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contro Questa Pianificazione

Ezio Micelli

Contro la pianificazione: per restituire con efficacia il senso ultimo del volume di stefano moroni (2007a), l’editore avrebbe potuto proporre un sottotitolo che non giustificasse alcuna ambiguità circa le reali intenzioni dell’autore. che sono senz’altro quelle di demolire, sulla base di una lettura critica del pensiero liberale, le fondamenta della pianificazione ipotizzandone il superamento non in un’anarchica visione dello sviluppo della città, quanto in diverse forme di regolazione affidate, in parte, a limitate quanto generali regole di carattere astratto e, in parte, alla capacità autoregolativa delle comunità urbane.

se la pars destruens del volume appare convincente, a patto di condividere le premesse liberali del ragionamento dell’autore – fatto non scontato in un paese in cui il liberalismo nelle sue diverse decli- nazioni non può certo ritenersi egemone – alcuni passaggi relativi alle ragioni economiche del piano meritano di essere ripresi. sulla base di una maggiore attenzione a tali aspetti è possibile formulare i contorni di un pianificazione coerente con i principi della culturale liberale, aprendo la strada a prospettive di ricerca e a sperimenta- zioni operative di sicuro rilievo.

La critica liberale alla pianificazione: le argomentazioni di Moroni per sottoporre a critica il concetto stesso di pianificazione, moroni ne deve fornire preliminarmente una definizione. lo fa pri- vilegiando la pianificazione intesa come zoning, definendo il piano «in senso stretto, come un sistema di norme, a carattere direzionale, volto ad ottenere il raggiungimento di un determinato stato finale, tramite la coordinazione di contenuto di un insieme di attività» (p. 35). il senso ultimo di un piano, in altre parole, è la prefigurazione di una particolare configurazione dell’ambiente fisico sia per mezzo di regole generali e ripetibili nel tempo, sia attraverso prescrizioni specifiche «irripetibili e dipendenti dal tempo» (p. 36).

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le critiche che moroni muove alla pianificazione sono di due ordini. le critiche interne evidenziano in primo luogo l’impossibilità – e non solo la difficoltà – di disporre delle informazioni necessarie a formulare i contenuti del piano stesso: e ciò poiché «certe infor- mazioni fondamentali non sono acquisibili per ragioni di principio» (p. 51) e non semplicemente perché si tratta di operazioni onerose sotto il profilo economico o complesse sotto quello tecnico. in se- condo luogo, portare un sistema complesso quale è la città ad una configurazione specifica appare difficile quando non impossibile «a causa delle catene imprevedibili di effetti inintenzionali che i nostri interventi di dettaglio nel cuore di una realtà sociale plurale e multiforme tendono inesorabilmente a generare» (p. 52): il para- dosso risiede dunque in regole specifiche e localizzate la cui natura amplifica effetti perversi, o perlomeno inattesi, nel momento in cui queste stesse regole sono impiegate dai soggetti ai quali è affidata l’attuazione del piano.

altre critiche – classificate come esterne – concorrono a una messa in discussione radicale dell’attività di pianificazione. in primo luogo, quest’ultima rappresenta una limitazione alla libertà individuale: maggiori le regole di dettaglio che normano la tra- sformazione dell’ambiente fisico, minore la libertà di cui godono i soggetti che sono abilitati a tale trasformazione. ogni regola del piano – non astratta e generale, e dunque perfettamente compa- tibile con il principio di libertà – che stabilisca modalità peculiari di trasformazione dello spazio riduce la libertà individuale, non limitandosi a stabilire il giusto, ma determinando ciò che è bene per la società. il piano, con le sue regole specifiche e congiuntu- rali, entra dunque in contrasto con le condizioni che favoriscono «l’esistenza e l’esercizio della libertà individuale» (p. 54).

inoltre, la pianificazione determina una caduta di «efficienza catallattica» del sistema economico nel suo insieme. se si limita «l’ampiezza di possibilità che un individuo del sistema (…) ha di perseguire il suo piano di vita, liberamente scelto» (p. 54), non solo si contraddice il principio di libertà individuale, ma si riduce il ren- dimento complessivo del sistema economico: limitando la capacità auto-organizzativa dei soggetti economici a essere penalizzato non è solo l’individuo, ma anche la performance dell’economia nel suo insieme.

moroni estende le critiche hayekiane alla pianificazione come attività generica a quella urbana senza esitazioni concettuali: i rilievi infatti «non riguardano solo alcuni ambiti o forme di pianificazione, ma l’idea stessa di pianificazione» (p. 58). se per i suoi sostenitori,

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pur con tutti i suoi limiti, «la pianificazione rappresenta la forma indispensabile e privilegiata per la guida pubblica di realtà com- plesse» (p. 50), moroni ribalta la prospettiva: «si potrebbe dire non tanto che la pianificazione ha problemi, ma che la pianificazione è il problema» (p. 5).

