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Nell’ambito della tematica occorre considerare almeno quattro importanti e diversi complessi normativi:

1) la legislazione in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro e di prevenzione antinfor-tunistica;

2) le norme sull'accesso ai documenti amministrativi da parte di chiunque abbia un interesse giuridicamente tutelato, secondo la disciplina della legge 7 agosto 1990, n.

241 sul procedimento amministrativo, del d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352 sull'esercizio del diritto di accesso (successivamente sostituito ed abrogato dal d.P.R. n. 184 del 12 aprile 2006) e del decreto Ministro Pubblica Istruzione 10 gennaio 1996, n. 60 sulla di-sciplina del differimento o del diniego di accesso ai documenti;

3) le norme sulla tutela dei dati personali (o privacy), di cui alla legge n. 675/96 e successive modificazioni (ora confluite nel Codice in materia di protezione di dati per-sonali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e succ. modif.), dovendosi tenere presente che molti dei dati utilizzati dalla scuola in ambito infortunistico hanno carattere "sensibile" (perché attengono alla salute del minore infortunato).

A quanto indicato serve, inoltre, sommare l’intera trama delle disposizioni dettate da altri atti normativi, unilaterali oppure pattizi, concernenti le attribuzioni e gli obblighi di servizio del personale scolastico (in primis quelle riferibili alla dirigenza scolastica ed alle “posizioni di garanzia” che il dirigente occupa e riveste in tema di organizzazione della vita della comunità scolastica).

Infine, la materia infortunistica postula la conoscenza delle regole-base vigenti in tema di responsabilità penale, di responsabilità civile e di contenzioso processuale civi-listico.

Il fondamento della responsabilità civile per danni

Su di un piano generale va tenuto presente che l'art. 22 del T.U. n. 3/1957 stabilisce che l'impiegato il quale nell'esercizio delle attribuzioni conferitegli dalle leggi o dai re-golamenti cagioni ad altri un "danno ingiusto" è “personalmente” obbligato a risarcirlo.

L'art. 23 dello stesso T.U. n. 3/1957 precisa che è "danno ingiusto" quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave.

L'impianto normativo in discorso risale a previsioni di livello costituzionale.

L'art. 28 della Costituzione testualmente dispone: "I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici."

Le riforme legislative che a partire dagli anni 90’ hanno sempre più intensamente e diffusamente interessato il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti non hanno, invero, recato novità rilevanti in proposito. Basti al riguardo notare che l’art. 59 del d.lgs. n.

29/1993 (ora confluito nell'art. 55 del d.lgs. n. 165/2001), attraverso un rinvio di tipo di-namico, cioè idoneo a recepire flessibilmente le successive modifiche che intervengano nella normativa cui fa riferimento, dispone che per i pubblici dipendenti resta ferma “la disciplina in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile”.

Tornando al disposto dell’art. 28 della Costituzione, si può rammentare che trattasi di norma immediatamente precettiva. Da essa, infatti, sono desumibili due distinte re-gole di condotta (o norme giuridiche):

- l’una stabilisce che i pubblici impiegati, i quali in virtù del loro rapporto di imme-desimazione organica formano e manifestano la volontà della Pubblica Amministra-zione cui appartengono, sono responsabili in via diretta delle violazioni da essi arrecate a diritti soggettivi dei cittadini;

- l’altra stabilisce che detta responsabilità si estende ed investe anche la Pubblica Amministrazione.

È merito della prevalente dottrina e della giurisprudenza l’aver evidenziato, dopo lunghi e mai sopiti dibattiti in proposito, che la responsabilità civile intestata alla Pub-blica amministrazione è anch’essa, esattamente come la responsabilità civile del fun-zionario autore dell’illecito, una responsabilità diretta e per fatto proprio, non scatu-rente cioè da mera culpa in eligendo (l’avere assunto improvvidamente i funzionari o gli autori materiali dell’illecito) oppure da culpa in vigilando (non avere controllato il comportamento illecito dei funzionari e dipendenti).

In altre parole, la responsabilità civile della Pubblica Amministrazione è diretta e si fonda, in generale, sullo schema paradigmatico di cui all’art. 2043 del codice civile.

Essa non è una forma di responsabilità indiretta fondata, semmai, sull’art. 2047 del codice civile (che per i fatti illeciti commessi da una persona non capace chiama a ri-spondere, indirettamente, il soggetto capace che esercita la sorveglianza) oppure sull’art. 2049 del codice civile (che per i fatti illeciti commessi da domestici e commessi chiama a rispondere, indirettamente, il padrone o committente).

