• Non ci sono risultati.

La nuova disciplina UE su ingresso e soggiorno per studenti, ricercatori, tirocinanti, volontari e lavoratori alla pari: novità e prospettive future

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La nuova disciplina UE su ingresso e soggiorno per studenti, ricercatori, tirocinanti, volontari e lavoratori alla pari: novità e prospettive future"

Copied!
136
0
0

Testo completo

(1)

~ 1 ~

INDICE

ABSTRACT

4

INTRODUZIONE

5

I.

LA

CIRCOLAZIONE

DELLO

STRANIERO

NEL

DIRITTO

INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE: BREVE INDAGINE DELLO

SVILUPPO STORICO DELLA

1.1 Considerazioni introduttive…..………..………..6 1.2 La nozione di straniero e la libertà di circolazione nel diritto internazionale………..………..7 1.3 L'area Schengen e il progredito regime di libera circolazione dell'Unione europea:

breve indagine dello sviluppo storico della

normativa………...……….12

1.4 Europa: da continente di emigrazione a continente di

immigrazione………...21 1.5 Il regime applicabile ai cittadini di Stato terzo: ingresso e soggiorno per brevi periodi,

per lunghi periodi, il Codice visti e le direttive

settoriali………..….………26

II. LA DIRETTIVA 2004/114CE SULLE CONDIZIONI DI INGRESSO E

SOGGIORNO

DI

STUDENTI,

SCAMBIO

ALUNNI

TIROCINIO

E

VOLONTARIATO

2.1 Considerazioni Introduttive………...………...………..36 2.2 La direttiva 2004/114/CE sulle condizioni di ingresso e soggiorno degli studenti………..………..36 2.3 La direttiva 2004/114CE sull’ingresso e soggiorno di alunni, tirocinanti e volontari………...………41 2.4 La direttiva 2004/114/CE sulle condizioni di ammissione degli studenti: una normativa

non omogenea all'interno del territorio

(2)

~ 2 ~

2.5 Un’analisi del caso Ben Alaya: quando le condizioni di ammissione sono soddisfatte, la

direttiva non lascia discrezionalità agli Stati

membri………...………..46

2.6 La giurisprudenza della Corte: il caso Chakroun, Koushkaki, Air Baltic e la Sentenza Ben Alaya………...……….55

2.7 Conclusioni………57

III. LA DIRETTIVA 2005/71/CE SULL’INGRESSO E IL SOGGIORNO DEI

RICERCATORI

3.1 Considerazioni introduttive…...……….…………..………...58

3.2 La direttiva 2005/71/CE su una procedura specifica per l’ammissione di ricercatori provenienti da Stati terzi………..………...58

3.3 La direttiva 2005/71/CE sulle specifiche procedure di ammissione di cittadini di Stati terzi per motivi di ricerca: il caso tedesco e le differenti norme di attuazione all’interno del territorio dell’Unione………...………..65

3.4 La direttiva 2005/71/CE sul diritto di soggiorno e diritto al lavoro e l’applicazione del legislatore tedesco………...………69

3.5 La direttiva 2005/71/CE: le disposizioni in merito alla revoca o al rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno………..………..……….………71

3.6 Conclusioni………..………..73

IV. VERSO UNA NUOVA DISCIPLINA PER STUDENTI, RICERCATORI,

TIROCINANTI, VOLONTARI E LAVORATORI ALLA PARI

4.1 Considerazioni Introduttive………76

4.2 La proposta di direttiva della Commissione relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di ricerca, studio e tirocinio………...………….……76

4.2.1 La Consultazione delle parti interessate e la valutazione dell’impatto all’interno della proposta di direttiva della Commissione………..………..82

4.2.2 Gli elementi giuridici della proposta……….………85

4.2.3 Illustrazione dettagliata della proposta……….……….…..89

4.3 Il Parere del Comitato economico e sociale europeo………..……..……….94

(3)

~ 3 ~

4.5 Una prima valutazione di sintesi sull’iter legislativo

seguito………102

V. IL TESTO FINALE DELLA DIRETTIVA 2016/801: UNA PRIMA

VALUTAZIONE

5.1 Considerazioni introduttive……….……..104

5.2 La direttiva 2016/801/UE: considerazioni generali………...………...……104

5.3 Le novità relative alle condizioni di ingresso e soggiorno degli studenti: una prima valutazione……….………111

5.3.2 La permanenza in UE degli studenti cittadini di Stati terzi dopo gli studi………..112

5.4 Le condizioni di ingresso e soggiorno dei ricercatori: le novità introdotte………...………117

5.5 Una nuova disciplina per alunni, volontari tirocinanti e persone collocate alla pari……….121

CONCLUSIONI 124

BIBLIORAFIA E SITOGRAFIA 132

(4)

~ 4 ~

ABSTRACT

Il mandato 2014-2019 della Commissione europea è stato caratterizzato anche dalla cosiddetta crisi dei rifugiati, meglio definibile come una crisi sulla gestione europea della migrazione a causa di limiti di natura politica e/o riconducibili ai rapporti tra gli Stati membri. Il clamore politico e mediatico suscitato da tale crisi ha messo in ombra il tema della disciplina degli ingressi e soggiorni regolari nell’UE da parte di cittadini di Stati terzi. Nonostante ciò, ha finalmente visto la luce la direttiva su ingresso e soggiorno per motivi di studio, ricerca, tirocinio, scambio di alunni, volontariato, lavoro alla pari: il testo è stato sottoscritto in data 11 maggio 2016 dai presidenti del PE e del Consiglio. Questa tesi ha come obiettivo quello di esaminare le novità introdotte dalla direttiva 2016/801/UE, partendo da un’analisi dei due atti giuridici che l’hanno preceduta, la direttiva 2004/114/CE del 13 dicembre 2004 relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato e la direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica. Dopo una panoramica sulla circolazione dello straniero nel diritto internazionale e dell’Unione, e sul regime applicabile ai cittadini di Stati terzi all’interno del territorio dell’UE per periodi superiori a tre mesi, questo studio si concentrerà in primo luogo sull’analisi delle problematiche che si sono riscontrate nell’attuazione delle due precedenti direttive, successivamente esaminerà la proposta della Commissione presentata il 25 marzo 2013, finalizzata ad aggiornare le due direttive menzionate, riunendone la disciplina in un unico testo, per arrivare infine ad un’analisi critica della direttiva 2016/801/UE, cercando di valutarne le prospettive future.

(5)

~ 5 ~

INTRODUZIONE

Lo scopo di questa tesi è quello di mettere a confronto la precedente normativa che disciplinava l’ingresso e soggiorno all’interno del territorio dell’UE di cittadini di Stati terzi per motivi di studio, ricerca, scambio alunni, tirocinio e volontariato, contenuta rispettivamente nelle direttive 2004/114/CE e 2005/71/CE, con il nuovo atto legislativo adottato il 11 maggio 2016, la direttiva 2016/801/UE, la quale rifonde in un unico testo la normativa precedentemente enunciata e introduce anche altre due figure fino ad ora non contemplate: i tirocinanti retribuiti e i lavoratori alla pari. In questo caso, si è partiti da un’analisi preliminare delle direttive 2004/114/CE e 2005/71/CE. Questo studio è stato svolto con lo scopo di analizzare le novità introdotte dalla nuova normativa. Nel farlo, in primo luogo si è effettuata una breve trattazione dello sviluppo storico della normativa relativa alla circolazione dello straniero, da prima nel diritto internazionale, successivamente all’interno del diritto dell’Unione, valutando inizialmente anche aspetti come il cambiamento dell’Europa da continente di emigrazione a continente di immigrazione e introducendo il regime applicabile ai cittadini di Stati terzi all’interno dell’Unione europea. Successivamente, sono state analizzate le due direttive oggetto di rifusione: per quanto riguarda la direttiva relativa all’ingresso e soggiorno di studenti, scambio alunni, tirocinio e volontariato, si è partiti da un’analisi del testo, successivamente si è proceduto a una valutazione sulla non omogeneità della normativa all’interno dell’UE, per poi in un secondo momento avvalerci di un’analisi del caso Ben Alaya relativa alla discrezionalità degli Stati membri nel rifiutare l’ammissione quando le condizioni della direttiva erano soddisfatte; per quanto riguarda invece la direttiva che disciplinava l’ingresso e soggiorno dei ricercatori, si è in primo luogo analizzato il testo normativo, per poi procedere a una breve analisi sull’attuazione della direttiva all’interno del territorio dell’Unione, soffermandoci sul caso tedesco relativo al diritto di soggiorno e diritto al lavoro. Una volta esaminati tali elementi, si è proceduto ad uno studio della proposta di direttiva della Commissione europea, cercando di portarne alla luce i punti di novità, per poi confrontarli con i pareri del Comitato economico e sociale europeo e del Comitato delle Regioni, con il fine di arrivare ad una prima valutazione di sintesi sull’iter legislativo seguito. Dopo aver quindi cercato di portare alla luce tutti gli elementi utili ai fini di questo studio, si è proceduto ad una prima analisi del testo della nuova normativa, portandone alla luce le novità introdotte e cercando di effettuarne una prima valutazione facendo riferimento ai dati introdotti dal recente sondaggio della Rete Europea delle migrazioni.

