Corso di Laurea
In Economia e Gestione delle Aziende
Tesi di Laurea
L’evoluzione del concetto di
sostenibilità e l’analisi del
caso Benetton
Relatore
Prof. Chiara Mio
Laureando
Andrea La Camera
Matricola 822281
Anno Accademico
2014 / 2015
INDICE Introduzione 5
CAPITOLO PRIMO: L’evoluzione della Corporate Social Responsibility e della Sostenibilità 9 1.0 Introduzione 9 1.1 Evoluzione del CSR 10 1.1.1 Anni ‘60 11 1.1.2 Anni ‘70 13 1.2 Anni ‘80 18 1.2.1 CSP 18
1.2.2 Teoria degli Stakeholder 24
1.2.3 Business Ethics 27
1.3 L’evoluzione della sostenibilità attraverso le Organizzazioni Internazionali 28
1.4 La letteratura della sostenibilità 36
CAPITOLO SECONDO: I nuovi obiettivi per lo sviluppo sostenibile e l’economia della condivisione 47
2.0 Introduzione 47
2.1 Definizione di Sharing Economy 49
2.1.1 La base della Sharing Economy è il “valore condiviso” di Porter 53
2.1.2 Gli aspetti negativi della Sharing Economy 55
2.2 J. Rifkin e la Terza Rivoluzione Industriale 57
2.3 Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio 59
2.4 I Nuovi Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile 62
2.4.1 Organi per la stesura e il controllo degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 66 2.4.2 Critiche nei confronti degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 68
CAPITOLO TERZO: Analisi del caso Benetton Group 71
3.0 Introduzione 71
3.1 Evoluzione storica di Benetton Group 73
3.2 Le azioni sostenibili intraprese da Benetton Group 77
3.2.1 Stakeholders 78
3.2.2 Catene di fornitura sostenibili 81
3.2.3 Ambiente 90
3.2.4 Impegno sociale 93
3.3 Analisi delle azioni sostenibili intraprese dal competitor H&M 97 3.3.1 I punti deboli e di forza di Benetton in relazione al competitor 103
3.4 Comitato della sostenibilità di Benetton Group 107
CONCLUSIONI 109 BIBLIOGRAFIA 121 SITOGRAFIA 125
INTRODUZIONE
La tutela dell’ambiente, la salvaguardia delle risorse naturali e il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo sono alcuni dei principi fondamentali che sono alla base del concetto di sostenibilità. Negli anni tale definizione si è evoluta notevolmente passando dalle teorie di Corporate Social Responsibility o Responsabilità Sociale dell’Impresa, fino agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che oggi ci permettono di avere una definizione e sapere perché è importante per uno Stato o un’impresa essere sostenibili.
L’obiettivo di questa tesi sarà quello di dimostrare come il concetto di CSR e sostenibilità si è evoluto nel tempo e, attraverso l’analisi di alcuni economisti, si osserverà il collegamento che intercorre tra la sostenibilità e le nuove teorie economiche e si descriverà inoltre come le teorie della sostenibilità sono diventate oggi obiettivi che sia le imprese che gli stati, attraverso la cooperazione, provano a raggiungere.
In conclusione attraverso lo studio del caso e di recenti studi in ambito di evoluzione delle abitudini dei consumatori, si daranno dalle valide motivazioni per le quali un’impresa che si dimostra socialmente responsabile ha la possibilità di avere innumerevoli ritorni positivi e si dimostrerà come la sostenibilità, è da considerarsi come leva strategica per generare valore.
Nella prima parte della ricerca si partirà dalla definizione di Corporate Social Responsibility (CSR) contenuta all’interno del Libro Verde e definito dal vertice europeo riunitosi a Lisbona nel 2000, si descriveranno le evoluzioni storiche che hanno caratterizzato e definito il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa. Attraverso i primi dibattiti avvenuti a metà tra il 19° e 20° secolo, quando la popolazione americana aveva indotto alcuni industriali a sperimentare forme di filantropia d’impresa, si presenteranno tre periodi storici che segneranno l’evoluzione della CSR, in particolare partendo dai primi studi all’interno della letteratura accademica con autori come Berle e Bowen che, delineando l’obiettivo principale dell’impresa, individuano il ruolo e l’importanza della stessa all’interno della società.
E’ durante gli anni ‘60 che alcuni studiosi iniziarono a fornire le prime definizioni di CSR, in particolare K. Davis fu il primo che, grazie ad alcuni articoli scritti all’interno della rivista California Management Review, incominciò a delineare tale concetto.
