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Teleologia cosmica e fine ultimo dell'uomo

«in effetti, in un certo modo anche noi siamo un fine» (Phys. II 1, 194a 35).

1 Il Motore Immobile come modello dell'essere

Nel presente capitolo vengono approfondite le precise modalità attraverso cui il finalismo si esplica a livello cosmico. Sulla base di un determinato filone interpretativo della teleologia aristotelica, non certamente privo di oppositori, viene presa in considerazione la tesi secondo cui Aristotele sostiene in ultima istanza una teleologia cosmica, in base alla quale il fine di ogni ente naturale trascende il processo eterno di auto-produzione della forma per inserirsi in una dinamica finalistica volta a garantire l'equilibrio del mondo intero60. Sempre a partire da tale corrente interpretativa, inoltre, si intende indagare la particolare lettura secondo cui per Aristotele l'essere umano costituisce uno dei fini principali dell'ordine teleologico del mondo sublunare61. Successivamente vengono prese in considerazione le critiche più significative che alcuni studiosi hanno recentemente rivolto al modello antropocentrico.

Nella storia del pensiero antico Platone è stato il primo a sviluppare in maniera completa, nel Timeo, l'idea di un ordine finalistico del mondo, che per il filosofo è stato in qualche modo plasmato da una mente intelligente, il Demiurgo, il quale ha modellato una materia preesistente secondo precisi rapporti matematico-geometrici e l'ha posta sotto il governo provvidenziale dell'anima cosmica. Secondo Platone il fine del cosmo sensibile è quello di essere buono e perfetto come il suo modello, il mondo intellegibile.

Allo stesso modo, anche Aristotele afferma una visione finalistica del mondo del divenire, ma a differenza di Platone non ritiene che il mondo sia retto da una divinità provvidente, né che sia stato creato o ordinato, sostenendo bensì che è eterno, così come è eterno il processo di auto-produzione della forma dei viventi che lo abitano. Anche se quindi il cosmo aristotelico non è stato creato e non viene governato da un'intelligenza razionale, esso è nondimeno caratterizzato in ogni suo aspetto da una struttura finalistica, ravvisabile in primis nella conformazione biologica degli animali e delle piante, innegabilmente orientata verso funzioni e scopi ben precisi.

Per Aristotele l'aitia suprema di tutte le cose è il Motore Immobile, che nel libro XII della Metafisica viene definito come «ciò che, in funzione di [causa] prima di tutte le cose, muove tutte le cose» (1070b 34).

Tuttavia, a differenza del Demiurgo platonico che agisce in maniera diretta nell'ordinamento del mondo, il Motore Immobile è causa solo in quanto telos, ovvero in quanto modello supremo verso cui tutto tende. Secondo Aristotele, infatti, il Primo Motore non può avere creato il mondo e non può intervenire in esso perché la sua unica attività può solo essere la migliore di tutte le attività, ossia il puro atto di auto-contemplazione62.

La teleologia di Arisotele si presenta quindi come un sistema ordinato di cause finali, fondato in ultima istanza sul potere causale del Motore Immobile, il quale è in qualche modo garante della tendenza universale di ogni ente a realizzare la propria natura. La causalità del Primo Motore, tuttavia, non interferisce in alcun modo con il principio interno del movimento degli enti naturali, ossia la physis, in quanto non è in maniera diretta responsabile della determinazione della loro forma.

Più precisamente, il Motore Immobile è la causa prima del movimento in quanto tale, ed in questo senso garantisce la possibilità stessa della realizzazione della physis di ogni sostanza naturale. Il fuoco, ad esempio, trasmette il calore ad altri corpi e si sposta verso il proprio luogo naturale esclusivamente in virtù della sua stessa physis, anche se il principio ultimo che ne garantisce la possibilità del movimento, ossia del passaggio dalla potenza all'atto, è appunto il Motore Immobile63.

