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Il nuovo contesto in cui il Fondo monetario internazionale si trova

Come già ampiamente detto, il FMI è una organizzazione a carattere praticamente universale: dagli iniziali 29 i paesi membri sono divenuti 187. Gli ultimi ad entrare sono stati il Kosovo, nel Maggio 2009 e Tu- valu, un piccolo atollo del Pacifico, nel giugno 2010. Restano fuori al- cuni micro-stati e qualche paese a regime dittatoriale come la Korea del Nord e Cuba. A quasi 70 anni di distanza dal miracolo di Bretton Woods, l’economia mondiale ha subito notevoli trasformazioni e crisi a ripetizione: la caduta del sistema di cambi fissi e gli shock petroliferi degli anni ’70; la crisi debitoria negli anni ’80; la caduta del muro di Berlino e il conseguente ingresso sulla scena mondiale delle economie ex-sovietiche; le crisi finanziarie che hanno interessato diversi mercati emergenti nel corso degli anni ’90; la creazione della valuta comune europea, l’Euro; infine la più grave crisi economico finanziaria dal do- poguerra, ancora in corso. Il contesto di riferimento in cui il Fondo Monetario Internazionale è profondamente mutato. Oggi parliamo ad

esempio, correntemente di economia globale, per sottolineare il fatto che i mercati nazionali delle merci, dei servizi e dei capitali si sono fortemente integrati. Oppure ci riferiamo al sistema monetario e finan- ziario internazionale poiché la distinzione tra i mercati delle valute e quelli del credito è spesso più concettuale che reale. In questo lungo arco di tempo lo statuto del’FMI ha subito 4 emendamenti ma il suo impianto è però rimasto inalterato così come inalterati sono rimasti gli obiettivi originari dell’istituzione. Ciò a dimostrazione del fatto che la natura del’FMI nel corso della sua storia non è stata fondamentalmen- te modificata, sebbene esso abbia continuamente affinato gli strumenti a propria disposizione per i suoi fini istituzionali.

CAPITOLO II

PROCESSO DI UNIFICA-

ZIONE EUROPEA

''L'eurozona deve cambiare le sue politiche d'austerity. Perchè l'euro funzioni occorrono una vera unione bancaria con regole comuni, un'assicurazione unica per i depositi dei risparmiatori, una vigilanza europea; poi ci vuole la vera unione fiscale, l'emissione di euro-bond. Il sistema attuale è instabile, incompiuto. Ci vuole più Europa oppure meno euro, non si può restare a metà del guado.''

2.1 Il Trattato di Maastricht, anche

detto Trattato sull'Unione Europea.

Con il Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993, detto anche Trattato sull'Unione europea (TUE), il quadro comunitario subisce un'ulteriore ed importante modi- fica. Con tale Trattato si viene a formare una Unione monetaria e una Unione Europea avente finalità politiche generali. L'Unione europea elaborata dal Trattato di Maastricht non creava una organizzazione in- ternazionale che andasse ad affiancarsi a quelle già esistenti ma sem- plicemente all'art 1 affermava8:

''Con il presente trattato, le Alte Parti contraenti istituiscono tra loro

un'Unione Europea, in appresso dneominata 'Unione'. Il presente trat- tato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini. L'Unione è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato. Essa ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le rela- zioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli.''

8TRATTATO DI MAASTRICHT Trattato sull'Unione Europea, Gazzetta ufficiale n. C 191 del 29 luglio 1992

Con la realizzazione della nuova struttura gli Stati avrebbero continua- to a seguire il cosiddetto ''sistema comunitario'' (cedere parte della so- vranità statale alle istituzioni comunitarie) nelle materie afferenti il primo pilastro, quello riguardante le tre comunità, viceversa, nel se- condo e nel terzo pilastro, rispettivamente ''Politica estera e sicurezza comune'' e, oggi, ''Cooperazione di polizia giudiziaria in materia pena- le'', gli Stati, restii in tale materia a rinunciare alla loro sovranità svrebbero comunque potuto perseguire obiettivi comuni attraverso il cosiddetto ''metodo intergovernativo'', ossia tramite una cooperazione internazionale tra Stati esterna alla Comunità, ma ad essa strettamente collegata. Le istituzioni delle comunità hanno competenze e funzioni e agiscono nell'ambito delle azioni comuni a tutti gli Stati, i quali si im- pegnano a rispettare la volontà delle stesse e ad intervenire solo nelle forme e con le modalità espressamente stabilite dai Trattati. La colla- borazione di carattere intergovernativo propria dei due ulteriori pilastri creati con il TUE privilegia, invece, la sovranità statale rispetto alle istituzioni comunitarie, seppure le stesse siano in varia misura coin- volte nella realizzazione delle politiche dell'Unione. 9Il Trattato sull'U-

nione europea, da un punto di vista strutturale, si presenta come un te- sto alquanto complesso, corredato da 18 Protocolli e 33 Dichiarazio-

