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IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE E L'UNIONE EUROPEA: RELAZIONI NELLA CRISI 2008-2013

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IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE E

L'U-NIONE EUROPEA: RELAZIONI NELLA CRISI

2008-2014.

Introduzione...5

CAPITOLO I.

IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE

1.1 L'istituzione e l'evoluzione del Fondo Monetario

Internazionale...7

1.2 Il Fondo Monetario Internazionale: quale foro di cooperazione

economica...14

1.3 Le Funzioni del Fmi. …...20

1.4 Le risorse...34

1.5 Gli organi decisionali...39

1.6 Il nuovo contesto in cui il Fondo monetario internazionale si trova

ad operare...44

(2)

CAPITOLOII.

PROCESSO DI UNIFICAZIONE EUROPEA

2.1 l Trattato di Maastricht anche detto Trattato dell'Unione Europea...47

2.2 Le teorie sull'integrazione europea...50

2.3 Il secondo dopoguerra e l’avvio del processo di integrazione

europea...53

2.4 Il rilancio e l’integrazione economica...59

2.5 La crisi della sedia vuota e il Compromesso di Lussemburgo...62

2.6 Le componenti del processo: costruzione, integrazione,

unificazione...66

2.7 I tempi e gli attori del processo: crisi-iniziativa-leadership...72

2.8 Il processo di integrazione europea e le sovranità nazionali nei periodi

di crisi...87

CAPITOLOIII.

ACCORDI TRA FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE E

UNIONE EUROPEA PRIMA E DURANTE LA CRISI DEL

2008-2013.

3.1 Dal ''Serpente monetario'' all’Unione Economica e Monetaria Europea

del 1999...92

(3)

3.2

Contatti tra FMI e Unione Europea: Interventi del Fondo sull'economia

della Comunità Europea e condizioni accordate per ricevere finanziamenti

alla luce della situazione di crisi...104

3

.2.1 Periodo pre-crisi finanziaria 2004-2007;...105

3.2.2 Crisi finanziaria 2008-2013;...111

3.2.3 G20 di Londra del 2009...118

3.4 La proposta di creare un fondo monetario europeo...124

3.5 Il meccanismo europeo di stabilità...126

3.6

La Riforma delle regole relative alla sorveglianza sui bilanci: le

modi-fiche al patto di stabilità, il semestre europeo, la regola del pareggio di

bi-lancio...138

3.6.1 Segue:Le innovazioni connesse alla regola del pareggio di

bilan-cio...146

3

.7 Fiscal Compact...150

IV.CONCLUSIONE

(4)

IL FONDO MONETARIO

INTERNAZIONALE E

L'UNIONE EUROPEA:

RELAZIONI NELLA CRISI

(5)

Introduzione

''Per alcuni investitori, questo clima di euforia ricorda il 1999''. Sul fi-nire del 2013 il ''Wall Street Journal'' traccia questo paragone storico che per gli europei è incomprensibile. E' proprio sul fronte dell'econo-mia reale che le cose girano per il verso giusto. Dall'America all'Asia, è un susseguirsi di buone notizie. Un mondo intero è in crescita, anche se gli europei fanno fatica ad accorgersene. Un mondo che ha voltato pagina rispetto alla crisi anche perché ha adottato terapie opposte a quelle dell'Eurozona. Situazioni diverse tra loro, come gli Stati Uniti e la Cina, la Corea del Sud e l'Indonesia, Taiwan e il Giappone. Unite tra di loro da un trattato comune: ripresa manifatturiera, esportazioni che tirano, occupazione in aumento. E dietro questi segnali positivi c'è un armamento di strumenti che va dagli investimenti pubblici alle po-litiche monetarie delle banche centrali. Così da manuale, all'opposto di quel che sta facendo il Vecchio Continente, unico buco nero nella ri-presa globale. Tutti gli ingredienti che aiutano la riri-presa americana, ci-nese, giapponese e sudcoreana sono assenti nelle politiche dell'Euro-zona. Gli investimenti pubblici soni bloccati dall'interpretazione rigida del trattato di Maastricht. L'11 aprile del 2013 il Fondo Monetario

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In-ternazionale pubblica il suo rapporto che descrive un mondo a tre ve-locità. Quella europea è l'ultima e il Fmi temendo per le sorti dell'euro manda i suoi funzionari in Europa per far in modo di trovare una solu-zione e cercare di scendere a patti con la Germania, attualmente leader nella scena europea. 1Uscire dalla crisi, per il Fmi, significa affiancare

lo scenario americano, che è oltre i tre anni di crescita economica, con un aumento costante dell'occupazione. Obama, attuale presidente degli Stati Uniti d'America, propose all'Europa una ''austeriry di sinistra'', includendo una riforma del Welfare, con tagli modesti e oculati, pen-sioni incluse, spalmando questi sacrifici su un decennio, ma l'Europa è sorda alla lezione americana. Il Fmi è stato più volte protagonista nel-l'economia europea tentando di collaborare con gli stati europei e ten-tando di sviluppare un piano volto alla loro ripresa economica.

Quindi analizzando la struttura e le funzioni del Fmi dalla sua nascita ad oggi e analizzando i problemi legati al trattato di Maastricht e alla cessione delle sovranità nazionali da parte degli stati membri dell'U-nione Europea, tratterò il periodo che va dal 2008 al 2013 e i vari in-terventi effettuati dall'Fmi nell'Unione Europea nel tentativo di risolle-vare un'Europa ancora oggi in difficoltà.

(7)

CAPITOLOI

IL FONDO

MONETARIO

INTERNAZIONALE

1.1 L'istituzione e l'evoluzione del Fondo

Mo-netario Internazionale

La grande depressione del 1930, iniziata negli U.S.A. a seguito del crollo della borsa di Wall Street nel 1929, ha interessato anche tutti quei Paesi che avevano stretto rapporti finanziari con gli Stati Uniti stessi a partire da quelli europei. I Paesi Europei che si erano affidati

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all’aiuto economico degli americani dopo la prima guerra mondiale come Gran Bretagna, Austria, Germania, Francia e Italia, hanno cerca-to di risollevare le loro economie sia instaurando barriere per i com-merci stranieri sia svalutando le loro monete per competere tra loro nei mercati di esportazione e limitando così la libertà dei cittadini a detenere valuta estera. Questi tentativi si sono rivelati però contropro-ducenti, tanto che il commercio mondiale è diminuito drasticamente e gli standard di occupazione di vita sono crollati in molti paesi. Si è pensato quindi, di creare un ente incaricato di sovrintendere il sistema monetario internazionale per consentire ai Paesi in questione e ai loro cittadini di acquistare beni e servizi tra loro garantendo la stabilità dei tassi di cambio e incoraggiando i Paesi membri ad eliminare le restri-zioni di cambio che ostacolavano di fatto il commercio.

Era il 22 luglio del 1944 2quando nello Stato dello New Hampshire,

Bretton Woods, i rappresentanti di 45 Paesi firmarono gli accordi che portarono alla creazione di Banca Mondiale e Fondo Monetario Inter-nazionale (FMI) e che avevano come obiettivo di: a) promuovere la cooperazione monetaria internazionale, la stabilità negli scambi e un sistema di tassi di cambio ordinato; b)sostenere la crescita economica e l’occupazione, c) la fornitura di servizi e assistenza tecnica ai Paesi membri.

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L’articolo3 introduttivo di tale accordo stabilisce infatti che:

1) il Fondo Monetario Internazionale ha sede ed opera in conformità con le disposizioni del presente accordo come originariamente adotta-to e successivamente modificaadotta-to;

2) per consentire al Fondo di condurre le sue operazioni e transazio-ni, il Fondo deve mantenere una Direzione Generale e un Dipartimen-to per i Diritti Speciali di Prelievo. L’adesione al Fondo attribuisce il diritto di partecipazione al Dipartimento di Diritti Speciali.

3) le operazioni e transazioni autorizzate dal presente accordo devo-no essere condotte attraverso la Direzione Generale che consiste nel-l’accordo tra questo Accordo del Conto Generale delle Risorse, il Conto Speciale a Erogazione e il Conto degli Investimenti; escluse le operazioni e le transazioni attinenti i diritti speciali di prelievo, che sono condotte dal Dipartimento dei Diritti Speciali.

