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Teleologia e organismi viventi

«L'anima è la causa e il principio del corpo vivente» (De an. II 4, 415b 7-8).

1 L'anima come principio di unità e complessità degli organismi

Il fulcro dell'indagine aristotelica sui viventi è rappresentato senza dubbio dallo scritto Sull'anima, in cui Aristotele individua la psyche come principio di tutto ciò che è in qualche modo dotato di vita. L'esistenza dell'anima non viene dimostrata, ma al contrario costituisce l'assunto di partenza della ricerca del filosofo, in base al quale vengono individuate le caratteristiche principali di quell'entità in virtù di cui tutti gli enti naturali generalmente considerati vivi si distinguono da quelli che non lo sono. Oltre ad essere conforme all'uso comune della lingua greca, secondo cui i viventi in quanto tali vengono considerati empsycha, ovvero dotati di anima, l'assunto dell'esistenza della psyche viene inoltre condiviso dalla maggior parte dei pensatori più autorevoli. Non è un caso, dunque, se l'indagine aristotelica sull'anima si sviluppa come di consueto a partire dall'analisi e dalla confutazione degli endoxa di tali pensatori108.

In linea di massima, i physiologoi individuano il movimento, la percezione ed il pensiero come principali attività dell'anima, che a sua volta viene generalmente concepita come un'entità materiale che ha il ruolo di trasmettere tali attività al corpo (soma) cui appartiene. Più precisamente, secondo i physiologoi la principale proprietà dell'anima è quella di essere un'entità mobile, in quanto per essi non è possibile «che una cosa muova senza essere essa stessa in movimento» (De an. I 2, 404a 24-25). Secondo tali pensatori, inoltre, l'anima può percepire e pensare proprio perché «il simile è conosciuto dal simile», ed il soggetto primo della sensazione e del pensiero deve conseguentemente essere costituito dagli stessi elementi di cui sono composte anche le sostanze naturali oggetto di conoscenza (405b 15-16).

La critica aristotelica ai physiologoi si sviluppa principalmente in opposizione a queste tesi. Più in particolare, Aristotele sostiene che le diverse attività dell'anima non possono essere poste tutte sullo stesso piano, dato che vi sono alcuni viventi, come le piante, che «pur non

108 Non è qui possibile approfondire integralmente la critica alle opinioni di ognuno di questi pensatori. La trattazione sarà pertanto limitata a quelle teorie la cui critica assume una rilevanza centrale nell'ambito della formulazione della teoria aristotelica dell'anima.

essendo fornite di locomozione né di sensazione» rientrano a pieno titolo nell'ambito degli empsycha109. Nel mondo sublunare vi sono poi alcuni altri viventi, come in generale tutti gli animali ad esclusione dell'uomo, che pur essendo dotati della capacità di movimento e della sensazione (aisthesis)110 non partecipano in alcun modo della facoltà intellettiva, dato che per Aristotele sono esseri «privi di ragione» (I 5, 410b 22-25). D'altra parte, prosegue il filosofo, è necessario che la psyche sia un'entità immateriale, perché qualora essa si identificasse in ultima istanza con uno o più corpi semplici ne conseguirebbe che ogni ente composto da una qualsiasi materia sarebbe allo stesso tempo dotato di un'anima, mentre ciò per Aristotele è una vera e propria assurdità. La tesi della materialità dell'anima implica del resto anche la conseguenza illogica derivante dalla compresenza di due corpi «nello stesso luogo», ovvero la psyche ed il soma (409b 2-4). Per Aristotele è difatti impossibile spiegare in che modo un'anima materiale possa svolgere il ruolo di «principio» dell'unità degli empsycha, dato che tale principio deve di necessità essere superiore ai corpi semplici che «unifica», e dato inoltre che senza tale elemento unificatore i corpi semplici seguirebbero solo ed esclusivamente il moto rettilineo verso il proprio luogo naturale (410b 8-16).

