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Nutrizione, generazione, continuità della natura

«l'essere per i viventi è il vivere» (De an. II 4, 415b 12-13).

1 Finalità nella nutrizione e nell'accrescimento

Tornando ora allo scritto Sull'anima, risulta necessario anzitutto richiamare alla mente che la nutrizione (trophe) e l'«accrescimento (auxesis), insieme alla generazione (genesis), costituiscono secondo Aristotele i tre processi biologici basilari comuni a tutti gli enti naturali dotati di vita. In De an. II 4 il filosofo osserva che la causa principale della nutrizione e dell'accrescimento degli enti naturali è la psyche, in quanto nessuna delle sostanze prive di anima appare in grado di nutrirsi o di crescere. Un'eccezione sembra essere rappresentata dal fuoco, che tuttavia non può costituire l'aitia «in senso assoluto [haplos]» di trophe ed auxesis151 in quanto l'accrescersi di tale elemento procede «all'infinito [apeiron]», mentre la nutrizione e la crescita delle sostanze viventi sono in maniera evidente dotate di un «limite ed una proporzione della loro grandezza [peras kai logos megethous]».

Di conseguenza, afferma significativamente Aristotele, trophe ed auxesis «dipendono dall'anima e non dal fuoco, dalla forma piuttosto che dalla materia [kai logou mallon he hyles]», ed inoltre dal telos, in quanto l'organismo compiuto e dotato di proporzione rappresenta anche il fine cui tendono i differenti processi di nutrizione e crescita degli organismi animati (De an. II 4, 416a 9-19).

È chiaro quindi che per Aristotele l'accrescimento consiste in uno sviluppo della grandezza dell'organismo entro un determinato limite e secondo determinate proporzioni, mentre la nutrizione viene definita come una dynamis «capace di conservare [sozein] l'essere che la possiede in quanto tale» (416b 18-19).

A proposito della nutrizione, Aristotele dichiara che le due principali teorie sostenute dai predecessori, quella secondo cui «il simile [to homoion]» si nutre del simile e quella secondo cui «il contrario [to enantion]» si nutre del contrario152, sono entrambe dotate di una parziale 151 Come invece sosterrebbe Eraclito.

152 È possibile attribuire con una certa sicurezza la teoria secondo cui il simile si nutre del simile ad Empedocle e Democrito, ma i sostenitori di queste dottrine sono comunque difficili da identificare. Movia (2002, p. 271 n. 96 e n. 100) ipotizza che la prima teoria possa essere attribuita anche ad Anassagora, connettendo inoltre la dottrina secondo cui il contrario si nutre del proprio contrario al pensiero di Eraclito, Anassimene e Senofane.

verità. In un primo momento, spiega infatti il filosofo, l'alimento «muta [metaballein]» e viene «elaborato [pettesthai]» dall'organismo in quanto contrario, dato che «il simile non può subire un'alterazione da parte del simile», mentre alla fine del processo, quando ormai l'alimento è stato elaborato e si trova nel suo «stato ultimo», è corretto affermare che il simile si nutre del simile (416a 29-416b 9).

I principali fattori coinvolti nella dinamica nutritiva sono tre: a) il soma empsychon, vale a dire «ciò che viene nutrito [to trephomenon]», b) l'alimento, ovvero ciò tramite cui il corpo «si nutre [ho trephetai]», ed infine c) «la prima anima [prote psyche]», quella nutritiva, ossia «ciò che nutre [to trephon]». Più precisamente, l'anima realizza il processo nutritivo attraverso due elementi fondamentali: il primo è appunto l'alimento, che rappresenta la causa materiale della nutrizione in quanto coincide con ciò che viene «mosso [kinoumenon]» dall'anima; il secondo è invece il «calore [thermon]» presente in ogni essere vivente, che svolge il ruolo di motore mosso (kinoun kai kinoumenon) della dinamica nutritiva in quanto la psyche se ne serve per l'elaborazione del cibo attraverso un processo di cozione (pepsis). Il telos ultimo del processo nutritivo viene identificato da Aristotele con il «generare un essere simile a sé [gennesai hoion auto]», dato che, come si dirà più avanti, anche il seme maschile ed il mestruo femminile attraverso cui si realizza la genesis di un nuovo organismo costituiscono un risultato della cozione dell'alimento (416b 20-29).

