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Dal 2005 al 2008: nuove sfide educative

6. La classe aperta Storia di un’accoglienza provata

6.2. Dal 2005 al 2008: nuove sfide educative

In un tempo che vede protagonisti della scena adolescenti disinteressati all’autorità che non riconoscono né santi né istituzioni, la formazione profes- sionale trentina è interessata da un triplice interconnesso fenomeno:

• la nascita, nel 2005, del sistema dell’istruzione e formazione professiona- le, che permette il passaggio dai percorsi liceali a quelli dell’istruzione e formazione professionale e viceversa (decreto Legislativo 17 ottobre 2005, nr. 226 delle norme generali ed i livelli essenziali delle prestazioni sul se- condo ciclo);

• l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni (Legge 27 dicembre 2006 n. 296, comma 622);

• la possibilità di assolverlo dentro un percorso di formazione professionale (decreto Legislativo 17 ottobre 2005, nr. 226 delle norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo).

Queste decisioni politiche hanno modificato la natura e il ruolo della nostra scuola inaugurando un processo che rapidamente la trasforma da laborato- rio deputato alla trasmissione di una professione a luogo educativo re- sponsabile innanzi tutto della trasmissione culturale e della formazione del cittadino33. Si modifica profondamente il profilo in ingresso dei ragazzi che

si iscrivono da noi: non soltanto allievi interessati a imparare un mestiere pur, in parte, uscendo dalla scuola secondaria di primo grado con fragili competenze scolastiche ma anche, e in percentuale crescente con il trascorrere degli anni, adolescenti costretti dall’obbligo a ritornare dietro il banco contro il loro interes- se e disinteressati ad apprendere mestiere o conoscenza. Le nostre aule sono oggi gremite di ragazzi che avrebbero con gioia reciso il legame con la scuola, adolescenti che vi giungono portando con sé molte e profonde lacune scolasti- che, che si mostrano incapaci di rispettare le regole, che sono davvero arrab- biati con sé e il mondo, che sono spesso - ma non solo - cresciuti in contesti di povertà culturale, sociale, economica e sono ancora incapaci di esprimere lo studente che portano comunque dentro di sé. Questi ragazzi che s’assomiglia-

33 L’orizzonte di riferimento non è più il Profilo Professionale ma il Profilo Educativo Culturale Professionale.

no per contesto di provenienza ed esperienze sono costretti a convivere, loro malgrado, dentro un ambiente che vivono come inutile ed ostile, si attraggono e creano numerose fazioni che operano - molto spesso d’istinto, inconsape- volmente - per distruggere la proposta scolastica. Vogliamo ricordare la forza d’aggregazione adolescenziale attraverso le parole di Pasolini34:

In questo momento della tua vita (quindici anni) i coetanei sono i tuoi più importanti edu- catori. Essi esautorano ai tuoi occhi sia la famiglia che la scuola. Riducono a ombre bec- cheggianti padri e maestri. (Pasolini, 2012, p. 585)

Nelle classi convivono ora allievi che si sono iscritti per imparare la profes- sione - sempre più rari - ragazzi stranieri di prima e seconda generazione, ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento più o meno riconosciuti e certificati, ragazzi certificati secondo la Legge 104 del 1992 - certificazione che frequentemente le famiglie non rinnovano col passaggio alle scuole su- periori - e ragazzi completamente disinteressati alla proposta adulta: questa complessità - fatta di situazioni, obiettivi e speranze eterogenee, vissuti, desi- deri e comportamenti divergenti e difficili da conciliare - coabita per sette ore al giorno e nove mesi l’anno dentro pochi metri quadrati.

I registri dei verbali dei consigli di classe riportano frasi che non avevamo mai conosciuto prima e che rappresentano le testimonianze di un contesto che si è velocemente e senza governo trasformato sia per quanto riguarda la relazio- ne tra adulto ed adolescente:

È di una mala educazione assoluta. Chiedo un intervento forte dall’alto altrimenti non en- tro più in classe. Non ce la faccio più. Ride soltanto. La professione non le interessa. Ha un atteggiamento indisponente. Non si impegna. Bestemmia e chiedo venga allontanata. Non ha il materiale ma solo la lingua lunga.

sia per quanto riguarda la relazione tra pari:

In classe soffre molto, i compagni la trattano male e non verrà in gita. Erano in cortile e bevevano birra e quella ha detto alla sua amica: “Chiedi una sigaretta e se non ce l’ha, fatti dare i soldi”. Quella mi minaccia da settimane e ieri è venuta a cercarmi.

Non soltanto la situazione si è fatta più articolata ma, e soprattutto, costringe gli adulti ad affrontare una sfida priva di orizzonti certi e non voluta: il compito non è ormai quello di formare un lavoratore, né quello di dedicarsi a insegnare un mestiere a giovani anche interiormente strutturati (magari scolasticamente fragili ma che si approcciano alla scuola con passione), bensì quello di tra- smettere professione e conoscenza a chi non ne vuole sapere, di provare a ricomporre ciò che rimane dopo molteplici sconfitte, di ricercare un desiderio smarrito e forse mai conosciuto.

Il significato e il mandato del lavoro dell’insegnante sono cambiati, ma l’ap- proccio educativo e didattico non abbandona la tradizione e si mantiene re- frattario alla relazione, individualista, istintivo.35 Come nel passato, si fronteg-

34 Pier Paolo Pasolini, Lettere Luterane in Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 2012, p. 585.

35 Generalmente, infatti, i consigli di classe faticano - anche perché coinvolti nei numerosi com- piti che comportano la presenza di allievi certificati secondo la Legge 104/92, di ragazzi DSA e stranieri - a condividere una programmazione coerente, che indichi agli studenti un senso, e a definire un atteggiamento educativo condiviso.

giano le nuove provocazioni quotidiane con strumenti divenuti anacronistici: la sospensione, l’allontanamento, il chiudere gli occhi fino al giorno in cui i ragazzi smettono di frequentare e, senza dire nulla, scompaiono.

La relazione educativa si trasforma in guerriglia, combattendo la quale gli adulti vacillano, le famiglie s’allontanano ancor più, i ragazzi fragili vivono l’ul- teriore conferma dell’impossibilità di potercela fare e quelli che studiano si vedono privati del diritto di apprendere.

In questa fase cerchiamo di dare risposta alle - rare - vicende complesse che riusciamo ad intercettare prima dell’abbandono, personalizzando il percorso scolastico attraverso esperienze che tolgono i ragazzi dalla classe, prevedono la frequenza di pochissime discipline a scuola e di molte ore all’esterno (in quei saloni di acconciatura ed estetica che si rendono disponibili ad accoglierci). Sono azioni che progettiamo - mettiamo in campo è più corretto - allorché se ne evidenzia l’urgenza ma che non sono sostenibili per il sistema (non è verosimile pensare di intercettare e seguire attraverso questa modalità tutti i ragazzi che fuoriescono dalla scuola). Dentro queste soluzioni “tampone” il ragazzo perde la dimensione della relazione con i pari, le discipline e viene alla fine anno bocciato. Un ulteriore elemento di criticità di questo approccio sta nel fatto che i consigli di classe, una volta riconosciuta la difficoltà del ragazzo a stare in classe, delegano la soluzione del problema agli educatori, agli inse- gnanti di altre sezioni, agli imprenditori che accolgono il ragazzo. Di buono c’è che proviamo a mantenere il ragazzo agganciato alla scuola e riattiviamo (con tutta la fatica che costa) i contatti con gli adulti di riferimento36.