ambientale sociale
I NUOVI OBIETTIVI PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE E L’ECONOMIA DELLA CONDIVISONE
2.0 Introduzione
All’interno del presente capitolo si descriverà un nuovo sviluppo economico che sta avanzando in America, Europa e Asia: la Sharing Economy o Economia della Condivisione.
Descrivendo questo nuovo modello economico, si vedrà come l’avanzare dell’economia del consumo collaborativo nasconde dentro di sé luci ed ombre, critiche e aspetti positivi, che verranno analizzati nel capitolo secondo. Nonostante questo nuovo modello di consumo sia molto discusso negli ultimi anni, partendo dalle sue origini che risalgono al 1978, verranno prese in esame due moderne tipologie di Sharing Economy: la Sharing Fashion e la Sharing Cultura.
Dopo aver analizzato nel capitolo precedente l’evoluzione del concetto della sostenibilità, verranno analizzate le motivazioni che associano la teoria del già citato Porter alla nuova economia della condivisione. Verrà analizzata in particolare la teoria della creazione del valore condiviso (CVC) di Porter e Kramer, e si spiegheranno le motivazioni che portano a considerare tale teoria come la base del concetto del consumo collaborativo.
L’economia della condivisione viene associata per alcuni ad una nuova rivoluzione, si analizzerà la moderna teoria di J. Rifkin il quale considera la Sharing Economy come la Terza Rivoluzione Industriale, spiegandone le motivazioni che hanno portato alla teorizzazione di questo concetto.
Dopo aver trattato nel primo capitolo l’evoluzione del concetto di CSR e Sostenibilità, nella seconda parte del secondo capitolo vengono analizzate le motivazioni che hanno portato gli Stati appartenenti all’ Onu, a sottoscrivere nel 2000 degli obiettivi formali al fine di incentivare uno sviluppo sostenibile globale. Gli otto obiettivi denominati Obiettivi del Millennio (MDG) hanno scopi economi, umanitari e ambientalistici e,
all’interno del capitolo, si condurrà un’analisi che indicherà se gli otto obiettivi, con scadenza quindicennale, hanno raggiunto una soglia soddisfacente oppure no.
Verranno inoltre indicate le critiche che hanno mosso gli Stati a propendere nel 2012, ad una inversione di rotta identificando cosi dei nuovi obiettivi.
Oltre agli MDG vengono descritti anche gli Sustainable Development Goals (SDG), con lo sviluppo dei relativi nuovi obiettivi e le motivazioni che hanno portato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-‐moon, a sostituire i vecchi Obiettivi del Millennio con gli SDG.
Si identificheranno anche gli “organi” che hanno aiutato a comprendere le nuove esigenze degli Stati più bisognosi e che sono serviti per offrire un maggior controllo, al fine di raggiungere i nuovi obiettivi. In ultima analisi verranno descritte le critiche che sono state mosse nei confronti degli SDG.
2.1 Definizione di Sharing Economy
Il termine Sharing Economy definibile come “consumo collaborativo”, identifica un nuovo modello economico basato su pratiche di scambio e condivisione di beni e servizi oppure conoscenze. Grazie a tale modello che si pone come alternativa al modello del consumismo, si possono ottenere molteplici benefici, uno di questi è ridurre l’impatto dei consumi sull’ambiente.
Il termine Sharing Economy, anche se molto utilizzato negli ultimi anni, affonda le sue origini nel 1978 quando Marcus Felson e J. L. Spaeth coniarono questo termine nel loro articolo “Community Structure and Collaborative Consumption: A routine activity approach58” all’interno della rivista American Behavioral Scientist. I due autori
definiscono le azioni di consumo collaborativo come: “eventi in cui una o più persone consumano beni o servizi economici, nel processo di impegnarsi in attività comuni con uno o più persone59”, nel dare tale definizione Felson e Spaeth applicano la teoria ecologica
umana della struttura di comunità al consumo, nella quale identificano come ecologia umana “l'interdipendenza tra le persone, le altre specie e l'ambiente fisico, in particolare le persone cercano di ottenere il sostentamento dal proprio ambiente”.
Il comportamento del consumatore riflette l’espressione non solo individuale, ma anche gli sforzi degli individui nell’ impegnarsi in attività comuni con gli altri e ciò si riflette oltre che nell’ allocazione delle risorse, anche nell’espressione di inclinazioni personali che si traducono in azioni.
