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Segue:Le innovazioni connesse alla regola del pareggio di bilan-

3.6 La Riforma delle regole relative alla sorveglianza sui bilanci: le modi-

3.6.1 Segue:Le innovazioni connesse alla regola del pareggio di bilan-

Le prime due serie di modifiche menzionate, vale a dire il rafforza- mento del Patto di stabilità e la nuova procedura volta ad identificare e a prevenire l’emergere di squilibri macroeconomici, contengono senza dubbio novità rilevanti ed incisive ai fini della disciplina pubblicistica dei bilanci statali. Tuttavia esse rappresentano un approfondimento ed irrobustimento di un impianto preesistente. Infatti la prima interviene sul Patto di stabilità, mentre la seconda è attuativa dell’art 121 TFUE. Del tutto inedita e concettualmente innovativa è invece la revisione dell’inserimento della regola del pareggio di bilancio a livello delle si- tuazioni degli Stati membri. Le novità più significative sembrano tre. Anzitutto le regola fissata nell’art 3, par 1, lett (a) del Fiscal Compact innova, almeno sul piano formale, il principio di virtuosità del bilancio consacrato nel Patto di stabilità. In quest’ultimo, come anche sopra ri- cordato, il benchmark oltrepassato con il quale si entra nell’area di il- legittimità e si supera il 3% del PIL, il disavanzo è ammesso dal Patto. Diversamente, la regola dell’art 3 stabilisce che la posizione di bilan- cio della pubblica amministrazione debba essere “in pareggio o in

avanzo”, dunque esclude, almeno in via di principio, che ci possa es- sere un disavanzo. E’ ben vero che con la riforma del Patto di stabilità del 2005, un saldo prossimo al pareggio di bilancio o in attivo può rappresentare l’obiettivo a medio termine individuato per qualche sta- to membro, ma a livello di diritto primario e di principio il Patto am- metteva (e ammette) l’esistenza di un deficit, mentre tale non è il caso in base alla regola del pareggio di bilancio.

In secondo luogo, l’art 3, par 2 del Fiscal Compact rappresenta lo stru- mento attraverso il quale si è compiuta una prima declinazione nel set- tore della politica economica e monetaria del principio di solidarietà tra Stati membri fissato all’art 3, par 3 TUE. Infatti , nel quinto capito- lo del MES viene riconosciuto e accettato che la concessione dell’as- sistenza finanziaria prevista da tale trattato è subordinata, a decorrere dal 2013, alla ratifica del Fiscal Compact da parte dello stato interes- sato e, dopo la scadenza del periodo di recepimento dell’art 3, par 2 del Fiscal Compact, al rispetto dei requisiti stabiliti da tale disposizio- ne. Con questa ulteriore e inedita clausola di condizionalità si stabili- sce che la solidarietà degli Stati è riconosciuta solo se in cambio viene data, a livello costituzionale, garanzia di disciplina di bilancio.

In terzo luogo l’art 3 del Fiscal Compact rappresenta ad oggi l’unico caso in cui gli impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione Euro- pea richiedono adempimenti definiti a livello costituzionale. Ci pare

che ciò denoti al tempo stesso una forza e una debolezza del sistema dell’Unione. L’elemento di forza consiste nella dimostrazione che l’appartenenza all’Unione può implicare anche una modifica sostan- ziale della costituzione degli Stati membri. Si tratta di un fenomeno inedito. Non si è infatti di fronte né ad una tradizionale espressione del principio del primato del diritto dell’Unione sul diritto nazionale, compreso quello di natura costituzionale, né ad una classica ‘clausola europea’ ossia una modifica costituzionale richiesta ai fini dell’adatta- mento dell’ordinamento statale a quello dell’unione. In questo caso l'appartenenza all'Unione ha imposto l'adozione- e non la disapplica- zione- di una norma nazionale di livello costituzionale, il cui contenu- to ha carattere materiale, e non di rinvio o di adattamento. Per contro, la debolezza del sistema è manifestata dalla circostanza che l inseri- mento del pareggio di bilancio nelle costituzioni rappresenta fonda- mentalmente una risposta all'inefficacia delle disposizioni di discipli- na dei bilanci già previste dai trattati ed operanti secondo le dinamiche tradizionali del diritto dell'Unione. Si è più sopra ricordato il numero delle violazioni del Patto di stabilità e le ragioni per le quali non si sono mai applicate le sanzioni previste dall'art 126 TFUE. L'obbligo di recepimento della regola del pareggio di bilancio va dunque inteso come una decisione diretta a rafforzare, attraverso disposizioni di na- tura costituzionale, una disciplina europea che ha palesato un'incapaci-