(6)

~ 6 ~

CAPITOLO I

LA CIRCOLAZIONE DELLO STRANIERO NEL DIRITTO

INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE: BREVE INDAGINE DELLO

SVILUPPO STORICO DELLA

1.1 Considerazioni introduttive

I processi migratori sono fenomeni selettivi: limitati nel tempo, nello spazio e nel numero. Solo determinati gruppi di individui lasciano il proprio luogo natale, spinti da ragioni diverse, tra cui la scarsità di risorse, la pressione demografica o guerre e persecuzioni, con lo scopo di raggiungere luoghi precisi, strutturalmente collegati ai luoghi d’origine dei migranti in ragione di legami economici, politici, sociali, culturali, storici che pongono precisi parametri ai flussi e che ne influenzano le dimensioni e la durata.1

Coloro che emigrano sono solo una minoranza degli abitanti del luogo di origine e restano una minoranza nel Paese di destinazione, alcuni di loro si insediano stabilmente, altri ritornano. Quando gli Stati moderni ancora non esistevano, o non avevano sviluppato mezzi tecnici e amministrativi per controllare le proprie frontiere, ad emigrare erano solo minoranze di una popolazione di una regione.

Non sono solo le migrazioni a vantare una storia antica, documentata dai resti dei primi ominidi, intimamente connesso alla storia del genere umano è, infatti, anche l’atavico desiderio di escludere l’altro.

Durante la Rivoluzione industriale, contemporaneamente allo sviluppo di vaste opere urbanistiche e alle innovazioni tecnologiche nel settore dei trasporti, che comportarono un nuovo impulso alla mobilità degli esseri umani, gli Stati nazione europei, in fase di evoluzione e di consolidamento delle proprie istituzioni, mossi dall’idea di sovranità statale, elaborarono a livello governativo e amministrativo politiche e strumenti per controllare le popolazioni insediate sul territorio e per esercitare un controllo più capillare delle proprie frontiere, escludendo attivamente gli stranieri nel tentativo di regolare i flussi migratori esistenti, fino a raggiungere un monopolio quasi totale durante i primi decenni del ventesimo secolo.

In seguito, l’idea di sovranità statale applicata ai controlli all’immigrazione troverà alcune limitazioni nell’impegno degli Stati a osservare i contenuti degli accordi e delle convenzioni

(7)

~ 7 ~

internazionali vigenti in materia e nell’operato degli organi giuridici degli Stati stessi, che confermeranno con sempre maggiore frequenza e forza i diritti degli immigrati residenti, nonché, nel caso europeo, nella progressiva integrazione delle Comunità europee, processo la cui intensità comporterà conseguenze giuridiche tali da determinare il passaggio in seno all’Unione Europea di competenze prima di stretta pertinenza degli Stati membri.

Alla luce di tali considerazioni preliminari, è necessario essere coscienti del fatto che in nessuna fonte di Diritto internazionale, in vigore o no, è proclamato il diritto all’accesso degli stranieri allo Stato territoriale. Vige, in altre parole, il principio della discrezionalità dello Stato nell’ammettere o meno sul proprio territorio attraverso specifici controlli alla frontiera lo straniero che ne faccia richiesta e che ne abbia i requisiti.

La stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo si limitò a sancire che ogni individuo ha il diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese. Mentre la Comunità europea, impegnata nel compito di instaurare un mercato comune e un’unione economica, includeva tra le libertà fondamentali anche la libertà di circolazione delle persone: già il Trattato di Roma del 1957 enunciò tale principio in favore dei lavoratori subordinati, prevedendo anche il diritto di stabilimento dei lavoratori autonomi, anche se per ragioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica e di salute pubblica era giustificata l’adozione da parte degli Stati di misure speciali e restrittive nei confronti degli stranieri.

In questa prima parte del nostro studio cercheremo di inquadrare il regime applicabile ai cittadini di Stato terzo che intendano soggiornare legalmente in Europa, partendo dalla nozione di straniero e dalla libertà di circolazione nel diritto internazionale,

passando da uno studio

dello sviluppo storico della normativa europea e arrivando infine a commentare l’attuale

sistema Schengen, il Codice Visti e le direttive settoriali.

1.2 La nozione di straniero e la libertà di circolazione nel diritto internazionale

Il moderno diritto internazionale, e anche proprio il diritto inteso come ordinamento giuridico che disciplina la convivenza tra gli uomini nell'ambito degli Stati sovrani, è un fenomeno socialmente più recente rispetto ai movimenti migratori: i Paesi possono essere interessati da flussi in ingresso, flussi di transito e flussi in uscita. Il fenomeno sociale delle migrazioni è del tutto fisiologico nella prassi internazionale, ma si tratta anche di una questione a cui spesso il diritto non riesce preventivamente ad offrire una disciplina ordinata: in questo senso è possibile affermare che il diritto è reattivo, cioè il quadro giuridico cerca di adeguarsi alla prassi.

(8)

~ 8 ~

Acquista dunque rilevanza anche la questione terminologica in materia: il tema dell'individuo quale soggetto potenzialmente legittimato ad esercitare la facoltà di circolare in paesi diversi da quello di appartenenza pone in principio la questione del rapporto di cittadinanza tra stato e individuo e il rapporto di estraneità. Ecco allora che la definizione del concetto di “straniero” necessita di una precisazione terminologica preliminare all'analisi della libertà di circolazione nel diritto internazionale.

Chi sono i destinatari di tale corpus normativo? Marco Gestri definisce straniero “quell'individuo che, in base alle leggi di un determinato Stato, non è considerato cittadino dello stesso. […] Si può trattare sia di soggetti che posseggano la cittadinanza di altri Stati, che di individui i quali non abbiano alcuna cittadinanza (si parla in questo caso di “apolidi”)”.2 Si noti come quindi ciascun individuo assuma la posizione di straniero ogni qual volta si relazioni con uno Stato diverso da quello di propria cittadinanza, senza rendere necessario uno spostamento fisico (si pensi per esempio alla richiesta di visto presso le ambasciate). Gestri prosegue affermando che la nozione di cittadinanza implica un particolare vincolo di diritto pubblico tra individuo e Stato: tale vincolo definisce gli individui che fanno parte di un “popolo”, vale a dire uno degli elementi costitutivi dello Stato secondo il diritto internazionale.3

Avere lo status di cittadino pone dunque l'individuo in una situazione diversa da quella della persona che vuole esercitare la facoltà di circolare senza rivestire tale status. In coerenza con la valenza giuridica e politica del legame tra cittadino e Stato è possibile riportare che ai sensi del diritto internazionale nessun individuo può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato del quale egli è cittadino.

Sono numerose le questioni che possono essere portate alla luce: ai fini di questo studio quello che è necessario evidenziare è che senza dubbio il primo passaggio della circolazione internazionale degli individui consiste nell'abbandono di uno Stato per recarsi in altro Stato e in questo senso lo sviluppo del diritto internazionale sui diritti umani ha offerto una base giuridica per gli individui interessati a lasciare il proprio stato per recarsi all'estero.