E’ con l’arrivo degli anni ‘70 che il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa inizia a modificarsi notevolmente, grazie alla corrente economica Neoclassica infatti, la letteratura di quegli anni individua nel profitto l’unico obiettivo che l’impresa si deve prefiggere. Uno dei principali esponenti di questa teoria fu M. Friedman il quale, nell’opera “Capitalism and Freedom” affermava che le teorie fino ad allora elaborate che riguardavano la CSR, erano da classificare come sovversive per il sistema capitalistico, poiché l’unico interesse per l’impresa era “fare più soldi possibili per gli azionisti” (M. Friedman, 1962, pp.133). Durante questa decade altri importanti contributi, che portarono il concetto di CSR verso nuovi orizzonti, furono forniti da studiosi come il già citato Davis e Carroll con il suo modello a piramide; e anche organizzazioni come il CED che, attraverso il modello a tre cerchi concentrici, dimostrava la relazione che intercorreva tra l’impresa e la società che la circondava. Proseguendo all’interno dell’evoluzione storica della Responsabilità Sociale delle Imprese, si descriverà la letteratura degli anni ’80 che era caratterizzata da tre teorie: Corporate Social Performance; Stakeholder Theory e l’Ethic Business.
È con la fine degli anni ’80, in particolar modo nel 1987, che la Commissione Mondiale sull’Ambiente e Sviluppo diede la definizione di Sostenibilità contenuta all’interno del rapporto di Brundtland, il quale definiva la situazione mondiale dell’ambiente e dello sviluppo. Nel corso degli anni susseguirono altre conferenze e appelli, come quella di Rio de Janeiro nel 1992 che definì la sostenibilità come un concetto integrato con la sostenibilità ambientale, economica e sociale, e l’appello lanciato dall’OCSE alle imprese e ai governi, per contribuire al progresso economico sociale ed ambientale negli stati con i quali avevano rapporti commerciali e non solo.
Queste serie di raccomandazioni e conferenze, oltre a delineare il concetto di sostenibilità, servivano per sensibilizzare i governi e le imprese a compiere azioni positive per contribuire al progresso dei paesi in via di sviluppo perché, solo attraverso l’integrazione della sostenibilità con la Responsabilità Sociale d’Impresa è possibile effettuare azioni di lungo periodo al fine di tutelare l’ambiente e rispettare i diritti fondamentali dell’uomo. Procedendo nell’evoluzione della sostenibilità, verranno
analizzate le teorie di alcuni economisti e studiosi che hanno contribuito ad ampliare e definire tale concetto, essi sono: Porter; Freeman e Zadek.
L’evoluzione storica che ha portato alla definizione della Responsabilità Sociale d’Impresa e l’integrazione di tale concetto con la tematica della sostenibilità, sottolinea l’importanza e le motivazioni che hanno spinto gli stati appartenenti all’ONU a trasformare tali concetti in obiettivi concreti. Nel settembre del 2000 gli stati appartenenti all’ONU decisero di sottoscrivere otto obiettivi denominati Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG). Lo finalità degli MDG riguardavano molti argomenti: migliorare le condizioni di vita delle popolazioni del mondo; creare una maggiore tutela nei confronti delle donne; creare una sostenibilità ambientale per difendere il pianeta terra e i suoi abitanti; lottare per combattere la mortalità infantile e le malattie come l’AIDS.
A seguito di alcuni successi raggiunti grazie agli MDG, ma anche a causa di alcune critiche, nel 2012 a Rio de Janeiro la Conferenza dell’ONU decise di trasformare i vecchi Obiettivi di Sviluppo del Millennio nei nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG). Le modifiche che vennero apportate riguardavano una maggior partecipazione da parte sia degli stati ricchi ma anche di quelli poveri, definendo cosa tutti i paesi potevano fare insieme per il benessere della presente e futura generazione, vincolando così anche i paesi ricchi a tutelare maggiormente l’ambiente.
Negli anni si sono sviluppate nuove teorie economiche che al contrario del consumismo, consentono alle popolazioni di affacciarsi ad un consumo più sostenibile, si analizzerà la Sharing Economy conosciuta come “economia della condivisione” o “collaborazione”. Tale teoria, che per l’economista Rifkin viene definita come la Terza Rivoluzione Industriale, permette di fornire un collegamento tra la Sharing Economy e la teoria della “Creazione del Valore Condiviso” di Porter e Kramer, definendo quest’ultima come la base dell’economia della condivisione.
Nella seconda parte del progetto verrà analizzato un caso concreto di azioni sostenibili in ambito sociale, economico ed ambientale, che un’azienda nel settore della moda può compiere; il caso che verrà preso in esame è l’azienda storica di Treviso: Benetton Group.
L’attenzione alle tematiche sociali hanno da sempre contraddistinto l’azienda, celebri sono le campagne pubblicitarie multirazziali che, oltre a rappresentare un collegamento
tra i colori delle popolazioni del mondo con la varietà dei colori dei capi di abbigliamento, cercavano di sensibilizzare le persone sull’importanza della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo senza discriminazione di razza, sesso o religione.
Le azioni di sostenibilità intraprese dall’azienda spaziano su molte tematiche, dalla salvaguardia dell’ambiente attraverso i progetti con organizzazioni non governative, alla tutela dei diritti dei lavoratori lungo tutta la catena di fornitura, fino al forte legame che lega l’azienda al territorio di Treviso.
Verrà inoltre presa in esame la principale competitor del Gruppo ossia H&M e, tramite una comparazione con le azioni di sostenibilità che anch’essa intraprende, sarà possibile individuare ed analizzare i punti di forza e di debolezza di Benetton Group, e verrà proposto inoltre una personale analisi sul fattore di debolezza dell’azienda trevigiana e le motivazioni per le quali dovrebbe sopperire a tale mancanza.