tà congenita di assicurare l'obiettivo perseguito. Naturalmente la novi- tà e la rilevanza sul piano concettuale dell'obbligo dell'inserimento in costituzione della norma sul pareggio di bilancio non implicano neces- sariamente un altrettanto alto grado di concreta efficacia della norma medesima. Si vuole dire con ciò che sull'effettiva utilità di tale regola è lecito nutrire dubbi ed al riguardo è opportuno attendere la sua con- creta applicazione all'interno degli ordinamenti nazionali. A tal propo- sito si consideri quanto avvenuto nell'ordinamento italiano. Com'è noto, nel nostro Paese l'art 3 del Fiscal Compact ha comportato la mo- difica dell'art 81 Cost. Quest'ultimo, che originariamente conteneva solo l'obbligo della copertura delle spese, ha recepito il pareggio di bi- lancio stabilendo sostanzialmente due regole. Per un verso che tra en- trate e spese sussista equilibrio che tenga conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Per l'altro il ricorso all'inde- bitamento è consentito al fine di considerare gli effetti del ciclo econo- mico e previa autorizzazione delle camere adottata a maggioranza as- soluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Questi ultimi sono rappresentati -sempre in linea con il Fiscal Com- pact- da gravi recessioni economiche, da crisi finanziarie o gravi cala- mità naturali. Mi domando però se una simile disciplina potrà mai avere applicazione disgiuntamente o in dissonanza dalle disposizioni del Patto di stabilità e della procedura di sorveglianza degli equilibri

macroeconomici. Potrà concretamente, ad esempio, darsi il caso in cui lo stato italiano decida di procedere al ricorso all'indebitamento senza aver concertato tale iniziativa a livello europeo ed in base alle valuta- zioni esperite conformemente alle disposizioni dell'Unione? Se ciò è assai irrealistico, la regola costituzionalizzata relativa al pareggio di bilancio sembra superflua.

3.7 Fiscal Compact

Tra gli atti adottati per far fronte alla crisi si distinguono due catego- rie: alcuni si collocano all'interno, altri all'esterno del diritto dell'Unio- ne. Nella prima categoria rientrano il Six Pack, l'istituzione del Mes e la modifica dell'art 136 Tfue31; nella seconda tutti gli altri atti,sia pure

con qualche particolarità per quel che riguarda il Fesf e il Patto Euro Plus. Le regole contenute nel Fiscal Compact mirano a rafforzare il Patto di stabilità, il quale era già incluso nei trattati europei già parten- do dal Trattato di Maastricht, e le vigenti procedure per deficit eccessi-

31La Costituzione è stata novellata all'art. 81 in data 18 aprile 2012 (Temi dell'attività Parlamentare - Il pareggio di bilan- cio in Costituzione), legge costituzionale n.1/2012, pubblicata nella G.U. del 23 aprile 2012 (LEGGE COSTITUZIONALE 20 aprile 2012, n. 1); il nuovo articolo reca al comma primo:Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del pro-

prio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico; il novellato secondo comma

statuisce invece che:Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e,

previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi ec- cezionali.