Come già riportato, il fenomeno delle migrazioni internazionali non è nuovo nelle relazioni internazionali ed il dibattito sull'esistenza o meno di una norma consuetudinaria che disciplini la

2

Cfr. Gestri, M., 2012, La cittadinanza e gli stranieri. In Immigrazione, Diritto e Diritti: profili

internazionalistici ed europei, A. M. Calamia, M. Di Filippo, M. Gestri (a cura di), Padova, CEDAM, p.

25.

3 Si ritiene che, a tal riguardo, la nozione di Stato, che si trova all'interno dell'art 1 della Convenzione sui diritti e gli obblighi degli Stati adottata a Montevideo il 26.12.1933 dalla Conferenza Internazionale degli Stati americani, la quale recita “The State as a person of international law should possess the following

qualifications: a) a permanet population; b) a defined territory; c) government; and d) capacity to enter into relations with the other States”, sia generalmente accolta nel diritto internazionale.

(9)

~ 9 ~

condizione della circolazione degli individui ha visto emergere posizioni differenziate in materia.4 Ma al di là dell'esistenza di una categoria particolare di migranti o stranieri che hanno diritto a un trattamento di riguardo, cioè la cosiddetta Protezione Internazionale, che garantisce loro una prospettiva di accoglienza, quindi di ingresso in uno Stato diverso dal proprio, di permanenza in quello Stato e di un trattamento minimo, gli altri migranti o gli altri soggetti che si spostano a livello internazionale sono accompagnati o trattati dal diritto internazionale in maniera molto parziale.

In particolare dal punto di vista della loro mobilità spaziale o geografica abbiamo già riportato come nei trattati sui diritti umani sia stata inclusa una norma chiamata sinteticamente libertà di circolazione o libertà di movimento. Questa regola presenta dei contenuti che non devono essere fraintesi in quanto consiste nel riconoscere all'individuo il diritto a uscire da un Paese di cittadinanza o che non sia di cittadinanza dove il soggetto si trova e quindi nel rapporto individuo-Stato il Diritto Internazionale sembra propendere per l'individuo perché gli riconosce un diritto umano ad andarsene. Questo diritto spetta a chiunque, che sia cittadino, straniero, se straniero che sia regolare o in ipotesi anche con uno status migratorio non regolare.

Questo diritto poi però non è accompagnato da un complementare diritto di fare ingresso e di soggiornare nello Stato di propria scelta: è lo Stato di destinazione che disciplina le modalità di ingresso e soggiorno nel proprio territorio. L'unico Stato verso cui il soggetto vanta indubbiamente un diritto ad entrare e rimanere è lo Stato di cittadinanza. In ipotesi lo spostamento tra uno Stato e un altro sarebbe pienamente garantito dal diritto internazionale nel caso in cui lo spostamento avvenga da uno Stato terzo verso lo Stato di cittadinanza: in questo caso l'intero viaggio è garantito dal diritto internazionale.

Un'altra ipotesi riguarda il viaggio compiuto dall'individuo con doppia cittadinanza nel caso in cui egli si sposti tra i due Stati: l'intero spostamento a livello internazionale è disciplinato da norme che conferiscono a tale soggetto sia il diritto di uscire dal primo Paese, che il diritto di entrare nel secondo.

Bisogna però sottolineare come la maggioranza dei flussi migratori transnazionali non ricade in questi schemi, perché di solito l'individuo parte dal paese di cui è cittadino, o di cui è straniero, per andare in un paese di cui non è cittadino. Altra questione da tener presente è che la libertà per un individuo di uscire dal proprio paese o dal paese di residenza, anche solo

4

Per approfondimenti cfr. Di Filippo, M., 2012, La c.d libertà di circolazione nel diritto internazionale: il

diritto di uscita dal Paese di origine e il diritto di ingresso o ritorno nel paese di cittadinanza. In Immigrazione, Diritto e Diritti: profili internazionalistici ed europei, A. M. Calamia, M. Di Filippo, M.

(10)

~ 10 ~

temporanea, è una libertà che non è assoluta, non è una libertà che non tollera deroghe o eccezioni, perché lo Stato in cui l'individuo si trova e da cui vuole partire o “emigrare” (in questa sede il termine “emigrazione” viene utilizzato come sinonimo di “andare via da”; di solito “emigrazione” è collegato a fenomeni stabili e permanenti di partenza) la libertà di andarsene è ampiamente riconosciuta nel diritto internazionale, ma conosce deroghe.

Questo non deve stupire: in realtà i trattati internazionali (o anche il diritto consuetudinario) accanto alla libertà di fondo, stabiliscono delle possibilità di deroga a favore degli Stati. È interessante notare come nelle norme di origine internazionale sui diritti da un lato, quando sono previste nei trattati sui diritti umani, sono molto spesso poi monitorate da organi internazionali e quindi c'è una sorta di sorveglianza su come gli Stati usano la propria facoltà di apporre restrizioni; dall'altro i motivi per apporre delle restrizioni devono essere conoscibili (predeterminazione per legge).

Un ulteriore requisito importante è che i limiti previsti nella legge e poi applicati ai singoli casi concreti devono essere necessari per tutelare uno di quei motivi o interessi previsti dalle norme e proporzionate alle circostanze del caso specifico. Come spiega Di Filippo nella prassi applicativa il diritto in questione viene definito libertà di movimento o libertà di circolazione, si tratta di un riconoscimento solo parziale di un presunto diritto di mobilità a livello internazionale. L'obiettivo fondamentale è quello di impedire che gli Stati obblighino i propri cittadini a restare sul territorio contro la propria volontà.5

È interessante notare come molti ordinamenti giuridici (spesso di diversa tradizione) abbiano riconosciuto all'interno della propria Costituzione, il diritto di uscita: per l'Italia, l'art 16, co. 2 della Costituzione così recita “Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge”.6 Con riguardo alle possibili restrizioni del diritto in uscita, è necessario richiamare i contenuti dei due strumenti maggiormente usati a livello internazionale: l'ICCPR e il Protocollo CEDU n.4.

Con riguardo al Patto Onu del 1966, largamente ratificato nella comunità internazionale e considerato una sorta di standard minimo mondiale sulla libertà di circolazione, la norma così recita:

5

Come sottolinea l’autore, sul piano della prassi internazionale, per lungo tempo numerosi Stati hanno limitato fortemente le possibilità di espatrio dei propri cittadini: si pensi all'URSS e ai Paesi del ex blocco socialista. Cfr. Di Filippo, M., 2012, La c.d libertà di circolazione nel diritto internazionale: il diritto di

uscita dal Paese di origine e il diritto di ingresso o ritorno nel paese di cittadinanza. In Immigrazione, Diritto e Diritti: profili internazionalistici ed europei, A. M. Calamia, M. Di Filippo, M. Gestri (a cura

di), Padova, CEDAM, p.55.

6 Per riferimenti ad altri Stati, cfr. Plender, R., 1988, International Migration Law, Dordrecht, Springer Netherlands, pp.95-96.

(11)

~ 11 ~

1. Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla libertà di movimento e alla libertà di scelta della residenza in quel territorio.

2. Ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio.

3. I suddetti diritti non possono essere sottoposti ad alcuna restrizione, tranne quelle che siano previste dalla legge, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche, ovvero gli altrui diritti e libertà, e siano compatibili con gli altri diritti riconosciuti dal presente Patto.

4. Nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio Paese. Come analizza Di Filippo dalla lettura dell'art. 12 emerge che viene sancito un diritto del singolo, non assoluto, la cui restrizione deve essere fondata su norme statali generali e astratte, che rispondano a parametri di certezza e prevedibilità.7 Il primo paragrafo riguarda la libertà di movimento degli individui all'interno di un singolo Stato e si tratta della norma che garantisce di spostarsi all'interno del proprio paese. Nel secondo paragrafo si noti il termine “ognuno”: in ipotesi anche un individuo con uno status migratorio irregolare, può andarsene. La libertà di base qui è enunciata in maniera chiara e diretta. Nel terzo paragrafo vengono esplicate le ipotesi di deroga con una formula piuttosto frequente: devono essere necessarie per proteggere una serie di interessi o valori.