CAPITOLO PRIMO
L’EVOLUZIONE DELLA CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY E DELLA SOSTENIBILITA’
1.0 Introduzione
Nel corso degli anni, numerosi economisti e Organizzazioni Mondiali hanno contribuito ad arricchire i concetti di: Corporate Social Responsibility e di sostenibilità.
Nel seguente capitolo si dimostrerà attraverso un excursus storico, come tali concetti si siano evoluti nel tempo, partendo dai dibattiti di inizio ‘900, fino ad arrivare ai giorni nostri.
All’interno del primo capitolo si analizzeranno alcuni degli economisti che, a partire dal 1930 con le teorie del “businessman”, hanno ideato e in seguito approfondito il concetto di corporate social responsibility. In particolare si analizzeranno tre periodi storici che hanno caratterizzato le origini della CSR attraverso le prime definizioni degli anni ‘40, passando per la decade degli anni ’70 caratterizzata dal pensiero della letteratura Neoclassica e dai doveri che l’impresa deve assumere nei confronti della società , fino ad arrivare alla letteratura degli anni ’80 esplorando tre teorie in riferimento alla CSR: Corporate social Performance; Stakeholder Theory ed infine l’Ethics Business.
Nella seconda parte del capitolo si descriverà l’origine del concetto di sostenibilità, attraverso un viaggio temporale che spiegherà tutte le Organizzazioni Mondiali e le conferenze internazionali che hanno permesso la definizione di tale concetto.
Alla fine del capitolo verranno presi in considerazioni le teorie di alcuni economisti, in particolare Porter, Freeman e Zadek e, attraverso una attenta spiegazione di alcune loro opere più recenti, si fornirà l’evoluzione del concetto di sostenibilità.
1.1 L’evoluzione del CSR
Il termine Corporate Social Responsibility (CSR) o Responsabilità Sociale D’impresa (RSI) tradotto in italiano, venne definito dal vertice europeo riunitosi a Lisbona nel 2000 all’interno del “Libro Vede1” redatto dalla Commissione Europea come:
“ L’integrazione su base volontaria dei problemi sociali ed ambientali delle imprese nelle loro attività commerciali e nelle loro relazioni con altre parti2”. Attraverso tale
definizione la CSR per le imprese rappresenta la possibilità di rispettare non solo le prescrizioni delle leggi, ma individua pratiche e comportamenti che può adottare su base volontaria, nell’interesse di ottenere risultati che possono arrecare benefici e vantaggi a se stessa e nel contesto in cui opera.
I primi dibattiti sulla CSR però, hanno origini molto più lontane, risalgono infatti al mondo anglosassone tra la fine del 19° secolo e l’inizio del 20° secolo quando l’opinione pubblica americana, aveva portato alla creazione di legislazioni antimonopolistiche, inducendo alcuni industriali quali Rockefeller e Carnegie a sperimentare per la prima volta forme di filantropia d’impresa. Grazie a tali pressioni espresse dell’opinione pubblica, le organizzazioni sindacali dell’epoca indussero i primi filantropi a prendere coscienza dell’ importanza delle condizioni abitative dei lavoratori, delle condizioni di salute e sicurezza previdenziale, sviluppando per la prima volta forme di welfare aziendale.
In seguito alla Grande Depressione americana avvenuta nel 1929, le teorie sulla Responsabilità Sociale d’Impresa subirono una battuta d’arresto fin quando, negli anni ’30 e ’40, autori quali Berle3 e Means4 iniziarono a discutere di CSR identificando
nell’impresa capitalista, un’istituzione dove è presente la netta separazione tra la proprietà e il controllo, facendo nascere così la figura del manager quale decisore discrezionale.
Qualche anno dopo nel 1954 Berle5 con la figura dell’azionista, individua il soggetto che
detiene il potere decisionale e che conferisce al manager la responsabilità e il compito di
1 Libro Verde, Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle
imprese, Commissione Delle Comunità Europee, Lisbona, 2000
2 Ibidem
3 Berle, Means, The modern corporation and private property, Transaction Publishers,
New Brunswick, N. J., 1932
4 Ibidem
generare profitto, il manager quindi secondo lo studioso Berle, opera secondo il volere dell’azionista.
Gli anni ’50 rappresentano l’inizio degli studi del concetto di CSR all’interno della letteratura accademica manageriale, in particolare lo studioso H. R. Bowen nel 1953 identifica il ruolo dell’impresa come centro vitale di poteri e, attraverso la sua azione, ha la capacità di influenzare vari soggetti, come ad esempio i cittadini. Grazie all’opera “Social Responsibility of the Businessman6” pubblicata nel 1953, Bowen dà molta
importanza alla responsabilità sociale degli uomini d’affari, identificando in tali soggetti l’obbligo di prendere decisioni, perseguire degli obiettivi e seguire delle linee d’azione in base ai valori della società, in quanto “essendo servitori della società non devono trascurare i valori socialmente accettati o anteporre i propri valori a quelli della società7”.
