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V. IL TESTO FINALE DELLA DIRETTIVA 2016/801: UNA PRIMA

5.5 Una nuova disciplina per alunni, volontari tirocinanti e persone collocate alla

sottolineare che l’ambito di applicazione riguarda in maniera vincolante i cittadini di Paesi terzi che chiedono di essere ammessi o che sono stati ammessi nel territorio di uno Stato membro per motivi di ricerca, studio, tirocinio o volontariato nell’ambito del servizio volontario europeo, mentre è prevista la possibilità di estensione, per quegli Stati membri che lo decidano, ai cittadini di Paesi terzi che chiedono di essere ammessi ai fini di un programma di scambio di alunni o di un progetto educativo, di volontariato diverso dal servizio volontario europeo o di collocamento alla pari, come definito dall’articolo 2 della direttiva. Qualora gli Stati membri decidano di applicare la presente agli alunni, essi sono incoraggiati a garantire che la procedura nazionale di ammissione per gli insegnanti che si limitano ad accompagnare gli alunni nel quadro di un programma di scambio o di un progetto educativo sia coerente con la procedura per gli alunni prevista dalla direttiva.

La direttiva definisce alunno il cittadino di Paese terzo ammesso nel territorio di uno Stato membro per frequentare un programma riconosciuto, statale o regionale, di istruzione secondaria equivalente al livello 2 o 3 della classificazione internazionale tipo dell'istruzione,

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nell'ambito di un programma di scambio di alunni o di un progetto educativo messi in atto da un istituto di insegnamento secondo il diritto o prassi amministrativa dello Stato membro interessato; tirocinante è, ai sensi della direttiva, il cittadino di Stato terzo in possesso di un titolo di istruzione superiore o che sta seguendo un programma di studi in un Paese terzo finalizzato al conseguimento di un titolo di istruzione superiore e che sia ammesso nel territorio di uno Stato membro per effettuare un programma di formazione al fine di acquisire conoscenze, pratica ed esperienza in un contesto professionale; volontario è considerato il cittadino di Paese terzo ammesso nel territorio di uno Stato membro per partecipare a un programma di volontariato, il quale consiste in iniziative solidali concrete ed è basato su uno schema riconosciuto come tale dallo Stato membro interessato o dall'Unione che persegua obiettivi di interesse generale per una causa no profit, in cui le iniziative non siano remunerate, ad eccezione del rimborso spese e/o del denaro per le piccole spese; la persona collocata alla pari infine è colui che è ammesso nel territorio di uno Stato membro per essere temporaneamente ospitato da una famiglia allo scopo di migliorare le sue competenze linguistiche e la sua conoscenza dello Stato membro interessato in cambio di lavori domestici leggeri e della cura di bambini.

Per quanto riguarda l'ingresso di un cittadino di Paese terzo ai fini di un programma di scambio di alunni o di un progetto educativo, il richiedente deve comprovare: l'età minima, la sua accettazione da parte di un istituto di insegnamento, la partecipazione ad un programma educativo riconosciuto statale o regionale nel contesto di un programma di scambio di alunni o un progetto educativo messo in atto da un istituto di insegnamento in conformità del diritto o della prassi amministrativa nazionale, l’alloggio durante la permanenza presso una famiglia o una speciale struttura all'interno dell'istituto di insegnamento oppure, ove previsto dal diritto nazionale, qualsiasi altra struttura che risponda alle condizioni stabilite dallo Stato membro interessato e che sia selezionata conformemente alle regole del programma di scambio o del progetto educativo cui partecipa il cittadino di Paese terzo. Si ricordi che gli Stati membri possono limitare l'ammissione di alunni che partecipano a un programma di scambio di alunni o progetto educativo ai cittadini di Paesi terzi che offrono analoghe possibilità ai loro cittadini.

Per quanto riguarda i tirocinanti, è importante sottolineare che la presente direttiva non si applica ai dipendenti di tirocinio che vengono a lavorare nell'Unione nel quadro di un trasferimento intrasocietario, in quanto rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2014/66/UE del Parlamento europeo e del Consiglio.253

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Per i volontari, è importante fornire una convenzione stipulata con l'ente ospitante o, in quanto previsto dal diritto nazionale, con un altro organismo promotore del programma di volontariato prescelto dal cittadino di Paese terzo nello Stato membro interessato.