Quest’articolo racchiudeva in sé una visione sicuramente illuminata per i tempi, che prevede un’organizzazione socio-‐economica basata non più sul possesso, ma sull’accesso di beni e servizi, inoltre puntava sulla condivisione piuttosto che sull’acquisto di beni e servizi.
Secondo Rogers e Botsman, autori di “What’s mine is yours60”, testo chiave di questo
nuovo approccio economico, la Sharing Economy promuove forme di consumo più consapevoli basate sul riuso invece che sull’acquisto e sull’accesso piuttosto che sulla proprietà. Inoltre secondo gli autori il consumo collaborativo non va a discapito
58 Marcus Felson, J. L. Spaeth, Community Structure and Collaborative Consumption: A
routine activity approach, American Behavioral Scientist, 1978
59 Ibidem
dell’individualismo bensì le persone possono condividere le risorse senza essere privati della loro libertà personale. È solo grazie al sostengo della tecnologia e dei social networks che il consumo collaborativo si sta espandendo nelle altre aree della vita quotidiana che rispecchiano i valori di apertura, sostenibilità e collaborazione, derivanti dalla cultura digitale.
Negli Stati Uniti d’America e in Europa l’idea di condividere l’auto, la propria casa o la propria conoscenza sta diventando una realtà che coinvolge decine di migliaia di persone, portando con sé un nuovo modo di concepire le nostre necessità basato sulla condivisione.
Tale modello si concretizza con lo sviluppo della tecnologia che, grazie allo sviluppo di internet, costituisce lo strumento che riesce a mettere in contatto milioni di persone, dando così vita ad un nuovo modo di pensare l’economia. Questo nuovo modello pone l’individuo al centro del sistema e con la creazione di un movimento dal basso, crea valore dove sono presenti delle risorse inutilizzate, trasformando e dando potere al consumatore rendendolo parte attiva e non più subordinata al mercato.
Ciò permette la creazione di nuovi modelli di mercato legati alle nuove modalità di scambio di beni e servizi, che non sono più legati al capitalismo, ma derivano dal nuovo modo di concepire l’economia legata a innovazione tecnologica e alla condivisione. Grazie a tale nuovo modello economico, sono molteplici i benefici offerti come la già citata capacità di ridurre l’inquinamento ambientale, attraverso la condivisione dei mezzi di trasporto, il risparmio economico grazie alle formule di acquisto condiviso o scambio di prodotti.
Un altro tipo di condivisione di beni che sta avendo molto successo sia in Italia che all’estero è la “Sharing Fashion”, il modello della Sharing si allarga anche nel campo della moda, dove sempre più piattaforme online mettono a disposizione guardaroba collettivi a cui attingere.
Come dimostrano le ricerche condotte da Nielsen e Coop, gli italiani sono tra i popoli europei più aperti alla Sharing Economy, il 22% della popolazione infatti già ne fa uso come la impresa francese Blablacar o le americane Uber e Airbnb. Nel 2013 in Italia la spesa investita nei vestiti e calzature è diminuita del 6,7%, mentre sono aumentati gli acquisti di abbigliamento in rete, come su Zalando +60%.
Nel mondo della moda per esempio se prima le donne prendevano i vestiti in prestito dall’armadio della mamma o della sorella, oggi internet permette loro di allargare
questa scala di abitudini, in Italia per esempio il 33%61 della popolazione ha dichiarato
di essere favorevole alla condivisione di abiti e accessori .
In Italia un esempio di azienda che è si è sviluppata grazie alla Sharing Fashion è “My secret dressing room62”, ideata da un gruppo di persone di Milano che hanno creato
questa innovativa piattaforma, nella quale mettono a disposizione capi di abbigliamento firmati e accessori di alta moda, e le persone possono prendere un determinato abito anche solo per un giorno e poi restituirlo. Come afferma una delle fondatrici Sammy Lavit, questa piattaforma oltre a mettere in mostra gli oggetti, mette in comunicazione chi presta il capo e chi lo prende in prestito e aiuta la convinzione etica del web che la reputazione è un valore che aiuta nelle successive transazioni.