La responsabilità civile della P.A. è detta anche sussidiaria e solidale, nel senso che si affianca (la previsione costituzionale recita: si estende) a quella imputabile al perso-nale dipendente che ha commesso l’illecito.

L'azione giudiziale di risarcimento intrapresa nei confronti del dipendente pubblico - di regola e salvo ipotesi speciali (es. responsabilità del personale scolastico per difetto

di vigilanza sugli alunni) - può essere esercitata congiuntamente con l'azione nei con-fronti dell'Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell'ordi-namento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato.

La responsabilità civile (e personale) del dipendente, peraltro, si può configurare sia quando la violazione del diritto del terzo sia stata causata dall’adozione di atti o dal compimento di operazioni materiali, sia quando la violazione sia consistita in una omis-sione o ritardo ingiustificato nell’adozione di atti amministrativi dovuti ovvero nel com-pimento di operazioni cui il dipendente medesimo era obbligato, per legge o per rego-lamento.

L'Amministrazione, qualora in forza di sentenza del giudice ordinario o di un atto transattivo si veda costretta a risarcire ad un terzo il danno da essa ingiustamente cau-sato, con conseguente esborso di denaro (ad esempio perché non vi è copertura assi-curativa oppure il danno da risarcire eccede i massimali di polizza), può poi rivalersi sul dipendente mediante un'azione giudiziaria cosiddetta di rivalsa.

L’azione in rivalsa è esperibile innanzi la Corte dei conti. In questi casi il Pubblico Ministero contabile, all’uopo informato tramite denuncia o “notizia di danno” aliunde appresa, invoca in giudizio la responsabilità amministrativa-patrimoniale del dipen-dente che con la propria condotta attiva od omissiva ha causato il danno, sulla quale poi si pronuncia il giudice contabile.

Un’ultima precisazione concettuale si rende indispensabile.

La giurisprudenza ha più volte ed in varie sedi chiarito che la duplice responsabilità (dello Stato e del dipendente) sussiste ogniqualvolta sia individuabile il cosiddetto nesso o legame di “occasionalità necessaria” tra l’atto o comportamento illecito del dipen-dente e le attività istituzionali di ufficio svolte dalla P.A.

Il comportamento illecito del dipendente deve aver trovato occasione anche solo strumentale nello svolgimento delle attività istituzionali realizzate alla P.A.: se, vice-versa, si dimostri (prova non sempre agevole) che il dipendente ha agito totalmente al di fuori del suo rapporto lavorativo, per fini esclusivamente personalistici ed egoistici e del tutto divergenti da quelli la cui cura è affidata alla Pubblica Amministrazione, ri-sponderà egli, da solo, ai fini civili e l’Amministrazione andrà esente da responsabilità.

Altro principio generale da tener presente è quello secondo cui i meccanismi di ascri-zione ad un determinato soggetto delle conseguenze lesive derivanti da suoi compor-tamenti illeciti, visti nel loro nucleo essenziale ed irriducibile e prescindendo dal sistema normativo dentro il quale essi rispettivamente operano (penale, civile, amministrativo o contabile), postulano un legame tra la colpa individuale e la responsabilità.

Detto legame, se nel diritto penale, dove è più persistente, è radicato nel principio espresso dall’art. 27, comma 1, Cost. ("La responsabilità penale è personale"), nel diritto civile aveva trovato un'iniziale consacrazione nel principio “nessuna responsabilità senza colpa”, dapprima proclamato nel Code Napoleon e poi trasfuso nel codice civile italiano del 1865.

Con l’evolversi dei tempi, delle società e del diritto si è assistito ad un progressivo allentamento del legame stretto e puro tra colpa e responsabilità, nel senso che in vari

settori dell’attività umana il soggetto cui risale un danno è stato chiamato a risponderne in base ad altri criteri di imputazione.

La culpa in vigilando è uno (soltanto uno) degli esempi possibili: il rimprovero ordi-namentale, in questo caso, è comminato all’agente anche se il fatto dannoso è mate-rialmente causato da una persona diversa da colui che è chiamato a risponderne ed il criterio di propagazione soggettiva dell’obbligo risarcitorio risiede, quindi, nel non avere adeguatamente vigilato sull’operato del danneggiatore materiale.

Altro esempio è dato dal criterio del cd. rischio oggettivamente evitabile: si pensi alla materia infortunistica sul lavoro.

