei membri del consiglio di amministrazione e fino alla completa alienazione della partecipazione dello Stato, presenta una autonoma lista di candidati, indicando un numero massimo di candidati proporzionale al numero di azioni di cui è titolare lo Stato. Tale lista è formulata sulla base delle delibere della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e delle indicazioni del Ministero dell’economia e delle finanze per l’immediata presentazione”. Una interpretazione di stretto diritto dell’articolo 49 del TU imporrebbe, a questo punto, di riflettere sulla mancata entrata in

verificare il conseguimento degli obiettivi aziendali e l’attuazione degli indirizzi definiti dagli organi competenti ai sensi del presente testo unico.

252 Cfr. GARDINI, LALLI (CUR.), Per un’etica dell’informazione e della

comunicazione. Giornalismo, radiotelevisione, new media, comunicazione pubblica, Milano, 2009, p. 23, secondo cui la soluzione prospettata dalla legge riporta in capo all’Esecutivo un potere rilevantissimo nella definizione dell’assetto e delle politiche della concessionaria pubblica, un fenomeno che la Corte costituzionale aveva voluto scongiurare già a partire dagli anni Settanta.

vigore di due commi di rilievo, il primo e il secondo, destinati a valere solo all’atto della dismissione della partecipazione statale al capitale. Il primo comma dispone che la Rai spa rimarrà concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sino al 6 maggio 2016. Il secondo comma assoggetta, per quanto non espressamente derogato, la società alla disciplina comune. Questi due commi sarebbero dovuti entrare in vigore sin dal 2005, allorché, in base alle disposizioni della cosiddetta “Legge Gasparri” (legge 3 maggio 2004, n. 112),si sarebbe dovuta perfezionare la privatizzazione sostanziale della società, con l’alienazione della quota di partecipazione dello Stato253 nella RAI-

Radiotelevisione italiana Spa mediante offerta pubblica di vendita254.

Dismissione i cui tempi, modalità di presentazione, condizioni e altri elementi dell’offerta o delle offerte pubbliche di vendita sono deliberati dal CIPE. Secondo il quarto comma dell’articolo 21 una

253 Secondo il penultimo comma dell’articolo menzionato, “i proventi derivanti

dalle operazioni di collocamento sul mercato di azioni ordinarie della RAI- Radiotelevisione italiana Spa sono destinati per il 75 per cento al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, di cui alla legge 27 ottobre 1993, n. 432, e successive modificazioni. La restante quota è destinata al finanziamento degli incentivi all’acquisto e alla locazione finanziaria di cui all’articolo 25, comma 7”.

254 I primi due commi dell’art. 21 esaminato, disciplinano la preliminare fusione

per incorporazione della RAI-Radiotelevisione italiana Spa nella società RAI- Holding Spa, condicio sine qua non dell’alienazione delle azioni possedute dallo Stato. Si legge dunque che “ai fini di tale operazione, i termini di cui agli articoli 2501-ter, ultimo comma, 2501-septies, primo comma, e 2503, primo comma, del codice civile, sono dimezzati. Le licenze, autorizzazioni e concessioni di cui è titolare la RAI-Radiotelevisione italiana Spa saranno, per effetto della presente legge, trasferite di pieno diritto alla società incorporante, senza necessità di ulteriori provvedimenti. Per effetto dell'operazione di fusione di cui al comma 1, la società RAI-Holding Spa assume la denominazione sociale di “RAI-Radiotelevisione italiana Spa” e il consiglio di amministrazione della società incorporata assume le funzioni di consiglio di amministrazione della società risultante dalla fusione. Le disposizioni della presente legge relative alla RAI-Radiotelevisione italiana Spa si intenderanno riferite alla società risultante dall’operazione di fusione”.

quota delle azioni alienate è riservata “agli aderenti all’offerta che dimostrino di essere in regola da almeno un anno con il pagamento del canone di abbonamento”, benchè poi tali azioni non possano essere alienate prima di diciotto mesi dalla data di acquisto.

Disposizione chiave dell’articolo, è la clausola di limitazione del possesso azionario, per “imprescindibili motivi di interesse generale e di ordine pubblico connessi alla concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo affidata alla RAI-Radiotelevisione italiana Spa”, inserita nello statuto della società, prevedendosi il limite massimo del possesso dell’uno per cento delle azioni aventi diritto di voto, in base al disposto di cui all’art. 3 del d.l. n. 332/1994, convertito in legge 30 luglio 1994, n. 474 (recante norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni)255. Sono, inoltre, vietati i patti di sindacato di voto o di blocco, o

comunque gli accordi relativi alla modalità di esercizio dei diritti inerenti alle azioni della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, che

255 L’art. 3 del d.l. 332/1994 citato nel provvedimento dispone invero che “le

società operanti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e degli altri pubblici servizi, nonché le banche e le imprese assicurative, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato o da enti pubblici anche territoriali ed economici, possono introdurre nello statuto un limite massimo di possesso azionario non superiore, per le società operanti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, dei trasporti, delle comunicazioni, dell’energia e degli altri pubblici servizi, al cinque per cento, riferito al singolo socio, al suo nucleo familiare, comprendente il socio stesso, il coniuge non separato legalmente e i figli minori, ed al gruppo di appartenenza: per tale intendendosi il soggetto, anche non avente forma societaria, che esercita il controllo, le società controllate e quelle controllate da uno stesso soggetto controllante, nonché le società collegate; il limite riguarda altresì i soggetti che, direttamente o indirettamente, anche tramite controllate, società fiduciarie o interposta persona aderiscono anche con terzi ad accordi relativi all'esercizio del diritto di voto o al trasferimento di azioni o quote di società terze o comunque ad accordi o patti di cui all’art. 10, comma 4, della legge 18 febbraio 1992, n. 149, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lettera b), del presente decreto, in relazione a società terze, qualora tali accordi o patti riguardino almeno il dieci per cento delle quote o delle azioni con diritto di voto se si tratta di società quotate, o il venti per cento se si tratta di società non quotate”.

intercorrano tra soggetti titolari, anche mediante soggetti controllati, controllanti o collegati, di una partecipazione complessiva superiore al limite di possesso azionario del 2 per cento, riferito alle azioni aventi diritto di voto, o la presentazione congiunta di liste da parte di soggetti in tale posizione. Tali clausole sono di diritto inserite nello statuto della società, non sono modificabili e restano efficaci senza limiti di tempo.