Dopotutto in De gen. et corr. II Aristotele afferma chiaramente che ogni corpo celeste realizza il proprio movimento circolare ed eterno a partire dal rispettivo motore, ma aggiunge anche che in ultima istanza i movimenti di tutti gli astri devono essere in qualche modo ricondotti ad un unico principio, ossia il Primo Motore.

Come si è detto precedentemente in altri discorsi, se il movimento è eterno, occorre che ci sia un qualche motore eterno; se è continuo, il motore deve essere uno, identico, immobile, ingenerato, inalterabile; se poi i movimenti circolari sono molteplici, devono esserci più motori, ma tutti quanti devono essere in qualche modo sottoposti ad un unico principio (De gen. et corr. II, 10, 337a 16-21).

62 Cfr. Sedley 2007, pp. 167-170. Cfr. inoltre Kahn 1985, p. 196: «The Prime Mover is Aristotle's "scientific" substitute for the mythical Demiurge, both as immediate cause of the supreme celestial rotation and as the ultimate cause of the entire system – the ou eneka of nature as a whole».

63 Cfr. Kahn 1985, p. 186: «In inanimate nature, the PM [Prime Mover] is similarly responsible for each thing's acheiving its nature, i.e., for the general fact of structured change, the orderly realization of specific potentialities. Thus it is fire's own nature which causes it to be hot and to heat other things; and it is the nature of the hot to move upwards. But it is the casuality of the PM which causes these natures to be constantly realized, to be continuously passing from potency to act as the occasion permits».

Il movimento delle sostanze naturali viene quindi spiegato da Aristotele mediante il riferimento primario alla causa finale. Il cosmo intero è orientato in maniera finalistica, ed il suo telos complessivo consiste appunto nella realizzazione del più alto grado di esistenza possibile, dal momento che secondo Aristotele «è meglio essere [to einai] che non essere». Apparentemente, quindi, il telos di ogni sostanza viene rapportato dal filosofo ad un bene che è in qualche modo estrinseco alla physis di ogni ente naturale. È chiaro che tali sostanze possono imitare la perfezione del Motore Immobile solamente per mezzo della realizzazione delle potenzialità contenute nella propria physis, ma il passaggio dalla potenza all'atto, e quindi ad un grado superiore dell'essere, è tale solo in virtù del suo modello principale, ossia l'atto puro del Primo Motore. Del resto i processi di generazione naturale sono eterni proprio perché la generazione ciclica ed eterna è l'unico modo in cui gli astri ed i viventi possono imitare la perfezione del Motore Immobile, che in quanto tale rappresenta il modello principale della pienezza dell'essere. D'altra parte, visto che gli elementi che compongono il cosmo sensibile sono in qualche modo ontologicamente distanti dal Principio Primo, essi possono imitare il movimento circolare della generazione naturale solo tramite l'unica tipologia di movimento ad essi possibile, ossia la continuità della traslazione lineare.

Questo appare logico: poiché, infatti, diciamo che la natura tende [oregesthai] sempre al meglio in tutte le cose, e poiché è meglio essere [to

einai] che non essere (ma all'essere diamo sensi diversi, come altrove

abbiamo detto), e poiché è impossibile che l'essere appartenga a tutte le cose poiché queste sono troppo lontane dal principio [arche], la divinità ha realizzato l'intero nell'unico modo rimanente, rendendo ininterrotta la generazione: così infatti l'essere è reso massimamente coerente poiché il ripetere sempre la generazione è ciò che è più vicino alla sostanza. La causa di questo, come abbiamo spesso ripetuto, è la traslazione circolare: solo questa, infatti, è continua. Perciò anche le altre realtà che si trasformano reciprocamente secondo le affezioni e le potenze, come i corpi semplici, imitano la traslazione circolare: quando, in effetti, dall'acqua si genera l'aria e dall'aria il fuoco, e dal fuoco, a sua volta, l'acqua, diciamo che la generazione ha compiuto un circolo, perché si è tornati da capo. Così anche la traslazione rettilinea è continua, in quanto imita quella circolare (De gen. et corr. II, 10, 336b 27-337a 7).

