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nuovi sPazi Di Progettualità nel governo urbano

Vito Redaelli

la riflessioni che seguono vogliono guardare al recente libro di stefano moroni (2007a) a partire dagli aspetti che, in tema di governo della città, auspicano, da un lato, un più efficace ruolo delle istituzioni pubbliche e, dall’altro, un maggiore coinvolgimento della prassi sociale ovvero dei soggetti, aziende, imprese e operatori che hanno storicamente consentito lo sviluppo della società urbana e quindi della città. premetto inoltre che non mi arrischierò ad entrare direttamente nel consueto dibattito etico/filosofico dell’autore limi- tandomi, invece, a interpretare il suo pensiero attraverso gli strumenti disciplinari a me propri, quelli di un cittadino-progettista che crede in un’idea di città da perseguire attraverso il confronto dialettico tra obiettivi generali, sociali, economici comprese le limitazioni nelle destinazioni d’uso dei suoli (espressi dal pubblico), e le altre politiche aziendali (autonomamente elaborate dagli operatori privati).

procederò sintetizzando gli elementi generali di maggiore interesse del testo per poi introdurre la chiave di lettura che, a mio giudizio, rappresenta il focus più significativo.

Alcuni interrogativi a fronte dell’attuale interesse verso l’urbanistica se osserviamo l’agenda istituzionale non si può che registrare, di questi tempi, un discreto interessamento alle riforme urbanistiche e ai relativi strumenti di pianificazione. forse questo interesse non è così evidente a livello nazionale, dove languono le iniziative di riforma della legge nazionale 1150/42, ma certamente lo è a livello regionale e locale come, ad esempio, accade nell’area milanese- lombarda con iniziative che coinvolgono tutti i livelli di governo1.

1 pensiamo alla regione lombardia, che continua a produrre progetti di legge

per integrare la lr 12/2005 sul governo del territorio, pilastro dell’impalcato urba- nistico regionale; alla provincia di milano, che ha in via di adeguamento il piano territoriale di coordinamento provinciale; ai comuni, indaffarati a definire i nuovi pGt e, in primis, quello di milano che ha iniziato a diffondere le strategie del nuovo piano del Governo del territorio destinato a pensionare il prG vigente dal 1980.

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ogni livello istituzionale vuole legittimamente dire la sua e, a ben vedere, tale rinnovato interessamento al destino delle città è un bene in quanto riguarda direttamente tutti noi: le città, i comportamenti dei cittadini, la qualità di vita e, più in generale, il nostro ambiente non sono infatti indifferenti all’interazione tra gli strumenti urbanistici che le diverse istituzioni ci propongono. tutti noi, come tecnici e come cittadini, abbiamo avuto a che fare almeno una volta con regola- menti comunali, piani urbanistici di vario livello e quant’altro: per non parlare dei “mal di pancia” che a volte ci siamo dovuti sopportare grazie a burocrazie amministrative sempre più intricate che hanno il compito di applicare gli strumenti urbanistici.

se pare dunque ragionevole convenire sul fatto che tali attenzioni costituiscano un segnale positivo, sorge tuttavia una domanda: verso quali scenari di riforma ci sta portando questo fermento? a parte la generale tendenza, registrabile da qualche anno, verso strumenti urbanistici più flessibili di regolazione delle attività umane, quale equilibrio si sta prefigurando tra una necessaria strategia pubblica della città, che esprima un interesse collettivo, e un altrettanto legitti- mo interesse privato nelle scelte individuali? o, sempre a proposito del rapporto di amore-odio tra istituzioni pubbliche e cittadino, quale equilibrio si va delineando tra uguaglianza di trattamento (tutti uguali di fronte alle scelte dello stato) ed equità distributiva (con scelte di governo che inevitabilmente portano benefici a questo o a quel gruppo di cittadini)?

Il punto di vista de La città del liberalismo attivo

È ovviamente con riferimento ad alcuni dei dilemmi contempo- ranei della nostra disciplina, quelli sopradescritti in grande sintesi, che torna utile guardare al punto di vista che moroni ci offre nel suo ultimo libro. partendo da una posizione vicina alla teoria politica classica del liberalismo – da non confondersi con il lasseiz-faire o il neo-liberismo – moroni si domanda quale forma di azione urba- nistica possa risultare utile nella società contemporanea, ponendo l’attenzione sull’efficacia e legittimità dell’intervento pubblico nella regolazione degli usi dei suoli, tema nodale di tutto il ’900. dopo avere analizzato pregi e (soprattutto) difetti dell’idea di piano ur- banistico tradizionale che ha caratterizzato buona parte del secolo scorso, l’autore arriva al punto: intervenendo su organismi vivi e capaci di autonome decisioni, un’azione pubblica che voglia porsi nella condizione di guidare e influenzare culturalmente quelle scelte