Secondo Bowen i businessman non servirebbero i desideri degli azionisti come affermato da Berle, bensì li identifica come servitori di valori sociali nei confronti dell’intera società, senza definire nello specifico né la società né i valori.
In contrapposizione al pensiero di Bowen, Selekman8 nel 1959 identifica nel Governo e
nei sindacati i soggetti che rappresentano la società, definisce necessario limitare i poteri delle imprese al fine di poter essere maggiormente controllate dalla società. Per Selekman il manager o businessman è privo di moralità o attenzione verso la società, egli infatti persegue solo un interesse: generare profitto. Nasce la necessità quindi di definire e sviluppare codici e filosofie in grado di identificare comportamenti etici da seguire al fine di integrare la moralità nel manager.
1.1.1 Anni ‘60
Con l’inizio degli anni ’60 molti studiosi iniziano a trovare definizioni di CSR; il primo fu Keith Davis che nel 1960 definisce CSR come “le decisioni e azioni intraprese dai businessman, al di là dell’interesse tecnico o economico dell’impresa9”, e ritiene che
alcune decisioni aziendali siano giustificate, poiché contribuiscono ad avere un maggior
6 H. R. Bowen, Social Responsibility of the Businessman, Harper e Row, New York, 1953 7 H. R. Bowen, Social Responsibility of the Businessman, pp. 6
8 B. Selekman, A Moral Philosophy for Management, McGraw-‐Hill, New York,1959 9 K. Davis, Social responsibility of businessmen need to be commensurate with their
guadagno nel lungo periodo, che ripaga l’impresa per i sacrifici sopportati dall’impresa nell’ambito di una prospettiva di responsabilità sociale. Secondo K. Davis i manager con le proprie azioni influenzano la società e, sostenendo la tesi che ci sia un legame tra business power e responsabilità sociale, se i manager o businessman non includessero le responsabilità sociali, ciò condurrebbe ad una graduale diminuzione del potere delle imprese. Attraverso la sua celebre “Iron low of responsibility10” K. Davis afferma che non
può esistere responsabilità sociale senza potere e, il mancato rispetto di questo legame porterebbe ad un arretramento da parte del mondo industriale lasciando cosi, maggiori poteri ai governi e organizzazioni sindacali, con il compito di porre vincoli e limiti al potere delle imprese.
Anche W. C. Frederick11 nel 1960 aggiunge un concetto importante riguardo il CSR
definendo che il significato economico della produzione deve essere inteso come la possibilità di potenziare il benessere socio-‐economico totale e aggiunge inoltre che le imprese, oltre ad avere un comportamento rispettoso verso le risorse economiche e umane, devono utilizzare tali risorse non solo per interessi di soggetti e imprese private, ma anche per ampi fini sociali.
Nel 1966 K. Davis e Blomstrom all’interno del “Business and its Environment12 ”
descrivono il legame biunivoco che intercorre tra business e ambiente sociale, definendo inoltre l'obbligo di una persona a prendere in considerazione gli effetti delle sue decisioni e delle azioni su tutto il sistema sociale. Gli uomini d'affari, secondo Davis e Blomstrom, considerano la responsabilità sociale quando considerano i bisogni e gli interessi degli altri che potrebbero essere influenzati dalle azioni di business. Così facendo guardano al di là degli interessi economici e tecnici esclusivi della loro impresa. Gli anni ’60 ricoprono un ruolo molto importante nello studio del CSR, in particolare negli scritti di quegli anni, si considera la responsabilità delle imprese anche di natura diversa da quella economico-‐legali anche se non vengono centrati dettagli specifici di riferimento.
10 K. Davis, Social responsibility of businessmen need to be commensurate with their
social power, California Management Review, vol.2, pp. 71, Spring 1960
11 W. C. Frederick, The Growing concern over Business Responsibility, California
Management Review, vol.2, Summer 1960
1.1.2 Anni ’70
Con l’avvento degli anni ’70 il pensiero sulla CSR incomincia a modificarsi notevolmente, in particolare con la nascita del pensiero Neoclassico secondo il quale l’interesse sociale dell’impresa è caratterizzato dal profitto, tutto quello che può compromettere l’efficienza dell’impresa rappresenta solo un mero costo che deve essere eliminato. Il principale esponente che supportava tale teoria era Milton Friedman il quale, affermava che l’unico obiettivo delle imprese consisteva nel generare e massimizzare il profitto nei confronti degli azionisti (shareholder), i quali vengono considerati i veri proprietari dell’impresa mentre i manager sono semplici agenti che operano per conto degli shareholder nella gestione dell’impresa. Secondo Friedman un’impresa ha rapporto non solo con gli azionisti ma anche con altri soggetti quali: manager, lavoratori, comunità, fornitori (stakeholder), legami di tipo contrattuale che impongono all’impresa di rispettare e attribuire ciò che di diritto spetta a loro; ma ciò che rimane dopo aver adempiuto al pagamento degli stakeholder spetta solo ed esclusivamente agli shareholder, come rimborso del rischio che hanno assunto a seguito dell’investimento dei propri capitali.