La Sharing Fashion non è utile solo per i consumatori o ai fashion victim che non possono permettersi un determinato capo, le piattaforme online permettono anche agli aspiranti designer e stilisti di far conoscere i propri lavori.
La piattaforma Openwear63 permette a giovani stilisti di aprire online un proprio
“showbox” con i propri cartamodelli e, grazie anche ai fondi della Commissione europea, permette di incontrare la comunity ed eventualmente vendere i propri prodotti, tale innovazione ha permesso la nascita della prima collezione Forward to Basic, la prima collezione collaborativa.
Un'altra piattaforma dedicata al crowdfunding (finanziamento collettivo), un processo collaborativo attraverso il quale un gruppo di persone utilizza il proprio denaro per sostenere uno o più progetti di persone o organizzazioni, nella realizzazione di collezioni di moda è: Wowcracy. L’idea di base seppur semplice è innovativa, una persone che ha un progetto ma non i fondi per realizzarlo, fa l’ upload dell’idea in rete e se risulta interessante, grazie all’investimento delle persone, il budget per realizzare questa idea si trasforma in realtà. L’idea dei cinque ragazzi italiani fondatori di Wowcracy è stata talmente innovativa che ha trovato l’appoggio della rinomata rivista di moda Vogue.
61 Laila Haijeb, Benvenuti nell’era della share economy, Nielsen, 24 Giugno 2014,
Available at http://www.nielsen.com/it/it/insights/news/2014/benvenuti-‐nell-‐era-‐ della-‐share-‐economy.html
62 My secret dressing room, piattaforma di noleggio di capi di abbigliamento e accessori
che premette ai clienti di “avere a disposizione l’abito ideale per ogni occasione”
63 Openwear, piattaforma di creazione di collezioni di moda collaborative, Available at
Oltre alla possibilità di condividere beni quali la macchina o la casa, attraverso la Sharing Economy si ha la possibilità di condividere anche la conoscenza.
I Mooc64 (Massive open online courses) per esempio, sono dei corsi online che le
università come Stanford, Harvard o l’Università Federico II di Napoli, mettono a disposizione per gli utenti telematici di tutto il mondo. Gli utilizzatori di questi servizi, dichiara Rosanna De Rosa coordinatrice di “Emma65” aggregatore dei Mooc europei,
sono sia persone già laureate che seguono corsi per cultura personale o per aggiornarsi, sia i lavoratori che hanno bisogno di
approfondire una lingua o un argomento particolare. Gli studenti hanno la possibilità di avere a disposizione video delle lezioni e anche il testo disponibile gratuitamente online. Anche se sembra che il mondo dell’università sia uscito dalle aule, bisogna ancora risolvere dei problemi relativi alla sicurezza e identificazione delle persone durante gli esami. Questa tipologia di corsi infatti solleva anche delle lacune come la mancata certezza che gli esami li svolga davvero la persona che si è iscritta al corso, oppure che durante le prove orali non ci siano aiuti esterni o la necessità di sistemi di “proctoring” in grado di identificare l’identità di chi fa l’esame o l’assenza di aiuti esterni.
In Italia la fondatrice di “Invasioni Digitali66”, piattaforma che dà la possibilità di far
apprezzare la cultura e riscoprire siti artistici dimenticati, Marianna Marcucci, afferma che il loro scopo è quello di rivitalizzare l’attenzione sui musei, monumenti e siti archeologici in maniera del tutto gratuita, cercando inoltre di aiutare i musei a superare la concorrenza dei centri commerciali.
Le università online e le piattaforme culturali, hanno la fetta maggiore di Sharing Economy legata alla cultura ed hanno lo scopo di riaccendere i riflettori sull’offerta culturale spesso dimenticata.
Nel futuro le aziende saranno disposte a pagare dei corsi online per migliorare nei propri dipendenti e dirigenti la preparazione in determinate materie, al fine di migliorare le prestazioni aziendali e rendere le proprie società più competitive nel mercato di riferimento.
64 Mooc, corsi online pensati su larga scala per permettere il coinvolgimento più persone
e aumentare il bacino clienti degli utilizzatori.