Mentre nell’art 1 di tale accordo gli scopi dell’FMI sono così definiti: 1) promuovere la cooperazione monetaria internazionale

2) facilitare l’espansione del Commercio Internazionale

3 Statuto del Fondo monetario internazionale. Adottato a Bretton Woods il 22 luglio 1944. Modificato il 31 maggio 1968 e il 30 aprile 1976 Approvato dall'Assemblea federale il 4 ottobre 1991Firmato e accettato dalla Svizzera il 29 maggio 1992 Entrato in vigore per la Svizzera il 29 maggio 1992

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3) promuovere la stabilità e l’ordine dei rapporti di cambio evitando svalutazioni competitive

4) dare fiducia agli stati membri rendendo disponibili con adeguate garanzie le risorse del fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti;

5) dare fiducia agli stati membri rendendo disponibili con adeguate garanzie le risorse del fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti

Il fondo dovrebbe quindi regolare la convivenza economica e favorire i paesi in via di sviluppo.Gli originali articoli dell’accordo del FMI erano stati concordati durante la Conferenza Internazionale Monetaria e Finanziaria degli Stati associati radunatasi a Bretton Woods il 1 lu-glio 1944. La conferenza era stata presenziata da 44 membri. L’atto fi-nale comprendeva gli articoli dell’accordo del Fondo Monetario Inter-nazionale e della Banca Mondiale per la ricostruzione e lo sviluppo. Gli articoli originali si basavano appunto su un concetto di scambio commerciale multilaterale e sistema dei pagamenti, che opera con una valuta convertibile e libera dalle restrizioni di pagamento sui trasferi-menti e relative alle transazioni in corso.

Il primo emendamento agli Articoli entrò in vigore il 28 luglio del 1969. Il suo principale obbiettivo era quello di stabilire lo Special

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Dra-wing Rights Department e di provvedere alla creazione dello Special Drawing Rights (SDRs), una nuova riserva monetaria pronta ad essere distribuita dal Fondo e per incrementare le riserve internazionali già esistenti.

Il secondo emendamento proveniente dagli Articoli dell’Accordo di-venuti effettivi il 1 aprile del 1978 portò una riforma comprensiva de-gli Articoli, ammettendo che il vecchio sistema di Bretton Woods è fallito in seguito alla guerra del Vietnam che ha portato un forte au-mento della spesa pubblica e del debito americano.

Il 15 agosto 1971, a Camp David, Richard Nixon, sospese quindi la convertibilità del dollaro in oro, in quanto, con le crescenti richieste di conversione in oro le riserve americane si stavano sempre più assotti-gliando.

Il dicembre del 1971 segnò l’abbandono degli accordi di Bretton Woods da parte dei membri del G10 (il gruppo dei dieci paesi formato da Germania, Belgio, Canada, Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia). Con lo Smithsonian Agreement il dollaro venne svalutato e si diede il via alla fluttuazione dei cambi. Tuttavia,le istituzioni create a Bretton Woods sopravvissero ma si tro-varono a ridefinire priorità e obiettivi.

I Nuovi Articoli dell’emendamento permisero ai membri di stabilire le disposizioni di scambio delle loro scelte, sebbene gli Articoli stessi

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continuarono a obbligare i membri e a promuovere una lineare crescita economica con un ragionevole prezzo di stabilità. Ciò avvenne attra-verso una regolare condizione economica e finanziaria mirante ad evi-tare sia la manipolazione delle rate di scambio del sistema monetario internazionale sia di guadagnare un ingiusto vantaggio sugli altri membri. Il secondo emendamento introdusse quindi il concetto di soli-da sorveglianza soli-da parte del Fondo sulle politiche dei tassi di cambio dei membri e richiese la cooperazione dei membri in questo tentativo. Quindi, il fondo ha perso una iniziale autorità che gli era stata data da-gli articoli ma ha guadagnato una più estesa autorità nella sorveda-glianza sugli accordi di scambio tra i paesi membri.

Il terzo emendamento agli Articoli dell’accordo era stato approvato da Board of Governors nel 1990 e divenne effettivo nel Novembre del 1992. Le principali caratteristiche di questo emendamento erano sia la sospensione dal voto e dai correlati diritti di quei membri che erano in ritardo con i pagamenti verso il Fondo, sia un incremento delle quote dei membri nel fondo stesso.

Il Quarto Emendamento dagli Articoli era stato preparato dalle Execu-tive Board nel 1998 per dare la giurisdizione del fondo sui movimenti di capitale di conto e provvedere a una equa ripartizione del SDRs, come richiesta dell' Interim Committee al suo meeting di Hong Kong SAR a settembre 1997. Il quarto emendamento divenne effettivo il 13

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agosto del 2009 nel bel mezzo della crisi finanziaria, seguendo una chiamata dal Gruppo dei venti leader spingendo verso l’alto la liquidi-tà globale. Nell’Aprile del 2008 il Fondo Board dei Governatori ap-provò una risoluzione proponendo un emendamento all’ accordo sugli Articoli del Fondo sulla riforma della quota e del diritto di voto che incluse l’aumento della quota per i mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo per aumentare la loro rappresentanza basata su una nuova formula della quota.

La Risoluzione era parte di una lunga serie di riforme della struttura del fondo, per assicurare che il peso del voto di ciascun membro del Fondo riflettesse al meglio la posizione di quello Stato nell’economia mondiale e tenendo in conto i cambiamenti avvenuti nell’economia mondiale.

Il 5 maggio del 2008 il Board of Governors approvò a larga maggio-ranza una risoluzione proponendo un altro emendamento degli Articoli per estendere l’autorità del fondo sugli investimenti. Questo autorizzò il fondo a creare un finanziamento basato sulla vendita dell’oro, per essere investito con un punto di vista che genera entrate mentre pre-serva il reale valore a lungo termine di queste risorse.

L’emendamento entrò in vigore il 19 novembre 2009 votato dall’ 85% della totale potenza di voto

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1.2 Il Fondo Monetario Internazionale: quale

foro di cooperazione economica.

In base all'articolo I dello Statuto il FMI è innanzitutto un foro perma-nente volto a promuovere la cooperazione in campo monetario inter-nazionale. Il suo contributo è soprattuto mirato a promuovere la coe-renza reciproca tra le politiche economiche dei paesi membri e la sta-bilità del sistema monetario e finanziario internazionale, elementi con-siderati essenziali alla crescita dei redditi e del'occupazione. Si potreb-be dire, in estrema sintesi, che il Fmi ''promuove la crescita nella

sta-bilità monetaria e finanziaria'', sia a livello dei singoli paesi, sia a

li-vello globale.

L'esigenza della cooperazione internazionale deriva dal riconoscimen-to che le economie sono interdipendenti, nel senso che gli sviluppi in una di esse finiscono per influenzare, negativamente o positivamente, le altre. Si tratta di quelle che in economia vengono chiamate esterna-lità.

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Ad esempio, un aumento della domanda in un paese può avere effetti benefici su altri paesi tramite una crescita delle esportazione di questi ultimi.

Al contrario, le politiche commerciali protezionistiche o le svalutazio-ni competitive, cioè le politiche di tipo beggarthy-neighbor cui si era fatto largo ricorso nel periodo tra le due guerre, vanno normalmente a detrimento di altri paesi. Se poi ad esse corrispondono misure di ritor-sione, il risultato è una perdita di efficienza allocativa e produttiva e, quindi di benessere per tutti. Si puo' dire, in prima battuta, che la coo-perazione economica 4si propone di coordinare per quanto possibile le

azioni di politica economica al fine di massimizzare le esternalità po-sitive e minimizzare quelle negative. Ad esempio nell'incoraggiare una maggior apertura dei paesi al commercio e ai capitali internazionali il Fmi rende possibili esternalità positive, poiche' una maggior apertura delle economie va a beneficio di tutti; essa è , cioè, un “bene pubblico”. La stabilità monetaria e finanziaria internazionale è an-ch'essa un bene pubblico (e,viceversa, l'instabilità un male). Il Fmi la favorisce in vari modi: assicurando una certa stabilità dei tassi di cam-bio; offrendo ai paesi membri i mezzi finanziari che permettono loro di smussare l'entità e allungare i tempi dei processi di aggiustamento soccorrendo direttamente i paesi colpiti da gravi crisi finanziarie, che

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possono anche trasmettersi globalmente; in generale pevedendo l'in-sorgere dell'instabilità attraverso raccomandazioni di politica econo-mica. L'obbiettivo della stabilità finanziaria non è naturalmente fine a se stesso, ma funzionale al raggiungimento di una maggiore crescita economica. L'instabilità, sia interna (ossia la minore inflazione) sia esterna (i minori squilibri della bilancia dei pagamenti e nel livello del cambio), favorisce la crescita nel medio-lungo termine. Il ruolo affida-to al Fmi, di ricerca e di mantenimenaffida-to della compatibilità tra le politi-che economipoliti-che nazionali, non si esaurisce qui. Vi è anpoliti-che il caso, politi-che certe misure correttive appropriate a livello nazionale, che apparente-mente non andrebbero a danno della comunità, risultino incoerenti a livello internazionale. Si pensi ad esempio ad una situazione in cui tut-ti i paesi perseguano un avanzo delle partut-tite correntut-ti della bilancia dei pagamenti -una cosa impossibile a livello globale, poichè agli avanzi di alcuni paesi devono necessariamente corrispondere i disavanzi di altri- e, a tal fine mettano in atto politiche restrittive della domanda in-terna. Ne deriverebbe un effetto depressivo sull'attività economica globale non facilmente conciliabile con l'obbiettivo di promuovere l'e-spansione del reddito e dell'occupazione. Vi è, quindi, la necessità di coordinare le politiche economiche per far si che gli obbiettivi nazio-nali siano tra loro compatibili e, comunque non comportino pregiudi-zio al benessere economico collettivo. La necessità di verificare la

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compatibilità delle politiche economiche nazionali si è molto accre-sciuta negli ultimi due decenni, poichè le economie si sono fortemente integrate, accrescendo il “gioco” delle esternalità5. I benefici aggregati

derivanti da politiche sane sono potenzialmente più elevati.