Lo stesso Friedman nel suo libro “Capitalism and Freedom13” del 1962 considera la
teoria sul CSR sovversiva nei confronti del sistema capitalistico in particolare scrive che: “poche tendenze possono minare in modo veramente profondo le fondamenta stesse della
società libera come l’accettazione da parte dei dirigenti d’impresa del criterio della responsabilità sociale a differenza di quello di fare più soldi possibili per i loro azionisti14”
(Friedman,1962)
Inoltre essendo il principale esponente della teoria Neoclassica, afferma che la responsabilità sociale dell’impresa è una sola ovvero usare le sue risorse per dedicarsi ad attività volte ad incrementare i propri profitti, rispettando sempre le cosiddette “regole del gioco” ovvero senza ricorrere all’inganno o alla frode.
Durante questa decade un altro importante studioso che cercò di dare una definizione al concetto di CSR fu C. Johnson(1971), il quale per la prima volta nel testo “Business in
13 Friedman, Capitalism and freedom, University of Chicago Press, Chicago, 1962
14 Friedman, Capitalism and freedom , University of Chicago Press, Chicago, pp. 133,
Contemporary Society: Framework and Issues 15 ” fa un esplicito riferimento
all’approccio degli stakeholder, affermando che nella Responsabilità Sociale d’Impresa i dirigenti (managerial staff) devono essere in grado di bilanciare una moltitudine di interessi che riguardino i propri dipendenti, fornitori, comunità locale, anziché suddividere il profitto esclusivamente agli azionisti.
Nell’esaltare l’importanza nel massimizzare il profitto nel lungo periodo, Johnson ricorda l’importanza di una moltitudine di obiettivi da raggiungere e non solo il perseguimento della massimizzazione del profitto, infatti secondo l’autore i manager posseggono una funzione di utilità di secondo tipo che consente loro di agire non solo per un loro esclusivo interesse, ma devono considerare anche altri soggetti con i quali l’impresa ha un legame.
Un altro importante contributo venne fornito nel 1971 dal “CED16”(Committee for
Economic Development), un gruppo formato da uomini d’affari e formatori che all’interno dell’opera “Social Responsibilities of Business Corporation”, ha inventato e sviluppato un grafico formato da tre cerchi concentrici che serviva a fornire una propria spiegazione sul concetto di CSR, mettendo in relazione l’impresa e la società che la circonda.
Fig. numero 1: “modello dei tre cerchi concentrici”
15 C. Johnson, Business in contemporary society: framework and issues, Belmont, CA:
Wadsworth, 1971
16 CED, Committee for Economic Development, 1971
1-‐ RESPONSABILITA' DELL'AZIENDA LEGATE ALLE FUNZIONI ECONOMICHE 2-‐ RESPONSABILITA DELL'AZIENDA NEI CONFRONTI DEI VALORI E DELE PRIORITA' DELLA SOCIETA'' 3-‐ RESPONSABILITA' DELL'AZENDA NEI CONFRINTI DEI GRANDI PROBLEMI SOCIALI
Nel cerchio più interno rappresentato col numero 1, il CED identifica un insieme di responsabilità che un’azienda ritiene necessarie, per lo svolgimento efficiente delle sue tradizionali funzioni economiche, quali ad esempio:
• Produzione,
• Sviluppo della forza lavoro, • Crescita economica
Nel cerchio numero 2, quello intermedio, vengono identificate le responsabilità per l’esercizio delle funzioni economiche sopra citate, con considerazioni che attengono però ai valori e alle necessità sociali, quali ad esempio:
• Rispetto delle risorse naturali • Le relazioni con i propri dipendenti
Nel cerchio più esterno, il numero 3, si evidenziano tutte quelle attività che in maniera attiva e volontaria le imprese possono intraprendere per essere ancora più coinvolte in attività destinate al potenziamento dell’ambiente sociale.
Tali attività possono riguardare:
• Miglioramento delle condizioni di sottosviluppo economico e culturale • Povertà e degrado urbano
• Miglioramento della viabilità
Il già citato K. Davis nel 1973 fornisce una nuova definizione di CSR usando come tema centrale, la volontarietà nell’agire in modo socialmente responsabile, affermando che : “il CSR inizia quando finisce la legge e un’impresa non può limitarsi a compiere azioni di responsabilità sociali minime richieste dalla legge, perché questo sarebbe quello che ogni bravo cittadino farebbe17”.
Secondo Davis quindi, le azioni socialmente responsabili devono avere una visione di lungo periodo al fine di trasformare tali azioni in benefici quali ritorno di immagine, potenziamento sociale, possesso ed utilizzo di risorse utili per risolvere problematiche sociali. Se da un lato le attenzioni alla responsabilità comportano benefici, dall’altro Davis riconosce che tali azioni possono comportare anche dei costi aggiuntivi i quali
17 K. Davis, The case for and against business assumption of social responsibilities,
diminuirebbero il profitto dell’impresa con una relativa perdita di competitività e una confusione tra i diversi obiettivi che l’impresa deve perseguire.
A. B. Carroll nell’opera “A Three-‐Dimensional Conceptual Model Of Corporate Social Perform18” dà la propria definizione innovativa di CSR definendola come l’insieme di
quattro diverse tipologie di responsabilità ovvero, quella economica, legale, etica e discrezionale (filantropica).