9 I testi dei trattati, degli atti legislativi, della giurisprudenza e delle proposte legislative possono essere consultati su .EUR-Lex, la banca dati del diritto dell'Unione europea

ni. In esso sono contenute alcune ''disposizioni comuni'' ai tre pilastri (Titolo I) ove vengono indicati, nell'art 2 TUE, gli obiettivi che l'Unio- ne si prefigge. Il Titolo II è dedicato alle modifiche apportate al Tratta- to CEE che, come già evidenziato, perde la propria connotazione stret- tamente economica e muta la denominazione in Comunità europea (CE). Tra gli aspetti maggiormente innovativi introdotti in tale ambito dal Trattato in parola meritano una particolare attenzione l'instaurazio- ne di un'Unione economica e monetaria che, ha dato luogo all'entrata in vigore, nel gennaio 2002, della moneta unica europea, l'Euro. L'isti- tuzione di una ''cittadinanza europea'', la formulazione del cosiddetto ''principio di sussidiarietà'' e l'ampliamento del ruolo e delle funzioni attribuite al Parlamento europeo. I Titoli III e IV riguardano le modifi- che introdotte ai Trattati CECA ed Euratom. Nel Titolo V e VI ci sono le disposizioni dedicate ai due nuovi pilastri ''Politica estera e sicurez- za comune'' e '' Giustizia ed Affari interni'' poi, con il Trattato di Am- sterdam, ''Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale'' in seguito alla ''comunitarizzazione'' delle dispozioni dedicate ad alcuni aspetti inerenti la libera circolazione delle persone. Il Titolo VII con- tiene disposizioni dedicate alla ''cooperazione rafforzata''. Infine, il Ti- tolo VIII è dedicato alle ''disposizioni finali''.

2.2 Le teorie dell’integrazione

Il processo di unificazione europea è oggetto di studio da parte di nu- merose discipline e di diversi approcci teorici ormai da numerosi de- cenni. Specialmente dopo l’Atto Unico del 1986 tutte le scienze socia- li hanno dovuto confrontarsi in maniera approfondita con tale proces- so in virtú dello sviluppo istituzionale, politico, giuridico, economico e sociale, e dell’influenza sulla vita reale dei cittadini, che erano stati raggiunti. Diverse teorie e diverse discipline si sono quindi concentra- te su numerosi aspetti del processo a differenti livelli di analisi, dando vita ad un corpus teorico di grande rilievo, ma spesso atto a spiegare solo alcuni aspetti del funzionamento dell’Unione europea piuttosto che del processo di integrazione nel suo insieme.

Le macro-teorie dell’integrazione continuano a poter essere raggrup- pate sostanzialmente in tre famiglie fondamentali: quella realista o in generale intergovernativa, quella neo-funzionalista, e quella federali- sta. Esse si dividono sull’individuazione degli attori fondamentali del processo, sul tipo di motivazione (economica, politica, ideologica) delle loro scelte, sul rapporto tra integrazione economica settoriale e creazione di istituzioni e meccanismi decisionali europei sovranazio- nali, sulla dinamica del processo e i meccanismi decisionali che la de-

terminano, e sul possibile/auspicabile obiettivo finale dell’integrazio- ne. Tutte hanno vissuto fasi di ripensamento o di diffusione a seconda della corrispondenza con una certa fase del processo. In diversa misu- ra tutte hanno mostrato difficoltà nello spiegare – oltre che nel preve- dere – i “tempi” dell’integrazione.