CAPITOLO III

LA TENDENZA ALLA RIQUALIFICAZIONE IN SENSO PUBBLICISTICO.

LA PECULIARITÀ DELLE SOCIETÀ LEGALI.

1.PREMESSA.

L’esposizione del quadro normativo che si è cercata di tracciare nel precedente capitolo, è stata condotta nel tentativo epurare la riflessione da quei profili – quale quello della più o meno compiuta privatizzazione e, dunque, della “misura”, stabile o transitoria, della partecipazione pubblica – che, sì, presentano una inevitabile importanza ove si volesse considerare “come si presenta la società” in chiave didascalica, ma che in definitiva si rivelano del tutto estranei al criterio di selezione che si è cercato di individuare nel primo Capitolo e secondo cui si sta tentando di ordinare il materiale normativo e il fenomeno dell’azionariato pubblico; e ciò anche perché, come osservato da Illustre Maestro, la stessa politica di privatizzazione (quand’anche formale) risponde comunque al disegno per cui anche l’iniziativa pubblica, una volta proiettatasi sul mercato, è comunque tenuta al rispetto dei i principi di concorrenzialità che animano il sistema, attraverso la sottoposizione alle stesse regole ed agli stessi modelli messi a disposizione per le altre imprese dal diritto comune256.

Con ciò non si vuole ovviamente disconoscere che l’aver portato a termine (o meno) il processo di privatizzazione sostanziale possa essere considerata questione di nessun interesse per chi intenda

256 Così, OPPO, Princìpi, in Tratt. Dir. Comm., dir. da V. Buonocore, Sez. I, t. 1,

occuparsi dell’argomento257. Di certo, infatti, l’analisi dei poteri speciali

che lo Stato, negli anni, ha riservato a proprio favore – si pensi alla golden share – non può essere considerato elemento estraneo alle riflessioni di chi intenda occuparsi dei rapporti tra diritto societario e anomalie indotte da una determinazione legislativa che tenga conto della permanenza del socio pubblico all’esito della privatizzazione258.

257 Basta considerare l’ampiezza della letteratura in argomento per convincersi

del contrario. Solo per citare alcune delle pubblicazioni in argomento: CASSESE, Le privatizzazioni in Italia, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1988, pagg. 32 ss.; ID., Stato e mercato, dopo privatizzazioni e deregulation, Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1991, pagg. 378 ss.; ID., Le imprese pubbliche dopo le privatizzazioni, in St. e merc., 1992, pagg. 235 ss.; PADOA SCHIOPPA, Il processo di privatizzazione: sei esperienze a confronto, in Riv. Soc., 1992, pagg. 91 ss.; CARDIA, Profili giuridici delle privatizzazioni, Milano 1994; GALANTI, Le S.p.a. pubbliche verso la privatizzazione: la direttiva del Ministero del Tesoro del 18 novembre 1994, in Banca corsa e tit. cred., 1994; COSTI, Privatizzazioni e diritto delle società per azioni, in Giur. Comm., 1995, I, pagg. 77 ss.; P. FERRO LUZZI, La trasformazione degli enti pubblici in S.p.a. e la speciale riserva, in Giur. Comm., 1995, I, 507; LIBONATI, La faticosa accellerazione delle privatizzazioni, Giur. comm., 1995, I, pagg. 20 ss.; MARCHETTI (a c. di), Le privatizzazioni in Italia, Milano, 1995; CASSESE, Le privatizzazioni, arretramento o riorganizzazione dello Stato, cit., pag. 579; CAMMELLI, La società per azioni a partecipazione pubblica locale, in Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione, Atti del XLI Convegno di studi di Scienza dell’amministrazione, Milano, 1997, pagg. 156 ss.; CALICETI, Teoria e prassi delle privatizzazioni in Italia, in Contr. Impr., 1996, pag. 731; CARINGELLA, Le società per azioni deputate alla gestione dei servizi pubblici, in Foro It., 1996, I, pag. 1364; SODI, Poteri speciali, golden share e false privatizzazioni, in Riv. Soc., 1996, pagg. 368 ss.; SANINO, Le Privatizzazioni, Roma, 1997; GAROFOLI, Le privatizzazione degli enti dell’economia, Milano, 1998; MARASÀ (a c. di), Profili giuridici delle privatizzazioni, Torino, 1998.

258 MARCHETTI, Le privatizzazioni in Italia, cit., pag. 47; nonché P. G. JAEGER,

Problemi attuali delle privatizzazioni, cit., pag. 999, che in proposito si è interrogato sull’opportunità di prevedere per via legislativa l’attribuzione di tali poteri ovvero se non fosse più “coerente” una formalizzazione di essi per via statutaria, optando essenzialmente per la prima ipotesi, sul presupposto che, pur nella vigenza dell’art. 2458 cod. civ. (nella formulazione anteriforma) la legittimazione dei poteri speciali su base statutaria avrebbe incontrato nell’art. 2351 cod. civ. (nel testo previgente) un vincolo insuperabile rappresentato dal divieto di emissione di azioni a voto

Nel documento Pubblico e privato nelle società legali (pagine 150-200)