Nel concetto di necessarietà si include anche quello di proporzionalità della restrizione adottata e i valori o gli interessi che possono essere legittimamente invocati possono essere una lista abbastanza classica: sicurezza nazionale, ordine pubblico, salute pubblica o morale pubblica, i diritti e le libertà degli altri, e inoltre le restrizioni devono essere coerenti con gli altri individui riconosciuti in questo caso nel patto delle Nazioni Unite. Il significato di questi valori dipende di volta in volta dagli Stati, i quali fanno valutazioni più o meno specifiche nell'interesse di tutelare i vari interessi. Dunque la libertà di uscita è prevista, ma è sottoposta a deroghe. Da tener presente è il fatto che la libertà ci sia ma non sia assoluta, già questo spiega i controlli che uno stato fa in uscita, quando una persona esce dal paese. Controlli legittimi nella misura in cui tendono ad accertare che la persona in questione non stia violando interessi pubblici, o sia sottoposta a ricerca per motivi pubblici.8

7 Cfr. Di Filippo, M., 2012, La c.d libertà di circolazione nel diritto internazionale: il diritto di uscita dal

Paese di origine e il diritto di ingresso o ritorno nel paese di cittadinanza. In Immigrazione, Diritto e Diritti: profili internazionalistici ed europei, A. M. Calamia, M. Di Filippo, M. Gestri, (a cura di),

Padova, CEDAM, p. 57.

8 Gli Stati in questione possono non aver ratificato il presente patto delle Nazioni Unite o in caso di ratifica, lo hanno fatto avvalendosi della possibilità di apporre deroghe.

(12)

~ 12 ~

Altro aspetto interessante in questa norma che ci collega all'altra modalità con cui il diritto internazionale facilita la libertà di circolazione a livello internazionale è il paragrafo quattro, il quale afferma che nessun individuo può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel suo paese. In materia di libera circolazione è interessante notare come le indicazioni che si trovano all'interno del sistema CEDU siano molo simili a quelle contenute all'interno del ICCPR. Nonostante la differente formulazione, l'interpretazione che si dà anche del Patto ONU, che è più stringato, è la stessa.

Dopo aver portato brevemente alla luce alcune questioni inerenti al diritto di uscita ci poniamo un altro quesito: quando ci si presenta alle frontiere di uno Stato, fino a che punto si può chiedere di entrare o di rimanere su quel territorio? Nel diritto internazionale non è previsto un diritto di ingresso e soggiorno in uno Stato che non sia il proprio, quindi si afferma che per quanto riguarda l'ammissione del territorio di cittadini stranieri, dove per ammissione si intende primo ingresso ma anche permanenza sul paese, ogni Stato sovrano è libero disciplinare la materia migratoria e i cittadini stranieri devono semplicemente prenderne atto e valutare se conviene loro provare ad andare in uno Sato piuttosto che in un altro.

Su questo terreno si possono registrare alcuni sviluppi nella prassi internazionale recente anche se non arrivano a configurare per l'individuo un diritto di ingresso e soggiorno: si può però notare che almeno in parte, la sovranità e la discrezionalità dello Stato ospite è stata circoscritta. Ci sono degli elementi ricavati dal diritto internazionale che impongono di adattare la propria prassi applicativa a queste decisioni che vengono dal diritto internazionale. Si continua a riconoscere secondo il diritto consuetudinario una discrezionalità di fondo dello Stato di regolare come vuole l'ingresso e il soggiorno degli stranieri sul territorio.

1.3 L'area Schengen e il progredito regime di libera circolazione dell'Unione europea: breve indagine dello sviluppo storico della normativa

È universalmente noto che gli Stati esercitano la propria sovranità su un determinato territorio, il quale termina laddove inizia il territorio di un altro Stato o uno spazio internazionale, e che la circolazione di un individuo implica il passaggio di almeno una frontiera statale e, così come uno Stato esercita la propria giurisdizione su un territorio, così esso ha la facoltà di controllare gli ingressi e le uscite da esso.9

9 Occorre sottolineare che tale potere implica la facoltà di istituire postazioni fisse di controllo lungo le principali vie di comunicazione e di erigere strutture fisiche che impediscano attraversamenti

(13)

~ 13 ~

Riportando l'attenzione al punto di vista pratico dell'esercizio del controllo di frontiera, è opportuno riportare che esiste un'esigenza di fondo a fin che gli stati cooperino. Questa cooperazione può essere oggetto di formalizzazione in accordi generalmente conclusi in forma semplificata tra i governi interessati, oppure affidata a intese informali raggiunte tra i responsabili delle amministrazioni interessate o dei singoli posti di frontiera. In linea di principio i controlli alle frontiere vengono realizzati in prossimità dei confini politici di uno Stato. Tuttavia la peculiarità di alcune vie di comunicazione e dei relativi mezzi di trasporto può determinare una dissociazione spaziale tra il momento dell'attraversamento della frontiera e lo svolgimento effettivo dei controlli.10

Un fenomeno registratosi negli ultimi anni è sicuramente la così detta “esternalizzazione dei controlli di frontiera”, pratica grazie alla quale, gli Stati di destinazione dei flussi migratori cercano di prevenire alla fonte gli arrivi di persone sprovviste di un valido titolo di ingresso.11 In questo ambito l'Unione Europea ha sviluppato un progredito regime di libera circolazione per i cittadini europei12 e parallelamente un sistema di controllo congiunto delle frontiere esterne.

Nel paragrafo che segue cercheremo di riassumere brevemente sia lo sviluppo storico della normativa, sia l'elaborazione di quello che ad oggi è conosciuto come l'aquis di Schengen.

Con il consolidamento della normativa UE sulla libera circolazione dei cittadini degli Stati membri si è posto sempre di più con maggiore frequenza il problema del mantenimento dei controlli delle frontiere comuni e i conseguenti limiti temporali e spaziali che esso comportava. Nel corso degli anni ottanta è stato deciso da un gruppo ristretto di Stati membri di avviare un processo negoziale di carattere intergovernativo finalizzato a dotarsi di una normativa che convivesse con quella comunitaria e che realizzasse l'ambizioso obiettivo dell'abolizione dei controlli di frontiera al fine di rendere più fruibile la libertà di circolazione di merci e persone.

Sulle rive della Mosella, nell'estremo sud del Lussemburgo al confine tra Francia e Germania, nel 1985 viene firmato da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi

incontrollati. Non è la costruzione di un muro o di una recinzione in quanto tale ad essere criticabile dal punto di vista del diritto internazionale, quanto piuttosto l'adozione di normative amministrative finalizzate, nel loro complesso, a negare in radice l'esercizio del diritto di uscita. In definitiva ai sensi del diritto internazionale non è ammissibile un apparato di controllo di frontiera che è accompagnato da misure lesive dei diritti umani. In argomento v. Di Filippo, M., 2012, Controllo delle frontiere e ruolo

della cooperazione internazionale. In Immigrazione, Diritto e Diritti: profili internazionalistici ed europei, A. M. Calamia, M. Di Filippo, M. Gestri (a cura di), Padova, CEDAM, pp. 127-157.

10 Si pensi per esempio al trasporto aereo. 11

Tra le pratiche più note rientrano l'imposizione di un obbligo di visto e il correlato svolgimento di determinati controlli nell'ambito delle rappresentanze diplomatiche.

12 Si ricorda che la cittadinanza europea viene istituita dal Trattato di Maastricht nel 1992. Ad oggi le norme che disciplinano tale status sono l'art. 9 del TUE e gli artt. 20-25 del TFUE.

(14)

~ 14 ~

l'Accordo di principio, il quale conteneva disposizioni guida e direttive di negoziato per l'elaborazione di un secondo accordo. Al di fuori dell'allora diritto comunitario inizia lo sviluppo di un sistema di controllo condiviso delle frontiere, che ha seguito nel 1990 con la Convenzione di applicazione dell'Accordo Schengen (d'ora in avanti CAAS), dai contenuti più tecnici e avanzati, la quale creava un comitato esecutivo di natura intergovernativa.

Gli accordi erano sin dal principio aperti all'adesione di altri Stati europei, che era prevista tramite accordi di trattati di adesione ad hoc: è attraverso questa modalità che la normativa viene successivamente estesa anche a Stati non membri dell'Unione. Tutto l'apparato normativo, cioè l'Accordo, la CAAS, i trattati di adesione e le decisioni del comitato esecutivo fanno parte di quello che d'ora in avanti sarà definito acquis di Schengen. La CAAS entra formalmente in vigore l'1.9.1993, l'effettiva abolizione dei controlli di frontiera inizia il 26.3.1995 e da allora l'area Schengen è andata progressivamente ad ampliarsi: fino al 2004 ciò è avvenuto attraverso specifici trattati di adesione, ma con il Trattato di Lisbona è stato deciso che i nuovi Stati membri dell'Unione avrebbero partecipato al sistema di controllo di frontiere condiviso (con la possibilità che l'effettiva applicazione dello stesso sarebbe differita fino a che il Consiglio avesse ritenuto idonei tali Stati al controllo delle frontiere, la c.d. “valutazione Schengen”).