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di vita sociale in progresso dovrebbe basarsi su una visione riformi- sta radicale della questione, per la quale non appare sufficiente un semplice approccio revisionista dell’idea novecentista del piano. Falsi traguardi

lo sguardo di moroni ci aiuta soprattutto a “rimescolare” le pro- spettive di analisi delle tendenze in atto, svelando alcune perversioni nei tentativi di revisione incrementale dell’idea di piano. ne sottoli- neo due, che sono interessanti proprio perché non ci si aspetterebbe che possano provenire da un autore di matrice liberale.

la prima: non è tanto necessario introdurre maggiore flessibilità negli strumenti urbanistici (come vorrebbe la tendenza attuale) quan- to, al contrario, restituire flessibilità alla società stessa, affinché essa possa meglio auto-organizzarsi grazie ai suoi riconquistati margini endogeni di iniziativa. la flessibilità in quanto tale degli strumenti non può essere considerato il fine ultimo di una riforma: rappresenta, piut- tosto, un “falso traguardo” in quanto un piano flessibile al 100% non è più un piano, non esprime più alcuna strategia e, peggio, diventa sinonimo di discrezionalità a favore del soggetto pubblico che solo pochi cittadini, i più forti, riescono a mettere in discussione.

la seconda: un altro “falso traguardo” sarebbe contrapporsi a priori ad ogni forma di “dirigismo” dell’azione pubblica sulla socie- tà, aspirando a una totale partecipazione collettiva delle scelte o, da un altro punto di vista, alla massima “liberi tutti”. il riferimento, in questo caso, non è ovviamente a un dirigismo omnicomprensivo quanto, piuttosto, alla definizione preventiva da parte dell’attore pubblico di un numero ristretto di regole del gioco e scelte strate- giche coerenti con una precisa idea di città, lasciando poi liberi i cittadini di muoversi sul resto. un’azione del pubblico che diventa autorevole proprio perché si limita a definire con grande chiarezza i servizi che intende realizzare (infrastrutture, grandi funzioni urba- ne, etc.) anche in base alle risorse finanziarie a disposizione: e da attuare attraverso una gestione urbanistica che non cerca tanto di coordinare il privato quanto piuttosto di autovincolare sé stessa.

in breve, il modello indicato dall’autore si articola su un doppio livello di governo della città. da un lato, con la definizione pubbli- ca di una cornice di regole semplici attraverso le quali i cittadini possano orientare i propri comportamenti: norme sufficientemente astratte e generali, tali da garantire uguaglianza di trattamento tra tutti i cittadini, che confluirebbero in quello che moroni chiama un

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“codice urbano”. dall’altro, attraverso una programmazione dei servizi che vincoli direttamente le (poche) azioni che l’amministra- zione stessa sceglie come prioritarie e le conseguenti modalità tecnico-economiche con le quali intende realizzarle. come dire: se un piano deve esistere, questo deve essere in primis vincolante per lo stesso attore pubblico che lo redige.

Verso una doppia progettualità nel governo urbano

arriviamo così ad un possibile nodo della questione, ovvero al focus che rappresenta il mio contributo ad un accoglimento critico delle tesi di moroni. si potrebbe enunciarlo come segue: se veramen- te vogliamo porre le basi per un governo virtuoso della città occorre riscoprire nuovi spazi per la progettualità o, più precisamente, per una doppia progettualità: l’una dell’attore pubblico, mirata su propri obiettivi chiari e finalizzata a un’idea di sviluppo della città per il futuro; l’altra lasciata alla società civile, per trovare e sperimentare soluzioni creative e inattese, non inseribili a priori in uno schema complessivo predeterminato. entrambi tali spazi progettuali sono evidentemente essenziali per il buon risultato finale.

per spiegarci meglio possiamo considerare, pur con qualche sem- plificazione, due aspetti: da un lato, il “formato” dello stesso strumento urbanistico comunale con la relativa normativa urbanistica; dall’al- tro, ad una scala più di dettaglio, la pratica diffusa nell’urbanistica contemporanea delle trasformazioni per parti della città, i cosiddetti “progetti urbani” che coinvolgono parti delimitate della città.

nel primo caso – lo strumento urbanistico generale – può essere utile pensare alla contrapposizione tra, da una parte, la criticabile idea tradizionale di prG in quanto pretesa di organizzazione da parte del solo attore pubblico dell’intero spazio comunale in termini di forma fisica e sociale, con una normativa urbanistica relativa che si configura come insieme di vincoli e regole con efficacia diretta sulla conformazione dell’ambiente (fisico, della tipologia edilizia e della morfologia urbana); e, dall’altra, la più plausibile idea di uno strumen- to urbanistico in quanto trasposizione concettuale di un’idea della città espressa attraverso poche scelte chiare e coerenti, vincoli d’uso dei suoli, giudizi, e con una conseguente normativa urbanistica che non avrà come oggetto la forma della città bensì la stessa prassi sociale2.