Ci sono due schemi concettuali principali che sfruttano i punti di forza delle principali teorie dell’integrazione, pur essendo stati elaborati nel- l’ambito della tradizione federalista. Alla base di tali schemi concet- tuali c'è un punto di partenza dato dal NTUE (Nuovo Trattato sull' Unione Europea, cioè il TUE modificato in seguito al Trattato di Li- sbona), poiché gli obiettivi contemplati nel trattato vengono perseguiti dall'UE con i mezzi appropriati in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati. Il NTUE afferma quindi, e ribadisce all'art 5, il principio di attribuzione delle competenze, in virtù del quale l'a- zione dell'Unione deve sempre trovare il proprio fondamento in una specifica attribuzione di competenza che, se non attribuita all'UE nel- l'ambito dei Trattati, come specificato nell'art 4 NTUE, appartiene agli Stati membri. Come affermato, in dottrina le indicazioni inerenti l'at- tribuzione delle competenze si presentano come ripetitive e ridondan- ti, ''sintomo della volontà degli Stati membri che vi sia assoluta chia-

Dunque il primo riguarda la distinzione tra costruzione, integrazione e unificazione, che permette di concettualizzare in maniera dinamica il rapporto fra trasferimento di competenze a livello europeo e la crea- zione di meccanismi istituzionali sovranazionali. Il secondo schema “Crisi-Iniziativa-Leadership” aiuta a ripensare la definizione degli at- tori e delle loro logiche, e a spiegare i tempi dei successi e dei falli- menti del processo di unificazione europea.

La natura delle Comunità e poi dell’Unione europea (Ue), gli attori ed i meccanismi decisionali fondamentali del processo di integrazione, ed i probabili sbocchi del processo stesso costituiscono le questioni fon- damentali affrontate dalle teorie dell’integrazione europea.

La scuola di pensiero intergovernativa - o confederale o internaziona- lista - considera i governi come gli attori fondamentali che controllano il processo di integrazione, e quindi la Comunità e poi l’Unione euro- pea come un’organizzazione internazionale, che può divenire sempre più sofisticata, ma senza mettere in gioco l’essenza della sovranità de- gli Stati membri.

Il filone neo-funzionalista considera l’integrazione europea come un processo dinamico di superamento della sovranità assoluta degli Stati che dovrebbe portare infine all’unione politica senza soluzione di con- tinuità sotto la guida delle elitès tecnocratiche formatesi nell’ambito delle istituzioni sovranazionali.

La tradizione federalista considera il processo di integrazione come la risposta incompleta alla crisi dello Stato nazionale, che richiederebbe invece la fondazione di uno Stato federale europeo, possibile solo me- diante un processo costituente – che coinvolga democraticamente i cit- tadini europei - volto a elaborare una costituzione europea che fondi la federazione.

Inizialmente, all’origine del processo di integrazione, tutte queste teo- rie avevano prevalentemente una connotazione normativa. Solo dopo il suo avvio, il processo ha potuto essere oggetto di un’indagine empi- rica, portando a profonde revisioni teoriche di ogni tradizione e a svi- luppi analitici piú fruttuosi.

2.3 Il secondo dopoguerra e l’avvio

del processo di integrazione europea

Il tema dell’unità europea era centrale nel secondo dopo-guerra e le diverse teorie rivaleggiavano rispetto al metodo possibile e opportuno per raggiungerla. Gli eventi del periodo tra il 1945 e il 1954 hanno messo in luce elementi di congruenza con la realtà da parte di ciascuna di esse.

La tradizione confederale o intergovernativa considera gli Stati come il principale attore internazionale, e per questo vi si annoverano nume- rosi studiosi realisti. Notando che il processo di integrazione europea è stato avviato ed è proseguito in virtù di decisioni, quasi sempre unani- mi, dei suoi Stati membri, i confederalisti considerano l’integrazione europea come una forma di cooperazione internazionale particolar- mente sofisticata, e ritengono pertanto che gli Stati membri non cede- ranno la loro sovranità ad organi sopranazionali e potranno al più co- stituire una confederazione. Questa posizione è stata assunta politica- mente da alcuni Stati a diverse riprese, ed è stata inizialmente confer- mata in primo luogo dalla Gran Bretagna in occasione del Congresso de L’Aia del 1948 che portò alla creazione del Consiglio d’Europa, se- condo i canoni tradizionali delle organizzazioni internazionali. Questa “falsa partenza” del processo di integrazione, segnata dalla nascita di un’organizzazione oggi rilevante solo sul piano della tutela dei diritti umani, ma sostanzialmente priva di qualunque potere in tutti gli altri campi, sembrava dare conferma alle tesi intergovernativa circa l’im- possibilità per gli Stati nazionali di cedere o mettere in comune volon- tariamente quote della propria sovranità su questioni significative. La Dichiarazione Schuman, fatta dal ministro degli esteri francese il 9 maggio 1950 e ispirata dall’azione risoluta di Jean Monnet, proponeva alla Germania occidentale e agli altri Paesi europei disponibili, la mes-