Ad oggi l'Area Schengen include tutti gli Stati membri escludendo due gruppi: Irlanda, Regno Unito13 e Cipro, Croazia, Bulgaria e Romania14 È opportuno sottolineare che partecipano al sistema di controllo delle frontiere condiviso anche Paesi non membri (si tratta di Lichtenstein, Islanda, Norvegia e Svizzera) la cui partecipazione è regolata da appositi trattati conclusi tra di essi e la CE/UE.15

A questo punto è importante evidenziare come l'attuale normativa UE relativa ai controlli delle frontiere sia tributaria alla logica della geometria variabile poiché non tutti gli Stati membri ne sono vincolati e alcuni Stati terzi ne sono vincolati solo da determinati aspetti. La sommatoria delle frontiere degli Stati che appartengono al sistema Schengen dell'UE comporta che lo Stato controlla nell'interesse di tutti. Schengen ha prodotto una serie di conseguenze che devono spingere a riflettere su come l'Unione ha definito il proprio spazio di circolazione.

13 In forza del Protocollo n. 19 e 20, che il Trattato di Amsterdam ha allegato agli allora TUE e TCE. Per quanto concerne la Gran Bretagna, ai fini di questo studio il Paese viene ancora considerato membro dell'Unione. A seguito del risultato del Referendum consultivo che si è tenuto il 23.6.2016, per verificare il sostegno alla continuazione della permanenza all'interno dell'Unione Europea, che ha visto un voto favorevole all'uscita con una percentuale de 51.9%, si dovranno attendere le disposizioni adottate al termine dei negoziati che si stanno per aprire tra il governo britannico e la Commissione UE.

14

In quanto non ancora pronti ad applicare l'acquis di Schengen.

15 Ai fini di questo studio è utile sottolineare come gli Stati menzionati risultino vincolati dalle regole sui controlli alle frontiere e in parte da quelle sulla politica di asilo e immigrazione, sui visti e sulla lotta all'immigrazione irregolare, ma non dalla normativa sulla migrazione regolare.

(15)

~ 15 ~

È interessante sottolineare come nell'epoca della globalizzazione sembrano emergere più muri che nell'epoca della guerra fredda: si registra un crescente timore da parte degli Sati più ricchi riguardo ai flussi migratori. La prerogativa tipica degli Stati sovrani risponde a una logica di difesa del territorio e sicurezza del paese. Nell'ambito dell'Unione Europea è stata fatta la scelta di controllare le frontiere nell'interesse comune: gli Stati che partecipano al sistema Schengen hanno concordato che gli spostamenti di persone e merci tra i loro territori non sono sottoposti a controlli di frontiera, nonostante le frontiere intese come demarcazione territoriale esistano ancora, al tempo stesso il sistema Schengen si basa su una serie di regole per controllare efficacemente le frontiere esterne, in senso giuridico terrestri e marittime, con Paesi che non appartengono all'area Schengen e anche gli spostamenti che avvengono per via aerea, i quali fanno sì che i controlli di frontiera non avvengano dal punto di vista materiale.

Il primo controllo è dunque molto importante, perché successivamente l'individuo sarà libero di circolare nell'area Schengen. Le regole concordate fino ad oggi sono fondate su un principio: i controlli di frontiera esterna sono fatti di volta in volta dall'autorità nazionale competente, le regole sono comuni, dettagliate e contenute di solito in regolamenti, l'applicazione pratica delle regole è rimessa ai singoli Stati: non esiste una federalizzazione dei controlli di frontiera. Ci sono Stati che sono più interessati da flussi migratori per motivi geografici: questi paesi possono avere degli oneri più consistenti per il controllo delle frontiere. Possono verificarsi crisi internazionali per cui si assiste a eventi non previsti: disordini e conflitti in aree geografiche che determinano un aumento atipico di arrivi alle frontiere e indubbiamente in quel caso ci sono Paesi sottoposti ad una pressione non ordinaria.16

L'eliminazione delle frontiere interne è un risultato che è stato ottenuto gradualmente: è previsto però che gli Stati possano ristabilire i controlli di frontiera. Nella disciplina attualmente vigente, contenuta in un regolamento chiamato Codice Frontiere Schengen, si può leggere chiaramente come in occasione di vertici internazionali si possa ristabilire il controllo alle frontiere interne. Preme evidenziare come questo non implica una limitazione della libertà di circolazione degli aventi diritto: il diritto dell'Unione europea si è sviluppato dando ai propri cittadini la libertà di circolazione e soggiorno negli Stati membri e si tratta di un diritto per ogni cittadino dell'UE di entrare e soggiornare in un qualsiasi Stato membro, un diritto non assoluto, perché lo Stato membro ospite ha la facoltà, in condizioni molto circoscritte, di impedire l'ingresso o di allontanare l'individuo dal suo territorio.

16

Per questo motivo l'Unione europea ha istituito dei meccanismi per sostenere questi Stati: fino al 2013 esistevano tre fondi che potevano essere utilizzati per queste tematiche, il fondo per il controllo delle frontiere esterne, il fondo per i rifugiati e il fondo rimpatri.

(16)

~ 16 ~

Bisogna sempre tener presente che l'eliminazione dei controlli di frontiera è una misura complementare per facilitare la libera circolazione delle persone e gli scambi commerciali rispetto a chi ne ha diritto. Se i controlli vengono ristabiliti, non è la libertà di circolazione che viene sospesa. Ci possono essere situazioni in cui uno Stato ravvisa l'esigenza di ristabilire controlli di frontiera. È una decisione unilaterale degli Stati, non deve essere autorizzata dalla Commissione.17

Come è evoluta nel corso del tempo la normativa europea in materia migratoria? Ad oggi l'UE ha in teoria la competenza concorrente a definire i requisiti per l'ingresso e il soggiorno di qualsiasi cittadino di Stato terzo, iniziando dai visti, passando per la procedura di frontiera fino a disciplinare il soggiorno breve e di lungo periodo. Quello su cui ad oggi l'UE ha una competenza astratta è l'attribuzione della cittadinanza,18 il riconoscimento di diritti elettorali e la determinazione dei volumi di ingresso per ricerca di lavoro19 Su alcune questioni questa competenza è stata davvero esercitata, utilizzando al massimo le potenzialità offerte dalle basi giuridiche dei trattati. Questo si è verificato perché le competenze dell'Unione si sono evolute in maniera disorganica, non omogenea.

Storicamente è nel TCEE che si inseriscono inizialmente le normative in tema migratorio. La scelta che viene fatta nel 1957 è quella di identificare la Comunità Economica come un legislatore in grado di forgiare una politica europea in relazione a una dimensione dell'immigrazione, una dimensione che in quegli anni riguardava solo alcuni migranti, cioè cittadini di Stati membri, lavoratori, imprenditori o persone in cerca di lavoro, soggetti

17 V. Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen). Tale atto è stato modificato dal Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen). L’obiettivo del Regolamento europeo è esplicitato apertis verbis nel sesto considerando, in cui la funzione del controllo di frontiera è riconnessa alla lotta contro l’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani, nonché alla prevenzione di qualunque minaccia per la sicurezza interna e l’ordine pubblico, la salute pubblica e le relazioni internazionali degli Stati membri. In tale ottica, il controllo di frontiera comprende non solo le verifiche sulle persone ai valichi di frontiera e la sorveglianza tra tali valichi, ma anche l’analisi dei rischi – attuata anche mediante consultazione del Sistema Informativo Schengen (SIS) e del Sistema Informativo dei Visti (VIS) – per la sicurezza interna e l’analisi delle minacce che possono pregiudicare la sicurezza delle frontiere esterne. Le nuove regole si applicano a chiunque attraversi le frontiere interne o esterne di uno Stato membro, senza pregiudicare tuttavia sia il diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – individuati dall’articolo 20, par. 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (T.F.U.E.) – sia dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale.