La nutrizione è dunque il processo di «conservazione» dell'essere degli organismi dotati di anima. La particolarità del processo nutritivo è data dal fatto che esso non può identificarsi né con una poiesis, in quanto il risultato della poiesis è qualcosa di diverso ed esterno all'agente della produzione, né con una genesis, perché nonostante il prodotto della generazione naturale sia appunto una forma identica a quella del generante tale processo consiste nella produzione di una nuova sostanza, mentre nel caso della dinamica nutritiva l'ousia del vivente «sussiste già», e pertanto, conclude Aristotele, «nessun essere genera se stesso, ma si conserva [sozei]» (416b 14-19).

La dinamica fisiologica concreta della nutrizione degli animali sanguigni, paradigmatica del processo nutritivo degli animali privi di sangue e delle piante, viene descritta nel dettaglio in De part. an. II 3, in cui Aristotele osserva anzitutto che l'assunzione dell'alimento e la sua «prima elaborazione» avvengono tramite la bocca, la quale per mezzo della masticazione opera una sorta di «divisione» iniziale del cibo in piccole parti. La masticazione non corrisponde tuttavia ad un vero e proprio processo di «concozione» (pepsis) dell'alimento, ma viene piuttosto definita come la causa della «buona concozione» (eupepsia) del cibo, vale a dire la causa della buona riuscita del successivo processo di elaborazione. Attraverso

l'esofago, nel caso degli animali che lo possiedono, il nutrimento passa dunque allo stomaco, il quale per mezzo della sua «naturale caldezza effettua invece la concozione [meta thermotetos physikes poieitai ten pepsin]»153 vera e propria. Una volta concotto, e dopo essere passato in un primo momento attraverso la parte superiore degli intestini, ossia il «mesenterio», l'alimento viene trasportato al cuore154, e da qui distribuito a tutto il corpo tramite le vene. Il «nutrimento ultimo» dell'organismo viene quindi identificato da Aristotele con il sangue, o con il suo analogo negli altri viventi, che rappresenta appunto il prodotto finale dell'azione del cuore sull'alimento in precedenza elaborato dall'organismo, e che esiste chiaramente «in vista [heneka]» della nutrizione e della crescita del corpo e delle sue parti (650a 8-650b 14).

È chiaro dunque che per Aristotele la fisiologia del processo nutritivo è dotata di una connotazione essenzialmente teleologica. Difatti, la dinamica attraverso cui il vivente si nutre, cresce e si conserva, corrisponde nel concreto al processo tramite cui l'anima svolge il ruolo di principio di unità del soma empsychon. In ultima istanza, il processo nutritivo è teleologico perché procede dal tutto alle parti, le quali esistono chiaramente in vista della sopravvivenza e della conservazione dell'ousia del tutto. La produzione del sangue o del suo analogo, vale a dire la materia che costituisce l'alimento ultimo delle parti omeomere ed anomeomere, è il risultato complessivo dell'attività del tutto, ossia dell'insieme delle attività dei tessuti e degli organi, i quali secondo Aristotele operano in maniera evidente in funzione del mantenimento e dell'auto-conservazione della sostanza del tutto. Non è dunque il tutto ad esistere in funzione delle parti, bensì le parti ad esistere in funzione dell'attività del tutto, che in quanto organizzazione dinamica capace di conservare e riprodurre formalmente se stessa si identifica in ultima istanza con il telos perseguito da ogni soma empsychon, e pertanto anche con la psyche e con l'eidos di ogni organismo, dato appunto che l'attività specifica di ogni totalità animata è ciò che garantisce costantemente l'unità dell'essere di tali sostanze155.

153 Le piante, invece, «utilizzano come ventre la terra e la caldezza in essa», assumendo il nutrimento direttamente dal terreno, «dopo averlo elaborato con le radici» (650a 21-23).

154 In De part. an. II 1, 647b 4-6 il cuore viene definito da Aristotele come la «potenza che per prima produce il sangue». Cfr. inoltre III 4, 665b 31-666a 9: «Da ciò è chiaro che il cuore è parte e principio delle vene, e questo per una buona ragione, giacché la [regione] centrale del cuore è un corpo compatto e cavo per natura, e inoltre è piena di sangue, poiché da qui hanno principio le vene: è cavo per la ricezione del sangue, compatto per preservare il principio della caldezza [ten archen tes thermotetos]. Tra le viscere, infatti, e tra le [parti] del corpo, soltanto in questa si trova sangue senza vene, mentre ciascuna delle altre parti ha sangue nelle vene. E questo per una buona ragione, giacché [il sangue] si incanala dal cuore nelle vene, ma nel cuore [non giunge] da nessun'altra parte: esso, infatti, è principio e fonte del sangue, o ne è il primo ricettacolo». 155 Cfr. Quarantotto 2005, pp. 308-309: «L'attività del tutto è la causa finale delle parti e dei movimenti parziali,

perché ne rappresenta allo stesso tempo e inscindibilmente la condizione di esistenza e il risultato: il tutto causa se stesso, determinando la produzione e il funzionamento degli organi e dei tessuti di cui è composto. Le parti e il corpo intero (cioè la materia) sono quindi, per loro intrinseca costituzione, entità funzionali, che esistono e agiscono in vista di un fine: l'attività del tutto, in quanto processo circolare, è causalmente

