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Cultura di Pace e intercultura

4.1 I saperi delle donne della Comunità Sutiava di León, Nicaragua: nuove coordinate teoriche e proposte

4.1.3 Nuove coordinate teoriche per lo sviluppo umano locale della mujer

La IV Conferenza Mondiale sulla donna, svoltasi a Pechino nel 1995, ha rappresentato un momento di analisi e di riflessione sulla realtà femminile. Questa Conferenza è stata certamente un’occasione per mettere a confronto donne appartenenti a mondi e culture anche molto diverse fra di loro. Ma è stata la revisione del testo di Pechino, avvenuta nel giugno 2000, ad aver fornito a questa tesi lo spunto per sviluppare un ulteriore obiettivo, ovvero quello di evidenziare come esista ancora una forte dissonanza tra ciò che è stato detto a livello teorico e ciò che invece si riscontra a livello empirico. A cinque anni dalla Conferenza risulta infatti evidente che gli stessi obiettivi di Pechino, l’empowerment e il mainstreaming, sono tutt’oggi i principali indicatori di come fra le donne manchi ancora sia una consapevolezza del potere, sia una cultura del genere.

Il fattore di insuccesso che sembra essere assolutamente prioritario è quello che viene definito come “auto-limitazione favorita da fattori sociali”10: sarebbero le donne stesse ad auto-

limitarsi nella loro crescita professionale e ad arenarsi in posi- zioni intermedie qualora, nelle loro vita, intervenissero fattori che esse ritengono prioritari, come la maternità. Non solo quin- di è necessario promuovere la presenza femminile nei centri decisionali della società, della politica e dell’economia, ma anche sollecitare le donne stesse ad accrescere la propria auto- stima, la propria capacità e possibilità di decidere. Ma come? La prospettiva di genere e il riconoscimento del ruolo e del sapere della donna, letti secondo l’approccio produttivo/riproduttivo qui proposto, può fornire una nuova chiave epistemologica.

Non esiste una definizione univoca della nozione di “gene- re”, che abbracci i differenti approcci antropologici, sociologici,

10G. FORNERO, M. GUADAGNINI., Un soffitto di cristallo?, Fondazione Adriano O- livetti, Torino, 1999

storici, ecc. Di conseguenza questo dato rende problematico anche l’assunzione di una “prospettiva di genere” che permetta un salto di qualità a livello concettuale nelle politiche di genere. Si può allora partire da alcune considerazioni e dall’affermazione che l’innegabile esistenza biologica di due differenti sessi è un fenomeno naturale, inscrivibile nella cate- goria dei dati “quantitativi”. L’ineguaglianza genetica, anatomi- ca, riproduttiva ed evolutiva fra uomo e donna è ormai univer- salmente riconosciuta nell’ambito scientifico. Questa semplice realtà oggettiva che non sottintende, o almeno non dovrebbe, alcun giudizio di valore, ha finito per assumere una valenza “qualitativa”.

La differenza dei sessi, che quindi in sé rappresenta sempli- cemente un dato quantitativo, ha finito per assumere storica- mente una valenza qualitativa. Inoltre un elemento naturale e biologico come il “sesso”, è stato l’inconsapevole creatore di una categoria culturale come il genere.

Comunque lo si voglia definire, come divisione fra i sessi socialmente costituita”11 o «significato sociale assunto dalle

differenze sessuali»12, o ancora come costitutivo delle relazioni

sociali attraverso cui si esprimono le relazioni di potere13, il

fattore “genere” ha a che fare con i ruoli, le opportunità, le re- sponsabilità e i bisogni connessi all’essere maschio o femmina in una determina società ed in un determinato momento storico. Quello che qui è importante sottolineare è che il fattore genere, ovvero le differenze che la cultura iscrive all'essere donna e all'essere uomo in tutte le società, ha una notevole importanza 11 S. PICCONE STELLA ,C. SARACENO, Genere. La costruzione sociale del maschile e del femminile, Il Mulino, Bologna,1996

12 «Il genere è il significato sociale assunto dalle differenze sessuali. Il termine de- signa la costellazione di caratteristiche e di comportamenti che finiscono per essere rispettivamente associati ai maschi e alle femmine e per ciò da loro attesi all’interno di una particolare società. In altre parole è un termine che designa i concetti di mascolinità e femminilità e le loro differenze, siano esse realmente presenti o supposte tali». V. Burr, Psicologia delle differenze di genere, Il Mulino, Bologna, 2003

13 S.B. ORTNER., H.WHITEHEAD., ( a cura di), Sexual Meanings, University Press, Cambridge 1981

sia a livello macroeconomico, che microeconomico. Non è pos- sibile però condurre una valutazione sul ruolo lavorativo della donna e sui suoi saperi, senza assumere un nuovo approccio produttivo/riproduttivo capace di avviare una nuova riflessione sulla prospettiva di genere da assumere nelle politiche dello sviluppo.