18 L'art 20, par. 1 TFUE chiarisce che la cittadinanza dell'unione si aggiunge a quella degli Stati membri: l'attribuzione della cittadinanza risulta ancora oggi una materia di competenza esclusiva degli Stati. Se ne trova conferma nella Dichiarazione n. 2 allegata all'Atto finale della Conferenza di Maastricht del 1992 che adottò il TUE.

(17)

~ 17 ~

comunque protagonisti di una migrazione economica. Già nel 1957 le Istituzioni Europee vengono dotate di una competenza molto forte in questo ambito.20 Il periodo transitorio durò 12 anni per la piena applicazione delle norme europee. La Comunità Economica Europea è stata un laboratorio di sperimentazione di politiche migratorie. I fondamentali erano che chiunque, lavoratore, imprenditore o persona in cerca di lavoro avesse il diritto di andare in un altro Stato membro, alle pari condizioni di cittadini o imprenditori del Paese di destinazione.

Nell'ottica di un ampliamento dell'UE si può cogliere l'incidenza di questa normativa sulla sovranità dei singoli Stati in materia migratoria. Molti flussi migratori in Europa ad oggi avvengono tra i paesi dell'Unione. La messa a regime della libera circolazione dei cittadini UE ha spinto gli Stati a metà degli anni ottanta a individuare nell'esercizio dei controlli di frontiere interne un ostacolo. Quindi si decise di eliminare i controlli per agevolare la libera circolazione delle persone e delle merci ed ecco allora che nel 1985, quando viene firmato a Schengen l'accordo di principio sulla progressiva eliminazione dei controlli di frontiera, si possono ritrovare misure complementari che successivamente sono diventate assi strategici della politica migratoria dell'UE.

Sulla spinta degli Accordi di Schengen, l'UE si è dotata di strumenti di intensità crescente, finalizzati allo sviluppo di una competenza in materia migratoria. In primo luogo il Trattato di Maastricht introduce nel TCE l'art. 100C, che attribuiva alla CE la competenza a determinare la lista degli Stati terzi i cui cittadini dovevano essere in possesso di un visto al momento dell'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, nonché la competenza ad adottare un modello uniforme di visto. Era previsto anche un certo grado di cooperazione delle forze di polizia (si ricordi che il mandato di arresto e di consegna europea non è estradizione).

Quando si sviluppa l'idea dell'abolizione del controllo delle frontiere interne, per effetto di trascinamento altre questioni devono essere affrontate. Ecco allora che nell'ambito del c.d. Terzo pilastro dell'UE, il Titolo VI del TUE ha dichiarato questioni di interesse comune anche i settori della politica di asilo, dell'attraversamento delle frontiere esterne e della politica di immigrazione. Si inizia a parlare di rifugiati e si inizia a intravedere qualcosa anche sui cosiddetti migranti economici, anche se in misura minoritaria. Tutto questo piano piano porta a quello che oggi è l'Unione Europea.

La CAAS, che conteneva disposizioni giuridiche impegnative per gli Stati, molte norme in vigore ancora oggi, viene arricchita e implementata da atti di applicazione adottati dagli Stati

20 V. art. 59, par. 2 TCEE: la procedura prevista era la delibera del Consiglio all'unanimità, su proposta della Commissione. La disposizione verrà modificata dall'Atto Unico Europeo, introducendo la regola di voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio.

(18)

~ 18 ~

che partecipavano al Sistema Schengen, ma il punto di svolta si ha con il Trattato di Amsterdam, quando la normativa Schengen viene trasformata in normativa europea. Una geometria variabile disciplinata dal sistema. Il Trattato di Amsterdam configura una vera e propria competenza comunitaria in materia, disciplinata nel Titolo IV del TCE. È opportuno evidenziare che il Trattato di Amsterdam realizza l'assorbimento dell'acquis di Schengen nel contesto del diritto comunitario e dell'UE, secondo decisioni adottate dal Consiglio successivamente (decisioni 1999/435 e 1999/436).

L'ultimo passaggio viene effettuato con il Trattato di Lisbona, che rivede le basi giuridiche, le rende più incisive ed efficaci e da quando è entrato in vigore le Istituzioni EU hanno avuto ancora più poteri in questo campo. La materia risulta regolata dagli artt. 67 e 77-80 del TFUE. La cosa più significativa che viene elaborata con il trattato Lisbona è che in questa materia si applica la codecisione, cioè la procedura legislativa ordinaria (prima si utilizzava la speciale).

Riassumendo si ha quindi una prima stagione: quella della precedente Comunità Europea dove i trattati istitutivi hanno focalizzato l'attenzione sulla migrazione dei cittadini europei essenzialmente per motivi economici. Quindi il quadro giuridico di riferimento era contenuto nel TCEE e successivamente in regolamenti direttive di attuazione ed era focalizzato sull'idea che chi si spostava tra Stati Membri ed era cittadino di uno Stato Membro godeva di uno status favorevole e il riferimento era chi si spostava per motivi economici. Per molto tempo si è lavorato su questa tipologia di migranti.

Gradualmente si inizia a pensare che questi cittadini dovessero avere un diritto di circolare e di risiedere dove le condizioni erano per loro più favorevoli, quest'idea piano piano mette radici e viene ad essere ipotizzata anche per altri soggetti, per esempio i familiari. Già dal 1968 nei primi atti di attuazione del trattato CEE e innovandolo, quindi è una cosa che si ha dalla legislazione derivata, il legislatore comunitario, all'epoca il Consiglio, decide di estendere la libertà di soggiorno ai familiari del cittadino UE che si sposta. La cosa interessante è che questi soggetti non dovevano per forza essere attivi sul piano economico.

Il secondo passaggio sempre fatto nel 1968 è che questi familiari potevano tranquillamente avere la cittadinanza di uno Stato Terzo, in via derivata arrivando a beneficiare della libertà di circolazione pur non essendo cittadino comunitario. É un'estensione che fa capire che la libertà di circolazione acquisisce una dimensione sociale, non solo mercantilistica.

Dopo di che è interessante notare che a metà degli anni ottanta si inizia a ragionare sull'abolizione dei controlli di frontiera e anche che è ora di riconoscere la libertà di circolazione e soggiorno anche a soggetti non coperti fino a quel momento per rendere la libertà di

(19)

~ 19 ~

circolazione un diritto di cittadinanza del cittadino UE: cioè si inizia ad affermare che la libertà di circolazione doveva essere sganciata dalla dimensione economica. Alla fine degli anni ottanta abbiamo questi due sviluppi paralleli: da un lato la libertà di circolazione viene generalizzata e rafforzata, sia a livello di legislazione derivata che di trattato. Al tempo stesso si mette in moto il meccanismo Schengen, che è un meccanismo che interagisce con la libertà di circolazione.

Andando avanti il cantiere sulla libera circolazione si stabilizza, resta in un certo senso fermo, invece il cantiere Schengen produce molto. Dal Trattato di Amsterdam in poi è l'UE che ha le basi giuridiche per aggiornare il meccanismo Schengen e lo fa attraverso gli strumenti che ha a disposizione.

Nel 1997 si stabiliscono dei periodi transitori per adottare gli atti, si limita per un po' il ruolo della Corte di Giustizia e del Parlamento Europeo, si utilizza il metodo comunitario ma con qualche variante intergovernativa che rallenta i lavori e la qualità del procedimento legislativo.

Il Trattato di Lisbona segna la definitiva maturazione dal punto di vista dei poteri e delle procedure del quadro decisionale in questa materia: si utilizza come procedura standard quella legislativa ordinaria. Il Trattato di Lisbona chiarisce definitivamente su quali argomenti l'UE può attuare atti normativi: viene specificato che in tema di controlli di frontiera, in materia di asilo e protezione internazionale è l'UE a legiferare dovendo adeguarsi a norme internazionali, in esempio citiamo la Convenzione di Ginevra e la CEDU, in materia di immigrazione che non concerne i richiedenti asilo, l'UE ha la facoltà di disciplinare tutte le tipologia di immigrazione, sia quella del ricongiungimento familiare, sia per motivi lavorativi e nel fare questo si fa una differenziazione tra chi in Europa arriva per un periodo breve (fino novanta giorni) o chi per un periodo più lungo (più di novanta giorni). Questo vale sia per i cittadini dell'UE che per i cittadini di Stati terzi e l'UE ha questi due terreni su cui lavorare. I poteri da quando il Trattato di Lisbona è entrato in vigore sono stati definiti in maniera identica per i due filoni, ma la legislazione adottata è differente: abbiamo molto di più sulla corta durata che sulla lunga.