Non dissimile evoluzione è rinvenibile nel sistema penalistico nel quale, fermo re-stando il principio di personalità della responsabilità ed il criterio-base (v. art. 40 c.p.) della riconducibilità del rimprovero, anche sul piano del determinismo causale, diretta-mente alla sfera di dominio ed influenza della volontà soggettiva, nondimeno funzio-nano altri collaterali criteri di imputazione e di propagazione soggettiva della responsa-bilità.

Si pensi, per fare un unico esempio, al tema delle cosiddette “posizioni di garanzia”.

Elaborato con riferimento al cd. reato omissivo improprio (che nasce dalla combina-zione dell’art. 40, comma 2, c.p. e dalla cd. “clausola di equivalenza” con le diverse norme di parte speciale che contemplano le singole fattispecie criminose convertibili), il tema delle posizioni di garanzia riguarda i soggetti che operano nell’ambito di “orga-nizzazioni” - specialmente quelli rivestenti qualifiche apicali - i quali possono essere resi intestatari di obbligo o di insiemi di obblighi in ordine allo svolgimento di attività o adempimenti destinati ad assicurare il perseguimento di determinati interessi o finalità.

Il soggetto individuato dalla legge quale garante assume la veste di custode delle finalità (egli deve fare in modo e controllare che i fini siano concretamente perseguiti, deve adoperarsi per evitare che gli stessi siano esposti a rischio di lesione), il suo prin-cipale dovere è essenzialmente di tipo organizzativo o strutturale (deve cioè apprestare tutte le necessarie condizioni organizzative perché ciascun operatore, esercitando le proprie attribuzioni, persegua i fini ed i risultati voluti dalla legge).

Le posizioni di garanzia sono spesso a rete, nel senso che all’interno dell’organizza-zione e alla stregua della normativa di riferimento è possibile individuare molteplici ga-ranti a livello diverso, secondo i ruoli funzionali da ciascuno svolti.

Nel tessuto a rete delle posizioni di garanzia è compreso anche il caso della delega di funzioni.

La delega comporta la costituzione di una nuova posizione di garanzia in capo al delegato (quando conferita nel rispetto di alcuni requisiti, spesso anche formali). In virtù della delega, il delegato assume il compito di garantire l’attività o l’adempimento, con effetto liberatorio per il delegante e salvo residuo potere di controllo da parte di quest’ultimo.

Dottrina e giurisprudenza (specialmente quella penalistica) si sono spesso occupate dei problemi connessi alla delega di funzioni, nella ricerca di un equilibrio tra il rischio di deresponsabilizzazione dei soggetti deleganti o “garanti primari” degli obblighi e

l’opposto rischio di attribuire ad essi responsabilità cosiddette “di posizione”, per fatti incolpevoli o addirittura altrui.

Il problema della dislocazione di mansioni a mezzo di delega, peraltro, si pone in tutte le strutture organizzative complesse, private o pubbliche, nelle quali peraltro vi sono continui fenomeni di moltiplicazione delle competenze.

Sono stati elaborati taluni caratteri formali e sostanziali che deve rivestire la delega affinché essa garantisca un effettivo trasferimento di funzioni (e conseguentemente di responsabilità) dal delegante al delegato, caratteri che consentono di ritenere la delega pienamente valida e idonea a produrre effetti liberatori per il delegante.

I principali requisiti o presupposti affinché vi sia un valido esercizio del potere di delega ed un valido rilascio della stessa sono:

a) la predeterminazione certa = la delega deve risultare conferita dal delegante in data certa e antecedente al verificarsi di qualunque problema di responsabilità. Ciò sug-gerisce che la delega sia conferita con atto scritto, sottoscritto dal dirigente. Analoga-mente, in caso di cambio della persona fisica delegante o delegata (es. per trasferi-mento, nuova nomina), è da ritenere necessario il rinnovo della delega a cura del diri-gente, ogniqualvolta nell'atto di conferimento sussistano elementi che spingano a qua-lificarlo atto giuridicamente caratterizzato dal cd. “intuitu personae”;

b) la specificità ed il carattere non generico = la delega deve riguardare specifiche attribuzioni, con conferimento dei relativi poteri decisionali, giacché diversamente è una delega “in bianco”. Nulla impedisce che con un unico atto siano conferite più dele-ghe;