sa in comune della sovranità sulle risorse carbo-siderurgiche, ovvero sulla base dell’industria pesante e militare dell’epoca, in considerazio- ne del fatto che Francia e Germania si erano scontrate ripetutamente dando vita a sanguinose guerre proprio per il controllo dei bacini car- bo-siderurgici posti nelle loro aree di confine. L’obiettivo dichiarato era una cessione parziale di sovranità, intesa come un primo passo verso la federazione europea, considerata come la meta ultima di un processo di integrazione fondato sulla riappacificazione franco-tede- sca. Il rifiuto della precondizione della disponibilità alla cessione di sovranità comportò l’esclusione della Gran Bretagna dal novero dei Paesi che dettero avvio al processo di integrazione europea. Questa iniziativa portò alla creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca), che sembrò confermare le tesi neo-funzionaliste sull’integrazione settoriale graduale fondata sulla cessione di quote di sovranità ad autorità a carattere sovranazionale, in vista di un’integra- zione politica successiva.

Lo scoppio della guerra di Corea portò però gli USA a chiedere il riar- mo della Germania occidentale, nel timore che un analogo scontro po- tesse avvenire in Germania, divisa in due come la Corea. L’idea di un esercito tedesco suscitava però reazioni negative specialmente in Fran- cia, e su ispirazione di Monnet, il primo ministro Pleven propose la creazione di una Comunità Europea di Difesa (Ced) sul modello della

Ceca. Altiero Spinelli denunciò l’idea di un esercito europeo in assen- za di un governo democratico europeo, come un pericolo per la demo- crazia e come la creazione di un esercito mercenario al servizio degli USA. Sulla spinta di una vasta azione popolare De Gasperi ed il go- verno italiano fecero propria tale posizione e ottennero di legare alla creazione della Ced anche una Comunità Politica Europea fondata su un Trattato-Costituzione, che sarebbe stato elaborato dall’assemblea parlamentare della Ced (art. 38 del Trattato Ced). 10Nella sua formula-

zione definitiva l’art. 38 recitava:

“ 1. L’Assemblea studia durante il periodo transitorio: a) la costitu-

zione di una Assemblea della Comunità Europea di Difesa, eletta su base democratica; b) i poteri di cui dovrebbe essere investita tale As- semblea; c) le modifiche che dovrebbero eventualmente venir appor- tate alle disposizioni del presente Trattato relative alle altre istituzioni della Comunità, in particolare allo scopo di salvaguardare una rap- presentanza appropriata degli Stati. In questi studi l’Assemblea si ispirerà ai principi seguenti: l’organizzazione di carattere definitivo che si sostituirà alla presente organizzazione provvisoria dovrà essere concepita in modo da poter costituire una struttura federale o confe- derale stabile, fondata sul principio della separazione dei poteri e

10 Da Giorgio Grimaldi

comportante, in particolare, un sistema rappresentativo bicamerale. L’Assemblea studierà ugualmente i problemi risultanti dalla coesi- stenza di diverse organizzazioni per la cooperazione europea, già create oppure che lo saranno, al fine di assicurarne il coordinamento nel quadro della struttura federale o confederale.

2. Le proposte dell’Assemblea a questo riguardo saranno sottoposte

al Consiglio. Con il parere del Consiglio, queste proposte saranno successivamente trasmesse dal presidente dell’Assemblea ai Governi degli Stati membri”.

Nel vertice dei ministri degli Esteri dei Sei tenutosi a Parigi dal 27 al 30 dicembre 1951, De Gasperi riuscì anche a far determinare modalità e tempi del mandato conferito all’Assemblea della CED: essa avrebbe dovuto redigere entro sei mesi dall’inizio della propria attività un pro- getto di costituzione federale o confederale, sul quale nell’arco dei tre mesi successivi i governi nazionali avrebbero dovuto esprimersi. Que- sti termini temporali furono inseriti nel secondo comma dell’art. 38. L’art. 38 era un primo importante risultato che apriva la possibilità ef- fettiva di fare evolvere l’integrazione europea verso una federazione politica, nonostante i limiti e i difetti che, secondo la visione federali- sta, erano ivi presenti. In particolare, Spinelli sottolineò tre chiari ele- menti di debolezza:

1) la subordinazione dell’inizio del processo costituente alla ratifica del trattato della CED;

2) la trasmissione degli studi effettuati ad una conferenza diplomatica e non ad una approvazione

diretta da parte dei parlamenti nazionali;

3) la confusione dei termini stessi del mandato conferito all’Assem- blea.