Il nuovo approccio che qui suggerisco parte dall’assunto che per un’analisi del ruolo delle donne, i fattori produttivi vanno letti insieme ai fattori riproduttivi in cui rientrano il lavoro do- mestico e il “lavoro di cura” che viene universalmente conside- rato “proprio” delle donne. Questa funzione riproduttiva è igno- rata nell'analisi sul ruolo svolto dalle donne, che invece vede solo il dato della crescita quantitativa che riguarda la produzio- ne di beni e servizi da scambiare sul mercato per ottenere un guadagno. Il compito affidato alle donne nella sfera riproduttiva rappresenta, però, una precondizione essenziale allo sviluppo. Le due sfere dunque, riproduttiva e produttiva, delineano due momenti specifici, ma fortemente complementari, e costituisco- no i cardini dello sviluppo di qualsiasi sistema sociale.

La situazione di svantaggio legata all’“essere donna” è stata storicamente valutata secondo due criteri: dall'inizio degli anni Settanta alla fine degli Ottanta è prevalso l'approccio WID, cioè “Donne nello sviluppo”, mentre verso la fine degli anni Ottanta è emerso l’approccio GID, cioè “Genere e Sviluppo”, o “Genere nello sviluppo”. Nel primo approccio, il WID, le donne sono considerate un problema da risolvere, vittime passive che ne- cessitano di attenzioni particolari, dunque, beneficiarie degli aiuti economici. Di conseguenza, gli investimenti furono diretti verso il miglioramento della loro condizione: progressi nello stato di salute, nell'istruzione e nella alimentazione. Il presup- posto dal quale si partiva era l'isolamento dei singoli problemi affrontati attraverso progetti parziali, ignorando l'interezza del quadro sociale e culturale che era alla base di questa inegua- glianza che colpiva soprattutto le donne. Tuttavia anche quando gli interventi siano stati rivolti al settore produttivo, le benefi- ciarie avevano continuato ad avere difficoltà di accesso e di controllo diretto delle risorse. Di conseguenza, tutti gli interven-

ti si sono concentrati sul miglioramento delle loro condizioni economiche e sociali, sull'accrescimento del livello di alfabetiz- zazione, nutrizione e produzione di reddito. Al contrario, venne- ro trascurati altri aspetti importanti come la sistematica svaluta- zione del lavoro svolto dalle stesse donne ed il contesto socio - culturale, principale causa delle differenze di genere.

L’approccio GID, cioè “Genere e Sviluppo”, sancito dalla Piattaforma d'Azione uscita dalla IV Conferenza ONU sulle Donne di Pechino, ha individuato nel mainstreaming di comuni- tà e nell’empowerment delle donne una strategia necessaria per contribuire allo sviluppo. Il mainstreaming, a cui dedicherò il paragrafo successivo, riguarda la necessità di valorizzare la differenza tra uomini e donne ad un livello politico alto per conseguire dei buoni risultati per lo sviluppo; l’empowerment14

la necessità di intervenire a favore delle donne, come soggetti attivi dello sviluppo sia nella sfera economica che sociale. O meglio, per le donne si tratta di intervenire in favore dei seguen- ti obiettivi:l’accrescimento della propria autostima e il supera- mento della propria auto-limitazione; la valorizzazione delle proprie conoscenze, competenze ed abilità e soprattutto del proprio sapere; lo sviluppo del proprio papel, cioè delle capacità e delle possibilità di decidere, di essere autonome, di avere voce in capitolo nella famiglia, nella società, nella politica; la possi- bilità di accedere e di permanere nei centri decisionali della comunità, della politica, dell’economia.

Il secondo punto qui esposto, relativo alla valorizzazione dei saperi che le donne mantengono e costruiscono, fino ad ora non è stato adeguatamente sviluppato né sul piano teorico né su quello operativo, rimanendo marginale nelle strategie di svilup- po adottate. Tuttavia è proprio attraverso il riconoscimento e la

14 La parola inglese empowerment deriva dal verbo to empower è viene general- mente tradotta in italiano con i seguenti significati: “conferire o attribuire poteri”, “mettere in grado di”, “dare autorità a”, “accrescere in potere”. Non esiste in italiano una unica parola che possa tradurre questo termine inglese anche per la complessità semantica che il concetto stesso intende esprimere, pertanto i diversi dizionari italiani forniscono anche traduzioni non sempre sovrapponibili.

valorizzazione dei saperi locali femminili che le donne indigene possono recuperare, mantenere o costruire livelli di assertività personale, che derivano dal riconoscere che si posseggono certe conoscenze, abilità e competenze, che se ne possono acquisire altre, che queste competenze possono essere valorizzate ed im- piegate proficuamente per sé e per la comunità sutiava.

In questo senso il laboratorio sui saperi delle donne sutiava può avviare un “progress di assertività” che partendo dal rico- noscimento e dalla valorizzazione dei suoi “saperi”, che come abbiamo visto sono legati sia alla sfera produttiva che riprodut- tiva, può portare a rimuovere quei meccanismi di auto- limitazione e favorire l’autostima e l’autonomia personale, l’affermazione del proprio papel e di una “nuova prospettiva di genere”15 nelle scelte politiche del Paese.