Per le condizioni di ingresso e soggiorno delle persone collocate alla pari, sono state previste una serie di obblighi a cui adempiere, in linea con le valutazioni emerse sia nella proposta della Commissione, sia nei pareri del Comitato economico e sociale europeo e del Comitato delle regioni, al fine di evitare lo sfruttamento del lavoro. Le persone collocate alla pari sono tenute a fornire quindi la convenzione stipulata tra il cittadino di Paese terzo e la famiglia ospitante che definisca diritti e obblighi del cittadino di Paese terzo in quanto persona collocata alla pari, tra cui la somma di denaro che riceverà per le piccole spese, accordi che permettano alla persona collocata alla pari di frequentare corsi e il numero massimo di ore di impegni familiari. È inoltre richiesto che si dimostri che la famiglia ospitante o, nella misura in cui sia previsto dal diritto nazionale, un'organizzazione che fa da tramite nel collocamento alla pari si assume la piena responsabilità per quanto riguarda il cittadino di Paese terzo, per la durata del soggiorno nel territorio dello Stato membro interessato, in particolare per quanto concerne le spese di vitto e alloggio e le prestazioni in caso di incidente.

Gli Stati membri possono stabilire che il collocamento alla pari sia effettuato unicamente da un'organizzazione che funge da intermediaria nel collocamento alla pari in base alle condizioni definite dal diritto nazionale.

Il numero massimo di ore delle mansioni settimanali della persona collocata alla pari è di 25 ore. La persona collocata alla pari dispone di almeno un giorno libero a settimana. Gli Stati membri possono fissare una somma minima di denaro che la persona collocata alla pari riceverà per le piccole spese.

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CONCLUSIONI

In questo studio, dopo una breve trattazione dello sviluppo storico della normativa riguardante la circolazione dello straniero dapprima nel diritto internazionale e successivamente nel diritto dell’Unione europea, si è proceduto all’analisi delle due precedenti direttive settoriali, la direttiva 2004/114/CE relativa all’ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, scambio alunni, tirocinio e volontariato, e la direttiva 2004/144/CE relativa all’ingresso e soggiorno dei ricercatori. Esaminandone le carenze, evidenziante anche in dottrina, portando alla luce un aspetto importante emerso nell’applicazione dei due atti legislativi sopra citati, quello della non omogeneità della normativa all’interno dell’Unione, si è proceduti ad uno studio della proposta di direttiva della Commissione, presentata nel marzo del 2013, per arrivare ad analizzare le novità apportate dalla nuova direttiva 2016/801/UE, valutandone un primo impatto attraverso i dati emersi da un’indagine svolta dalla Rete europea per le migrazioni.

Con l’intenzione di effettuare un’analisi conclusiva del lavoro svolto, si intende procedere partendo proprio dal primo elemento oggetto di questo studio. Il principio di libera circolazione delle persone rappresenta uno dei diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento dell’Unione europea. Sancito già nel Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità economica europea (CEE), detto principio è andato incontro ad una significativa evoluzione ed espansione nel corso del tempo, fino a divenire, con il Trattato di Maastricht del 1992, il principale attributo collegato alla cittadinanza europea, e in seguito, con il Trattato di Amsterdam, uno dei pilastri dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

Va tenuto presente che nell’ambito della Comunità europea, alla quale il Trattato di Roma conferiva una marcata aggettivazione economica, la stessa libertà di circolazione delle persone aveva una connotazione prettamente mercantile.254 Non a caso, a poter beneficiare di tale prerogativa erano solamente i soggetti attivi, ovvero i lavoratori, subordinati e autonomi, e i prestatori di servizi. La libertà di movimento era infatti ritenuta funzionale allo svolgimento dell’attività lavorativa e la persona intesa come “fattore di produzione”, alla stregua delle merci, dei servizi e dei capitali.