Inoltre l'UE può anche disciplinare gli spostamenti all'interno dell'unione di cittadini di Stati terzi. Il TFUE non afferma in senso stretto che i cittadini di Stati terzi che si trovano legalmente all'interno dell'unione abbiano gli stessi diritti dei cittadini UE: il legislatore UE potrà disciplinare modalità e requisiti affinché queste persone possano circolare all'interno dell'UE, non si tratta però di una estensione dei diritti del cittadino UE, va sottolineato poiché ad oggi si hanno due regimi di circolazione intra UE, uno di libertà (anche se non assoluta) per i cittadini UE e i loro familiari (regime giuridico molto sofisticato) e uno per cittadini non UE regolari che si vedono riconosciuti una opportunità di libera circolazione disciplinata in maniera più

(20)

~ 20 ~

restrittiva rispetto a quella dei cittadini UE, per cui requisiti e limiti sono più condizionanti rispetto a quelli che hanno i cittadini di Stati membri.

Il fatto che i controlli delle frontiere interne siano stati aboliti, non significa che l'attraversamento di una frontiera sia sempre legittimo. Il nucleo di questa disciplina (circolazione di cittadini di Stati Terzi) è ancora contenuto nella CAAS. La normativa UE è composita, non abbiamo un Testo Unico sull'Immigrazione europea, abbiamo normative diverse basate su logiche diverse. Per esempio per il cittadino UE vige il principio base della libera circolazione, tranne eccezioni. Per i cittadini di Stati terzi la logica è quella del controllo, ma poi anche quando la persona soggiorna regolarmente, la sua libertà di circolare è condizionata a timori. Non abbiamo un regime di libera circolazione pieno.

Altra questione che preme evidenziare è che è prevista l'estensione della libertà di circolazione ai cittadini di Stati terzi, i quali aderiscono all'Unione Europea. C'è un cambio di status giuridico di questi cittadini, che diventano cittadini UE.21

Per quanto concerne l'elaborazione delle scelte politiche di fondo, le quali orientano le disposizioni programmatiche dapprima introdotte con il Trattato di Amsterdam e ad oggi contenute nel TFUE, occorre tener presente che esse sono condensate in programmi quinquennali adottati dal Consiglio Europeo, su impulso della Commissione e previa consultazione del Consiglio e del Parlamento europeo. I documenti elaborati contengono indicazioni interessanti, ma occorre ricordare che l'elaborazione di indirizzi politici non si traducono necessariamente nell'adozione di misure pertinenti. Si ritiene dunque che solo l'esame degli atti effettivamente adottati in materia migratoria possa dare un'idea del grado di incidenza dell'UE sulla sovranità statale.

Nel procedere con il nostro studio, preme segnalare come la legislazione in vigore sia stata elaborata in larga misura prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Nel paragrafo successivo analizzeremo brevemente un altro aspetto che ha caratterizzato notevolmente l'elaborazione delle politiche migratorie all'interno dello sviluppo della normativa europea: l’evoluzione storica che ha caratterizzato i flussi migratori in Europa.

21 A tal proposito sono state inserite clausole transitorie nei trattati di adesione, che coprono un periodo massimo di 7 anni e comportano che qualsiasi Stato membro rispetto ai nuovi, possa dichiarare che i cittadini “neo comunitari” non godano pienamente della libertà di circolazione.

(21)

~ 21 ~

1.4 Europa: da continente di emigrazione a continente di immigrazione

Tra i processi demografici, la migrazione internazionale è sicuramente quello al centro di maggiori controversie, per le conseguenze sociali e per le ricadute politiche che da esso scaturiscono. Per questo da molti anni le dinamiche migratorie e le politiche finalizzate a gestirle, nonché le conseguenze che ne derivano in termini di integrazione socio-economica, sono al centro del dibattito pubblico, e politico, nella maggior parte delle economie avanzate.

L’aumento dei flussi migratori internazionali negli ultimi decenni e le dimensioni rilevanti che la popolazione straniera ha raggiunto in molti Paesi hanno poi contribuito alla crescita dell’interesse – e dei timori – nei confronti del fenomeno da parte dell’opinione pubblica. Al 1 gennaio 2012, i cittadini stranieri (con cittadinanza non UE) residenti nell’Unione Europea a 27 paesi erano circa 20,7 milioni, cifra pari al 4,1% del totale della popolazione UE.22

Il presente paragrafo si pone l’obiettivo di fornire un quadro breve ma dettagliato dell’evoluzione storica che ha caratterizzato i flussi migratori in Europa. Se si volessero ripercorrere le fasi più recenti dell’evoluzione dei flussi migratori che hanno coinvolto il nostro continente, l’inizio dell’analisi risale alla fine del XIX secolo, quando l’Europa ha iniziato a sperimentare una vera e propria migrazione di massa, in particolare verso le Americhe. King afferma che circa 55-60 milioni di europei sono emigrati nel periodo che va dal 1820 al 1940 e di questi 38 milioni circa si sono trasferiti negli Stati Uniti.23 È interessante però, fare un breve excursus anche di quello che è successo nei secoli precedenti.

La scoperta delle Americhe ha dato il via tra il XVI e il XVIII secolo a flussi migratori di entità non paragonabile a quelli che si avranno poi nell’era delle migrazioni di massa, ma che sono stati comunque fondamentali per la storia successiva del nuovo continente. Le migrazioni dall’Europa avvenivano su base volontaria, ma non possiamo dimenticare che ad esse si aggiunsero ben presto i flussi migratori verso le Americhe legati alla tratta degli schiavi dai Paesi dell’Africa. All’epoca i viaggi transoceanici erano ancora talmente costosi – e spesso pericolosi – che solo i ceti più ricchi prendevano il mare, insieme, ovviamente, a chi era costretto a farlo perché in condizioni di schiavitù. Se consideriamo il periodo che dalla scoperta dell’America arriva fino al 1820, solo il 18% dei migranti era rappresentato da individui liberi,

22 Per statistiche aggiornate sui flussi migratori e sulla popolazione straniera in Europa si veda il sito Eurostat:

http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/Migration_and_migrant_population_statist ics.

(22)

~ 22 ~

mentre il rimanente 82% da schiavi africani ai quali vanno aggiunti anche servi e galeotti provenienti dai Paesi europei.24

Le percentuali si invertirono molto velocemente nel corso del XIX secolo: nel 1880 gli uomini liberi emigrati verso le Americhe erano diventati l’81% del totale. Stessa evoluzione ebbero anche i flussi migratori europei verso l’Australia, dove i primi europei stanziatisi erano per lo più galeotti. Sydney fu fondata nel 1788 come colonia penale. Tra il 1846 e il 1876 l’emigrazione complessiva dall’Europa coinvolse circa 300 mila persone l’anno. Da quel momento in poi prese avvio l’epoca delle migrazioni di massa: intorno al 1890 la cifra era già salita a 800 mila partenze all’anno, mentre all’inizio del XX secolo si arrivarono a contare flussi annuali di oltre un milione di persone.

Anche durante l’epoca delle migrazioni di massa, gli Stati Uniti continuarono a rappresentare la meta predominante, sebbene negli ultimi decenni dell’Ottocento avessero iniziato ad assumere un ruolo centrale anche destinazioni dell’America Latina quali Argentina e Brasile, seguite dal Canada nei primi anni del Novecento.

Lo scoppio della prima guerra mondiale segnò la fine dell’epoca delle migrazioni di massa. L’effetto combinato dei conflitti mondiali, il periodo della Grande Depressione tra le due guerre che colpì il principale paese di destinazione (gli Stati Uniti) così come quelli di origine (Europa) e il contemporaneo varo di politiche di immigrazione restrittive da parte del governo statunitense, che prevedevano test di alfabetizzazione e quote annuali di cittadini ammessi dai paesi sud europei, causarono un brusco freno nei flussi migratori in uscita dall’Europa. Questo calo riguardò prevalentemente l’emigrazione dall’Europa meridionale e orientale, mentre da quelli che erano stati storicamente i primi paesi di emigrazione (paesi anglosassoni e scandinavi) i flussi migratori mantennero un’intensità pressoché costante nel tempo.