vo art. 5 Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’u- nione economica e monetaria ‐ Tscg introdotte successivamente. Per adottarlo serviva una revisione dei vigenti trattati dell’Unione Tue e sul Funzionamento dell’Unione Tfue. Tuttavia, a causa del rifiuto del Regno Unito, poi appunto seguito dalla Repubblica Ceca, non è stato possibile percorrere tale strada, la quale avrebbe richiesto la firma e ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Si noti che questi Stati avreb- bero potuto tenere un atteggiamento più cooperativo con gli altri senza necessariamente divenire parti del Tscg: sarebbe infatti stato sufficien- te consentire a modifiche del Tue e Tfue negoziando appositi protocol- li di opting out come avviene attualmente per l’acquis Schengen. Il Regno Unito aveva però avanzato durante i negoziati richieste volte a pregiudicare la possibilità di introdurre in futuro una tassa sulle transa- zioni finanziarie, cosa che gli altri Stati non hanno accettato. D’altro canto, com’è noto, il Fiscal Compact è stato comunque fortemente vo- luto dalla Germania, non solo per ragioni elettorali, ma anche adottato per rassicurare i mercati finanziari internazionali sulla stabilità dei bi- lanci degli Stati europei. Tale Stato ha potuto persuadere gli altri ad accettare più stretti vincoli di bilancio, dall’alto del proprio ruolo di maggior contribuente del Fondo Salva Stati Mes. Per tali ragioni il Tscg ha preso dunque la via di un’integrazione differenziata, non al- l’interno del quadro dei Trattati istitutivi com’è stato il caso delle di-

sposizioni relative all’euro ai tempi del Trattato di Maastricht, ma al- l’esterno degli stessi. Si potrebbe a prima vista pensare che il fatto di procedere all’adozione del Tscg solo fra alcuni Stati membri dell’U- nione europea, senza la partecipazione di due Stati che nemmeno ap- partengono alla zona euro, sia pienamente fisiologico, non solo perché esempi di integrazione differenziata fra gli Stati membri dell’Ue me- diante strumenti di diritto internazionale non sono affatto inediti si pensi all’accordo di Schengen o a quello di Pruem che disciplina la cooperazione transfrontaliera, ma anche perché il Tscg, rivolto princi- palmente, anche se non esclusivamente, alla stabilità dell’eurozona, ri- guarda una materia che per definizione è nata come un’integrazione differenziata fra gli Stati membri dell’Unione europea. Com’è noto, da un lato per entrare a far parte della zona euro è necessario rispettare i parametri fissati dal Trattato di Maastricht, e all’altro gli Stati che pur rispettando tali parametri non desiderano entrarvi godono di una dero- ga prevista dai Trattati stessi. In realtà, il fatto di non aver potuto pro- seguire in un’integrazione differenziata “interna” al sistema dei Tratta- ti istitutivi, dovendosi invece ricorrere alla via “esterna” del Trattato internazionale, comporta una serie di conseguenze che il presente la- voro cercherà di chiarire. La stretta correlazione con le norme sull’eu- ro e sul Patto di stabilità contenute nei Trattati hanno comunque indot- to ad agganciare il più strettamente possibile il Tscg al quadro dei

Trattati dell’Ue, anche se nei limiti imposti dalla natura “esterna” del primo. Occorre innanzitutto chiarire quale tipo di integrazione diffe- renziata si potrà produrre all’entrata in vigore del Tscg. In realtà già attualmente sia l’euro che la politica economica sono realtà a geome- tria variabile. Sotto il primo profilo, accanto ai diciassette Stati del- l’Eurozona e ai due con deroga Danimarca e Regno Unito, occorre in- fatti considerare non solo i rimanenti otto Stati membri dell’Unione europea, ma anche quegli Stati non membri che pure utilizzano l’euro in virtù di accordi internazionali San Marino, Vaticano e Monaco o per loro decisione Montenegro e Kosovo. Sotto il secondo profilo, al c.d. “Patto Europlus”, riedizione più stringente del Patto di stabilità e cre- scita, adottato nel 2011 aderiscono attualmente tutti gli Stati membri dell’Unione europea salvo il Regno Unito, la Repubblica Ceca, la Sve- zia e l’Ungheria. Quello che qui interessa analizzare è tuttavia solo l’effetto di geometria variabile che si produrrà con il Fiscal Compact all’interno dell’Unione europea.Per raffigurare tale situazione si pos- sono immaginare quattro cerchi concentrici: il più interno – e più ri- stretto – riguarda gli Stati che avranno ratificato il Fiscal Compact, un numero che non può essere inferiore a dodici membri della zona euro, soglia che l’art. 14 par. 2 del Tscg prescrive per l’entrata in vigore del- lo stesso. Un secondo cerchio, più ampio, riguarda gli Stati dell’euro- zona che non ratificheranno il Tscg; tale cerchio è solo potenziale, in