Fig. numero 2: “Piramide di Carroll19”
Come si evince dalla figura numero 2, Carroll suddivide la Piramide in 4 grandi classi, al fine di considerare una più ampia gamma di responsabilità che l’impresa ha nei confronti della società. Nella parte più bassa della Piramide si trovano le Responsabilità Economiche, ovvero l’insieme di beni e servizi che l’impresa, grazie alla sua efficacia-‐ efficienza e capacità produttive, soddisfa così il bisogno della società. Non è un caso che la Responsabilità Economica sia alla base della Piramide poiché viene sottolineata l’importanza e la caratteristica base dell’importanza del fine economico che un’impresa deve sempre e comunque perseguire ovvero generare profitto.
18 A. B. Carroll, A Three-‐Dimensional Conceptual Model Of Corporate Social Perform,
Academy of Management Review, n.4, 1979
19 Ibidem
Responsabilità
FILANTROPICA
Responsabilità
ETICA
Responsabilità
LEGALE
Responsabilità
ECONOMICA
Il secondo livello Responsabilità Legale, identifica l’importanza nel rispettare le leggi e le norme giuridiche che un’impresa deve avere nel perseguire i propri obiettivi identificando grazie a tali norme, il terreno entro il quale l’impresa può operare.
È importante inoltre che la società identifichi e punisca le imprese che attuano comportamenti non conformi alle norme nazionali e locali, così da incentivarle a generare profitto in maniera legale.
Il terzo livello denominato Responsabilità Etica, identifica tutte quelle attività o buone pratiche che, anche se le società non hanno regolamentato tramite leggi o ordinamenti, la società si aspetta che le aziende rispettino. Questo penultimo livello serve per indicare alle imprese di operare secondo criteri di equità, giustizia e imparzialità.
Al vertice della piramide dove è situata la Responsabilità Filantropica o discrezionale, Carroll identifica in questo livello le attività puramente volontarie svolte dall’impresa nei confronti della società. Tali scelte, a contrario della categoria precedente, essendo di natura volontaristica non ha attese da parte della comunità nella quale l’impresa opera e sono quindi un riflesso del desidero dell’azienda ad impegnarsi in ruoli sociali che, seppur non previsti dalla legge, hanno una forte valenza strategica. Tale categoria può essere ricollegata al cerchio concentrico più esterno analizzato precedentemente quando è stato trattato il grafico a tre cerchi concentrici ideato dal CED nel 1971 che riguardavano gli aiuti che le imprese offrivano alla società.
Con questo grafico Carroll identifica le categorie che servono per migliorare lo sviluppo sociale ed economico delle società nel quale l’impresa è inserita, senza dimenticare il fine economico che è alla base della sopravvivenza dell’impresa. Le imprese che vogliono essere socialmente responsabili oltre a soddisfare una moltitudine di obiettivi (economico, legale, etico, filantropico) devono impegnarsi per raggiungere profitti soddisfacenti, rispettando le leggi e avendo comportamenti etici positivi.
Oltre a fornire una nuova definizione di CSR, Carroll nel 1977 nel suo articolo “A Three Dimensional Conceptual Model Of Corporate Performance20” introduce il concetto di
Corporate Social Performance (CSP). Secondo l’autore il CSP è l’insieme di tre dimensioni, la Corporate Social Responsibility (CSR1) analizzata precedentemente nelle sue quattro sfaccettature economica, giuridica, etica e filantropica o discrezionale, dalla Corporate Social Responsiveness (CSR2) definita in termini di sensibilità nei confronti dell’ambito sociale. Con il CSR2 si migliora il concetto di CSR perché non si individuano
solo gli obblighi sociali ai quali l’impresa deve adempiere, bensì si individuano anche gli strumenti più idonei a tradurre in azioni concrete tali definizioni.
Infine i Social Issues sono intesi come identificazione di chiari obiettivi o aree d’interesse a cui l’azienda vuole rivolgersi.
Come abbiamo potuto vedere in precedenza, gli anni ‘60 e ‘70 sono caratterizzati dal proliferare di teorie e definizioni in ambito di CSR fornite da diversi autori nell’arco del suddetto ventennio.
1.2 Anni ‘80
Con l’inizio degli anni ’80 invece, si sono venuti a creare tre grandi filoni di pensiero che vengono così descritti:
1. Corporate Social Performance 2. Teoria degli Stakeholder 3. Studi sul Business Ethics
1.2.1 CSP
Il termine Corporate Sociale Performance nasce negli Stati Uniti d’America tra la fine degli anni ‘70 e gli inizi degli anni ‘80 e, i suoi autori più rappresentativi sono stati Carroll, Sethi, Wartick e Cochran ed infine Wood .
Al contrario del CSR che soffermava l’attenzione sul risultato di un’impresa, il CSP ha il focus sul processo e i metodi attraverso il quale un’impresa identifica e fa coniugare i propri interessi con quelli degli stakeholder.