Prima di procedere alla trattazione della dinamica riproduttiva, tuttavia, risulta opportuno approfondire anche le caratteristiche del processo di crescita di ogni soma empsychon, in quanto è proprio tramite l'auxesis che viene perseguito il telos rappresentato dallo sviluppo complessivo dell'ousia dei viventi. Si è già detto che è la nutrizione a costituire la causa del processo di crescita di ogni organismo, almeno fino a quando questo non raggiunge la maturità e di conseguenza sviluppa pienamente le dimensioni e le proporzioni determinate dalla propria forma.

L'indagine sulla dinamica di accrescimento viene portata avanti da Aristotele in De gen. et corr. I 5, dove il filosofo distingue scrupolosamente il tipo di «mutamento [metabole]» proprio a) dell'auxesis, vale a dire «il mutamento secondo grandezza [peri megethos]», da b) quello proprio della genesis, ossia «il mutamento [...] da una sostanza in potenza ad una sostanza in atto», e da c) quello proprio dell'alterazione (alloiosis), ovvero la metabole «secondo affezione [peri pathos]». Nel dettaglio, l'auxesis si distingue dagli altri due processi anche per il «modo [tropos]» del proprio mutamento. Difatti, ciò che subisce alterazione e ciò che viene generato non sono necessariamente soggetti ad uno spostamento locale, mentre ciò che subisce l'accrescimento in qualche modo muta il proprio luogo, anche se in maniera diversa da «ciò che subisce una traslazione [to elaunomenon]». Il soggetto di un processo di traslazione infatti «cambia luogo tutto intero», mentre nel caso di ciò che è sottoposto ad auxesis l'«intero rimane fermo» e allo stesso tempo «le parti avanzano in uno spazio sempre più grande». Il mutamento cui è sottoposto il soggetto dell'accrescimento è inoltre diverso da quello di una «sfera che ruota su se stessa», perché in questo caso è evidente che anche se le parti della sfera «cambiano posto, pur rimanendo nello stesso luogo, cosicché l'intero rimane fermo», la grandezza dello spazio occupato dalla sfera non è sottoposta ad alcun mutamento (320a 10-25).

Il soggetto dell'aumento e della diminuzione (phthisis) è dunque la grandezza. Tuttavia il mutamento secondo grandezza non può essere concepito come il passaggio da una grandezza in potenza ad una grandezza in atto, in quanto da un lato non può in alcun modo esistere una materia «per sé separata e sussistente», ossia dotata di una grandezza solo potenziale, e dall'altro la materia non «può esistere senza affezioni o senza forma». Del resto, il passaggio da un'ipotetica «materia senza grandezza» ad una «grandezza in atto» sarebbe da identificare piuttosto con una generazione, e non con un processo di crescita. È pertanto corretto definire l'auxesis come lo «sviluppo [epidosis] di una grandezza già esistente», mentre la phthisis coincide invece con la «riduzione [meiosis]» di tale grandezza (320a 27-320b 34).

Di conseguenza, è necessario che il soggetto dell'auxesis aumenti le sue dimensioni per mezzo dell'aggiunta di un corpo. Non potrebbe infatti trattarsi dell'aggiunta di qualcosa di «incorporeo», in quanto l'esistenza di una materia separata dalla grandezza è da Aristotele giudicata impossibile. A prima vista, tuttavia, è assurdo anche che si tratti di un corpo, dato che in questo caso si avrebbe la conseguenza paradossale della compresenza di due corpi nello stesso luogo: «quello che è aumentato e quello che ha prodotto l'aumento» (321a 5-9). Al fine dunque di chiarire le precise modalità attraverso cui si verifica la dinamica accrescitiva, Aristotele ribadisce innanzitutto che le tre principali condizioni che devono essere rispettate da ogni processo di auxesis sono che a) «ogni parte di una grandezza che aumenta diviene più grande»; che b) la crescita avviene sempre tramite «l'aggiunta di qualcosa»; ed infine che c) ogni auxesis «implica la conservazione e la permanenza di ciò che è aumentato» (321a 18-22)156. Una volta portato a termine il processo di accrescimento, infatti, la «sostanza [ousia]» del corpo che aumenta «permane [menei]», mentre il corpo per mezzo di cui esso aumenta viene trasformato ed in quanto tale perde la propria ousia (321a 34-35). È chiaro pertanto che la «causa efficiente [to kinoun]» ed «il principio del movimento [arche tes kineseos]», dell'auxesis sono da ricercare nel corpo che cresce, e non in quello che costituisce la materia della crescita (321b 6-10).