In opposizione alle dottrine dei physiologoi Aristotele sostiene peraltro che la psyche non può neppure essere un'entità dotata di movimento, in quanto se potesse muoversi indipendentemente dal corpo dovrebbe essere possibile anche che, «una volta uscita dal corpo, l'anima vi rientri», mentre è del tutto inverosimile per gli animali «tornare in vita» dopo la morte (I 3, 406a 30-406b 5). Del resto, afferma il filosofo, un'entità che «partecipa [metechei]» del movimento «per natura [physei]» deve in qualche modo potersi muovere anche contro natura, ossia per «costrizione [bia]», ma qualcosa del genere riguardo all'anima è oltremodo difficile da concepire (406a 22-27). Anticipando uno dei tratti essenziali della propria teoria psicologica, infine, Aristotele aggiunge anche che la psyche non deve per forza essere un'entità immobile, dato che non è necessario in alcun modo «che ciò che muove sia esso stesso in movimento» (406a 3-4)111.

109 Cfr. De an. II 2, 413a 21-413b 1: «E poiché vivere si dice in molti sensi, noi affermiamo che un essere vive se ad esso appartiene [...] il mutamento nel senso della nutrizione [trophe], la decrescita [phthisis] e la crescita [auxesis]. Pertanto sembra che vivano anche tutte le piante. Risulta infatti che hanno in se stesse una facoltà ed un principio in virtù del quale crescono e decrescono [...]. Questa facoltà può esistere indipendentemente dalle altre, mentre è impossibile che, negli esseri mortali, le altre esistano indipendentemente da essa. Ciò risulta manifesto nel caso delle piante, giacché in esse non si trova nessun'altra facoltà dell'anima».

110 Cfr. De an. II 2, 413a 4-9: «Delle sensazioni, quella che principalmente appartiene a tutti gli animali è il tatto [haphe]. E come la facoltà nutritiva può esistere indipendentemente dal tatto e da ogni altro senso, così il tatto può esistere senza gli altri sensi (diciamo facoltà nutritiva quella parte dell'anima di cui partecipano anche le piante, mentre consta che gli animali possiedono tutti il senso del tatto)».

Una volta portata a termine la critica alle dottrine dei predecessori, in De an. II Aristotele procede all'elaborazione dettagliata della propria teoria sulla psyche. A tal fine il filosofo ribadisce innanzitutto i due principali sensi in cui si dice la sostanza, vale a dire la «materia [hyle]», che «di per sé non è qualcosa di determinato», e la «forma [eidos]», che al contrario costituisce il principio della determinazione di ogni ente. In un terzo ed ulteriore senso, infine, la sostanza può essere concepita come il «composto» di materia e forma. La materia corrisponde alla «potenza [dynamis]», mentre invece la forma si identifica con l'«atto [entelecheia]» (II 1, 412a 7-11).

Tra le sostanze naturali, alcune sono inanimate, mentre altre sono dotate di vita (zoe), la quale per Aristotele consiste principalmente nella «capacità di nutrirsi [trophen] da sé, di crescere [auxesin] e di deperire [phthisin]» (412a 14-15). In prima istanza, dunque, «ogni corpo naturale dotato di vita [pan soma physikon metechon zoes]» è da intendersi come «sostanza composta» di materia e forma. Tuttavia il ruolo di principio di unità del vivente non è affatto svolto dal soma, che in quanto tale rappresenta piuttosto il «soggetto [hypokeimenon]» e la «materia [hyle]» che riceve le determinazioni dalla psyche (412a 15-19). Per questi motivi il filosofo procede dunque all'esposizione di una prima definizione di anima, che viene ad identificarsi con la «forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza [eidos somatos physikou dynamei zoen echontos]» (412a 20-21).

Dato che coincide con l'eidos dei corpi dotati di vita, la psyche corrisponde in ultima istanza all'entelecheia di ogni soma empsychon112. Tuttavia, precisa Aristotele, l'atto a sua volta può essere detto in due sensi, ovvero come «atto primo [prote entelecheia]», esemplificato dal possesso della «conoscenza [episteme]», oppure come atto secondo, che al contrario corrisponde all'esercizio di essa (theorein). Appare quindi evidente che la psyche corrisponde all'atto primo di un corpo dotato di vita in potenza, dato che il possesso dell'anima è la condizione necessaria perché l'organismo possa svolgere una qualsiasi delle sue attività specifiche, così come il possesso dell'episteme è «primo nell'ordine del divenire [protera de te genesei]» rispetto al suo utilizzo. Difatti, aggiunge il filosofo, il possesso dell'anima in quanto tale è analogo al «sonno [hypnos]», mentre la sua attività può essere paragonata alla «veglia [egregorsis]». Nelle righe successive viene chiarito inoltre che il soma physikon dotato di vita in potenza è un corpo «strumentale [organikon]»113, ossia un corpo strutturato

112 Qualche riga dopo Aristotele dichiara inoltre che «il seme ed il frutto costituiscono ciò che è in potenza [dynamei] un corpo di tale specie» (412b 28-29).