Un ruolo di primo piano nel processo di ridefinizione del principio della libertà di movimento e di affrancamento dello stesso da una connotazione meramente mercantilistica è stato svolto nel tempo dalla Corte di giustizia della CEE (oggi Corte di giustizia dell’Unione

254

Nascimbene, B., Rossi Dal Pozzo F., 2012, Diritti di cittadinanza e libertà di circolazione nell’Unione

europea, Padova, CEDAM, p. 80. In argomento si veda anche Carella, G., Cellamare, G., Garofalo, L.,

Gargiulo, P., Pizzolante, G., Sciacovelli, A., L., Di Chio, R., 2012, L’immigrazione e la mobilità delle

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europea), la quale ha esteso tale prerogativa ai beneficiari dei servizi e ai familiari dei cittadini comunitari.

Ad ogni modo, il Trattato di Maastricht del 1992, con il quale è stata istituita la cittadinanza europea, di cui beneficiano tutti i cittadini degli Stati membri senza discriminazioni di sorta, ha parzialmente semplificato un sistema nel quale il principio di libera circolazione era modulato sulla base di tutta una serie di condizioni. In vero, anche allo stato attuale il quadro rimane comunque complesso, in quanto connotato da una pluralità di regimi di libera circolazione, il cui principale fattore ordinatore è la cittadinanza. Se per i cittadini degli Stati membri/cittadini dell’Unione europea la libertà di movimento rappresenta un diritto, coloro che non possiedono la cittadinanza dell’Unione possono spostarsi da uno Stato membro ad un altro solo qualora siano in possesso di un permesso di soggiorno e solo per periodi limitati.

L’art. 45, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali afferma che la libertà di circolazione e di soggiorno può essere accordata ai cittadini dei Paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro. Se ne ricava che nel caso dei cittadini dei Paesi terzi la libertà di circolazione e soggiorno non rappresenta un diritto (come per i cittadini dell’Unione) ed è peraltro subordinata a specifiche condizioni, la prima delle quali, imprescindibile, è la legalità del soggiorno.

A regolamentare il diritto di ingresso e soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi nel territorio degli Stati membri è il Codice delle frontiere Schengen,255 attraverso il quale, com’è noto, è stato creato uno spazio di libera circolazione, nell’ambito del quale sono soppressi i controlli alle frontiere interne (quelle tra Stati membri) e rafforzati i controlli alle frontiere esterne. Come discusso all’inizio di questo studio, anche il Codice Frontiere Schengen fa propria la distinzione tra cittadini dell’Unione europea e cittadini dei Paesi terzi.

Venendo all’esercizio della libera circolazione nello spazio Schengen, l’art. 22 Codice Frontiere Schengen stabilisce che le frontiere interne possono essere attraversate senza che sia effettuata una verifica sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità. Se ne ricava che sia i cittadini dell’Unione europea, sia i cittadini dei Paesi terzi possono circolare liberamente, senza doversi sottoporre, di norma, a delle verifiche.256 L’Unione è intervenuta ad uniformare le

255 V. regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), testo consolidato del regolamento (CE) 656/2006.

256

In vero, ai primi si applicano le condizioni dettate dalla direttiva 2004/38/CE, mentre per i secondi il regolamento n. 506/2006 (Codice Frontiere Schengen) stabilisce la possibilità di spostarsi per un massimo di tre mesi, dopo i quali la persona dovrà rientrare nello Stato europeo che gli ha rilasciato il permesso di soggiorno (salvo il caso in cui non riesca ad ottenere un permesso di soggiorno in un altro Stato membro

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condizioni di ingresso per il ricongiungimento familiare,257 per il lavoro altamente qualificato,258 e per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi, e collocamento alla pari, la direttiva 2016/801/UE oggetto di questo studio.