D'altro canto sono anche aumentati i canali di trasmissione degli shock negativi, dovuti a politiche errate come anche a un malfunzionamento dei mercati. Ciò è particolarmente vero per l'instabilità finanziaria poi-ché, i rischi di un contagio internazionale sono oggi molto maggiori che in passato.

Dal punto di vista pratico, tuttavia, non si puo' nascondere che la coo-perazione economica incontri numerosi ostacoli. Innanzitutto i paesi possono assegnare un peso diverso ai medesimi obbiettiv di politica economica: alcuni possono privilegiare la crescita dell'occupazione e, quindi perseguirepolitiche espansive, anche quando queste comporta-no eccessiva inflazione; altri possocomporta-no privilegiare l'obiettivo della sta-bilità a scapito dell'occupazione. In secondo luogo, anche qualora le preferenze in termini di obbiettivi siano omogenee, possono esistere divergenze nei modelli economici adottati dei vari paesi, nel senso che gli effetti di certe misure di politica economica non sono giudicati es-sere gli stessi. Va aggiunto che sia le preferenze dei singoli paesi, sia i

5 Esternalità quando gli effetti che produce una certa azione di un agente, possono avere un’utilità per altri agenti che operano nel sistema. Quan-do un agente opera per finalità personali, può produrre effetti secondari che possono avere utilità/disutilità per gli altri agenti. Anche minimi effet-ti secondari, se sommaeffet-ti, possono produrre ueffet-tilità/disueffet-tilità importaneffet-ti in capo ai singoli ageneffet-ti

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modelli economici che essi prendono a riferimento mutano nel tempo, spesso in base ai governi in carica e, pertanto la cooperazione non av-viene sempre fra attori con posizioni predefinite. La storia del Fmi è rappresentata proprio dai fallimenti e dai successi dei suoi tentativi di affermare una maggi cooperazione tra le nazioni.

La promozione della cooperazione economica avviene in una pluralità di fori, più o meno formali.

Non tutti hanno però carattere universale come il Fmi: si pensi al G-8, il gruppo degli otto paesi più industrializzati, che comprende gli Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Canada e Russia oppure al G-20 6, che si è affermato con il nuovo direttorio in

materia di politica economica internazionale. Oltre ai paesi del G-8, esso comprende quelle che oggi sono considerate le maggiori econo-mie emergenti (Argentina, Arabia Saudita, Australia, Brasile, Cina, Corea del Sud, India, Indonesia, Messico, Sud Africa e Turchia), più l'Unione europea. La sfera di immediata competenza del Fmi e' essen-zialmente quella monetaria ed esterna. Da qui l'enfasi che si trova nel-lo Statuto su concetti quali i tassi di cambio, le bilance dei pagamenti e il sistema dei pagamenti internazionali. In particolare, l'art 1 fissa tra i compiti del Fmi quello di “promuovere la stabilità dei cambi,

mante-6Il Gruppo dei 20 (o G20) è un forum dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali, creato nel 1999, dopo una successione di crisi finanziarie per favorire l'internazionalità economica e la concertazione tenendo conto delle nuove economie in sviluppo. Di esso fanno parte i 19 paesi più industrializzati (quelli del G8 in primis) con l'eccezione di Spagna, Paesi Bassi e Svizzera. È presente, inoltre, l'Unione europea. Il G20 rappresen-ta i due terzi del commercio e della popolazione mondiale, oltre al 80% del PIL mondiale. Sono presenti anche alcune tra le maggiori organizzazioni internazionali.

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nere accordi di scambio ordinati tra i paesi membri ed evitare le svalu-tazioni competitive”, così come quello di “assistere nella creazione di un sistema multilaterale dei pagamenti per le transazioni correnti tra paesi membri e nell'eliminazione delle restrizioni sui cambi che posso-no risultare danposso-nose alla crescita del commercio mondiale”. Ciò posso-non vuol dire, si badi, che il Fmi non possa guardare all'evoluzione di va-riabili non monetarie o riferite all'economia nazionale dei paesi mem-bri. Anzi è vero il contrario. Proprio per poter assicurare rapporti di cambio stabili e contenere gli squilibri delle bilance dei pagamenti- i principali canali di trasmissione di quelle esternalità negative citate , ma più in generale per assicurare la coerenza delle politiche economi-che a livello globale, il Fmi esamina una pluralità di variabili. Ad esempio, e' assolutamente centrale nelle analisi del Fmi la politica fi-scale: questa può da un lato, influire sulla domanda interna e , tramite le importazioni avere un impatto sulle partite correnti; dall'altro, per i suoi effetti sui tassi di interesse, può determinare movimenti di capita-le in entrata o uscita e, quindi, influire anche sul conto economico fi-nanziario della bilancia dei pagamenti.

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1.3 Le Funzioni del FMI

Il coordinamento delle politiche economiche può essere perseguito, schematicamente, secondo due approcci. Il primo e' basato sulla fissa-zione di regole in aree ben precise (rule based) in modo tale che il coordinamento scaturisca in modo quasi automatico dallo sforzo dei paesi di ottemperare alle regole prefissate. Rientrano in questa logica il sistema monetario aureo, di cui si e' parlato, e il sistema multilatera-le di cambi fissi ma aggiustabili, dei quali il Fmi era stato posto origi-nariamente a guardia. Questo sistema è durato per quasi trenta anni , sino al suo definitivo abbandono nel 1973.

Il secondo approccio è più discrezionale, in quanto consiste nell'assi-curarsi, tramite una azione di sorveglianza, che gli obbiettivi e le azio-ni di politica economica adottati dai singoli paesi non siano in contra-sto con l'interesse collettivo. Quecontra-sto è l'approccio attualmente seguito dal Fmi(e in molti altri fori di consultazione sulle politiche economi-che) dopo l'abbandono del sistema di cambi fissato a Bretton Woods . La sorveglianza è senza dubbio la principale ragion d'essere del Fmi. Secondo alcuni essa è la funzione del Fmi, alla quale sono da ricon-durre tutte le altre, compresa quella finanziaria. Essa è in ogni modo

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un esercizio complesso, nel quale sono coinvolti sia i tecnici sia i ver-tici del Fmi.

Normalmente si distingue tra una azione di sorveglianza bilaterale, mirata a valutare le politiche economiche del singolo paese membro, e un tipo di multilaterale, in cui il Fmi valuta la congruenza degli anda-menti economici e delle politiche nazionali sul piano globale. Dal punto di vista dei contenuti l'azione di sorveglianza bilaterale si eserci-ta su due livelli. Un primo livello e' quello di politiche del cambio o , per meglio dire, il sistema multilaterale dei pagamenti correnti. Sebbe-ne i paesi membri siano liberi di adottare il regime di cambio che desi-derano, essi devono garantire la cosidetta “convertibilità delle partite correnti”, obbligo che discende dall'art. 8 dello Statuto che consiste nel garantire la piena libertà dei pagamenti relativi al commercio con l'estero, in entrata e in uscita. Al momento i paesi che rispettano piena-mente tale obbligo sono la maggior parte (166): l'ultimo in ordine di arrivo e' stato il Montenegro nel gennaio 2007. Le valute di questi paesi sono dette, nel gergo del Fmi, “valute convertibili”. Gli altri paesi si avvalgono invece di un regime transitorio previsto dall'art. 14, impegnandosi a eliminare quanto prima le restrizioni che essi manten-gono in essere. Dunque il primo compito della sorveglianza consiste nell'assicurarsi che i paesi membri non introducono restrizioni contra-rie all'art. 8 o, per quelli che si avvalgono del regime transitorio, di

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va-lutare i progressi verso la piena convertibilità. Ciò affinché' il “piano di gioco” sia uguale per tutti. Il secondo livello su cui si esercita l'azio-ne di sorveglianza bilaterale attiel'azio-ne all'adeguatezza delle politiche economiche di cui ciascun paese membro in rapporto alla situazione della sua bilancia dei pagamenti e del cambio. E' questa una funzione che si ricava dall'art. 74 dello Statuto, il quale impone ad ogni paese

membro di collaborare col Fmi e con gli altri paesi membri al fine di assicurare l'ordinato funzionamento e la stabilità del sistema di cambi . Ne discende l'obbligo di fornire al Fmi un costante e ampio flusso di informazioni e di dati statistici sulla propria situazione economica. I tecnici del Fmi che provengono da tutto il mondo e vengono assunti solo sulla base delle loro conoscenze tecniche, conducono periodiche consultazioni con i paesi membri, dette” consultazioni ex art 4”. Essi si recano in “missione” nei paesi per incontrare oltre alle autorità di governo, i rappresentanti delle parti sociali e gli esponenti del settore privato, del mondo accademico e della ricerca. Queste consultazioni avvengono, di norma , annualmente e al termine di esse i tecnici del Fmi redigono un rapporto contenente le loro analisi e raccomandazio-ni, che deve essere approvato dai vertici dell'organizzazione, ossia dal

7Sezione 1: Obblighi generali degli Stati membri.