113 Movia traduce il termine «organikon» come «dotato di organi». Quarantotto (2005, p. 240 n. 14) precisa tuttavia che il termine nella lingua greca non si riferisce esclusivamente agli organi dei viventi, e che pertanto sarebbe più corretto tradurre letteralmente «organikon» come «strumentale». Cfr. anche Leunissen 2010, pp. 53-54 n. 16.

ed organizzato in maniera tale da poter perseguire agevolmente funzioni e scopi ben precisi (412a 21-30). Anche nel termine «entelecheia», con tutta probabilità un neologismo aristotelico, è presente un esplicito riferimento al telos, e di conseguenza agli scopi perseguiti dalla natura formale degli empsycha, dato che in essi, come verrà chiarito a breve, l'anima svolge non soltanto il ruolo di aitia formale, ma anche quello di principio del movimento e causa finale.

L'unità di corpo e anima appare pertanto evidente, così come secondo Aristotele è evidente l'unità della cera e della figura impressa, o più in generale l'unità della materia e dell'eidos che la determina, dato anche che il senso «principale [kyrios]» in cui si dice l'«essere [to einai]» per il filosofo non è certamente quello di hyle, ma senza dubbio quello di entelecheia (412b 7-9). Senza la psyche, infatti, un «corpo naturale» che possiede «in se stesso il principio del movimento e della quiete» è tale solo per «omonimia», in quanto privo da un lato della determinazione formale, e dall'altro della physis, che in ultimo viene a coincidere con la stessa anima (412b 10-17).

Il medesimo discorso vale anche per le diverse parti del soma empsychon. Se ad esempio l'occhio fosse un organismo vivente, afferma il filosofo, la sua psyche si identificherebbe con la sua funzione primaria, ossia la «vista [opsis]», dato che la vista corrisponde all'ousia ed all'eidos dell'occhio, mentre l'organo in quanto tale svolge invece il ruolo di «materia della vista». Non a caso un organismo che muore e conseguentemente perde la propria psyche diviene del tutto incapace di svolgere ogni qualsivoglia attività (412b 18-28). Appare dunque chiaro fin da ora che per Aristotele l'anima rappresenta il principio che garantisce ad ogni essere vivente la capacità di esercitare compiutamente l'insieme articolato di attività e funzioni per mezzo delle quali persegue e raggiunge il proprio telos.

Senza la psyche, dunque, un corpo, un organo o un tessuto sono tali solo per omonimia, in quanto privi della capacità di svolgere le diverse funzioni vitali determinate dalla propria forma. Sorge tuttavia un problema quando si tenta di applicare il principio aristotelico di omonimia all'ambito degli organismi viventi. Nel caso di un un prodotto tecnico come un'ascia, ad esempio, è semplice distinguere l'eidos, ossia la forma dell'ascia imposta dal fabbro, dalla materia di cui essa è costituita, vale a dire il legno ed il ferro, che del resto sono già presenti e distinguibili come tali prima della realizzazione dell'ascia e continuano a permanere anche dopo che essa viene distrutta e perde la forma. Ai fini del presente discorso occorre tenere bene a mente che per Aristotele l'eidos dell'ascia coincide in ultimo con la capacità di svolgere la funzione per cui essa è stata costruita, ossia tagliare. Nel caso del soma empsychon si presenta quindi una difficoltà, dato che per Aristotele gli organi e i tessuti