2 come dire che non occorre normare le forme e la morfologia della città bensì,

in primo luogo, l’interazione tra quelle forze sociali in gioco che solo successivamente contribuiranno a definire quelle forme e quelle morfologie: ad esempio, a partire da

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in quest’ultimo desiderabile caso, più vicino alle tesi di moroni, il pubblico dovrà mirare prioritariamente alle scelte di fondo necessarie alla concretizzazione della propria idea di città, vincolare se stesso e le altre istituzioni pubbliche con appositi accordi di programma sugli interventi strategici3, puntare ad un ruolo di coordinamento reale dei

processi di trasformazione e proporre principi progettuali guida per le successive attuazioni di dettaglio delle scelte di piano. a fronte di ciò, la società civile si troverà ad operare in uno scenario di svilup- po ragionevolmente chiaro sulle scelte di fondo ritenute necessarie dalla collettività; e si sentirà libera di proporre al pubblico, in merito ai successivi sviluppi di quelle scelte e idee, le migliori soluzioni spaziali e funzionali senza il rischio di vedere inaridita la propria sperimentazione progettuale da “gabbie” normative e giuridiche che definiscano ex-ante tutto, dalla destinazione d’uso dei prodotti edilizi, alle architetture fino al dettaglio dei canali di gronda4.

in base alla stessa logica e riflettendo sul secondo esempio citato – i progetti urbani che rimodellano le città per parti – le tesi di moroni portano a considerare che il pubblico non avrà la possibilità (e nemmeno la convenienza) di definire tutto del progetto, ex-ante rispetto allo specifico momento di trasformazione, astraendosi dalle specificità processuali. potrà e dovrà invece dire, nel momento in cui la trasformazione entra nella fase di sviluppo concreto, alcune (poche) cose irrinunciabili per dare la necessaria coerenza macro e microurbanistica a quel luogo in relazione all’idea complessiva di sviluppo socio-economico della città5; dovrà, sulla scorta di quegli

argomenti generali quali l’equità, la giustizia distributiva, nuove forme contemporanee di socialità, la cittadinanza, etc.

3 non pare di poco conto ricordare come (spesso) le scelte urbanistiche e (sem-

pre) le scelte infrastrutturali delle reti di trasporto coinvolgano più attori pubblici (stato, regione, provincia, comune), a volte di “colore” politico diverso e/o promotori di idee di sviluppo della società in contrasto: e come, conseguentemente, il primo obiettivo di un piano predisposto da un qualsiasi attore pubblico dovrebbe anche puntare proprio a trovare il consenso con gli altri attori pubblici per dare contenuti condivisi, tempi e finanziamenti certi agli interventi strategici (in ciò concorrendo a definire un più efficace governo pubblico complessivo del territorio), piuttosto che a porre vincoli astratti ai soggetti privati che si trovano ad operare a valle di quegli strumenti.

4 il rischio che, in caso di apparati edilizi e urbanistici molto vincolistici, la

proposta progettuale dell’operatore finisca con l’alienarsi progettualmente rinun- ciando ad ogni forma di sperimentazione culturale e creativa, seguendo “alla lettera” le prescrizioni normative per evitare conflitti con gli uffici comunali – dunque rinunciando tout court allo spirito critico che dovrebbe muovere l’innovazione – è sempre presente.

5 ad esempio, la coerenza tra in gli usi dei suoli resi possibili e i livelli qualitativi

di accessibilità pubblica e privata garantita in quel luogo dal sistema intermodale dei trasporti.