Riconosciuto che lo scopo principale del sistema monetario internazionale è di forgiare un contesto tale da facilitare lo scam -bio di beni, servizi e capitali tra gli Stati, favorendo una crescita economica equilibrata, e che un obiettivo prioritario è quello di garantire il mantenimento delle condizioni di base ordinate, necessarie alla stabilità economica e finanziaria, ogni Stato membro si impegna a col -laborare con il Fondo e con gli altri stati membri per garantire un regime di cambi ordinato e promuovere un sistema stabile di tasso di cambio.

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top management e dal Consiglio di amministrazione. Nelle consulta-zioni viene presa in considerazione una pluralità di variabili e si esa-mina la gran parte delle politiche economiche perseguite dal governo del paese, sebbene un ruolo di primo piano sia riservato alla politica del cambio, a quella monetaria e a quella fiscale. Tale pratica trova fondamento nel fatto che la posizione esterna di una economia e' sem-pre il frutto delle politiche messe in atto al suo interno.

La sorveglianza bilaterale non è altro che una dimensione della più ampia sorveglianza multilaterale, che il Fmi conduce per assicurare la congruenza delle politiche economiche a livello globale, soprattutto quelle dei paesi più grandi e sistemici, che hanno cioe’ un impatto maggiore all’esterno. Vengono inoltre effettuate analisi su vari aspetti specifici dell’economia mondiale (i regimi dicambio, i movimenti di capitale, la liquidità internazionale, ecc.). In questo ambito, ad esem-pio sono state esaminate le possibili conseguenze globali dell’integra-zione economica e monetaria in Europa. Queste analisi sono elaborate soprattutto dagli economisti del Servizio studi e vengono sempre di-scusse dal Consiglio di amministrazione, dove sono rappresentati i paesi membri a livello politico. Le analisi e le raccomandazioni dei tecnici del Fmi vengono normalmente rese note all’esterno tramite la pubblicazione di documenti, studi e rapporti. Di questi il più noto, e al contempo il più importante sul piano della sorveglianza, e’ senza

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dub-bio il World Economic Outlook (Weo) , un rapporto semestrale che di-schiude i possibili scenari di breve medio termine per l’economia mondiale. Gli scenari servono a indicare le varie opzioni in termini di politica economica che sono disponibili ai paesi e le loro possibili conseguenze, soprattutto per la crescita e la stabilità. Le origini del Weo possono farsi risalire al 1969 quando ancora nessuna organizza-zione produceva previsioni a livello di economia mondiale. Alla fine degli anni 70 il Weo si era già sviluppato in un esercizio quantitativo sofisticato e da allora rappresenta uno dei compiti più delicati e impe-gnativi per i tecnici del Fmi. Negli ultimi anni ha assunto una grande importanza anche il Global Financial Stability Report (Gfsr) un docu-mento molto utile a interpretare le tendenze e a valutare i rischi sul mercato internazionale dei capitali. Introdotto una decina di anni fa, questo strumento riflette la crescente attenzione del Fmi per i problemi legati alla globalizzazione finanziaria. Il Fmi mette a disposizione dei paesi membri le proprie risorse finanziarie, affinché esse possano provvedere ad eliminare squilibri insorti nelle proprie posizioni ester-ne, che possono manifestarsi sia in deficit della bilancia dei pagamen-ti, sia in una posizione precaria delle riserve. La funzione finanziaria e’ intesa ad evitare che i paesi facciano ricorso a misure estreme, ossia “ distruttive della prosperità’ nazionale o internazionale” (art.I). In al-tre parole si vuole, da un lato ridurre il ricorso ad azioni che vadano a

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danno di altri paesi membri, come le misure protezionistiche e le sva-lutazioni competitive: dall’altro evitare ai paesi in difficoltà aggiusta-menti eccessivamente costosi, in termine di reddito e occupazione ,delle proprie politiche. Pertanto, nell’esercitare tale funzione il Fmi ricerca sempre un giusto equilibrio tra le risorse concesse in prestito e il grado di correzione delle politiche economiche, in breve tra finan-ziamento esterno e aggiustamento interno. Per realizzare ciò, l’esborso di fondi e’ sempre vincolato, in tutto o in parte, all’attuazione di misu-re cormisu-rettive di politica economica concordata con le autorità naziona-li. Questa pratica viene convenzionalmente indicata come condiziona-lità (conditionality). Con essa si vuol fare in modo che ciascun paese rimedi in modo duraturo ai problemi che sottostanno allo squilibrio esterno. Allo stesso tempo ciò garantisce che i prestiti concessi, che implicano l’uso delle risorse comuni, possono essere rimborsati tem-pestivamente. Questo e’ necessario non solo per salvaguardare la Soli-dità finanziaria del Fmi sul piano aziendale, ma anche per far si che le risorse comuni, per definizione limitate, sono il più possibili limitate, siano il più possibili disponibili a tutti i membri che ne hanno bisogno. I contenuti della condizionalità non differiscono da quelli oggetto del-l’attività di sorveglianza, soltanto che essi si concretizzano in obbietti-vi ben precisi (performance criteria), che il paese in difficoltà deve realizzare nel corso del programma di risanamento. Una parte di

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que-sti è riferita alle politiche economiche, quindi alla condotta della poli-tica monetaria, di quella fiscale e del cambio. I criteri sono espressi generalmente in termine di valori massimi o minimi su certi variabili considerate nel controllo delle autorità, tra cui il livello del deficit pubblico, la crescita degli aggregati monetari, il livello delle riserve. Si tratta normalmente di indicatori qualificabili sui quali sono disponi-bili dati tempestivi. Il programma si può completare con gli obbiettivi sugli aspetti che abbiamo definito strutturali. Essi consistono in misure che aiutano a rimuovere impedimenti all’attività produttiva o finanzia-ria o a eliminare distorsioni che rendono l’allocazione interna delle ri-sorse inefficiente. L’esercizio della condizionalità e’ agevolato dal fat-to che i prestiti non vengono mai erogati in un ‘unica soluzione, bensì in più esborsi (tranches), di norma a cadenza trimestrale. Ciò consente di verificare di volta in volta i progressi compiuti nel mettere in atto il programma di risanamento concordato. Se alcuni degli obbiettivi non vengono realizzati, i tecnici e gli organi esecutivi del Fmi valutano l’entità del problema e decidono se proseguire, sospendere o interrom-pere del tutto il programma. A questo fine, elementi importanti di va-lutazione sono la grandezza della discrepanza tra risultati e obbiettivi e la causa della discrepanza se, cioè, essa sia da addurre alla condotta di politica economica o a fattori “esogeni” , fuori dal controllo delle au-torità nazionali. Gli strumenti di cui il Fmi dispone per concedere i

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suoi prestiti (nel gergo, financing facilities o più semplicemente faci-lities) sono stati continuamente adattati alle mutevoli esigenze dei pae-si membri. Lo strumento canonico e più utilizzato e’ lo Stand-by Ar-rangement (Sba) il cui nome sta a significare che il Fmi approva una certa linea di credito a favore di un paese, alla quale quest’ultimo può accedere nel periodo di durata del prestito, sempre che siano soddi-sfatte le condizioni concordate col Fmi. Questo tipo di strumento e’ mirato a fornire assistenza nei casi di deficit temporanei o ciclici della bilancia dei pagamenti che si ritiene abbiano breve durata; pertanto i rimborsi devono avvenire entro cinque anni. L’altro strumento di fi-nanziamento ordinario e’ la Extended Fund Facility (Eff) introdotta nel 1974 (oggi meglio nota come Extended Arrangement). Si tratta di un prestito più a lungo termine- i rimborsi in questo caso possono av-venire entro dieci anni – mirato a sanare squilibri esterni la cui causa sia essenzialmente da ricondurre a problemi strutturali. La somma concessa ai singoli paesi con i prestiti ordinari non può superare – se non in situazioni eccezionali e dopo una speciale approvazione – un certo multiplo delle loro quote nel capitale : in base all’ultima riforma tali limiti (ordinari) sono dati dal 200% della quota, nel caso di finan-ziamento annuale, e del 600% cumulato per quelli che vanno oltre l’anno. Tali prestiti comportano il pagamento di un tasso di interesse, che e’ calcolato come media di alcuni tassi di mercato a breve termine

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(alla fine di settembre 2010 era pari all ‘1,31%. Questo tasso e’ nor-malmente inferiore a quello che il paese si troverebbe a pagare sul mercato, ma occorre tener presente che per il debitore vi e’ un onere addizionale, rappresentato dalla condizionalità associata ai prestiti del Fmi. In risposta alle crisi finanziarie verificatesi nel corso degli ultimi quindici anni, il Fmi inoltre si e’ dotato, in modo spesso estempora-neo, di strumenti finanziari specifici, sia per intervenire in piena crisi finanziaria, sia in funzione meramente preventiva. Spesso si dice , prendendo a prestito la terminologia tipica delle banche centrali, che in questi casi il Fmi agisce come prestatore di ultima istanza. Ciò non e’ del tutto corretto perche’ , attivando le sue linee di credito, il Fmi non crea propria moneta come farebbe una banca centrale, ma utilizza risorse già a sua disposizione. Molti degli strumenti di “emergenza” concepiti nel corso del tempo hanno peraltro avuto vita breve, vuoi perché si sono rivelati inefficaci, vuoi perche’ non sono stati per nulla utilizzati. Una riforma radicale è stata quindi realizzata nel 2009 per razionalizzare l’intera funzione finanziaria. Sono state cosi dismesse le facilities considerate non più utili; di contro, si è reso più agevole il ricorso al tradizionale Sba nelle situazioni eccezionali, quando cioè sia richiesto un ammontare di risorse superiore ai limiti ordinari. La vera novità della riforma e’ però rappresentata dalla Flexible Line (Fcl), un nuovo sportello finanziario da utilizzare a fini soprattutto preventivi.