Ricorrendo ad un linguaggio e ad esempi esplicitamente biologici, dato che l'auxesis intesa come processo di crescita secondo determinate proporzioni e misura è propria solo ed esclusivamente degli organismi viventi, Aristotele osserva dunque che le parti disomogenee (ta anomoiomere) del corpo, ad esempio gli organi, crescono sempre in seguito allo sviluppo delle parti omogenee (ta homoiomere), ossia i tessuti, e da ciò il filosofo inferisce che «l'aumento di ogni parte e l'aumento per l'aggiunta di qualcosa» si realizzano esclusivamente «secondo la forma [eidos]» e non «secondo la materia», dato che le parti del corpo del vivente sono sostanze naturali proprio in quanto dotate di una forma e una funzione ben precise, certamente irriducibili alla physis dei corpi semplici di cui sono composte, ed è proprio in virtù di tale forma che esse contribuiscono all'auxesis delle parti anomeomere. In un processo di auxesis della carne, ad esempio, non è possibile che si dia un aumento della materia di tale tessuto indipendentemente dall'aumento della forma, dato che i diversi elementi che costituiscono la carne sono sottoposti ad un continuo mutamento, ed è pertanto necessario che l'aumento vero e proprio si verifichi prioritariamente «dal punto di vista della figura e della forma [tou de schematos kai tou eidous]» (321b 16-28).

156 Alle righe 321b 11-16 Aristotele ribadisce tre ulteriori condizioni: d) «non esiste un corpo vuoto»; e) «non possono esserci due grandezze nello stesso luogo»; f) «non c'è aumento per l'aggiunta di un ente incorporeo».

È proprio tramite il ricorso alla forma che Aristotele risolve il problema derivante dall'ipotesi secondo cui l'auxesis consiste nell'aggiunta di un'entità corporea ad un altro corpo, da cui deriva l'assurdità della compresenza di due corpi nello stesso luogo. Difatti, spiega il filosofo, in ogni processo di auxesis «l'intero» diviene «più grande» per mezzo di un'entità corporea, ossia il «nutrimento», che in un primo momento è qualcosa di contrario alla parte del corpo che aumenta, ad esempio «la carne», ma che in seguito ad un processo di elaborazione si trasforma ed acquisisce «la stessa forma del corpo che aumenta», divenendo esso stesso carne, e potendo in questo modo partecipare allo sviluppo delle parti dell'organismo senza che con ciò si verifichi la compresenza assurda di due corpi diversi, ossia dotati di due eide differenti, nel medesimo luogo. In conclusione, perché si verifichi un processo di auxesis è necessario da una parte che a) l'alimento sia «in potenza della stessa natura di ciò che aumenta», e che pertanto una volta «distrutto» acquisisca in atto la stessa forma del corpo che aumenta; e dall'altra che b) esso vada ad aggiungersi alla medesima materia che compone l'eidos del corpo che aumenta attraverso l'«intervento» diretto di tale corpo, che in quanto tale costituisce appunto la «causa interna» dell'auxesis. Al contrario, il passaggio dalla potenza all'atto di una sostanza formalmente identica ma numericamente diversa dall'agente della produzione non è affatto un processo di auxesis, bensì di genesis (321b 29-322a 16)157.

Sono queste dunque le dinamiche attraverso cui la psyche, ossia l'eidos di ogni organismo vivente, si serve della materia costituita dall'alimento per raggiungere il telos dello sviluppo e dell'auto-conservazione attraverso i processi biologici della nutrizione e dell'accrescimento. A questo punto rimangono da affrontare le dinamiche concrete del processo generativo, tramite cui gli organismi perseguono il telos dell'auto-produzione eterna della propria forma.

