• Non ci sono risultati.

Il “nuovo” art 108 t.u.b.: vigilanza e principio di proporzionalità

CAPITOLO 3 La vigilanza prudenziale sugli intermediar

3.1. Il “nuovo” art 108 t.u.b.: vigilanza e principio di proporzionalità

Prima di passare all’analisi delle nuove disposizioni di vigilanza prudenziale, contenute nelle bozze poste in consultazione dalla Banca d’Italia nel luglio 2014, è opportuno soffermarsi sulla normativa di ordine superiore che giustifica e guida l’operato del legislatore nella redazione della regolamentazione secondaria, ovvero sul disposto del “nuovo” art. 108 t.u.b.. Si è visto, infatti, come già l’art. 107 t.u.b. assegni alla Banca d’Italia il compito di emanare disposizioni volte a disciplinare la fase di accesso all’attività degli intermediari finanziari; tuttavia è con l’art. 108 t.u.b., comma 1, che le si attribuiscono veri e propri poteri di vigilanza regolamentare.

Mentre in ambito bancario i poteri di vigilanza vengono disciplinati da tre articoli differenti, ovvero la vigilanza informativa dall’art. 51 t.u.b, la vigilanza regolamentare dall’art. 53 t.u.b. e la vigilanza ispettiva dall’art. 54 t.u.b., il nuovo titolo V, per gli intermediari finanziari non bancari, riassume questi tre aspetti nell’art. 108 t.u.b. rubricato, appunto, “Vigilanza”. In particolare, il primo comma elenca tutta una serie di materie su cui la Banca d’Italia è chiamata ad esercitare il proprio potere regolamentare emanando disposizioni di carattere generale e specifico; il comma 4 sancisce i poteri di vigilanza informativa stabilendo l’obbligo, gravante sugli intermediari, di inviare segnalazioni periodiche e altra documentazione eventualmente richiesta; infine, il comma 5 riconosce alla Banca d’Italia poteri di vigilanza ispettiva.

Soffermandosi sul comma 1 dell’art. 108 t.u.b., si riscontra una forte corrispondenza con il dettato dell’art. 53 t.u.b., dal momento che le materie oggetto di

74

regolamentazione sono «il governo societario, l’adeguatezza patrimoniale, il

contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, l’organizzazione amministrativa e contabile, i controlli interni e i sistemi di remunerazione e incentivazione nonché l’informativa da rendere al pubblico sulle predette materie.»1

. Già da una veloce lettura, si riconoscono alcuni ambiti di cui si è già trattato nel precedente capitolo (il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, i controlli interni) e ai quali il legislatore ha riservato largo spazio nella nuove disposizioni, affrontandoli in Titoli separati e appositamente dedicati. Altri aspetti, invece, vengono raccolti e disciplinati in un unico Titolo (Titolo IV), sotto la denominazione di “Vigilanza Prudenziale”: in particolare, ci si riferisce all’adeguatezza patrimoniale, al contenimento dei rischi nelle sue diverse configurazioni e all’informativa da rendere al pubblico.

La Banca d’Italia, pertanto, nelle nuove disposizioni di vigilanza detta la regolamentazione necessaria per dare piena attuazione alla normativa primaria contenuta nel Titolo V e gli ambiti a cui estende il suo potere regolamentare non si limitano a quanto disposto dal comma 1 dell’art. 108, ma comprendono anche altri provvedimenti che di volta in volta vengono richiesti dagli articoli del Testo unico bancario: basti pensare, per esempio, alla disciplina inerente il processo autorizzativo (art. 107 t.u.b., comma 3), ma anche a quella per la determinazione di modalità e termini per l’invio delle segnalazioni di vigilanza (art. 108 t.u.b., comma 4). Con il termine “Vigilanza Prudenziale”, invece, essa indica un sottoinsieme dell’intero schema normativo di vigilanza che comprende le disposizioni in materia di requisiti patrimoniali, analisi e contenimento dei rischi e informativa al pubblico.