L’approccio del mainstreaming (letteralmente “entrare nella corrente principale”) assume come punto di partenza il fatto che esistono differenze per uomini e donne per quanto riguarda le esigenze e gli interessi, le condizioni, i percorsi e le opportunità di vita, di lavoro, di partecipazione ai processi decisionali. Di conseguenza, il gender mainstreaming considera i diversi im- patti che ogni decisione politica può avere per gli uomini e per le donne e si propone di fare in modo che tutti i programmi e le misure da adottare – sia in ambito pubblico, sia privato – si orientino a perseguire una parità tra uomini e donne non solo formale, ma anche sostanziale.

Questa metodologia consiste in definitiva nel "verificare la sostenibilità di genere" di un’azione, per cui tutte le politiche devono contenere consapevolmente il principio di parità, ed essere valutabili per gli effetti che producono sugli uomini e sulle donne. Per fare questo occorrono nuovi modi di leggere la realtà economica e sociale che non misconoscano, ma anzi valo- rizzino come valore le differenze di genere e la capacità tutta

15 Intendiamo fare riferimento ad una nuova prospettiva di genere perché il ricono- scimento dei saperi delle donne permettono un salto di qualità a livello concettuale nella politica di genere “rimpiazzando” le parole chiave fino a questo momento utilizzate: discriminazione, pari opportunità, conferire (dall’alto) potere alle donne, ecc.

femminile di coniugare attività produttiva e riproduttiva in un

continuum lavorativo che fonde la cura della famiglia e della

casa, con le piccole attività produttive necessarie per incremen- tare o sostenere il reddito familiare. A sostegno di questa doppia attività lavorativa che impegna la mujer indigena sia sul fronte della produzione che della ri-produzione, vi è un sapere, un

saber ser (saper essere) e un saber hacer (saper fare), tipica-

mente femminili, che caratterizzano le donne sutiava come

mujeres de carácter, capaci e tenaci, che in virtù del proprio saber → ser → hacer occupano un papel centrale nella famiglia

e nella società seppure socialmente poco conosciuto e ricono- sciuto.

La valorizzazione di questi saperi può favorire il mainstre-

aming di comunità e assicurare vantaggi per tutti i suoi compo-

nenti. Parafrasando la celebre frase di Henry Ford, che diceva “non c’è vero progresso se non per tutti”, si può dire che per la comunità non ci può essere sviluppo se non per tutti i suoi com- ponenti, ma bisogna superare quel gap culturale che relega le donne nelle piaghe della marginalità sociale in base ad una loro supposta “inferiorità” e che determina il fenomeno della “fem- minilizzazione della povertà”. Quello che finora non è stato sufficientemente compreso è che dove c’è un problema cultura- le la soluzione al problema può essere solo di ordine culturale: ecco perché è importante mettere in luce non solo il ruolo che la donna già svolge all’interno della comunità, ma i suoi saperi materiali ed immateriali, relativi alla sfera della produzione materiale/monetaria, ma soprattutto alla sfera immateriale/ ri- produttiva e quindi educativa, espressiva, curativa, ecc.

Dare senso ai saperi femminili, riconoscendoli e valorizzan- doli, diventa allora la condizione attraverso la quale attivare il

mainstreaming di comunità, ponendo realmente al centro dei

programmi e delle strategie dello sviluppo la promozione delle pari opportunità e la partecipazione attiva delle donne nello sviluppo. Perché questo avvenga è necessaria una nuova maieu-

tica dei saperi e del ruolo delle donne sutiava, in grado di accre-

scere la percezione di sé, l’autostima, l’autonomia e l’assertività femminile; di favorire lo sviluppo del papel de las mujeres, cioè

la capacità e la possibilità di accedere nei centri decisionali della comunità, della politica, dell’economia. Una maieutica che parta dal basso (bottom-up) e che non venga concessa “dall’alto”, ma conquistata dalle donne indigene attraverso la consapevolezza del ruolo produttivo e riproduttivo svolto all’interno della propria comunità; dei saperi posseduti in rela- zione ai beni materiali ed immateriali prodotti. Una maieutica che sia in grado di mettere in moto quel progress di assertività di cui si parlava innanzi, che porti all’auto-considerazione ed affermazione di sé e che dia nuovo senso al saper, saper fare e saper essere delle donne.

Dunque è necessario un cambio di prospettiva, radicale e profondo, anche da parte delle stesse politiche di sviluppo, per- ché il problema non è quello di “conferire o attribuire (dall’alto o dall’esterno) poteri alle donne”, ma di “tirarli fuori” mettendo in luce il ruolo svolto, l’apporto offerto dalla prospettiva fem- minile in ogni questione del vivere civile e sociale, ma soprat- tutto i saperi materiali/produttivi ed immateriali/riproduttivi delle donne. In questo senso il laboratorio dei saperi locali delle donne sutiava raccoglie una doppia sfida: da una parte quella di valorizzare i saperi locali; dall’altra quella di valorizzare le donne attraverso i saperi che le sono propri. Giacché anche per le donne vale la lezione baconiana: “sapere è potere”.