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La Fcl permette eborsi elevati e rapidi senza limiti di accesso, da rim-borsare entro cinque anni. Essa può essere richiesta solo da paesi con una posizione economica –finanziaria solida e politiche considerate ri-gorose dal Fmi. Anche per questo motivo l’eborso dei fondi non e’ sot-toposto a condizionalità e può avvenire in una unica soluzione. Nell’a-gosto del 2010 alla Fcl e’ stata affiancata una Precautionary Credit Line (Pcl) destinata ai paesi con politiche sane ma che presentano qualche (modesta) vulnerabilità . La logica e’ sempre quella di evitare che un effetto contagio possa danneggiare un’economia fondamental-mente sana . Il processo di riforma degli strumenti di intervento non può dirsi concluso. Il Fmi sta infatti esaminando le modalità per isti-tuire una rete di protezione più generale (Global Stabilization Mecha-nism) da poter attivare in caso di crisi sistematica globale. Il Fmi di-spone anche di strumenti a favore dei paesi a basso reddito, tipicamen-te co-gestiti con la Banca mondiale. Si tratta di prestiti a carattipicamen-tere age-volato (concessional lending) cui viene cioè applicato un tasso di in-teresse ridotto (0,5%), creati per sostenere nel medio termine i pro-grammi di riforma e di riduzione della povertà nei Pvs. Anche in que-sto caso le modalità di finanziamento sono cambiate nel corso del tempo per essere adattate alle diverse esigenze dei paesi beneficiari. Dal gennaio 2010 tali sportelli sono stati ridotti a tre tipologie , tutte ricondotte sotto un unico “cappello”, il Poverty Reduction and Growth

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Trust (Prgt). Esistono, infine, altri strumenti di rilievo minore. In pas-sato il Fmi ha anche creato degli strumenti di prestito ad hoc per far fronte a eventi, non consueti, come la oil facility negli anni’ 70 e, nel settembre 1999, una finestra di emergenza (Y2K facility) per fronteg-giare eventuali fallimenti nei sistemi informatici nell’attuare il passag-gio al nuovo millennio. Quest’ultima cui non si e’ fortunatamente fatto ricorso, è spirata nel marzo del 2000. Un principio importante è che per i prestiti del Fmi non sono mai intesi a soddisfare pienamente i fabbisogni finanziari dei paesi membri, cosa che non sarebbe peraltro possibile in base alla dotazione di capitale del Fmi, che è limitata. Ne-gli anni ’90 ad esempio il Fmi ha coperto in media, annualmente, tra il 9 e il 15 % di tale fabbisogno, tranne naturalmente nei casi dei paesi in gravi difficoltà. Il ruolo della funzione finanziaria del Fmi e’ piuttosto quello di fungere da catalizzatore delle altre fonti di finanziamento, pubbliche e private. Ciò e’ possibile in quanto, concordando con i pae-si mutuatari dei programmi di risanamento economico, il Fmi fornisce loro uno speciale “attestato di credibilità” che li rende più attraenti per gli altri potenziali creditori. Ne e’ una prova il fatto che sempre più i prestiti del Fmi vengono richiesti per scopi meramente precauzionali, cioè senza una intenzione da parte dei paesi di prelevare effettivamen-te le somme messe a disposizione, ma solo al fine di oteffettivamen-tenere una effi-cace rete di protezione contro gli attacchi della speculazione. Il Fmi

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può fornire liquidità anche emettendo dsp, la valuta creata nel 1969 con il I emendamento dello Statuto. A differenza dei prestiti che sono mirati alle esigenze dei singoli paesi, i dsp servono ad integrare le ri-serve internazionali globali (art.XVIII). Infatti poiché i dsp non ne-cessitano di alcuna copertura, tramite essi il Fmi crea una nuova mo-neta e quindi accresce la liquidità mondiale. Dopo le ultime assegna-zioni di dsp (chiamate in gergo allocaassegna-zioni) approvate nel 2009, l’am-montare di dsp in circolazione e’ salito a 204 miliardi (circa 321 mi-liardi di dollari). I dsp sono attribuiti ai paesi membri in proporzione alle loro quote e, a differenza dei prestiti del Fmi, rappresentano una forma di liquidità “incondizionata”. Essi possono essere usati anche nelle transazioni tra paesi, ma non in quelle private, e in ogni caso solo per far fronte a problemi di bilancia dei pagamenti. Qualsiasi pae-se del sistema che registri un deficit può cedere dsp a un altro paepae-se membro, che e’ tenuto ad accettarli in cambio di un ammontare equi-valente della sua valuta. L’esclusione dalle transazioni private e’ pro-babilmente una delle ragioni per cui i dsp hanno sempre avuto un ruo-lo molto marginale nel sistema monetario e finanziario internazionale. Dopo l’ultima allocazione essi sono saliti al 3,7% delle riserve in valu-ta dei paesi membri, una percentuale che è ancora molto lonvalu-tana da quella del dollaro(64%), che resta la valuta di riserva dominante. Il va-lore di una unità di dsp fu originariamente fissato pari a un dollaro, ma

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dal 1974 e’ stabilito in base a un paniere di valute internazionali e, pertanto, oscilla come quella di una normale valuta. La composizione del paniere e’ cambiata varie volte. Dal 1 gennaio 1999 esso e’ compo-sto dal dollaro, dallo yen, dall’euro e dalla sterlina inglese. Sia chiaro che il valore del dsp non e’ determinato dall’incontro tra domanda e offerta, come per una qualsiasi valuta che sia lasciata libera di flut-tuare nel mercato, ma e’ determinato giornalmente dal Fmi in base alle quotazioni delle valute nel paniere. Nel corso dell’ultimo decennio tale valore ha oscillato tra 1,3 e 1,6 dollari per dsp. Altra funzione di estrema importanza e’ quella di assistenza tecnica e formazione (tecnicamente capacity building), che il Fmi fornisce soprattutto ai paesi economicamente più arretrati nelle aree di sua competenza(so-prattutto fiscale, monetaria, bilancia dei pagamenti, statistica). Tale forma di assistenza, che è prevalentemente gratuita, viene realizzata sia con missioni di esperti in loco, sia tramite corsi di formazione e orientamento che si tengono nelle sedi del Fmi. In generale l’oggetto dell’assistenza tecnica muta in relazione ai bisogni dei paesi e alle strategie del Fmi. Negli anni ’90 essa e’ stata in gran parte destinata alle esigenze delle economie ex pianificate sorte dopo la disgregazio-ne del blocco sovietico, dove mancavano del tutto gli apparati istitu-zionali e le norme necessarie al normale funzionamento di una econo-mia di mercato. A partire dagli anni ’90 un’area di crescente

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importan-za e’ stata anche quella degli standard internazionali che sono stati fis-sati in numerose aree, cui si chiede ai paesi membri di adeguarsi. Le esigenze specifiche dei singoli paesi vengono determinate di volta in volta nel corso delle consultazioni ex art. IV o in occasione dei pro-grammi di finanziamento. Tanto per dare un’idea dell’importanza rela-tiva di tale attività, si consideri che attualmente essa impegna risorse pari a quasi il 25% dei costi totali di bilancio, una quota importante e comunque in aumento (era il 17% nel bilancio del 2000). Tale percen-tuale, per quanto significativamente più bassa delle altre due, resta elevata in valore assoluto, a dimostrazione del peso non irrilevante che l’attività di assistenza tecnica ha assunto nella vita dell’istituzione. Quasi come by-product delle sue attività tradizionali, il Fmi svolge da sempre un ruolo molto importante anche nel campo delle statistiche internazionali, tanto che si potrebbe parlare di una funzione statistica del Fmi. I paesi membri sono infatti obbligati a comunicare una serie di dati ,reali e finanziari, sulla loro situazione economica e, pertanto, il Fmi si trova a disporre di una enorme quantità di informazione. Il suo contributo in questo campo si sostanzia sia nel mettere a disposizione queste statistiche all’intera comunità attraverso una serie di pubblica-zioni- la più nota e completa delle quali e International Financial Stati-stics - , sia nel favorire una maggiore armonizzazione dei metodi di ri-levazione, soprattuto nei conti con l’estero.