Alla luce di quanto appena premesso, non è possibile, dunque, considerare

1

Le medesime materie, seppure con un differente ordine di elencazione, vengono presentate anche dal comma 1 dell’art. 53 t.u.b. inerente la vigilanza regolamentare sul settore bancario; l’unico ambito che non viene riproposto nel dettato dell’art. 108 t.u.b. è quello delle partecipazioni detenibili (art. 53, comma 1 lettera c)).

75

“Vigilanza prudenziale” una denominazione alternativa della vigilanza regolamentare2

, non essendoci una perfetta corrispondenza tra il contenuto dell’art. 108 t.u.b., comma 13, e quello del Titolo IV della normativa in analisi. Allo stesso tempo, appare evidente che gli elementi disciplinati dal Titolo IV non possono neppure esaurire gli ambiti in cui si articola l’azione di vigilanza prudenziale della Banca d’Italia, se si considera l’accezione più ampia del concetto, ovvero quell’insieme di regole, definite ex ante, e provvedimenti con cui l’autorità di vigilanza persegue le finalità sancite dall’art. 5 t.u.b., quali la sana e prudente gestione degli intermediari, nonché la stabilità, l’efficienza e la competitività dell’intero sistema finanziario4.

Cercando di dare una spiegazione alle scelte di articolazione della normativa, si può presumere che nell’art. 108 t.u.b. si siano voluti racchiudere sotto la generica denominazione “Vigilanza” i tre poteri rientranti nella definizione più ampia di vigilanza prudenziale (vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva)5 e in merito ai quali la Banca d’Italia è chiamata ad emanare la corrispondente normativa secondaria; nella strutturazione, poi, delle nuove disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari si sia utilizzata, invece, l’espressione “Vigilanza Prudenziale” per indicare la

2

Questa ipotesi si era invece delineata in riferimento alla Circolare del 27 dicembre 2006, n. 263, recante le «Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche», nella quale sotto le denominazione “Vigilanza Prudenziale” venivano ricondotte tutte le materie che l’art. 53 t.u.b. indicava come oggetto della vigilanza regolamentare. Si riteneva, dunque, che, nel contesto delle disposizioni, vi fosse una sostanziale equivalenza tra le due espressioni, “Vigilanza Prudenziale” e “Vigilanza Regolamentare”. In materia si veda COSTI R., L’ordinamento bancario5

, Bologna, 2012, pag. 580 ss..

3

La normativa avente a oggetto il governo societario, i controlli interni e i sistemi di remunerazione e incentivazione è contenuta, infatti, nel Titolo III (per un’analisi delle disposizioni in materia si veda il capitolo 2 del presente scritto), a cui lo stesso Titolo IV fa rimando in caso di complementarietà delle disposizioni.

4

In tema di vigilanza prudenziale si rimanda all’introduzione a questo scritto. Si vedano, tra gli altri, SFAMENI P. - GIANNELLI A., Diritto degli intermediari e dei mercati finanziari1 , Milano, 2013, pag. 24 ss.; CAPRIGLIONE F., L’ordinamento finanziario verso la neutralità, Padova, 1994; CAPRIGLIONE F., Evoluzione normativa ed individuazione delle problematiche dell’ordinamento finanziario, in CAPRIGLIONE F. (a cura di), Diritto delle banche degli intermediari finanziari e dei mercati, Bari, 2003, pag.1 ss.; CASTALDI G., op. ult. cit., pag. 21 ss.; CLARICH M., op. ult. cit., pag. 39 ss.; FERRO LUZZI P. – CASTALDI G. (a cura di), op. ult.. cit., Milano, 2000, pag. 128 ss..