c) l’idoneità tecnico-professionale del delegato = ciò implica da parte del dirigente-datore di lavoro non soltanto una particolare attenzione nella scelta del delegato, ma anche il dovere di formare professionalmente lo stesso. Solitamente le amministrazioni organizzano stage o comunque corsi di formazione e aggiornamento destinati a quei funzionari che in base alla particolare attività a cui sono delegati devono essere resi edotti in merito;

d) l’autonomia decisionale del delegato = in mancanza di tale autonomia, infatti, le eventuali omissioni non possono che ricadere automaticamente in capo al dirigente. In tal senso non è ammissibile ed è indebita l'ingerenza o interferenza decisionale del di-rigente, cioè l’ostacolare il delegato nello svolgimento delle sue funzioni o addirittura impedirgli con atti autoritativi di svolgerle (un siffatto comportamento determina la so-stanziale revoca o riduzione della delega e la riassunzione diretta dell’obbligo in capo al delegante). D’altronde, se il dirigente conservasse gli effetti poteri decisionali senza tra-sferirli al delegato, la delega stessa verrebbe meno, essendo palesemente finalizzata solo a scaricarsi delle responsabilità;

e) la disponibilità dei mezzi necessari all’espletamento dell’incarico = va intesa nel senso di poteri adeguati e sufficienti ad assolvere l’incarico ricevuto per delega;

f) l’esercizio di vigilanza e controllo = uno tra i più ricorrenti quesiti formulati dagli operatori a proposito di delega di funzioni attiene al fatto se sia necessario che il diri-gente-delegante eserciti, e fino a che punto, la vigilanza e controllo sul delegato

all’ac-o si dimall’ac-ostri inidall’ac-oneall’ac-o allall’ac-o svall’ac-olgimentall’ac-o delle sue mansiall’ac-oni. La giurisprudenza, all’ac- occupa-tasi frequentemente di questo profilo, ha affermato che il delegante, quale garante pri-mario dell’obbligo posto a suo carico, se trasferisce (essendo a ciò autorizzato) l’adem-pimento di tale obbligo ad altri (creando posizioni di garanzia derivate ed autonome, che si affiancano a quelle primarie) assume il rischio dell’inadempimento del delegato e, quindi, certamente conserva obblighi di controllo sull’operato del dipendente. Sif-fatta responsabilità del delegante circa il controllo e la vigilanza sull’operato del dele-gato non va, però, affermata in astratto, a prescindere dalle rispettive condotte, ma in relazione alle concrete condizioni fattuali, secondo un giudizio di prevedibilità e evita-bilità in concreto del fatto posto in essere. Diversamente, infatti, qualsiasi inadempi-mento si riporterebbe automaticamente in capo al delegante e frusterebbe la funzione ineliminabile dell’istituto della delega. In altre parole, il controllo non dovrà essere for-zosamente assiduo, puntuale e di dettaglio, quanto piuttosto dovrà sostanziarsi in una vigilanza generale, che consenta di verificare il regolare andamento nell’adempimento degli obblighi delegati.

g) la forma dell’atto di delegazione = è necessariamente scritta, ma non solenne;

h) la durata e il legame fiduciario (cd. intuitu personae) = dipende dalle circostanze.

Naturalmente, laddove sia ravvisabile il legame personale e fiduciario, un qualsiasi mu-tamento che interessi il delegante o il delegato (es. successione nella preposizione diri-genziale all'ufficio, trasferimento) esigerà il rinnovo della delega;

i) l’accettazione = la delega deve essere accettata dal delegato. Il rifiuto è ammissi-bile (e non integra un ingiustificato inadempimento di prescrizioni di direzione legitti-mamente impartite del datore di lavoro) soltanto quando la delega sconfini in senso assoluto dal mansionario del delegato oppure quando sussistono valide e motivate giu-stificazioni.

I suddescritti principi, elaborati in sede giurisprudenziale, sono stati recepiti e nor-mativizzati (talvolta in maniera ancora più stringente) negli articoli 16 e 17 del d. lgs. n.

81/2008 in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro. In particolare, l'art. 16 del decreto 81/2008 è stato successivamente modificato dal d. lgs. n. 106/2009, attraverso la pre-cisazione che l'obbligo di vigilanza in capo al delegante si intende "assolto" tramite l'a-dozione di appositi "modelli" organizzativi di verifica e controllo che siano preventi-vamente approntati in seno all'Ente o Amministrazione, nonché tramite la precisa-zione che è ammessa una "sub-delega" ad altro soggetto (ipotesi finora esclusa dalla giurisprudenza), purché essa avvenga una sola volta (non è consentita una successiva sub-delega a catena) e senza che il delegante si liberi e vada esente dall'obbligo di vigi-lare sul corretto espletamento delle funzioni trasferite al delegato.