65 Emma, The european Multiple Mooc Aggregator, Available at
http://platform.europeanmoocs.eu
66 Invasioni digitali, piattaforma che permette di trasformare l’arte in conoscenza
2.1.1 La base della Sharing Economy è il “valore condiviso” di Porter
Alla base della definizione di Sharing Economy analizzata nel paragrafo precedente, ossia la capacità di condividere beni materiali (macchina, vestiti ecc.) o immateriali (intelletto)
con vari soggetti o organizzazioni, è associabile la teoria di un economista del XI, già citato nel capitolo primo: M. Porter. Egli nel 2011 all’interno dell’articolo intitolato “Strategy and Society. The thing between competitive advantage and corporate social responsibility67” scritto a quattro mani con M. R. Kramer, descriveva attraverso il
concetto del “valore condiviso”, l’importanza del legame che intercorre tra l’ impresa e il territorio nel quale essa è inserita.
Secondo l’economista infatti, l’impresa non è analizzabile come entità autonoma, ma a causa del legame con l’ambiente che la circonda ossia i vari stakeholder del territorio (fornitori, dipendenti, organizzazioni finanziarie etc. ), rifletterà l’ esito delle sue azioni sulla società.
Questo legame indissolubile tra i due soggetti obbliga l’impresa ad individuare, nelle scelte strategiche che intraprende, scenari che producano dei risvolti positivi sia per sé stessa, sia per la società nella quale è inserita.
Porter afferma che spesso le azioni e le strategie che un’impresa considera comportano una errata considerazione del valore, in particolare secondo l’autore è usuale che le imprese siano solite porsi obiettivi di breve termine come la creazione di valore finanziario, questa visione porta le aziende a concentrare tutti i loro sforzi nella performance finanziaria, dimenticando però i rapporti con i loro stakeholder, come ad esempio il grado di soddisfacimento dei propri clienti, l’impoverimento delle risorse necessarie per il funzionamento della propria attività e le difficoltà della comunità nella quale l’impresa è inserita. Al contrario il valore condiviso descritto da Porter e Kramer, rappresenta un ponte tra il business dell’impresa e gli interessi della società civile, attraverso il raggiungimento di tale valore infatti, il soddisfacimento degli obiettivi dell’impresa producono valore anche per il territorio nel quale è inserita. Un approccio basato sul valore condiviso è ciò che mette in contatto il successo di una impresa con il
67 Porter, Kramer, Strategy and Society. The thing between competitive advantage and
progresso sociale68. Un esempio di azione di valore condiviso da parte di un’impresa
consiste nel favorire la prosperità e l’istruzione della comunità in cui opera, oppure salvaguardare le risorse naturali presenti nel territorio, che costituiscono un input per il proprio sistema produttivo; il legame che intercorre tra i due soggetti è biunivoco, ovvero è evidente che anche la società nutre interessi nel preservare le imprese capaci di generare benefici, poiché solo le imprese più efficienti posso creare nuovi posti di lavoro ed essere capaci di generare ricchezza e benessere per tutta la collettività. In buona sostanza la competitività di un’azienda e il benessere della comunità circostante sono strettamente interconnessi e ambedue necessitano di politiche pubbliche in grado di regolare in modo adeguato le loro relazioni, così da poter incentivare le interconnessioni globali del mercato. Il modello della Creazione di Valore Condiviso (CVC) di Porter e Kramer non è da intendersi come il mero raggiungimento degli obiettivi sociali dell’impresa, ma orienta la strategia della stessa impresa verso la risoluzione di problematiche sociali attraverso il proprio business. In questo modo si distinguerà il ruolo di chi governa l’azienda, il quale avrà il compito di interpretare e percepire i bisogni sociali, così da poter individuare un modello di business adatto alle sue soluzioni.
Allo stesso modo, la condivisione (oggetti, servizi) della Sharing Economy permette alle persone coinvolte in tale processo, oltre alla possibilità di condividere e cooperare, di creare del nuovo valore capace di apportare benefici nei soggetti che sono stati attivi nel processo, la condivisione quindi diventa il mezzo per creare valore, come avveniva nel procedimento di creazione del valore condiviso descritto dagli economisti Porter e Kramer nel 2011.