5

76

regolamentazione che si basa sui “tre pilastri” previsti dal Comitato di Basilea6

. Questa scelta può essere interpretata come un retaggio della terminologia utilizzata dalla circ. 216/1996, recante la «Istruzioni di vigilanza per gli Intermediari Finanziari iscritti

nell’ ”elenco speciale”», la quale nel Capitolo V, denominato appunto “Vigilanza

Prudenziale”, si occupava dei medesimi ambiti normativi contenuti nel Titolo IV delle nuove disposizioni7. Non v’è dubbio, però, che le prescrizioni in materia di adeguatezza patrimoniale, misurazione e contenimento dei rischi e di informativa al pubblico assumano una posizione di centralità nel perimetro della vigilanza regolamentare e, pertanto, è possibile giustificare la scelta del legislatore anche con l’obiettivo di consentire un miglior recepimento delle regole di Basilea 3 e l’adozione di un quadro di vigilanza rafforzato e omogeneizzato a quello applicato al settore bancario8.

Oltre a definire le materie sulle quali la Banca d’Italia è chiamata ad esprimersi in fase di redazione della normativa secondaria, l’art. 108 t.u.b. introduce un altro elemento rilevante di cui il legislatore non può non tener conto nel suo operare e che si è visto, già nel capitolo precedente, assumere un ruolo importante nella redazione delle disposizioni di vigilanza: il principio di proporzionalità. Il comma 6, in chiusura del dettato dell’articolo, sancisce, infatti, un criterio di mitigazione con cui la vigilanza regolamentare deve contemperarsi, sia nella redazione della disciplina generale, sia nell’adozione di provvedimenti specifici, ovvero essa deve osservare «criteri di

proporzionalità, avuto riguardo alla complessità operativa, dimensionale e

6

Quest’ultimo aspetto è esplicitamente dichiarato dal legislatore nel Titolo IV, Capitolo 1, Sezione 1, Paragrafo 2, delle bozze delle disposizioni di vigilanza poste in consultazione. Come approfondito nel prossimo paragrafo 3.2.1., i contenuti del Titolo IV si articolano, infatti, seguendo la struttura “a tre pilastri” prevista dal Comitato di Basilea (Basilea 3).

7

Come analizzato nel capitolo introduttivo, nella Circ. 285/2013, recante «Disposizioni di vigilanza

per le banche», il legislatore ha adottato, invece, un’articolazione differente della materia, dividendola in

due parti che recepiscono rispettivamente la direttiva CRD IV e il regolamento CRR e non ha, dunque, utilizzato una definizione della vigilanza prudenziale così puntuale, come quella prevista nelle disposizioni in analisi.

8

Questa è l’ipotesi sostenuta anche da LEMMA V., La riforma degli intermediari finanziari non

bancari nella prospettiva di Basilea III, in Rivista elettronica di diritto, economia, management , 2011,

77 organizzativa degli intermediari, nonché alla natura specifica dell’attività svolta».

Il principio di proporzionalità è un criterio ineludibile per la Banca d’Italia, nell’esercizio dei propri poteri di vigilanza regolamentare, già in base a quanto previsto dall’art. 23, comma 2, della legge 28 dicembre 2005, n. 2629, dove esso è definito come il «criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore

sacrificio degli interessi dei destinatari». Al contempo è uno dei canoni generali

dell’azione amministrativa e consiste nella definizione di un rapporto di congruità tra scopo e mezzi, ma, a differenza del principio di economicità10, prevede anche che il sacrificio in termini di interessi altrui non ecceda quanto indispensabile al raggiungimento dello scopo11. Si può sostenere, tuttavia, che la proporzionalità, per natura, non ha un contenuto valutativo proprio, ma assume significato in riferimento all’ambito rispetto al quale opera12

; si declina perciò in diverse accezioni, tutte però caratterizzate da un fattore comune, ovvero uno stretto rapporto di bilanciamento tra più elementi, la cui comparazione deve essere oggetto di un processo di ponderazione e di componimento equilibrato13.

Il disposto del comma 6, art. 108 t.u.b., deve, dunque, essere considerato nella sua interezza, in quanto è proprio il dettato di legge che permette di dare puntuale

9

Legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante «Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina

dei mercati finanziari», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 301, del 28 dicembre 2005.