La profonda connessione fra il Principio Primo ed il movimento presente all'interno del cosmo sensibile, specie in riferimento ai fenomeni atmosferici, viene ribadita anche in Meteor. I, in cui Aristotele sostiene che l'ordine del mondo sublunare (kosmos) è «continuo» rispetto a quello celeste, dal quale in qualche modo dipende (kybernasthai).

Le potenzialità di ognuno dei quattro elementi costituiscono per il filosofo l'aitia materiale di ogni processo naturale, mentre il principio del movimento tramite cui si realizza ogni fenomeno atmosferico viene individuato nel movimento dei corpi celesti, in particolare nel

ciclo annuale di rotazione del sole, che costituisce la causa di tali fenomeni sublunari in quanto impedisce che gli elementi si separino gli uni dagli altri per andare a collocarsi eternamente nel rispettivo luogo naturale64.

L'intero mondo terrestre [kosmos] è composto di questi corpi [...]. Questo mondo è di necessità continuo con le traslazioni superiori, perciò la possibilità di ogni suo mutamento dipende [kybernasthai] dalla traslazione superiore; da essa deriva infatti il principio del movimento, e quella causa [aitia] è da considerarsi la prima. Questa traslazione è inoltre eterna, ed il suo movimento è senza fine in relazione al luogo, ma perfetta; tutti i quattro elementi sono separati invece in luoghi distinti fra loro. Quindi la terra, il fuoco e gli elementi congeneri devono essere considerati come causa di genere materiale dei fenomeni del mondo terrestre (infatti definiamo in tal modo il sostrato passivo); mentre è da intendere come causa la potenza dei corpi che si muovono in eterno, in quanto principio del movimento (Meteor. I 2, 339a 19-32).

La particolare dinamica tramite cui si esplica la tendenza degli elementi naturali ad imitare il Principio Primo viene descritta nel libro IX della Metafisica in termini di potenza (dynamis) ed atto (energeia). Così come i corpi celesti, che si trovano in uno stato di attualità perenne in virtù del movimento circolare che imita l'energeia pura del Motore Immobile, anche i quattro elementi sono perennemente in atto, ma lo sono nell'unica maniera possibile alla loro physis, ossia attraverso il movimento rettilineo per mezzo di cui ognuno di essi tende al proprio luogo naturale. Come è stato già osservato, il movimento di generazione circolare tramite cui gli elementi si trasformano gli uni negli altri è invece garantito dal ciclo annuale di rotazione del sole, il quale si muove in ultima istanza per imitare la perfezione del Primo Motore.

perciò il sole, gli astri e il mondo intero sono sempre in atto, e non vi è timore che talvolta si arrestino, cosa che temono i filosofi della natura [...]. Ma anche le cose che versano nel mutamento, come la terra e il fuoco, imitano [mimeitai] quelle incorrutibili. E infatti esse sono sempre in atto, giacché possiedono il movimento per se stesse e in se stesse (Metaph. IX 8, 1050b 22-30).

È dunque opportuno osservare che nell'ambito della stessa trattazione Aristotele sostiene esplicitamente la superiorità dell'atto rispetto alla potenza, nonché il rapporto di derivazione di tutto ciò che è in atto da un atto primo, ovvero da «ciò che primariamente muove sempre».

Ora, per questo motivo è chiaro che l'atto [energeia] è anteriore alla potenza per la sostanza [ousia] e, come abbiamo detto, un atto ne presuppone sempre altri, anteriori nel tempo, fino a quello di ciò che primariamente muove sempre (Metaph. IX 8, 1050b 5-6).

64 Cfr. Kahn 1985, p. 188: «if let to themselves, the four elements would simply settle in their natural places and produce none of the phenomena to be explained. The disturbing (and creative) influence comes from above, from the efficient causality of the sun. But it is characteristic of Aristotle's teleology that it is not an alternative but a supplement to the explanation in terms of efficient causality».