2 Finalità nella riproduzione

La ricerca aristotelica sulla fisiologia del processo di generazione (genesis) è oggetto dello scritto Sulla riproduzione degli animali, interamente dedicato all'analisi di questo tema. Ai fini della presente discussione è necessario anzitutto rilevare che uno dei nodi centrali della trattazione è costituito dall'indagine sul seme degli animali dotati di sangue, denominati sanguigni ed assunti dal filosofo come esempio paradigmatico del vivente in generale. Ad ogni modo, nel caso degli animali non sanguigni o delle piante, il ruolo del seme è svolto da un'entità ad esso analoga.

In De gen. an. I Aristotele descrive il processo riproduttivo come l'imposizione della «forma» e del «principio del mutamento» da parte del seme (sperma) maschile sulla «materia», costituita in ultima istanza dal mestruo (katamenia) femminile (I 20, 729a 6-14). Il seme è un particolare tipo di «residuo» del sangue, definito «utile» da Aristotele proprio in quanto rappresenta ciò da cui «si forma immediatamente ciascuna delle parti» del corpo dell'organismo vivente (I 18, 725a 11-13). Oltretutto, aggiunge il filosofo, così come il sangue «produce» le diverse parti del corpo dopo essere stato trasformato nell'«alimento ultimo» dall'organismo tramite un processo di cozione (pepsis), allo stesso modo il seme si genera quando il sangue viene sottoposto ad un'ulteriore processo di cottura, ed è per questo motivo che anch'esso rappresenta «in potenza» quello che ognuna delle varie parti dell'animale è «in atto» (I 19, 726b 1-19).

Come è già stato chiarito, la trasformazione dell'alimento in sangue è il risultato dell'attività del cuore o del suo analogo, che nello svolgere tale funzione realizza nel concreto l'azione unificatrice della nutrizione delle diverse parti del corpo, che tuttavia non coincide in ultima istanza con l'attività del tutto. Difatti, in De gen. an. II Aristotele sembra sostenere che nella produzione del seme il cuore realizza in un'unica attività semplice l'insieme delle funzioni che gli organismi viventi pienamente sviluppati portano a compimento mediante l'attività delle molteplici parti, dal momento che nel processo di generazione «ciascuna delle parti si forma e si anima» proprio in virtù dell'«impulso» impartito dal cuore al seme (II 1, 734b 7-24), che del resto per Aristotele è in qualche modo dotato di un'anima, anche se solo «potenzialmente» (735a 4-9).

Il seme possiede un più elevato grado di «calore vitale» rispetto al sangue, in quanto viene sottoposto ad un ulteriore processo di «cozione» (II 4, 739a 6-13), di modo che la «potenzialità agente» del seme è dello stesso tipo di quella del sangue, ossia l'alimento ultimo «grazie al quale si compie l'accrescimento», con la differenza che il seme è dotato di tale potenzialità «in misura maggiore». D'altronde per Aristotele la facoltà «nutritiva [threptike]» dell'anima si identifica quasi completamente con la facoltà «generativa [gennosa]», dato che entrambe svolgono il ruolo di principio del «movimento» delle attività biologiche basilari ed operano tramite lo strumento (organon) del calore vitale (symphyton thermon) (740b 23-36). Il calore proprio del seme non è tuttavia simile a quello del fuoco, ma si identifica piuttosto con la «natura contenuta nel pneuma [he en to pneumati physis]» di cui il seme stesso si compone, dato che a differenza del calore del fuoco quello presente nel seme possiede un proprio «principio vitale [zotiken archen]», rappresentato nel concreto dal pneuma, il quale è in qualche modo analogo «all'elemento di cui sono costituiti gli astri» (II 3, 736b 29-737a7).

Nel dettaglio, il seme è formato principalmente da acqua, in quanto è «per natura fluido», e pneuma, il quale viene invece definito come «aria calda». Il pneuma è inoltre la causa del colore e della densità del seme, che secondo Aristotele è «spesso e bianco» in primo luogo per la «mescolanza» con il pneuma, e secondariamente perché è composto da una sorta di «schiuma», formata da «particelle minutissime e così piccole che ciascuna bollicina è invisibile» (II 2, 735b 37-736a 16).

Il processo di generazione di un nuovo individuo non consiste affatto nella generazione dell'attività vitale dal nulla, ma rappresenta piuttosto il passaggio dalla vita in potenza alla vita in atto, la quale viene trasmessa dai genitori alla prole senza subire modificazioni essenziali. Come è già stato osservato, la generazione di un nuovo individuo ha luogo a

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