Gli studi effettuati da Carroll sul CSP21 e analizzati nel paragrafo precedente, sono un
proseguo dei modelli proposti da Sethi e Preston, in particolare Carroll analizzava e definiva il CSR1 in termini di principi e categorie (con riferimento alle differenti responsabilità: economica, giuridica, etica, discrezionale), CSR2 in termini di strategie e processi per far raggiungere all’impresa obiettivi di responsabilità social, e cercava inoltre di far bilanciare i due termini in modo da far raggiungere all’impresa obiettivi sia economici che sociali.
Negli stessi anni anche Sethi22 dà una propria impronta al concetto di CSP, in particolare
distingue tre fasi precise che descrivono il comportamento aziendale in risposta alle esigenze sociali.
Queste tre fasi-‐livelli sono nominati: 1. Social Obligation
2. Social Responsibility 3. Social Responsiveness
Con il primo termine denominato Social Obligation23, l’autore si riferisce a tutti gli
obblighi che un’impresa ha in base ai vari vincoli di mercato o legali che sono imposti; Social Responsibility24 invece si riferisce a quell’insieme di vincoli che seppur non
imposti dalla legge o dal mercato, devono essere rispettati dalle imprese perché sono dei vincoli che vanno oltre la società e per questo prevedono rispetto. Si possono riferire alla terza categoria indicata nella Piramide di Carroll denominata Responsabilità Etica. Con l’ultimo livello denominato Social Responsiveness25, Sethi descrive la capacità che
devono avere le imprese nell’anticipare e prevenire le esigenze sociali che la società richiede.
Wartick e Cochran26 hanno fornito un contributo molto importante in termini di
Corporate social Performance definendo un loro modello, che rappresentava la fusione tra Social Responsibility, Social Responsiveness e Social Issue presentato da Carroll nel 1979.
L’innovazione fornita dai due studiosi consiste nel considerare i tre aspetti forniti da Carroll ovvero il CSR1 CSR2 e la gestione dei problemi sociali non in maniera distinta e separata come affermava l’autore, bensì in tale nuovo modello le tre componenti vengono utilizzate contemporaneamente ovvero c’è una continua interazione tra i
22 S. P. Sethi, Dimensions of corporate social performance: An analytical framework,
California Management Review, n.17, Spring 1975
23 Ibidem 24 Ibidem 25 Ibidem
26Wartick, Cochran ,The Evolution of the Corporate Social Performance Model, The
Academy of Management Review, Vol. 10, n. 4, pp. 758-‐769, 1985
principi delle responsabilità sociali, tra i processi del Social Responsiveness ed infine tra i programmi e le politiche destinati alla gestione dei problemi sociali.
Nell’articolo pubblicato nell’Accademy Management Review intitolato “the evolution of corporate social performance model”, i due autori oltre a descrivere l’evoluzione dal concetto di CSR al CSP, descrivono tre “sfide” che grazie al nuovo modello di CSP vengono superate.
La prima sfida che prendono in esame riguarda la concezione di impronta Neoclassica, che concepisce come unica responsabilità dell’impresa, generare profitti. Nel rispondere a tale affermazione, i due autori prendono in esame la famosa Piramide di Carroll, che descrive ben quattro tipi responsabilità che un’impresa ha nei confronti della società ovvero quella economica, legale, etica e filantropica, e nega come unica responsabilità quella di generare esclusivamente profitti.
La seconda sfida analizzata da Wartick e Cochran, consiste nell’accettare l’ estensione del concetto di responsabilità tradizionale delle imprese alla responsabilità pubblica, non accettando invece la responsabilità di tipo sociale.
I due autori nell’articolo invece affermano che la responsabilità pubblica definita in senso lato, è sinonimo di responsabilità sociale, mentre definire tale responsabilità in senso stretto invece, non può essere accettata in quanto non può rappresentare completamente tutte le responsabilità che un’ azienda ha nei confronti della società. Nella terza ed ultima sfida Wartick e Cochran analizzano il concetto di Corporate Social Responsiveness, definendola come una coesione con il CSR e non una contrapposizione. Nel modello di CSP proposto dai due autori, i due termini pur coesistendo, poggiano su due livelli differenti: a livello macro, troviamo il CSR; a livello micro, CSR2.
Nel modello descritto dai Wartick e Cochran quindi, nel descrivere il loro modello di CSP, oltre ad individuare le due dimensioni sopra citate ovvero il CSR e CSR2, i due autori individuano una terza dimensione ovvero il Social Issue Management, dimensione che serve a minimizzare le situazioni controverse che si potrebbero presentare all’impresa e trovare soluzioni sistematiche ed interattive causate dai cambiamenti dell’ambiente circostante all’impresa.
Tale area viene descritta come un processo nel quale avvengono tre fasi: l’identificazione del problema; analisi; sviluppo della risposta.