che rappresentano la materia del corpo animato non possono sussistere indipendentemente dalla propria forma, ossia la psyche, in quanto la loro esistenza non precede in alcun modo la nascita dell'organismo, né propriamente permane dopo la scomparsa dell'anima. Un'ascia che ha perso la propria capacità di tagliare, infatti, può essere nuovamente affilata, mentre un cuore che ha smesso di battere non può più ricominciare a farlo. In seguito alla perdita dell'eidos la materia di un artefatto continua a possedere in potenza la capacità di riacquisire la forma perduta, mentre in seguito alla scomparsa della psyche la materia che compone il soma empsychon non può essere considerata come dotata di forma in potenza, dato che una parte del corpo che ha perso la capacità di svolgere la propria funzione in seguito alla scomparsa dell'anima non può in alcun modo recuperarla. È chiaro dunque che per Aristotele la materia del soma empsychon non può esistere indipendentemente dalla psyche, ossia in maniera separata dalla propria forma. Il legno ed il ferro che costituiscono la materia di un'ascia arrugginita o smussata, ad esempio, rappresentano un'ascia solo per omonimia, ma sono comunque dotati in potenza della capacità di riacquisire la forma perduta. Al contrario, il cuore o la mano di un cadavere rappresentano anch'essi un cuore o una mano solo per omonimia, ma, a differenza dei prodotti della techne, non posseggono in alcun modo la capacità di riacquisire la forma perduta. Secondo Aristotele, dunque, la materia del corpo vivente è in qualche modo dotata di vita fin dal principio della propria esistenza, e pertanto risulta in ogni circostanza inseparabile dalla psyche, che ne costituisce appunto la forma. Nel dettaglio, il soma organikon dotato di vita in potenza non può in alcun modo esistere indipendentemente dalla psyche in quanto essa ne rappresenta l'atto primo (prote entelecheia). Come è già stato osservato, per Aristotele l'atto primo di un corpo strumentale dotato di vita in potenza coincide con il possesso da parte di un tale corpo della capacità di svolgere determinate funzioni vitali, presente ad esempio anche quando l'organismo dorme, e non invece con l'esercizio effettivo di tale capacità, che si identifica in quanto tale con l'atto secondo. Di conseguenza, sembra non potervi essere alcuna distinzione fra un corpo strumentale dotato di vita in atto ed un corpo strumentale dotato di vita in potenza, dato che sia la forma che la materia del vivente per Aristotele sono definiti dal possesso attuale (prote entelecheia) della capacità di vivere. In altre parole, sembra non esservi alcuna differenza fra un soma organikon dotato di anima, ossia un corpo che vive in virtù del possesso attuale della capacità di svolgere le proprie funzioni, ed un soma organikon privo di anima, dato che anche questo è dotato della capacità di svolgere le proprie funzioni in virtù delle parti di cui è costituito. Sia gli organi che i tessuti, infatti, vengono considerati da Aristotele come sostanze naturali proprio in virtù delle funzioni fondamentali che svolgono all'interno del tutto di cui

sono parte. Da un lato, dunque, per Aristotele l'anima si identifica con il possesso attuale della capacità di svolgere determinate funzioni vitali, mentre dall'altro anche il corpo intero, gli organi e i tessuti vengono definiti dal filosofo a partire dal possesso attuale di questa stessa capacità, per esempio la capacità di vedere per l'occhio, o di afferrare per la mano.

Più propriamente, secondo Aristotele non è possibile che esista un soma organikon privo di vita, se non per omonimia, in quanto la vita stessa per il filosofo si identifica con il possesso attuale della capacità di esercitare le molteplici funzioni vitali: il fulcro del problema è dato dal fatto che il possesso attuale di tale capacità corrisponde sia alla definizione di anima che a quella di corpo strumentale.