le critiche di von hayek consentono di porre in discussione le premesse stesse della pianificazione della città. sistema complesso per eccellenza, la città non può e non deve essere oggetto di stru- menti di regolazione pervasiva: non può perché ciò semplicemente si rivela velleitario; non deve perché la città si sviluppa come sistema complesso solo se la sua evoluzione «è affidata a norme astratte e generali, facendo per il resto affidamento sulle capacità esplorative ed auto-coordinative dei suoi membri indipendenti» (p. 61). Economia pubblica e intervento pubblico nel governo del territorio

la tradizionale giustificazione dell’intervento pubblico nell’orga- nizzazione dello spazio – il mercato fallisce e dunque è necessario l’intervento pubblico per ristabilire condizioni di efficienza allocativa – è, nell’argomentazione di moroni, completamente ribaltata. è

l’azione pubblica nella regolazione della trasformazione della città che costituisce il problema, mentre il ritorno al mercato e alle capacità autoorganizzative della società, unitamente alla determinazione delle grandi scelte infrastrutturali e delle regole generali e non locationally specific – per usare l’espressione di needham (2007, p. 82) – a rap- presentare la soluzione alla crisi radicale dei piani urbanistici.

moroni liquida in poche battute i fallimenti del mercato e il conse- guente intervento pubblico nello sviluppo della città. la perentorietà delle sue argomentazioni appare tuttavia non del tutto convincente. la critica può essere mossa da due punti di vista: il primo riguarda il rilievo dei fallimenti di mercato in ambito urbano; il secondo con- cerne la possibilità di giungere a condizioni di efficienza allocativa tramite soluzioni alternative ai tradizionali strumenti command and control, di cui lo zoning è certamente rappresentativo.

la teoria di beni pubblici e la regolazione delle esternalità in ambito urbano sembrano essere considerate da moroni (rispetti- vamente p. 18 e p. 70) mero apparato retorico per giustificare la pianificazione di sistema. in realtà, la produzione di beni pubblici in ambito urbano rimane cruciale per giungere a condizione di efficiente allocazione e a condizioni sostenibili di funzionamento del sistema sociale e territoriale. del resto, l’autore (pp. 95 e ss.)

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sostiene come il soggetto pubblico debba spostare l’attenzione dalla pianificazione di sistema a quella di “servizio”. una parte cospicua di quest’ultima è rappresentata proprio dalla «fornitura di determinati servizi e infrastrutture» e «in particolare, [di] quei servizi e infrastrutture ritenuti pubblicamente rilevanti ma che la società o il mercato – per qualche ragione contingente, che in futuro potrebbe anche decadere – non forniscono» (p. 97).

difficile immagine che beni quali strade, piazze, parchi, ponti oppure servizi che si avvantaggiano delle economie di rete, come metropolitane o tramvie, possano essere offerti completamente o solo maggioritariamente dal settore privato1. storicamente, la capa-

cità auto-organizzativa della società e del mercato non ha mostrato – se non in casi di rilievo contenuto – la capacità di promuovere beni pubblici fondamentali per lo sviluppo della città per la semplice ragione che essi non assicurano le minime condizioni di sostenibilità economica anche se ne è evidente l’utilità collettiva.

a ciò si aggiunga come la realizzazione di simili interventi – proprio per la loro natura ineludibilmente specifica sotto il profi- lo spaziale – comporti la produzione di regole che non possono essere solo astratte («regolazione di cornice» per usare i termini dell’autore, p. 81), ma debbano costituirsi come norme spazialmente localizzate.

allo stesso modo, appare inaggirabile il modo in cui alcune esternalità (si pensi ad esempio a quelle legate all’uso delle risorse naturali) debbano essere affrontate in forma adeguata. ciò non significa obbligatoriamente il ricorso a strumenti command and control, anche se l’impiego di strumenti alternativi non appare di semplice elaborazione. per superare lo zoning è possibile, ad esempio, ricorrere ad un mercato dei diritti edificatori (a cui moroni si riferisce espressamente, p. 85), seguendo uno schema di ragio- namento analogo a quello proposto da coase (1960). tuttavia, i costi di transazione si sono spesso rivelati così elevati da far ritenere il passaggio da forme autoritative a forme auto-organizzate poco utile e vantaggioso (renard, 1998).

in sintesi, l’autore da un lato sottostima il rilievo dei beni pubblici e della loro produzione (salvo recuperare il tema nell’ambito della

1 del resto, scriveva lo stesso adam smith (1776, trad. it. p. 714): «il terzo

e ultimo dovere del sovrano o della repubblica è quelli di erigere e conservare quelle pubbliche istituzioni e quelle opere pubbliche che per quanto estremamente utili a una grande società sono però di natura tale che il profitto non potrebbe mai rimborsarne la spesa a un individuo o a un piccolo numero di individui, sicché non ci può aspettare che un individuo o un piccolo numero di individui possa erigerle o conservarle».

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pianificazione di servizio) e, d’altro lato, sovrastima la capacità auto-organizzativa del mercato e della società a dare soluzione al problema delle esternalità rilevanti in ambito urbano. in entrambi i casi, si assiste ad una sottovalutazione del ruolo – inaggirabile per la stessa cultura liberale – del soggetto pubblico al quale spetta l’onere di predisporre strumenti per la gestione dei conflitti d’uso sulle risorse e sulla produzione dei beni non escludibili e non rivali.