Il modello di CSP descritto da Wartick e Cochran può essere così sintetizzato nella tabella che segue:
Tabella n.1: “Modello di CSP di Wartick e Cochran”
PRINCIPLES PROCESS POLICIES
Corporate Social Responsibilities: -‐ Economic -‐ Legal -‐ Ethical -‐ Discretionary Corporate Social Responsiveness: -‐ Reactive -‐ Defensive -‐ Accomodative -‐ Proactive Social Issue Management: -‐ Issues identification -‐ Issues analysis -‐ Response development Directed at: -‐ The Social Contract of the Business
-‐ Business is a Moral Agent
Directed at:
-‐ The capacity to
respond to changing societal conditions -‐ Managerial approaches to developing responses Directed at: -‐ Minimizing “surprise” -‐ Determinig effective corporate social policies Philosophical orientation
Istitutional orientation Organizationl orientation
In questo modello vengono rappresentati tre elementi principali i “principi”, i “processi” ed infine le “politiche”. Questi elementi che interagiscono tra di loro descrivono le responsabilità che un’impresa ha nei confronti della società ovvero responsabilità di tipo economico legale etico e discrezionale, la tipologia di processo che deve intraprendere in base alle esigenze che si propongono, ovvero reattivo, difensivo, accomodante e pro-‐attivo; attraverso le politiche invece, vengono da prima identificati e analizzati i problemi ed infine viene trovata una risposta.
Il modello descritto da Wartick e Cochran, venne successivamente rivisto da Donna J. Wood27 nel 1991 la quale mosse alcune critiche nei confronti di tale modello di CSP
ritenendolo per certi aspetti privo di alcune caratteristiche importanti. Secondo l’autrice infatti, il modello innanzitutto considerava la Corporate Social Responsiveness come un singolo processo invece che come insieme di processi, e considerava la terza dimensione troppo limitata, a causa dell’associazione alle politiche sociali invece che considerare che tale performance sociale potesse esistere anche senza le suddette politiche deliberate, infine l’ultima critica che venne mossa consisteva nel ritenere che il modello proposto anche se considerava i principi, processi e politiche, mancasse di due componenti importanti ovvero la componente relativa alle azioni che un’impresa doveva compiere e la componente relativa ai risultati.
Donna J. Wood nel definire il CSP come:
“la configurazione di una organizzazione aziendale che basa i suoi principi sulla responsabilità sociale, i processi di risposta sociale, le politiche, i programmi e l’osservazione dei risultati che l’azienda ha nei confronti della società28” (D. J. Wood, 1991)
propone il suo modello di CSP, prendendo spunto sia dal modello di Carroll del 1979, che da Wartick e Cochran rivoluzionando però le loro tre classi ovvero: principi, processi e politiche, in tre nuove categorie. La prima denominata Principi della Corporate Social Responsibility si suddivide nel livello istituzionale, che consiste nei quattro domini descritti da Carroll (economico, legale, etico, discrezionale), nel livello organizzativo che rappresenta la pubblica responsabilità, e nel livello individuale che si riferisce la discrezione manageriale. La seconda categoria denominata Corporate Social Responsiveness, viene classificata in environmental assessment, stakeholder management e issue management. La terza ed ultima categoria viene identificata come Outcomes of Corporate Behaviour, che rappresenta le Politiche descritte nel modello di Wartick e Cochran, rappresentano per Donna J. Wood i risultati o le performance dell’impresa, e si suddividono in: social impacts; social programs che servono per
27 Donna J. Wood, Corporate Social Performance Revisited, Academy of Management
Review, n.16, 1991
implementare le responsabilità dell’impresa, ed infine social policies utilizzate dalle imprese per trattare i social issue e gli interessi degli stakeholder.
Tabella n.2: “Modello di CSP di Donna J. Wood”
PRINCIPLES OF CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY
PROCESS OF CORPORATE SOCIAL RESPONSIVENESS
OUTCOME OF
CORPORATE BEHAVIOUR
Istitutional principle
legitimacy
Environmental assessment Social impacts
Organizational principle public responsibility
Stakeholder management Social programs
Individual principle
managerial discretion
Issues Management Social policies
Nel modello descritto da Wood si individuano 3 dimensioni (Principi, Processi, Risultati) suddivisi a loro volta in 3 livelli.
Nella dimensione dei Principi al primo livello ovvero quello istituzionale, l’autrice considera tutte le aspettative che la società ha nei confronti dell’impresa.
Il secondo livello denominato Aziendale considera invece le aspettative della società nei confronti dell’impresa considerando però le attività che esse svolgono, e ciascuna azienda è responsabile per ogni tipo di risultato e impatto che genera.
Il comportamento dei Manager che ricoprono il terzo livello della dimensione dei Principi, considera le azioni e decisioni prese dai Manager di un’impresa, considerandole come decisioni discrezionali del singolo soggetto che non possono essere sempre descritte in procedure aziendali.
Considerando invece la seconda dimensione, Corporate social responsiveness, Wood la considera come l’ ”azione” del modello e serve ad indicare l’area di azione dell’impresa ovvero quella relativa all’ambiente ovvero serve a definire il contesto di riferimento; gli stakeholder cioè i soggetti con i quali l’impresa direttamente o indirettamente si interfaccia oppure riguarda le problematiche sociali.
La terza ed ultima dimensione, oltre ad indicare gli impatti social, serve all’impresa per considerare sia le politiche che i programmi aziendali di gestione nei confronti dei problemi che possono nascere in ambito sociale o con gli stakeholder.