Nel caso degli organismi viventi il principio di omonimia non può quindi essere applicato allo stesso modo che nel caso degli artefatti. Quando ad esempio il legno ed il ferro che costituiscono la materia di un'ascia perdono la propria forma, ossia la capacità di tagliare, rappresentano un'ascia solo per omonimia proprio in virtù di tale perdita dell'eidos. Quando invece il soma empsychon muore e conseguentemente perde la propria forma, ossia la capacità di svolgere determinate funzioni vitali, esso non può essere considerato vivente solo per omonimia, dato che gli gli organi e i tessuti di cui è composto costituiscono la materia del corpo vivente proprio in virtù del possesso della capacità di svolgere determinate funzioni, la quale viene appunto ad identificarsi con la prote entelecheia dell'anima. Se dunque si applicasse il principio di omonimia al corpo del vivente allo stesso modo in cui lo si applica ai manufatti tecnici, si sarebbe costretti ad affermare contraddittoriamente che un vivente che ha perso la psyche e non ha ancora iniziato a decomporsi è necessariamente un corpo dotato di psyche, dato che è ancora composto di organi e tessuti, che in quanto tali garantiscono al corpo il possesso attuale della capacità di svolgere ogni funzione vitale. A differenza della materia di un artefatto, quindi, la materia del soma empsychon non possiede propriamente la capacità di vivere in potenza, dato che in essa tale capacità è fin dal principio in atto, in quanto per Aristotele la prote entelecheia della capacità di vivere si identifica con il possesso della vita stessa, e quindi anche con il possesso dell'anima. Non è dunque possibile affermare che un corpo, un organo o un tessuto sono tali solo per omonimia allo stesso modo in cui ciò è valido per un manufatto tecnico come l'ascia, poiché il legno ed il ferro, pur possedendo in potenza la capacità di tagliare, dopo la perdita dell'eidos non la possiedono più in atto, mentre nel caso del corpo intero, degli organi e dei tessuti, è il possesso stesso della capacità di vivere a coincidere con il possesso dell'anima in atto, la presenza della quale è chiaramente incompatibile con la perdita dell'eidos114.

Occorre dunque approfondire ulteriormente la trattazione aristotelica dell'anima, allo scopo di comprendere meglio il modo in cui essa svolge il ruolo di forma, principio del movimento e telos di ogni organismo vivente. In tal senso, è anzitutto opportuno sottolineare che in De an. II 1 Aristotele ribadisce esplicitamente che la psyche non è in alcun modo separabile dal soma, dato che l'attività dell'anima si identifica propriamente con «l'atto delle corrispondenti parti del corpo». Tuttavia, aggiunge il filosofo, è possibile anche che l'anima «per sua natura» sia «divisibile in parti», e che pertanto una di queste, ossia l'anima intellettiva, non costituisca in alcun modo l'entelecheia di un corrispettiva parte del corpo (413a 4-7)115.

In De an. II 4 Aristotele afferma inoltre che la psyche costituisce «la causa e il principio [aitia kai arche]» di ogni organismo vivente, in quanto svolge allo stesso tempo il ruolo di «essenza», «principio del movimento» e «fine [hou heneka]» di tutto ciò che è animato (II 4, 415b 8-11). Più precisamente, l'essenza è la causa dell'essere di ogni sostanza, e poiché secondo Aristotele la psyche è appunto la causa della vita, essa si identifica conseguentemente con la causa dell'essere di tutto ciò che vive, in quanto per il filosofo «l'essere [einai]» di ogni vivente si realizza in primo luogo nel «vivere [zen]» (415b 11-14). Per questo motivo, l'anima rappresenta anche il «fine [telos]» verso cui tende la physis di ogni essere vivente. D'altra parte, aggiunge Aristotele, tutti i corpi naturali dotati di vita esistono «per l'anima [heneka tes psyches]», e pertanto ne costituiscono i principali strumenti (organa) (415b 15-20).

La psyche si identifica con la physis di ogni vivente in quanto svolge appunto il ruolo di principio del movimento di ogni soma empsychon. Non si tratta comunque del solo «movimento locale [kata topon kinesis]», ma anche della sensazione, che in quanto tale costituisce una specie del movimento per «alterazione [alloiosis]», ed inoltre della nutrizione, dell'accrescimento e del decadimento, del cui rapporto con il movimento si parlerà a breve (415b 21-28).

È ora invece utile precisare che in De an. I 4 Aristotele afferma esplicitamente che la psyche non muove il corpo in virtù della kinesis che essa stessa possiede, bensì che il movimento causato dalle varie affezioni dell'anima corrisponde a diversi movimenti di «traslazione» o «alterazione» del corpo. I mutamenti dovuti all'ira o al timore, ad esempio, sono determinati da certi altri movimenti del cuore, così come il pensiero stesso, ipotizza il filosofo, «è forse un movimento di questo o di un altro organo»116. Non è infatti corretto affermare che la psyche «è in collera», «prova compassione», «apprende» o «pensa», perché secondo

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