quanto nulla esclude che tutti i membri dell’eurozona ratifichino que- st’ultimo, ma recenti dichiarazioni di alcuni Stati fanno pensare che non si tratti di un’ipotesi del tutto irreale. Un terzo cerchio riguarda gli Stati non membri della zona euro firmatari del Tscg che lo ratifichino; ad essi, in virtù dell’art. 14 par. 4 dello stesso, si applicheranno solo le parti III e IV del nuovo Trattato vale a dire gli artt. 3‐11, anche se ovviamente il Tscg sarebbe loro applicato integralmente qualora en- trassero nella zona euro. Anche a tali Stati si estende, in particolare, l’impegno di cui all’art. 9 Tscg, di cercare di promuovere una posizio- ne unitaria all’interno dell’Ue per favorire il buon funzionamento del- l’Uem e la crescita economica, attraverso una rinforzata convergenza e competitività. Almeno una volta l’anno i capi di stato e di governo di questi Stati parteciperanno all’Eurosummit, secondo quanto previsto dall’art. 12 par. 3 del Tscg.32 Il quarto cerchio è rappresentato dagli

Stati che pur non ratificando il Fiscal Compact siano invece parti del Patto Europlus. Un quinto cerchio esterno comprende il Regno Unito e la Repubblica Ceca33, ma in esso si potranno situare anche tutti que-

gli Stati del quarto cerchio che poi non ratifichino il Tscg. Anche que- st’ultimo cerchio non è comunque rigidamente circoscritto, in quanto l’art. 15 del Tscg apre quest’ultimo all’adesione degli Stati dell’Ue che non lo hanno firmato, sulla base di un semplice deposito dello stru- 32 Europa, firmato il nuovo patto di bilancio, la Repubblica, 2 marzo 2012.

mento di accessione dello Stato che intende aderire. In realtà, all’inter- no di questa costruzione concentrica, è immaginabile anche un sesto e ancora più ristretto cerchio. L’art. 10 del Tscg prefigura infatti la pos- sibilità che gli Stati aderenti instaurino una cooperazione rafforzata ex artt. 20 Tue e 326 Tfue in materie che siano essenziali per il buon fun- zionamento dell’area euro, senza arrecare pregiudizio al mercato inter- no. Quest’ultimo articolo sembra trasformare per gli Stati aderenti al Tscg in un obbligo internazionale quella che per i Trattati Ue è solo una opportunità. Tuttavia, poiché per creare una cooperazione raffor- zata in seno all’Ue sono attualmente sufficienti otto Stati membri, non si può escludere che tale cooperazione avvenga in una sfera ancora più ristretta all’interno dei membri del Fiscal Compact. Occorre poi consi- derare che il Fiscal Compact è legato in quanto in un certo senso ne costituisce il contrappeso e il contraccambio al futuro Meccanismo eu- ropeo di stabilità Mes, il c.d. “fondo salva Stati” che dovrebbe sosti- tuire l’attuale Fondo europeo di Stabilità Finanziaria. Com’è stato de- ciso dal Consiglio europeo del 24/25 marzo 2011, il Mes sarà stabilito con un Trattato internazionale fra gli Stati dell’eurozona, come un ente finanziario disciplinato dal diritto internazionale e avrà sede a Lus- semburgo. Gli Stati contraenti sottolineano che l’accesso ai finanzia- menti di tale Fondo sarà possibile solo per gli Stati che abbiano ratifi- cato entro il 1º marzo 2013 il Fiscal Compact e onorino gli impegni di