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1.4 Le risorse

Le risorse principali del Fmi, cui possono attingere, con l’assenso de-gli altri, i paesi membri che ne hanno bisogno, sono costituite da quote partecipative (è questa una delle eredità del piano di White). In questo aspetto il Fmi si differenzia dalla Banca mondiale che, pur avendo an-ch’essa un sistema di quote di partecipazione al capitale sociale, si ri-fornisce soprattutto sui mercati emettendo obbligazioni. Le quote rap-presentano contributi dei singoli paesi e sono proporzionate all’impor-tanza economica di ciascun membro. Esse sono versate per un quarto in riserve internazionali – parte che, in caso di necessità, può essere temporaneamente ritirata senza condizioni – e per il rimanente nella valuta del paese. La loro somma costituisce il capitale complessivo del Fmi, cui si attinge per le operazioni di prestito. Il Fmi funziona, quin-di, come una banca cooperativa, laddove i depositi versati dalla comu-nità vengono messi a disposizione di singoli membri in caso di biso-gno. Di fatto, solo una parte del capitale e’ disponibile, normalmente tra il 60 e l’80%, poiché non tutte le valute sono utilizzabili nelle tran-sazioni internazionali. Le quote servono anche ad altri scopi. Innanzi-tutto, esse sono prese a riferimento per determinare quanto i paesi

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pos-sono prendere a prestito. Inoltre, costituiscono la base per determinare il potere di voto dei singoli membri. Nel Fmi, infatti, non si vota, come in alcune organizzazioni internazionali, in base al numero di “te-ste”, ma in base al contributo di capitale versato. Ogni paese dispone di 250 voti base, più un voto per ogni parte della sua quota equivalente a 100.000 dsp. Quanto è più alta la quota del paese nel capitale del-l’organizzazione, tanto più elevato sarà il potere di voto. I voti base servono a garantire che ad ogni membro, per quanto piccolo, sia data la possibilità di votare. Dopo l’ultima riforma, che in corso di ratifica, i voti base saliranno a 750: una modifica che e’ stata approvata proprio con l’intento di dare maggiore rappresentatività ai paesi più piccoli. Di norma le quote vengono riviste a intervalli di cinque anni. Nel corso di queste revisioni si stabilisce, innanzitutto, se il capitale complessivo e’ adeguato o meno ai fabbisogni di liquidità dei paesi membri e al ruolo che il Fmi è chiamato a svolgere. A Bretton Woods il valore comples-sivo delle quote fu fissato a 8,8 miliardi di dollari, di poco superiore a quello contemplato nella proposta congiunta anglo-statunitense (8,5 miliardi). Tuttavia nel 1947 , quando il Fmi iniziò ad operare , le quote ammontavano solo a 7,7 miliardi di dollari , poiché non tutti i paesi che avevano partecipato alla conferenza avevano sottoscritto gli accor-di. Dopo l’ultimo aumento, deciso ad aprile del 2008, il capitale del Fmi ha raggiunto i 360 miliardi di dollari (circa 240 miliardi di dsp).

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Va detto che in termini reali, cioè in rapporto al prodotto o al commer-cio mondiali , la dimensione del Fmi non sia accresciuta rispetto alle origini, anzi si e’ notevolmente ridotta. Infatti, nel 1950 il capitale era circa il 6,5% del commercio mondiale, mentre oggi e’ solo l’1,5%. Le revisioni delle quote servono anche a valutare se esse sono in linea con il peso e il ruolo dei singoli paesi nell’economia mondiale. A tal fine vengono presi a riferimento vari indicatori, sia reali sia finanziari (ad es. il reddito nazionale, gli scambi commerciali con l’estero, le ri-serve in valuta). Nel 1947 gli Stati Uniti e il Regno Unito, i due paesi che avevano guidato i negoziati di Bretton Woods, detenevano quote di capitale pari al 35,6% e al 16,8% rispettivamente. Il peso del Regno Unito era di fatto ben maggiore di quanto possa sembrare, se si tiene conto delle sue colonie e domini, come l’India. Gli altri due maggiori azionisti erano a notevole distanza , la Cina (7,12%) e la Francia (6,8%). Oggi la quota degli Stati Uniti è appena la metà di quella del 1947, ma ancora sufficiente a dare a questo paese, un potere di veto su alcune decisioni. Il peso del Regno Unito si e’ invece molto ridi-mensionato ed e’ oggi pari ad appena il 4,5% del capitale, uguale a quello della Francia. I mutamenti nella struttura delle quote riflettono soprattutto l’ascesa della Germania e del Giappone al rango di princi-pali potenze economiche. Entrati nel Fmi nel 1952 , questi due paesi hanno ora quote intorno al 6%, che però restano significativamente

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più piccole di quella degli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Italia, la quota assegnatale nel 1947 fu di 180 milioni di dollari, il 2,3% del ca-pitale di allora. Ciò deluse le aspettative delle nostre autorità, che con-tavano su una assegnazione di almeno 250 milioni, più in linea con il peso della nostra economia. La quota dell’Italia e’ molto cresciuta ne-gli anni successivi, e oggi e’ pari al 3,3% del capitale, ma e’ sensibil-mente inferiore a quelle detenute da altri paesi avanzati non dissimili in termini di reddito nazionale (ad es. il Regno Unito). Mutamenti si-gnificativi delle quote relative sono avvenuti anche per i paesi non avanzati. Ad esempio, la Cina e l’India avevano originariamente quo-te percentuali decisamenquo-te più elevaquo-te rispetto a quelle di oggi. Vice-versa, hanno acquisito un rilievo l’Arabia Saudita e la Russia. Oltre che del capitale ordinario, il Fmi può avvalersi di alcune linee di cre-dito supplementari che può attivare in situazioni che minaccino la sta-bilità e il funzionamento del sistema monetario e finanziario interna-zionale. Queste risorse sono disponibili grazie a due accordi di credito , detti rispettivamente Gab (General Arrangements to Borrow) e Nab (New Arrangements to Borrow). Il Gab e’ un accordo tra il Fmi e i paesi del Gruppo dei 10 o G-10 (i paesi del G-7 più il Belgio , i Paesi Bassi e la Svezia) più la Svizzera. Esso impegna questi 11 paesi a prestare al Fmi, quando questi abbiano problemi di liquidità, am-montari prefissati dalle loro valute. La liquidità complessiva

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disponi-bile con il Gab e’ pari a 17 miliardi di dsp(circa 27 miliardi di dollari), di cui si aggiungono 1,5 miliardi grazie a un accordo parallelo con l’Arabia Saudita. Il Nab e’ un accordo simile al Gab, cui però parteci-pano molti più paesi oltre a quelli del Gab(in totale circa 40). Dopo l’aumento deciso nell’aprile del 2009, esso dà potenzialmente accesso a una linea di credito 588,6 miliardi di dollari, che e’però anche il massimo ottenibile qualora si attivino entambi i meccanismi. La facol-tà del Fmi di prendere a prestito e’ in teoria molto ampia. Sempre che vi sia il consenso del paese membro emittente la valuta desiderata, il Fmi può prendere a prestito anche da un paese non membro, cosi’ come non gli e’ precluso il diretto ricorso al mercato privato dei capi-tali. Quest’ultima possibilità non e’ mai stata sin ora attuata, sebbene se ne parli di tanto in tanto nei discorsi sulla riforma del Fmi. Invece, esso ha in varie occasione preso in a prestito direttamente da singoli paesi membri. Ad esempio tra il 1974 e il 1975, per aiutare i paesi col-piti dallo shock ai prezzi del petrolio furono conclusi alcuni accordi di prestito bilaterali, molti dei quali con paesi esportatori di petrolio che disponevano di abbondanti riserve di dollari.