L’innovazione oltre la pianificazione di sistema

la critica alla pianificazione di sistema, pur alla luce di osser- vazioni e critiche, costituisce un punto di partenza per indagare forme nuove di intervento che consentano il governo della città rinunciando a prefigurare, a mezzo di norme e regole cogenti, uno sviluppo urbano predefinito.

moroni dichiara la sua proposta per regole di carattere esclusi- vamente generale che regolino l’interazione delle forme di sviluppo dell’ambiente fisico. il codice urbano (pp. 81 e ss.), un regolamento edilizio di forma potenziata ed estesa, dovrebbe essere capace di regolare senza pianificare, fissando le regole in capo ad ogni proprietà rinunciando in altre parole a prefigurare lo stato ultimo di ogni ambito spaziale considerato.

per le ragioni prima enunciate – la produzione di beni pubblici genera irrimediabilmente ingiustizie fondiarie, la regolazione di esternalità non governabili attraverso meccanismi auto-organizzativi comporta inevitabilmente diritti conformativi di diverso contenuto giuridico ed economico – a queste regole di carattere generale dovranno essere affiancate regole di carattere locale e specifico che, oltre a essere adeguatamente giustificate, dovranno essere oggetto di adeguata compensazione.

Gli strumenti della perequazione e del trasferimento dei diritti edificatori rappresentano concettualmente gli strumenti grazie ai quali superare il limite dei tradizionali strumenti dello zoning, inevitabilmente portatori di ingiustizia fondiaria, pervenendo a quell’equità di trattamento che costituisce un obiettivo irrinunciabile del pensiero liberale. con simili strumenti, infatti, è possibile attribui- re simultaneamente uno stesso contenuto di valore alle proprietà interessate dal piano, da un lato, senza rinunciare all’acquisizione di suoli funzionali alla realizzazione di infrastrutture e attrezzature collettive; d’altro lato, con forme di regolazione capaci di preser- vare valori ambientali e territoriali in modo coerente rispetto alle

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preferenze dichiarate di una comunità.

lo sviluppo urbanistico delle diverse parti di città deve essere esito di una capacità del settore privato di organizzarsi sulla base di regole generali a tutta la città, oppure, più plausibilmente, sulla base di regole comuni a tutte le aree che condividono analoghe caratteristiche sotto il profilo economico e giuridico. si noti come una simile posizione risulti del tutto coerente con quella precedente: elevata capacità di auto-organizzazione del settore privato e regole perequative appaiono sinergiche nello sviluppo di modalità più eque e più efficienti di trasformazione urbana.

se la progettualità privata potrà concorrere alla produzione di beni pubblici alla scala delle singole aree di intervento, il piano dovrà comunque occuparsi della progettazione dell’architettura territoriale della mobilità e degli spazi dei servizi pubblici a scala urbana e metropolitana (camagni 2008, p. 12), prefigurando non la totalità dello sviluppo territoriale, bensì i soli beni non producibili dal mercato e dunque doverosamente promossi (per quanto non necessariamente direttamente realizzati) dall’amministrazione.

procedure concorsuali che consentano allo stesso settore privato di promuovere infrastrutture e servizi, ad esempio ricorrendo alla procedura della concessione o del project financing, permettono alla amministrazione di capitalizzare l’intelligenza distribuita sul territorio circa le opportunità offerte dal mercato in questo ambito.

si noti che investimento pubblico e sviluppo privato sono strettamente interdipendenti: la capacità dell’amministrazione di promuovere un piano delle reti e dei grandi servizi urbani deter- mina condizioni per l’efficiente investimento privato selezionando il dimensionamento e le scelte funzionali: l’amministrazione svolge in questo senso un primario ruolo di riduzione dell’incertezza, assicurando scelte ottimali per il capitale privato.

l’attribuzione dei diritti edificatori a cui si è fatto prima riferimento non costituirà più la declinazione quantitativa dello stato finale a cui la città deve pervenire, bensì la logica conseguenza di un insieme di scelte legate alla produzione di beni pubblici tesi a definire l’ar- chitettura infrastrutturale di una città e la sua dotazione complessiva di servizi a carattere collettivo. il dimensionamento può dunque essere considerato la variabile (dinamica e non statica) a cui legare l’ammontare dei diritti edificatori immessi nel mercato immobiliare a seguito di un’attenta valutazione del potenziale infrastrutturale e di servizi a disposizione della comunità.

in sintesi, la prospettiva di un piano coerente con i principi della cultura liberale non appare affatto un’eresia. si tratta di lasciarsi alle

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spalle lo zoning impegnato a definire capillarmente lo sviluppo del territorio per promuovere forme di pianificazione in cui alle grandi scelte di carattere infrastrutturale promosse dall’amministrazione si affianchi la capacità progettuale del settore privato, all’interno di un quadro di regole capaci di assicurare eque forme di trattamento degli interessi privati e di definire, in ragione della natura e della qualità degli interventi, il contributo di imprese e soggetti del terzo settore allo sviluppo della città.

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