È chiaro tuttavia che in questo passo Aristotele non considera il Primo Motore come causa finale, bensì come aitia ultima efficiente, ossia come causa motrice dell'attualizzazione di tutto ciò che è in atto, e pertanto di ogni corpo celeste, ogni vivente sublunare, ed infine ognuno dei quattro elementi. È comunque possibile supporre che il Primo Principio svolga il ruolo di causa anche in quanto telos, dal momento che non può intervenire in maniera diretta nel mondo per il fatto che la sua unica attività consiste nel puro atto di auto-contemplazione. La tendenza imitativa degli enti naturali si realizza dunque nel processo tramite cui tali sostanze emulano l'energeia eterna del Motore Immobile nell'unica modalità ad esse possibile, ovvero l'auto-produzione della forma, che si compie in ultima istanza per mezzo di una generazione eterna e ciclica di ciò che è in atto a partire da ciò che è in potenza65.

La corrispondenza fra eternità (aion) e telos dell'intero cosmo viene peraltro stabilita anche in De caelo I, in cui Aristotele, tramite un gioco di parole basato sui vari sensi del termine aion, connette il vivere eternamente a ciò che è «immortale e divino», per affermare subito dopo che tutte le forme di vita presenti nel cosmo dipendono in qualche modo dalla vita eterna del Primo Principio, a partire da quelle in cui il legame con la divinità è esplicito (akribesteron), per arrivare infine a quelle che manifestano tale connessione in maniera oscura (amauros).

Perciò gli enti di lassù non sono fatti per essere nel luogo, né li fa invecchiare il tempo, né si dà alcun mutamento in nessuno degli enti posti al di là dell'orbita esterna, ma, inalterabili e sottratti ad ogni affezione, trascorrono essi tutta l'eternità [aion] in una vita che di tutte è la migliore e la più bastante a se medesima. Anche questo nome di aion si direbbe pronunciato dagli antichi quasi per divina ispirazione: si dice infatti aion di ciascuno l'ultimo termine che circoscrive il tempo di ogni singola vita, al di fuori del quale non c'è più nulla secondo natura. Parimenti, anche il termine perfetto di tutto il cielo, che contiene ed abbraccia la totalità del tempo e l'infinità di esso, anche questo si dice aion, e prende questo nome da aei einai [essere sempre], immortale e divino. È di lassù che dipende, per gli uni più manifestamente [akribesteron], per gli altri meno visibilmente [amauros], anche l'essere e la vita di quant'altro esiste (De caelo I 9, 279a 20-30).

Nel libro XII della Metafisica Aristotele estende esplicitamente la dipendenza dal Principio Primo alla natura intera, e pertanto anche agli elementi inanimati66. Tuttavia è sempre nel trattato Sul cielo che il filosofo delinea il preciso ordine gerarchico dei processi attraverso cui 65 Cfr, Kahn 1985, p. 190: «I suggest that the PM is needed to explain this principle, namely the general causation of change by the power of actuality to produce "another like itself", which is thus seen as a derivation of all generated actuality from the eternal actuality of the PM. The derivation would be of the following form. The most general law of nature is that like produces like, namely that what is actually X makes something else actually X out of something potentially X, as fire makes water hot. Now for Aristotle, I suggest, this law in turn – that actuality produces actuality – is explained by some relation of desire or assimilation to the PM as the paradigm Being which is eternally in act because its essence is actually as such. As with the biological reproduction of like by like, so with the physical and metaphysical production of actuality by actuality: producing more of the same is the best approximation to a stage of complete and permanent actuality».

gli enti che compongono la totalità del cosmo raggiungono il telos dell'imitazione dell'energeia divina.

In particolare, al punto più elevato di tale gerarchia Aristotele pone il Motore Immobile, il quale coincide con il telos e pertanto non compie nessuna azione (praxis) al fine di raggiungere il proprio «bene [to eu]». Per questo motivo, il Primo Motore viene paragonato da Aristotele ad un uomo che non ha bisogno di compiere nessuna attività fisica al fine di ottenere la salute.