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1.5 Gli organi decisionali

La struttura decisionale del Fmi non differisce molto da quella di una normale società di affari. Gli “azionisti”, cioè i 187 paesi membri, sono tutti rappresentati-tramite loro ministri o Governatori delle ban-che centrali- in un Consiglio dei Governatori (Board of Governors). Quest’organo, in cui sono riservate le decisioni su questioni di partico-lare rilevanza (ad es. gli aumenti delle quote o l’ammissione di nuovi membri), si riunisce solo una volta all’anno e le sue decisioni-di nor-ma prese a nor-maggioranza- vengono adottate anche al di fuori dei rego-lari incontri annuali, raccogliendo i voti dalle capitali per posta o tele-fax. Di fatto, gli indirizzi strategici dell’azionariato vengono formulati da un organo consuntivo ristretto, il Comitato monetario e finanziario internazionale (già Comitato interinale), cui partecipano i Governatori di soli 24 paesi. A questi si aggregano tutti gli altri, a formare quelle che vengono chiamate costituencies. L’Italia, ad esempio, che e’ da sempre rappresentata nel Comitato, ne presiede una che comprende, al momento, Grecia, Portogallo, Malta, Albania, San Marino e Timor Est. L’amministrazione vera e propria del Fmi e’ invece affidata a un Consiglio di amministrazione (Executive Board), composta da 24 Di-rettori esecutivi, i quali sono al tempo stesso dipendenti

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dell’organiz-zazione e rappresentati dai paesi membri. Il Consiglio, che e’ presie-duto dal Direttore generale (Managing Director), esercita in prima persona la funzione di sorveglianza, approva gli accordi di prestito e discute preliminarmente qualsiasi proposta che richieda una decisione dei Governatori. Per questo può essere considerato l’organo più im-portante del Fmi. In generale le decisioni del Fmi non sono mai prese isolatamente, senza cioe’ dar conto ai paesi membri. Anche quando sono il risultato dell’iniziativa dello staff o del Direttore generale, esse sono sempre in ultima istanza approvate dai paesi membri tramite il Consiglio di amministrazione o direttamente dal Consiglio dei Gover-natori. Il ruolo del Consiglio di amministrazione fu tra i temi più am-piamenti dibattuti a Bretton Woods. Il punto spinoso era quello ri-guardante il livello di impegno che i Direttori esecutivi avrebbero do-vuto dedicare all’incarico. Infatti, dovendo questi essere funzionari di rango molto elevato, era plausibile che essi continuassero a prestare servizio nei propri paesi e si recassero a Washington solo occasional-mente. Prevalse invece la soluzione opposta sostenuta soprattutto da-gli Stati Uniti, in base alla quale i Direttori esecutivi si sarebbero dedi-cati a tempo pieno all’amministrazione del Fmi. E così, in base allo Statuto, il Consiglio funziona “in sessione continua”, una formula complicata per dire appunto che i suoi componenti hanno base fissa a Washington e possono riunirsi in qualsiasi momento. Non è un caso

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che Keynes-il quale si era battuto perché la sede del FMI fosse stabili-ta in Europa o, semmai, a New York- fosse contrario a stabili-tale soluzione, temendo che la presenza costante dei Direttori a Washington li avreb-be più facilmente sottoposti al controllo politico del governo degli Sta-ti UniSta-ti (cosa che non sembra si sia verificata, eccetto ovviamente per il Direttore esecutivo statunitense). Originariamente il Consiglio di amministrazione era composto da 12 membri,o poltrone. Esse diven-nero 13 con l’ingresso nel FMI, nel 1947, dell’Italia, che nominò suo rappresentante Guido Carli, all’epoca del Consiglio di amministrazio-ne dell’Ufficio italiano cambi (Governatore per l’Italia era invece Lui-gi Einaudi, all’epoca vice primo ministro e ministro del Bilancio nel governo di Alcide de Gasperi). Col passare del tempo il numero delle poltrone si è accresciuto riflettendo, ancorché meno che promozional-mente, l’aumento del numero dei paesi membri dell’organizzazione, sino a raddoppiare nel 1992. Ogni Direttore esecutivo dispone di un numero di voti in proporzione alla quota del paese, o alla somma delle quote dei paesi, che esso rappresenta. Così, ad esempio, il potere di voto dell’Italia, che esso rappresenta. Così, ad esempio, il potere di voto dell’Italia, che come già detto presiede una costituency compren-dente altri 6 paesi, sale dal 3,31% (la percentuale di voti che essa pos-siede presa isolatamente) a quasi il 4,2. Il quorum necessario all’ap-provazione di una decisione è variabile, in alcuni casi essendo prevista

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la maggioranza semplice, in altri casi essendo prevista la maggioranza semplice, in altri quella qualificata, del 70 o dell’85% dei voti totali. In quest’ultimo caso gli Stati Uniti possono esercitare di fatto un pote-re di veto, essendo la loro quota superiopote-re al 15%. D’altro canto, lo stesso possono fare, almeno in linea di principio, gruppi di paesi, ad esempio quelli europei o quelli emergenti e in via di sviluppo, qualora si mettano d’accordo per votare omogeneamente. Per tradizione, nel Consiglio di amministrazione non si ricorre quasi mai al voto formale, ma si decide per “consenso” cioè determinando l’indirizzo prevalente di ogni discussione. Con questa pratica si vuole sottolineare il caratte-re cooperativo e unitario dell’istituzione. Ciò non vuol dicaratte-re, natural-mente, che non si tenga conto dell’effettivo potere di voto dei singoli rappresentanti. L’articolazione degli interessi all’interno del Consiglio di amministrazione e del Comitato monetario e finanziario internazio -nale, che è composto allo stesso modo- è complessa. Una distinzione sempre presente è quella tra i paesi più avanzati e gli altri. Nell’attuale Consiglio questi ultimi sono 11 (se si include la Russia), con un totale di voti pari al 30% e, quindi, in grado di influenzare significativamen-te le decisioni finali. Questa distinzione può essere ancora utile per al-cune questioni. Ad esempio, le economie emergenti e i Pvs tendono a supportare maggiormente gli aumenti di capitale, le nuove allocazioni di dsp e le istanze di finanziamento, essendo essi i principali

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benefi-ciari di tali decisioni. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli interes-si all’interno del Coninteres-siglio di amministrazione non interes-si articolano quainteres-si mai in base a due soli blocchi. Innanzitutto è raro che i paesi avanzati si muovano in modo compatto. Un primo motivo di ciò è legato all’ar-ticolazione del Consiglio in constituencies. Molti Direttori esecutivi espressione di paesi avanzati si trovano infatti a rappresentare anche Pvs o economie emergenti (e in alcuni casi è anche previsto che la rap-presentanza sia a rotazione). In secondo luogo esistono vari schiera-menti anche tra gli stessi paesi avanzati. I paesi del G7 (cioè i paesi dell’attuale G8 senza la Russia), che nel Consiglio assommano voti pari a circa il 43% del totale, tendono spesso a coordinarsi tra loro per indirizzare le decisioni del Consiglio, e non sempre le loro posizioni sono condivise dai paesi industriali piccoli (Belgio, Paesi Bassi, Au-stralia,Svezia). Esiste, naturalmente anche un coordinamento tra i 7 Direttori dei paesi dell’Unione europea (Ue), il cui peso in termini di voti è pari al 32% circa del totale, ben superiore a quello degli stati uniti (16,7%). Le posizioni dei paesi industriali sono ovviamente an-che influenzate dai loro interessi geopolitici. Il Direttore generale, ol-tre a presiedere il Consiglio di amministrazione e la struttura organiz-zativa è colui che rappresenta legalmente il FMI e può parlare a suo nome. Il suo mandato è di 5 annialla fine dei quali può essere rieletto. La sua influenza sulle strategie del FMI è determinante e la storia

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mo-stra, come il FMI si sia evoluto anche in funzione delle personali vi-sioni degli uomini che hanno occupato questa poltrona.

1.6 Il nuovo contesto in cui il Fondo

Moneta-rio Internazionale si trova ad operare

Come già ampiamente detto, il FMI è una organizzazione a carattere praticamente universale: dagli iniziali 29 i paesi membri sono divenuti 187. Gli ultimi ad entrare sono stati il Kosovo, nel Maggio 2009 e Tu-valu, un piccolo atollo del Pacifico, nel giugno 2010. Restano fuori al-cuni micro-stati e qualche paese a regime dittatoriale come la Korea del Nord e Cuba. A quasi 70 anni di distanza dal miracolo di Bretton Woods, l’economia mondiale ha subito notevoli trasformazioni e crisi a ripetizione: la caduta del sistema di cambi fissi e gli shock petroliferi degli anni ’70; la crisi debitoria negli anni ’80; la caduta del muro di Berlino e il conseguente ingresso sulla scena mondiale delle economie ex-sovietiche; le crisi finanziarie che hanno interessato diversi mercati emergenti nel corso degli anni ’90; la creazione della valuta comune europea, l’Euro; infine la più grave crisi economico finanziaria dal do-poguerra, ancora in corso. Il contesto di riferimento in cui il Fondo Monetario Internazionale è profondamente mutato. Oggi parliamo ad

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esempio, correntemente di economia globale, per sottolineare il fatto che i mercati nazionali delle merci, dei servizi e dei capitali si sono fortemente integrati. Oppure ci riferiamo al sistema monetario e finan-ziario internazionale poiché la distinzione tra i mercati delle valute e quelli del credito è spesso più concettuale che reale. In questo lungo arco di tempo lo statuto del’FMI ha subito 4 emendamenti ma il suo impianto è però rimasto inalterato così come inalterati sono rimasti gli obiettivi originari dell’istituzione. Ciò a dimostrazione del fatto che la natura del’FMI nel corso della sua storia non è stata fondamentalmen-te modificata, sebbene esso abbia continuamenfondamentalmen-te affinato gli strumenti a propria disposizione per i suoi fini istituzionali.