10

Il principio di economicità prevede, invece, che lo scopo perseguito venga raggiunto limitando al minimo il dispendio di risorse pubbliche sia economiche, sia procedurali. CERULLI IRELLI V., Corso di

diritto amministrativo4, Torino, 2001, pag. 260 ss..

11

In materia si vedano: GUARRACINO F., L’adozione degli atti di regolazione delle autorità del

mercato bancario, finanziario, assicurativo e previdenziale, in Scritti in onore di Francesco Capriglione,

Padova, 2010, pag. 246 ss.; SANDULLI A., La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova , 1998; SANDULLI A., Proporzionalità, (voce) in CASSESE S. (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, V, Milano, 2006, pag. 4643.

12

CANNIZZARO E., Il principio della proporzionalità nell’ordinamento internazionale, Milano, 2000, pag. 431; dove il concetto è spiegato affermando che «la valutazione di proporzionalità si articola

in un doppio livello […]. La prima valutazione esprime l’esigenza di determinare il livello di protezione degli interessi alla cui realizzazione è finalizzata l’attività posta in essere unilateralmente. La seconda esprime invece l’esigenza di un confronto concreto, fra l’interesse realizzato e quelli compressi attraverso l’azione unilaterale».

13

Così si legge in SANDULLI A., La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova , 1998, pag.4.

78

definizione al principio di proporzionalità chiarendo quali sono gli elementi di cui la Banca d’Italia deve tenere conto nell’applicazione del principio stesso: essa non può non considerare, innanzitutto, le caratteristiche aziendali dell’intermediario destinatario dell’attività di vigilanza, in termini di dimensioni ma anche di complessità operativa e organizzativa, e non può prescindere dalla natura specifica dell’attività svolta.

È importante specificare che questo criterio non è la discriminante alla base di un sistema duale, come quello previgente alla riforma del d.lgs. 141/2010, ma semplicemente un parametro guida nell’emanazione delle disposizioni di vigilanza, per permettere un’applicazione più o meno rigida della normativa bancaria che si intende estendere a tutti i soggetti operanti nel settore finanziario14. Dal nuovo quadro regolamentare deve emergere comunque uno scenario univoco di intermediari sottoposti alle medesime forme di vigilanza; tuttavia i veri obiettivi del nuovo ordinamento di vigilanza sono quelli di rafforzare la stabilità e l’efficienza dell’intero sistema finanziario preservando, in ogni caso, un campo competitivo livellato, perciò il mantenimento di uniformità negli effetti non necessariamente comporta la perfetta coincidenza degli strumenti utilizzati e soprattutto della loro “taratura” 15

.

Si può concludere, dunque, affermando che la Banca d’Italia deve individuare una soluzione applicativa necessaria, idonea e adeguata alle finalità che si è posta, ma tale soluzione deve comportare il minor sacrificio possibile per gli intermediari stessi16. Nel prosieguo di questo studio si vedrà, dunque, in che modo il legislatore ha inteso declinare il principio di proporzionalità nelle materie oggetto dei poteri di vigilanza regolamentare attribuitigli dal nuovo Titolo V del Testo unico bancario e come ha modulato l’applicazione della vigilanza, già prevista in ambito bancario, sugli

14

BRAMATO R., op. ult. cit., pag.5.

15

Questa opinione è riassunta da Assifact – Associazione Italiana per il Factoring nel parte dedicata all’analisi generale delle disposizioni di vigilanza, presentata durante la prima consultazione dello schema delle disposizioni di vigilanza per gli intermediari non bancari, in

www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/consultazionei/2014/disp-vig-2/Assifact.pdf , consultato nel mese di marzo 2015. Ma è opinione condivisa, tra gli altri, da LEMMA V., op. ult. cit., pag. 190; ; LIMONE E., op. ult. cit., pag. 158.

16

79

intermediari finanziari ex art. 106 t.u.b..