Il secondo dopoguerra segnò tuttavia una nuova svolta nelle dinamiche migratorie europee. Lo scenario economico mondiale era profondamente cambiato: negli anni Cinquanta una quota non trascurabile di popolazione europea continuava ad emigrare verso le Americhe e l’Australia, tuttavia l’Europa occidentale progressivamente si stava trasformando da luogo di partenza in una delle principali regioni di destinazione dei movimenti internazionali di lavoratori.

Il boom economico, il raggiungimento del livello di piena occupazione e la conseguente carenza di manodopera nei primi anni Sessanta aveva indotto alcuni Paesi ad aprire i loro

24 Per approfondimento cfr. Hatton, T., e Williamson, J., 2005, Global migration and the world economy, Cambridge, USA, MIT Press.

(23)

~ 23 ~

mercati del lavoro ai lavoratori stranieri attraverso programmi di reclutamento attivo dei cosiddetti “Guest workers”, per offrire una risposta temporanea alle esigenze del mercato del lavoro. In Francia, Germania, Regno Unito, Svizzera, Belgio e Olanda giunsero lavoratori dai Paesi del Sud Europa (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Turchia, Jugoslavia) e dell’Africa del Nord (Marocco, Tunisia, Algeria). La direttiva principale dei flussi migratori era dunque l’asse Sud-Nord, ma principalmente all’interno dello stesso continente europeo. In Germania, tra il 1957 e il 1972 la quota della forza lavoro di origine straniera aumentò dallo 0,6 all’11,2%. In generale, il numero totale di stranieri residenti in Europa passò, tra l’inizio degli anni Cinquanta e i primi anni Settanta, da circa 4 milioni a 10 milioni di individui.

Lo shock petrolifero del 1973 e la recessione mondiale che ne seguì determinarono l’inizio di politiche restrittive verso l’immigrazione e una drastica riduzione del reclutamento di lavoro straniero; gli stessi flussi intraeuropei dai Paesi del Sud verso l’Europa nord occidentale subirono un brusco rallentamento in seguito all’interruzione dei programmi di reclutamento e l’adozione di politiche volte a favorire il rientro dei lavoratori immigrati.

La geografia mondiale ed europea dei flussi migratori era ormai irreversibilmente mutata. L’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Italia, Grecia), in seguito ad una crescente pressione migratoria dai paesi in via di sviluppo,25 si era trasformata da area di origine ad area di destinazione di flussi migratori.

Una trasformazione speculare aveva invece interessato i paesi dell’America Latina, coinvolti in ondate di emigrazione via via più consistenti, a causa della situazione economica stagnante e dell’instaurarsi di regimi politici militari autoritari e fortemente repressivi.

In terzo luogo, la fine del colonialismo in Africa e in Asia e il progressivo miglioramento delle condizioni di vita in molte ex colonie europee misero i cittadini di questi paesi nelle condizioni di poter emigrare, verso quella che era stata la madrepatria durante il regime coloniale, grazie ad affinità linguistico-culturali. L’Europa nord occidentale, Francia e

25

Russell King definisce come “modello migratorio Mediterraneo” il modello migratorio comune ai Paesi dell’Europa meridionale caratterizzato da una progressiva globalizzazione delle provenienze, un’assenza di una normativa specifica di governance dell’immigrazione, un frequente ricorso alle sanatorie per regolarizzare la posizione di chi si trova già sul territorio nazionale in condizione di irregolarità, una marginalità sociale degli immigrati, una concentrazione della forza lavoro immigrata in professioni pesanti, precarie, poco pagate, socialmente penalizzanti e pericolose, marcate asimmetrie di genere tra le diverse nazionalità (prevalenza maschile tra i cittadini nordafricani, femminile tra la popolazione latinoamericana e filippina) e infine impiego della forza lavoro immigrata femminile nei servizi di cura alle persone e alle famiglie. King, R., 2000, Southern Europe in the changing global map of migration. In

Eldorado or fortress?, in: King, R., Lazaridis, G. e C. Tsardanidis (a cura di), Migration in Southern Europe, London, Palgrave Macmillan.

(24)

~ 24 ~

Inghilterra in primis, ma anche Olanda, Belgio, Germania iniziarono dunque a registrare flussi sempre più consistenti di migranti provenienti dalle ex colonie.

In quarto luogo, la domanda di manodopera straniera aumentò vertiginosamente nei paesi del Golfo Persico, grazie al boom economico dovuto principalmente ai ricavi dalla vendita di petrolio; all’inizio degli anni Novanta, il flusso di lavoratori stagionali provenienti dall’Asia aveva superato il milione di entrate su base annua.

Il quinto e ultimo elemento, e sicuramente il fattore chiave da considerare nella geografia delle migrazioni contemporanee nello scenario europeo, e sicuramente il più importante per quanto riguarda lo scenario europeo, è il crollo dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est, che apre la strada alle migrazioni prevalentemente femminili, e che in alcuni casi si traduce in veri e propri esodi di massa, come nel caso degli albanesi nei primi anni Novanta.

Durante il comunismo, i movimenti migratori nell’Est Europeo furono di entità estremamente limitata. Secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite entro il 1950, i regime comunisti avevano import controlli molo stretti sui flussi migratori. La migrazione verso paesi con economia stabili o in crescita era praticamente vietata.26

Nella seconda metà degli anni Ottanta una progressiva apertura di paesi come la Polonia e la Romania preannunciò l’ormai imminente crollo del muro di Berlino, che nel novembre 1989 segnò la fine della cortina di ferro e dell’isolamento dei Paesi comunisti dalle economie di mercato dell’Europa occidentale. I flussi migratori che ne seguirono furono di notevole portata: nel 1989 circa 1,2 milioni di persone emigrarono dai Paesi dell’Est. I conflitti nell’area dell’ex-Jugoslavia contribuirono a rafforzare una rotta migratoria inter-europea durante l’ultimo decennio del secolo scorso.

Il 1 maggio 2004 otto paesi dell’ex blocco sovietico (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria) fecero ufficialmente ingresso nell’Unione Europea, insieme a Malta e a Cipro. Questo evento fu preceduto da fortissimi timori da parte dei paesi dell’Europa occidentale di ondate di cittadini che dai nuovi paesi membri che si sarebbero trasferiti per cercare lavoro nei paesi dell’Unione Europea a 15, caratterizzati da livelli più alti di benessere e mercati del lavoro più efficienti. Tali timori hanno fatto sì che il processo di allargamento fosse accompagnato nella sua fase iniziale da un regime di transizione in base al quale i paesi dell’UE limitarono per un periodo massimo di sette anni il libero accesso dei cittadini dei nuovi paesi membri al proprio mercato del lavoro interno. Solo la Gran Bretagna,

26 United Nations, 2002, International migration from countries with economies in transition:

Riferimenti

Documenti correlati

Clinical endpoints and response criteria in mycosis fungoides and Sézary syndrome: a consensus statement of the International Society for Cutaneous Lymphomas (ISCL), the United

si informano le imprese iscritte all’albo di questa regione che il 16 ottobre dalle ore 14.30 alle 18.00 si terrà in collegamento streaming da venezia un convegno che

Il prestatore riceve contestuale notifica della dichiarazione attraverso comunicazione di short message service (SMS) o di posta elettronica. Nel caso in cui la prestazione

Il prestatore riceve contestuale notifica della dichiarazione attraverso comunicazione di short message service (SMS) o di posta elettronica. Nel caso in cui la prestazione

• art. 3: attestazione di funzionalità della continuità aziendale al miglior soddisfacimento dei creditori.. REQUISITI previsti all’

“Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepi- mento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati a norma della disciplina anteriore al Decreto di attuazione 14 e privi di uno specifico progetto o

La giurisprudenza ha ritenuto utilizzabili i risultati conseguiti con il captatore, qualifi- cando l’atto investigativo al pari di un mezzo di ricerca della prova atipico (ai