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CAPITOLO II

PROCESSO DI

UNIFICA-ZIONE EUROPEA

''L'eurozona deve cambiare le sue politiche d'austerity. Perchè l'euro funzioni occorrono una vera unione bancaria con regole comuni, un'assicurazione unica per i depositi dei risparmiatori, una vigilanza europea; poi ci vuole la vera unione fiscale, l'emissione di euro-bond. Il sistema attuale è instabile, incompiuto. Ci vuole più Europa oppure meno euro, non si può restare a metà del guado.''

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2.1 Il Trattato di Maastricht, anche

detto Trattato sull'Unione Europea.

Con il Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993, detto anche Trattato sull'Unione europea (TUE), il quadro comunitario subisce un'ulteriore ed importante modi-fica. Con tale Trattato si viene a formare una Unione monetaria e una Unione Europea avente finalità politiche generali. L'Unione europea elaborata dal Trattato di Maastricht non creava una organizzazione in-ternazionale che andasse ad affiancarsi a quelle già esistenti ma sem-plicemente all'art 1 affermava8:

''Con il presente trattato, le Alte Parti contraenti istituiscono tra loro

un'Unione Europea, in appresso dneominata 'Unione'. Il presente trat-tato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini. L'Unione è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato. Essa ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le rela-zioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli.''

8TRATTATO DI MAASTRICHT Trattato sull'Unione Europea, Gazzetta ufficiale n. C 191 del 29 luglio 1992

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Con la realizzazione della nuova struttura gli Stati avrebbero continua-to a seguire il cosiddetcontinua-to ''sistema comunitario'' (cedere parte della so-vranità statale alle istituzioni comunitarie) nelle materie afferenti il primo pilastro, quello riguardante le tre comunità, viceversa, nel se-condo e nel terzo pilastro, rispettivamente ''Politica estera e sicurezza comune'' e, oggi, ''Cooperazione di polizia giudiziaria in materia pena-le'', gli Stati, restii in tale materia a rinunciare alla loro sovranità svrebbero comunque potuto perseguire obiettivi comuni attraverso il cosiddetto ''metodo intergovernativo'', ossia tramite una cooperazione internazionale tra Stati esterna alla Comunità, ma ad essa strettamente collegata. Le istituzioni delle comunità hanno competenze e funzioni e agiscono nell'ambito delle azioni comuni a tutti gli Stati, i quali si im-pegnano a rispettare la volontà delle stesse e ad intervenire solo nelle forme e con le modalità espressamente stabilite dai Trattati. La colla-borazione di carattere intergovernativo propria dei due ulteriori pilastri creati con il TUE privilegia, invece, la sovranità statale rispetto alle istituzioni comunitarie, seppure le stesse siano in varia misura coin-volte nella realizzazione delle politiche dell'Unione. 9Il Trattato

sull'U-nione europea, da un punto di vista strutturale, si presenta come un te-sto alquanto complesso, corredato da 18 Protocolli e 33

Dichiarazio-9 I testi dei trattati, degli atti legislativi, della giurisprudenza e delle proposte legislative possono essere consultati su .EUR-Lex, la banca dati del diritto dell'Unione europea

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ni. In esso sono contenute alcune ''disposizioni comuni'' ai tre pilastri (Titolo I) ove vengono indicati, nell'art 2 TUE, gli obiettivi che l'Unio-ne si prefigge. Il Titolo II è dedicato alle modifiche apportate al Tratta-to CEE che, come già evidenziaTratta-to, perde la propria connotazione stret-tamente economica e muta la denominazione in Comunità europea (CE). Tra gli aspetti maggiormente innovativi introdotti in tale ambito dal Trattato in parola meritano una particolare attenzione l'instaurazio-ne di un'Uniol'instaurazio-ne economica e mol'instaurazio-netaria che, ha dato luogo all'entrata in vigore, nel gennaio 2002, della moneta unica europea, l'Euro. L'isti-tuzione di una ''cittadinanza europea'', la formulazione del cosiddetto ''principio di sussidiarietà'' e l'ampliamento del ruolo e delle funzioni attribuite al Parlamento europeo. I Titoli III e IV riguardano le modifi-che introdotte ai Trattati CECA ed Euratom. Nel Titolo V e VI ci sono le disposizioni dedicate ai due nuovi pilastri ''Politica estera e sicurez-za comune'' e '' Giustizia ed Affari interni'' poi, con il Trattato di Am-sterdam, ''Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale'' in seguito alla ''comunitarizzazione'' delle dispozioni dedicate ad alcuni aspetti inerenti la libera circolazione delle persone. Il Titolo VII con-tiene disposizioni dedicate alla ''cooperazione rafforzata''. Infine, il Ti-tolo VIII è dedicato alle ''disposizioni finali''.

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2.2 Le teorie dell’integrazione

Il processo di unificazione europea è oggetto di studio da parte di nu-merose discipline e di diversi approcci teorici ormai da numerosi de-cenni. Specialmente dopo l’Atto Unico del 1986 tutte le scienze socia-li hanno dovuto confrontarsi in maniera approfondita con tale proces-so in virtú dello sviluppo istituzionale, politico, giuridico, economico e sociale, e dell’influenza sulla vita reale dei cittadini, che erano stati raggiunti. Diverse teorie e diverse discipline si sono quindi concentra-te su numerosi aspetti del processo a differenti livelli di analisi, dando vita ad un corpus teorico di grande rilievo, ma spesso atto a spiegare solo alcuni aspetti del funzionamento dell’Unione europea piuttosto che del processo di integrazione nel suo insieme.

Le macro-teorie dell’integrazione continuano a poter essere raggrup-pate sostanzialmente in tre famiglie fondamentali: quella realista o in generale intergovernativa, quella neo-funzionalista, e quella federali-sta. Esse si dividono sull’individuazione degli attori fondamentali del processo, sul tipo di motivazione (economica, politica, ideologica) delle loro scelte, sul rapporto tra integrazione economica settoriale e creazione di istituzioni e meccanismi decisionali europei sovranazio-nali, sulla dinamica del processo e i meccanismi decisionali che la

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de-terminano, e sul possibile/auspicabile obiettivo finale dell’integrazio-ne. Tutte hanno vissuto fasi di ripensamento o di diffusione a seconda della corrispondenza con una certa fase del processo. In diversa misu-ra tutte hanno mostmisu-rato difficoltà nello spiegare – oltre che nel preve-dere – i “tempi” dell’integrazione.

Ci sono due schemi concettuali principali che sfruttano i punti di forza delle principali teorie dell’integrazione, pur essendo stati elaborati nel-l’ambito della tradizione federalista. Alla base di tali schemi concet-tuali c'è un punto di partenza dato dal NTUE (Nuovo Trattato sull' Unione Europea, cioè il TUE modificato in seguito al Trattato di Li-sbona), poiché gli obiettivi contemplati nel trattato vengono perseguiti dall'UE con i mezzi appropriati in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati. Il NTUE afferma quindi, e ribadisce all'art 5, il principio di attribuzione delle competenze, in virtù del quale l'a-zione dell'Unione deve sempre trovare il proprio fondamento in una specifica attribuzione di competenza che, se non attribuita all'UE nel-l'ambito dei Trattati, come specificato nell'art 4 NTUE, appartiene agli Stati membri. Come affermato, in dottrina le indicazioni inerenti l'at-tribuzione delle competenze si presentano come ripetitive e ridondan-ti, ''sintomo della volontà degli Stati membri che vi sia assoluta

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Dunque il primo riguarda la distinzione tra costruzione, integrazione e unificazione, che permette di concettualizzare in maniera dinamica il rapporto fra trasferimento di competenze a livello europeo e la crea-zione di meccanismi istituzionali sovranazionali. Il secondo schema “Crisi-Iniziativa-Leadership” aiuta a ripensare la definizione degli at-tori e delle loro logiche, e a spiegare i tempi dei successi e dei falli-menti del processo di unificazione europea.

La natura delle Comunità e poi dell’Unione europea (Ue), gli attori ed i meccanismi decisionali fondamentali del processo di integrazione, ed i probabili sbocchi del processo stesso costituiscono le questioni fon-damentali affrontate dalle teorie dell’integrazione europea.

La scuola di pensiero intergovernativa - o confederale o internaziona-lista - considera i governi come gli attori fondamentali che controllano il processo di integrazione, e quindi la Comunità e poi l’Unione euro-pea come un’organizzazione internazionale, che può divenire sempre più sofisticata, ma senza mettere in gioco l’essenza della sovranità de-gli Stati membri.

Il filone neo-funzionalista considera l’integrazione europea come un processo dinamico di superamento della sovranità assoluta degli Stati che dovrebbe portare infine all’unione politica senza soluzione di con-tinuità sotto la guida delle elitès tecnocratiche formatesi nell’ambito delle istituzioni sovranazionali.

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