Subito dopo vengono collocati i corpi celesti, che in virtù della vicinanza ontologica al Principio Primo compiono una sola ed unica azione al fine di raggiungere il proprio telos, ossia il movimento eterno e perfetto di rotazione circolare. I corpi celesti sono paragonati da Aristotele ad un uomo cui è sufficiente una sola attività, ovvero una semplice passeggiata, per poter raggiungere e conservare la salute.

La gerarchia prosegue quindi con gli esseri umani, i quali necessitano di molteplici azioni per poter emulare quanto più possibile lo stato di attualità perfetta del Motore Immobile. In virtù delle svariate modalità tramite cui raggiungono il proprio telos, gli esseri umani vengono paragonati ad un individuo che per ottenere la salute ha bisogno di svolgere un diverso numero di esercizi fisici, per esempio la lotta e la corsa. Ad un livello di poco inferiore a quello dell'uomo sembrano inoltre essere collocati anche gli animali e le piante, che tuttavia possono raggiungere il proprio telos attraverso un numero limitato di azioni, che in ultima istanza si realizzano nel processo eterno di auto-produzione della forma.

Il punto più basso della gerarchia è invece quello cui appartengono gli enti che possono solamente tendere al telos senza tuttavia raggiungerlo, ossia i corpi semplici che compongono il mondo sublunare. Più precisamente, ognuno dei quattro elementi si rende quanto più possibile vicino all'energeia prima del Motore Immobile tramite la realizzazione del movimento lineare contenuto nella propria physis. In conclusione, Aristotele paragona i corpi semplici ad un uomo che può solamente tendere al raggiungimento della salute, ma che nonostante gli sforzi ed il duro allenamento non riesce in alcun modo ad ottenerla.

Si conviene infatti che l'ente che si trova nella condizione più perfetta possegga il bene [to eu] senza alcuna attività, mentre quello più prossimo ad esso giunge a possederlo grazie ad un'attività di poca entità, ed una sola, quelli più lontani invece per mezzo d'attività via via più numerose, come nel caso dei corpi umani l'uno è sano anche se non fa alcun esercizio, l'altro se appena compie brevi passeggiate, laddove un terzo ha bisogno della corsa, della lotta, e di altri esercizi atletici. Un altro infine, anche se sottoposto a fatiche immani, non potrebbe mai conseguire questo bene, ma solo uno diverso. Ed è difficile raggiungere il fine nella maggior parte dei casi, o anche spesso [...] Si deve perciò ritenere che anche l'attività degli astri sia supergiù come quella degli animali e delle piante. In questo mondo è l'uomo

che può svolgere il maggior numero di attività: molti sono infatti i beni che egli può conseguire, e perciò molte sono le azioni che compie, e alcune anche in vista di altro. L'essere che si trova nella condizione più perfetta si può dire invece che non ha alcuna necessità d'azione, perché è esso stesso l'"in vista di cui", mentre l'azione ha sempre luogo fra due termini, quando vi sia cioè l'"in vista di cui", e ciò che si fa in vista di esso. Gli altri animali dispongono invece di attività meno numerose; quella delle piante poi è minima, e si può ridurre ad una sola. Perché il fine conseguibile o è uno solo, com'è per l'uomo, o, se ne consideriamo molti, hanno tutti come meta ultima il sommo bene. L'uno dunque possiede ed è partecipe del sommo bene, l'altro vi giunge da presso e col tramite di poche azioni, un altro attraverso molte, un altro infine non tenta neppure di raggiungerlo, ma gli basta arrivare in prossimità del fine ultimo [...]. Bene supremo rimane per tutti il raggiungimento di quel fine; altrimenti, ove questo non sia possibile, il bene è via via maggiore quanto più ci si avvicina al bene supremo. È per questa ragione che la terra non si muove affatto, e gli astri ad essa vicini hanno pochi movimenti; questi non possono infatti raggiungere il fine ultimo, ma solo arrivare ad aver parte

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