cui all’art. 2 comma 3 di quest’ultimo. Anche se si può discutere sulla capacità di condizionare giuridicamente l’applicabilità del Mes, è evi- dente il suo potere deterrente, poiché gli azionisti di maggioranza del futuro Fondo di Stabilità, non a caso tenaci promotori del Fiscal Com- pact, avrebbero un’ottima scusa per non ammettere uno Stato agli aiuti del Fondo Salva Stati.Come si vede, il Tscg può aumentare, con riferi- mento all’integrazione in materia economica e monetaria, il grado di differenziazione fra gli Stati membri dell’Ue, inclusi quelli dell’euro- zona. Inoltre, anche nell’ipotesi che tutti i firmatari lo ratifichino, esso introduce, attorno alla zona euro, una fascia “satellitare” di Stati che pur non condividendo, almeno per il momento, la moneta comune si impegnano a rispettare i vincoli e le procedure di stabilità fissati dal Tscg. Si noti che gli Stati non appartenenti all’eurozona non possono nemmeno beneficiare del “Fondo salva Stati”. Solo adottando l’euro diverranno membri a pieno titolo anche del Trattato Mes, anche se po- trebbero partecipare alle decisioni di quest’ultimo nell’assai improba- bile ipotesi che decidano di supportare, dall’esterno, un’operazione di salvataggio di uno Stato dell’eurozona condotta dal Mes. Ci si può dunque chiedere quale interesse abbiano questi Stati ad agganciarsi ai parametri rigorosi del Fiscal Compact, accettando il “bastone” senza nemmeno la prospettiva della “carota” del Mes. La risposta più verosi- mile va cercata nel desiderio di tali Stati di rassicurare i mercati sulla

tenuta della propria valuta nazionale, scoraggiando la speculazione in- ternazionale. L’impossibilità di ricorrere alla revisione dei Trattati isti- tutivi ha influenzato sotto molti aspetti la fisionomia del Tscg. Que- st’ultimo avrà indubbiamente la conseguenza di aumentare sia il grado di integrazione differenziata all’interno ed all’esterno della zona euro che il metodo intergovernativo. C'è però una fascia “satellitare” di Sta- ti che pur non condividendo, almeno per il momento, la moneta comu- ne si impegnano a rispettare i vincoli e le procedure di stabilità fissati dal Tscg. Si noti che gli Stati non appartenenti all’eurozona non posso- no nemmeno beneficiare del “Fondo salva Stati”. Solo adottando l’eu- ro diverranno membri a pieno titolo anche del Trattato Mes, anche se potrebbero partecipare alle decisioni di quest’ultimo nell’assai impro- babile ipotesi che decidano di supportare, dall’esterno, un’operazione di salvataggio di uno Stato dell’eurozona condotta dal Mes.

Questo Trattato non imprime una direzione definitiva all’integrazione economica e monetaria e, in ultima analisi, all’Unione europea. Lo stesso Tscg art. 16 prevede che dopo cinque anni dalla propria entrata in vigore le Parti contraenti adottino i passi necessari per incorporarne la sostanza nel quadro giuridico dell’Ue, nel rispetto delle norme di quest’ultima. Si profila dunque per il Fiscal Compact un percorso si- mile a quello degli Accordi di Schengen, nati sul piano “esterno”, in- ternazionale, e poi incorporati con il Trattato di Amsterdam all’interno

della struttura giuridica dell’Unione europea. Poiché le modifiche ne- cessarie riguardano la parte III del Tfue e non comportano estensioni di competenze dell’Ue l’euro è fra l’altro competenza esclusiva del- l’Unione, per trasformare il Tscg in diritto dell’Ue sarà possibile se- guire la procedura di revisione speciale di cui all’art. 48 comma 6 Tue, dunque senza fare ricorso né ad una Convenzione né ad una Conferen- za intergovernativa. Parimenti a quanto è già stato fatto per modificare l’art. 136 Tfue, il governo di uno Stato membro, il Pe e la Commissio- ne potranno presentare il relativo progetto al Consiglio europeo, che delibererà all’unanimità previa consultazione del Pe, della Commis- sione e della Bce. La decisione potrà entrare in vigore solo previa ap- provazione degli Stati membri conformemente alle loro norme costitu- zionali. È evidente che, benché la procedura di revisione semplificata comporti rispetto alla procedura di revisione ordinaria un minor ricor- so agli organi democratici e meccanismi decisionali più rapidi, l’una- nimità richiesta in seno al Consiglio europeo potrebbe continuare a pa- ralizzare l’incorporazione del Tscg. Quanto al Trattato Mes, una sua incorporazione non sembra affatto probabile, poiché, come si è detto, esso mira a stabilire, sulla falsariga del Fmi, un’organizzazione inter- nazionale autonoma. Il Tscg ed il Trattato Mes sono il frutto di deci- sioni fortemente invocate, ma a lungo rimandate, e poi prese sul filo di contingenze, anche elettorali, interne agli Stati membri e di emergen-

ze, sempre più convulse, legate ai mercati. I due trattati, diversi ma

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