Va, infine, ricordato che la dottrina penalistica prevalente, all’interno della generale categoria dell’obbligo di garanzia, ritaglia le due ipotesi:

- dell’obbligo di protezione (di determinati beni giuridici rispetto a tutte le possibili fonti di pericolo che possano minacciarne l’integrità);

- dell’obbligo di controllo (di determinate fonti di pericolo, al fine di evitare che esse offendano beni giuridicamente tutelati).

Nella selezione degli obblighi di garanzia, la cui violazione consente l’affermazione di responsabilità penale, risulta ormai pacificamente accolta la cd. “teoria mista”, se-condo la quale su un soggetto grava un obbligo di garanzia solo ove questo derivi da una fonte formale - ad esempio, la legge o un contratto - e vi sia l'effettiva presa in carico del bene giuridico protetto.

Natura giuridica degli obblighi di vigilanza gravanti sulle istituzioni scolastiche - Legitti-mazione processuale

Gli infortuni costituiscono eventi ad alto grado di probabilità, nella scuola come in ogni altra comunità lavorativa organizzata.

I fattori di rischio, riconducibili a circostanze fortuite, ad insidie, a deficienze strut-turali od organizzative preesistenti all'incidente ed imperfettamente rimosse oppure a trascuratezze e disattenzioni nei comportamenti umani, vengono accresciuti dalle ca-ratteristiche proprie della comunità scolastica, che vive della presenza attiva, accanto agli addetti, di allievi ricchi di esuberanza giovanile, ma anche di spensieratezza spesso imprudente.

In generale occorre notare che gli obblighi dell'amministrazione scolastica per i pe-ricoli cui vanno incontro gli alunni-utenti sono quelli propri del fornitore di un servizio.

Si tratta, pertanto, di obbligazioni giuridiche aventi natura "contrattuale" o "nego-ziale" che, nella specie, risalgono essenzialmente al dovere di vigilare sui minori ed alla predisposizione, da parte dell'istituzione scolastica, di ogni misura preventiva di cautela affinché i giovani possano usufruire del servizio scolastico in condizioni di adeguata si-curezza e in assenza di pericolo evitabile di danno alla persona.

La giurisprudenza ha precisato che all'atto della iscrizione ed ammissione dell'a-lunno a scuola si realizza "l'instaurazione di un vincolo negoziale, in virtù del quale, nell'ambito delle obbligazioni assunte dall'istituto, deve ritenersi sicuramente inclusa quella di vigilare anche sulla sicurezza e sull'incolumità dell'allievo nel tempo in cui frui-sce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a sé stesso" (Cass. SS.UU. civ. n. 9346/2002; n. 9906/2010; n.

19158/2012).

L'art. 61, comma 2, seconda parte, della legge n. 312/1980, peraltro, ha soppresso la legittimazione passiva degli insegnanti, stabilendo che, nei confronti dei terzi dan-neggiati, debba rispondere, in via diretta, soltanto l'Amministrazione (principio già enunciato dalla sent. n. 2463 del 1995 e di recente ribadito dalla sent. n. 19158/2012).

L'esclusione della legittimazione passiva in giudizio del docente, onde evitare una disparità ingiustificata di trattamento in relazione ad eventi dannosi imputabili alla vio-lazione di un identico obbligo di vigilanza, opera anche nel caso di azioni di responsabi-lità promosse per danni subiti dagli alunni a causa di atti da loro stessi compiuti (cd.

autolesione).

La citata sentenza n. 9346/2002, componendo un indirizzo interpretativo prima oscillante, ha anche affermato che nel caso di danno arrecato dall'allievo a se stesso appare più corretto ricondurre la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante

il danneggiato di fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c., bensì nell'ambito della responsabilità contrattuale, con conseguente applicazione del regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c.

Più in dettaglio, la Cassazione ha parlato di una responsabilità "per contatto so-ciale", cioè di un rapporto giuridico nell'ambito del quale il precettore-insegnante, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, assume anche uno specifico ob-bligo di protezione e di vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona.

La nozione della responsabilità "per contatto" è stata elaborata dalla giurisprudenza civilistica in generale e con riferimento alle cosiddette "professioni protette"

La nozione della responsabilità "per contatto" è stata elaborata dalla giurisprudenza civilistica in generale e con riferimento alle cosiddette "professioni protette"

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