68 Porter, Kramer, Creating Shared Value, How to Reinvent Capitalism and Unleash a
2.1.2 Gli aspetti negativi della Sharing Economy
La Sharing Economy detta anche “Gig economy” dagli americani, porta dietro di sé molti aspetti positivi, ma anche molte critiche, se da un lato l’”economia dei lavoretti” fatta da impieghi occasionali, a tempo pieno o precari, crea una nuova micro-‐imprenditorialità capace di creare innovazione e opportunità economiche, dall’altra parte questo fenomeno contiene dei lati oscuri. Il fenomeno della Sharing Economy che a detta di molti oggi sta cambiando il mondo, non è ancora chiaro e comprensibile in tutte le sue sfaccettature, la politica intrinseca di tale economia, ovvero la condivisione dei beni, potrebbe portare alla possibile fine della proprietà privata, ma anche alla creazione di moloch monopolistici, rendendo ogni persona micro-‐imprenditore di se stesso con la possibilità di far fruttare al meglio le sue possibilità, i suoi talenti e le sue risorse (macchine-‐ vestiti-‐ case), ma ha anche la possibilità di rendere ogni persona più povera. Hilary Clinton nel mese di Luglio nel presentare il suo piano per l’economia da candidata alla Casa Bianca, riferendosi alla nascita delle molteplici piattaforme online della Gig economy come Uber e Airbnb, ha così dichiarato: “Sicuramente sta creando opportunità economiche, ma solleva anche molte serie questioni sulla protezione dei posti di lavoro. E su cosa intenderemo per buon lavoro in futuro69”.
Anche la rivista inglese Financial Times in un articolo del 5 Agosto scrive “La Gig economy crea insicurezza e rischio70”, descrivendo come in Europa la protezione dei
diritti dei lavoratori, che è sempre stata solida, a causa dell’economia della condivisione sta trasformando i giovani in una generazione che cerca molti lavoretti precari invece che uno solido e sicuro, ciò produce una profonda frattura tra la generazione di adulti con un lavoro stabile, e i giovani senza certezze.
Una delle aziende di grande successo nate con la Sharing Economy è Uber, azienda con sede a San Francisco (USA) che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato, attraverso un'applicazione software mobile (app) che ha la possibilità di mettere in collegamento diretto passeggeri e autisti. Le auto possono essere prenotate con l'invio di un messaggio di testo o usando l'applicazione mobile, tramite la quale i clienti possono inoltre tenere traccia in tempo reale della posizione dell'auto prenotata. Tale
69 Hilary Clinton, New York Post, 13 Luglio 2015, New York 70 Financial Times, The new world of work , 5 Agosto 2105
applicazione in molti paesi dell’UE, come Francia e Germania Italia e Spagna, ha scosso la categoria di tassisti e diviso l’opinione pubblica.
La categoria dei tassisti dichiara di sentirsi minacciata da tale concorrenza sleale che priva l’ impresa statunitense del pagamento delle tasse e, dopo aver chiesto a gran voce di negare la possibilità di utilizzo di questa app, in alcuni stati quali Francia, Germania, questa applicazione non può essere più utilizzata. Se da una parte si considera la minor tutela dei diritti dei lavoratori e la possibile causa di disoccupazione, dall’altra uno dei vantaggi di tale servizio consiste nell’aumento dell’offerta di sevizi di trasporto, la diminuzione dei costi per i consumatori e la creazione di nuovi posti di lavoro. La condivisione può essere vista anche come chiave vincente per ridurre il consumo e l’inquinamento, l’app come Uber permette infatti al consumatore di tale servizio, di utilizzare una risorsa in condivisione riducendo così l’inquinamento atmosferico.
La Sharing Economy, qualunque cosa si rivelerà davvero essere in futuro, rimane ad oggi un formidabile incubatore di lati positivi e negativi; porta dentro di sé speranze, sogni e incubi: la fine della proprietà e forse la fine del lavoro.
Sta di fatto che questa nuova rivoluzione è cominciata, e solo quando l’avremo attraversata tutta saremo in grado di avere un quadro completo ti tale fenomeno.
2.2 J. Rifkin e la terza rivoluzione industriale
L’economista visionario Jeremy Rifkin, descrive la Sharing Economy come la Terza Rivoluzione Industriale e, nel suo ultimo libro “La società a costo marginale zero71”, ne
spiega le motivazioni.
Secondo Rifkin la Sharing Economy72 è figlia naturale del capitalismo, la vecchia