Inoltre l’Assemblea era incaricata di un compito “di studio”, consulti- vo e non propriamente costituente, e lo sbocco finale sembrava incerto e poteva preludere a risultati completamente divergenti: da un lato una struttura federale, con il conferimento di poteri sovrani alla Comunità politica europea, oppure dall’altro, un’alleanza di stati sovrani di natu- ra puramente confederale con obiettivi comuni e delimitati. Tuttavia dall’articolo 38 scaturirono le iniziative che tra il 1952 e il 1953 porta- rono alla redazione del progetto di Statuto della Comunità Politica Eu- ropea (CPE), mai entrato in

vigore a causa della mancata ratifica del Trattato della CED da parte della Francia il 30 agosto 1954.

Nel periodo tra il 1945 e il 1954 tutte le teorie, inizialmente normati- ve, videro quindi le proprie tesi confermate, almeno per un certo pe- riodo, e poi sconfessate. La posizione intergovernativa inizialmente vincitrice a L’Aia fu messa in crisi dalla nascita della Ceca e dal tenta-

tivo della Ced; la posizione neo-funzionalista fu spiazzata dall’accele- razione costituente legata alla Ced; e la posizione federalista fu scon- fitta dalla caduta della Ced quando l’unità politica sembrava a portata di mano.

2.4 Il rilancio e l’integrazione econo-

mica

Il rilancio dell’integrazione proposto dalla Conferenza di Messina, che portò poi alla creazione dell’Euratom proposta da Monnet, e della Co- munità Economica Europea (Cee), sembrò confermare le tesi neo-fun- zionaliste. Le nuove comunità divennero oggetto di studio sistematico da parte di autori neo-funzionalisti a partire da Ernst Haas11, teorico

dello spill-over, ovvero dell’idea che fosse possibile per l’integrazione allargare progressivamente i settori di propria competenza. Il successo dell’avvio del mercato comune (Mec), le cui tappe intermedie furono raggiunte anticipatamente rispetto al previsto, sotto la guida della Commissione, contribuì a rafforzare la visione neo-funzionalista e l’i-

11Cfr. E.B. Haas, The Uniting of Europe, Stanford (California), Stanford University Press, 1958 e la 2a edizione rivista del 1968; E.B. Haas (Ed.), Limits and Problems of European Integration,The Hague, Martinus Nijhoff, 1963.

dea dell’importanza di una tecnocrazia sovranazionale efficiente e ca- pace di guidare il processo.

Anche la prospettiva intergovernativa trovava elementi di sostegno nelle nuove comunità, che rispetto alla Ceca indebolivano i poteri del- l’autorità sovranazionale, già ridotta anche nel nome da Alta Autorità a Commissione esecutiva, e ribadito il ruolo dell’organo intergoverna- tivo, il Consiglio dei Ministri. Ma soprattutto, il fatto che l’integrazio- ne procedesse solo sul terreno economico e fosse fallita sul piano poli- tico-militare, permetteva di proporre la distinzione tra “high politics” e “low politics”. Sul terreno della sicurezza e della politica estera – high politics – erano inconcepibili cessioni di sovranità da parte degli Stati nazionali, e su questo terreno la teoria intergovernativa trovava piena conferma. Sul piano economico erano possibili forme di cooperazione molto avanzate e addirittura di integrazione secondo i canoni del neo- funzionalismo, ma senza nutrire false speranze di poter giungere infi- ne all’unificazione politica.

La tradizione federalista concordava con quella intergovernativa nel denunciare l’illusione di un possibile processo graduale che senza at- traversare un momento costituente potesse portare all’unità politica, insieme alla iniziale, e fallace, previsione dell’insuccesso del mercato comune a causa della debolezza delle istituzioni sovranazionali e del-

l’assenza di un vero governo europeo12. Il successo del Mec costrinse i

federalisti a rivedere la loro posizione mediante la distinzione tra inte-

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