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obiettivi, qualificare un proprio ruolo di coordinamento reale (e non solo formale) degli interventi per dare il proprio diretto contributo a definire quel sistema di coerenza più generale. il pubblico dovrà pre- feribilmente dire come, e cosa, nel tal progetto non va fatto, piuttosto che dire come e cosa fare; oppure potrà sollecitare sé stesso e gli operatori privati coinvolti con dei principi progettuali guida per indurre la nostra stessa società contemporanea, nel suo intero, a riconsiderare il significato di alcuni valori di fondo della cosiddetta “arte di costruire città” che negli ultimi decenni sono andati perduti portando ad alcuni modesti risultati che sono davanti agli occhi di tutti.

ma, a meno che l’area in oggetto non rappresenti una localizza- zione veramente strategica per le amministrazioni pubbliche – e in questo caso occorrerà che queste “scendano” veramente in campo, nel momento opportuno e con le necessarie capacità tecniche, eco- nomiche ed organizzative6 – il pubblico non avrà convenienza a

definire a priori, attraverso un corpo di normative astratte e redatte “a tavolino”, le specifiche soluzioni spazio-funzionali che devono costituire la sostanza qualitativa della proposta: è ciò per il semplice fatto che queste soluzioni non potranno che nascere all’interno dello stesso progetto concreto e nell’interazione con gli interessi specifici degli attori in campo. se questa sorta di normativa “anticipata” e vincolante costituisse la normalità, sottolinea lo stesso moroni7,

avremmo una negazione della progettazione stessa rinunciando a priori a possibili migliori interpretazioni creative del luogo che altri attori (la società civile, gli operatori e i loro progettisti) potrebbero fare: una semplificazione astratta della complessità processuale e progettuale, sociale e tecnica, tale da mettere a rischio la sostanza qualitativa del progetto stesso. È un po’ ciò che accade nei concorsi di progettazione, dove nessun committente si sognerebbe di vinco- lare il bando con soluzioni progettuali pre-costituite: verrebbe meno il principio stesso di confronto competitivo tra le idee.

6 risorse che non sempre le amministrazioni pubbliche sembrano possedere. 7 un tema che moroni discute solo in una pagina (p. 93) e che andrebbe cer-

tamente sviluppato. si potrebbe dire, estremizzando il ragionamento per maggiore chiarezza, che la normativa relativa alle forme dalla città non può che nascere dall’interno del progetto concreto e dal confronto con lo specifico contesto fisico, sociale e processuale. Quali corpi di norme stabilite ex-ante avrebbero, del resto, mai potuto portare a disegni urbani milanesi sublimi come quello piermariniano dei bastioni di porta Venezia o quello di Giò ponti del grattacielo pirelli all’interno della piazza duca d’aosta e del Via Vittor pisani?

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Spazi di progettualità come sfida culturale

naturalmente, lo scenario prefigurato da questi nuovi e diffe- renziati spazi di progettualità (affidati rispettivamente, al pubblico e alla società civile) non rappresenta, di per sé, garanzia di successo del prodotto finale: definisce, sì, un quadro generale di riferimento affinché il risultato sia migliore ma non vi potranno essere – come sempre accade quando l’esito dipende anche dall’universo culturale e artistico degli attori coinvolti – certezze di risultato e scorciatoie preconfigurate8. molto – se volessimo accogliere gli spunti fornitici

da moroni e puntassimo alla qualità degli strumenti urbanistici, dei processi e dei progetti – dipenderebbe dai modi con i quali si affine- ranno nel concreto entrambe le forme di progettualità menzionate, ognuna in base al proprio ruolo specifico.

risulterebbe quindi, da un lato, determinante la rinnovata cul- tura di governo che le istituzioni pubbliche si trovano ora a dover riconquistare per dare forma alla peculiare progettualità prefigurata da moroni: dove è chiaro che passare da una azione progettuale pubblica per (molte) forme a un’altra per (pochi) interventi strategici richiede innovazioni amministrative e burocratiche non banali. e, dall’altra parte, sarebbero allo stesso modo determinanti anche le nuove capacità culturali ed economiche che la società civile deve ora mettere in campo per trovare risposte innovative ai problemi del- la città del nostro tempo, offrendo un contributo reale allo sviluppo qualitativo e ad una qualche idea di interesse pubblico: in caso con- trario, anche la progettualità restituita alla società civile sarà poco efficace. per concludere: vi sono forse delle precondizioni affinché il modello di governo emergente dalle tesi di moroni possa essere considerato percorribile9, ma certamente una diversa e migliore città

potrà essere costruita solo se entrambe queste forme di progettualità – del pubblico e della società civile – si affineranno.

8 così come del resto, per tornare al tema dei concorsi di progettazione, non è

affatto automatico che una procedura concorsuale porti a risultati di qualità: dipen- de da molti fattori, dalle capacità dei concorrenti, dalla qualità della commissione giudicatrice, ecc.

9 le precondizioni possono essere in sintesi enunciate come segue: nuovi

apprendimenti istituzionali (per la progettualità pubblica) e operatori privati più consapevoli delle complessità culturali alla base della bellezza delle nostre città (per la progettualità sociale).

10.

il Piano come tecnologia istituzionale