Come si è visto sopra, il principio di libera circolazione delle persone, seppure rappresenti uno dei pilastri della costruzione europea, è a tutt’oggi subordinato a delle condizioni stringenti e ordinato secondo il requisito della cittadinanza e, in secondo ordine, dello status economico. Nell’ordinamento dell’Unione europea dunque possono riscontrarsi a tutt’oggi diversi regimi di libera circolazione. Se, come si è visto in primo luogo, la prima distinzione da operare, in relazione alla libertà di movimento e di soggiorno, è quella tra cittadini UE e non cittadini UE (cittadini di Paesi terzi), nondimeno si è visto come anche all’interno di tali macro-categorie possano evidenziarsi ulteriori regimi. Il quadro generale rimane sicuramente frammentario, nonostante il legislatore europeo abbia cercato, come emerso nell’ultimo capitolo di questo studio, di armonizzare la normativa introducendo anche nuove regole che potessero facilitare la scelta dell’Unione europea come destinazione per svolgere un periodo di studio, ricerca, tirocinio, volontariato, scambio alunni e lavoro alla pari.

Quello che è emerso in primo luogo in questo studio è che, nonostante il legislatore europeo adotti già in prima battuta come strumento normativo la direttiva, che per sua natura lascia un margine di discrezionalità agli Stati membri nell’attuazione di essa all’interno della legislazione nazionale, sembra esserci una tendenza verso un’attenuazione della tradizionale concezione della sovranità nazionale. Ciò è desumibile anche dalla giurisprudenza della Corte, come è stato trattato nel secondo capitolo di questo studio, con, ad esempio, la sentenza del 10 settembre 2014 Ben Alaya c. Verwaltungsgericht Berlin in cui si afferma che la direttiva 2004/114/CE mirava a favorire la mobilità verso l’Unione degli studenti di Paesi terzi allo scopo di promuovere l’Europa quale centro mondiale di eccellenza per gli studi e per la formazione professionale e pertanto consentire a uno Stato membro di introdurre requisiti di ammissione aggiuntivi avrebbe contrastato con siffatto obiettivo.

La Corte ha poi sottolineato che, sebbene la direttiva riconoscesse agli Stati membri un margine di discrezionalità al momento dell’esame delle domande di ammissione, detto margine si riferiva unicamente alle condizioni previste dalla direttiva, nonché alla valutazione dei fatti rilevanti in tale contesto (in particolare per quanto attiene all’esistenza di una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sanità pubblica.

o che acquisisca un diritto di soggiorno permanente).

257 V. direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2002, relativa al ricongiungimento familiare. 258 V. direttiva 2009/50/CE: condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati.

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La sentenza appena citata è importante non solo sul piano dell’analisi della discrezionalità statale nell’ambito dell’applicazione di una direttiva, ma anche con riguardo alla sfera dei diritti umani di cui ciascun individuo dovrebbe poter godere. Si tratta, in questo caso, di accedere all’istruzione, ad un alloggio, e a maggior ragione, di condividere conoscenze e idee. Questi diritti concorrono a creare società più forti, giuste e coese e costituiscono le fondamenta per una pace e una prosperità di lungo termine.

In tal senso, la scelta dell’Unione europea di puntare decisamente ed in termini sempre più espliciti sui diritti fondamentali rappresenta sicuramente una “discontinuità” rispetto al modello affidato unicamente alle logiche ed alle esigenze di mercato, e la direttiva 2016/801/UE rappresenta un primo, seppur timido, tentativo di regolamentare i flussi migratori i tal senso. Si pensi per esempio, alla rilevanza data all’unità familiare dei ricercatori. Una serie di disposizioni quelle precedentemente discusse, che possono sicuramente facilitare la scelta di effettuare ricerca da parte di un cittadino di Paese terzo, all’interno di istituti europei, sia pubblici che privati.

L’integrazione attraverso i diritti più che un rimedio o una necessità, appare una vera e propria “via maestra”. Ciò dovrebbe essere vero soprattutto dopo che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, facendo cadere la barriera tra le diverse categorie o generazioni dei diritti, ne ha proclamato l’indivisibilità rendendole tutte partecipi della stessa natura di diritti fondamentali. Si tratta di un’evidente affermazione di “universalismo” con cui l’idea di cittadinanza si dilata e non solo proietta il cittadino di ciascun Paese membro al di là dei suoi confini nazionali, ma accoglie anche quanti non appartengono agli Stati dell’Unione.

L’art. 15 della Carta, con forse volontario richiamo della citata disposizione della Dichiarazione universale, accoglie il principio universalista: esso, infatti, si riferisce a “ogni persona” nel riconoscimento della titolarità del diritto al lavoro e alla scelta professionale nonché al godimento di condizioni di lavoro equivalenti. L’universalità dei diritti, pertanto, condiziona e modifica il concetto di cittadinanza nazionale, premiando l’elemento della “territorialità”, anche se poi è la forza dell’ordinamento interno a rendere più o meno effettiva la protezione di tali diritti. Si tratterebbe di “completare” il riconoscimento dei diritti di cittadinanza che la Carta di Nizza già estende ai non cittadini in alcune materie (art. 41, “Diritto ad una buona amministrazione”; art. 42, “Diritto d’accesso ai documenti”; art. 43, “Mediatore”; art. 44, “Diritto di petizione”) oltre agli altri diritti fondamentali in essa sanciti. Del resto, nel Trattato sull’Unione europea si prevedono, fra i “valori”, “i diritti delle persone appartenenti ad una minoranza” (art. 2). Tali diritti si inquadrano nella più generale politica migratoria che trova la sua base giuridica negli Articoli 79 e 80 TFUE e, più specificamente, nell’art. 79 par. 4, che

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disciplina l’integrazione dei cittadini provenienti da Paesi terzi per cui l'Unione può fornire incentivi e sostegno a favore di misure adottate dagli Stati membri al fine di promuovere l'integrazione di cittadini di tali persone che soggiornano legalmente nel Paese; tuttavia, non è prevista alcuna armonizzazione degli ordinamenti e delle regolamentazioni degli Stati membri. La corretta gestione dei flussi migratori comporta anche la garanzia di un trattamento equo di questi dei cittadini che soggiornano legalmente e la promozione di una cooperazione più stretta con i loro Stati di origine in tutti i settori.

Si potrebbe dunque auspicare, sulla base delle considerazioni appena svolte, che l’Unione sviluppi un livello uniforme di diritti e doveri per gli immigrati legali, paragonabile a quello dei cittadini europei, in base, fra l’altro, al principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario (art. 80 TFUE), sganciandosi dalla dimensione settoriale nella quale si incornicia la direttiva oggetto di questo studio. Purtroppo, tali misure sono molto parzialmente adottate soprattutto in considerazione della indisponibilità da parte di alcuni Stati membri dell’Unione di farsi carico di quello che è invece un vero e proprio obbligo giuridico.

Sembra che, nonostante la nuova disciplina oggetto di questo studio, relativa all’ingresso e soggiorno di studenti, ricercatori, volontari, tirocinanti e lavoratori alla pari, l’Unione europea ad oggi abbia prodotto risultati inferiori alle attese. Nonostante il miglioramento delle condizioni di suddetti migranti, i risultati sembrano comunque produrre politiche altamente frammentate, consentendo distinzioni a volte arbitrarie tra le diverse categorie di cittadini di Paesi terzi e dei cittadini dell'Unione.259 Proprio per queste ragioni si è assistito, negli ultimi anni, ad un tentativo di “rilancio politico” della problematica in esame attraverso la redazione di molti significativi documenti da parte delle istituzioni dell’Unione.260 Il 6 aprile 2016 la Commissione ha pubblicato i suoi orientamenti in materia di migrazione legale, soprattutto in una Comunicazione dal titolo “Riformare il sistema europeo comune di asilo e potenziare le vie

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In particolare, l’applicazione della Carta Blu è stata molto condizionata da condizioni di ammissione restrittive e dall’esistenza di regole, procedure e condizioni parallele nell’Unione creando eccessivi oneri a carico di datori di lavoro e i richiedenti e, di conseguenza, limitando il ricorso a tale regime. Si sta quindi elaborando la proposta di una nuova Carta blu che mira a migliorare la capacità dell'Unione europea di attirare e mantenere i lavoratori altamente qualificati per rafforzare la competitività dell’economia europea e affrontare le sfide demografiche.

260 Nell’aprile 2014 Jean-Claude Juncker aveva presentato, nel quadro della campagna elettorale, un piano