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Sergio Auriemma. Il Dirigente scolastico e l organizzazione della sicurezza sul lavoro nella scuola

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Academic year: 2022

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Sergio Auriemma

Il Dirigente scolastico e l’organizzazione

della sicurezza sul lavoro nella scuola

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Le norme costituzionali in tema di responsabilità

Art. 27: La responsabilità penale (connessa ad un fatto illecito che la legge qualifica come “reato”) è “personale”. L’imputato non è considerato colpevole sino alla con- danna definitiva” (cioè fino all’esperimento di tutti i gradi di giudizio, all’esito dei quali la sentenza di condanna si qualifica come “passata in giudicato”).

Art. 28: I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in viola- zione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

Due tesi dottrinarie si sono ripetutamente contrapposte in ordine alla natura giuri- dica (diretta o indiretta) della responsabilità ed al concetto di “estensione” di cui parla l’art. 28 Cost.

Secondo alcuni autori (tesi minoritaria), si tratta di una responsabilità indiretta o per fatto altrui, basata sull’art. 2049 c.c. (riferibile alla responsabilità dei padroni e commit- tenti).

Secondo altri (tesi prevalente) si tratta invece di una responsabilità diretta, in virtù del rapporto di immedesimazione organica. In pratica, la locuzione “si estende” signi- fica che alla responsabilità individuale del funzionario si aggiunge solidalmente la re- sponsabilità della PA.

Va chiarito che -per interpretazione ormai pacifica in sede giurisprudenziale- la lo- cuzione “si estende” va intesa come “si affianca”.

Art. 54: Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osser- varne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore….

Art. 97: I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Art. 103: Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giu- risdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi le- gittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.

La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.

Art. 113: Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione or- dinaria o amministrativa.

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I COMPLESSI NORMATIVI DA CONSIDERARE CODICE CIVILE

il Codice Civile italiano del 1942 stabilisce nell’art. 2043: qualunque fatto, doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno. Per meglio comprendere il principio del “neminem laedere” con rife- rimento al settore scolastico è necessaria una lettura integrale anche degli articoli 2047 e 2048.

Art. 2047. (Danno cagionato dall’incapace). In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorve- glianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorve- glianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può con- dannare l’autore del danno a un’equa indennità.

Art. 2048. (Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte).

Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.

TU IMPIEGATI CIVILI DELLO STATO

Il DPR 10 gennaio 1957, n. 3 “Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, nella parte che tuttora ha retto alle numerose modi- fiche normative sopravvenute, ha recepito il dettato costituzionale sulle responsabilità nell’articolo 18:

Art. 18 (Responsabilità dell'impiegato verso l'Amministrazione)

L'impiegato delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio.

Se l'impiegato ha agito per un ordine che era obbligato ad eseguire va esente da responsabilità, salva la responsabilità del superiore che ha impartito l'ordine.

L'impiegato, invece, è responsabile se ha agito per delega del superiore.

Successivamente il tutto è confluito nel d.lgs. n. 29 del 1993 (Cassese) e poi nel d.

lgs. n. 165 del 30 marzo 2001 -attualmente vigente- che individua con chiarezza le di- mensioni di responsabilità della Dirigenza scolastica, alla quale viene dedicato uno spe- cifico gruppo di disposizioni fissate dell’articolo 25.

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Occorre ancora ricordare l’art. 61 della Legge n. 312 dell’11 luglio 1980 recante

“Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato”:

Art. 61 - (Disciplina della responsabilità patrimoniale del personale direttivo, do- cente, educativo e non docente)

La responsabilità patrimoniale di personale direttivo, docente, educativo e non do- cente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle isti- tuzioni educative statali per danni arrecati direttamente all’Amministrazione in connes- sione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'eser- cizio della vigilanza sugli alunni stessi.

La limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, la Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi.

Vanno peraltro considerati:

- Il TU delle leggi della scuola n. 297/1994, tuttora vigente ma notevolmente rima- neggiato nel corso degli anni

- Il d. lgs. n. 81/2008, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro

Alla luce della normativa, di indubbia complessità, le responsabilità connesse a detto complesso normativo e facenti carico in maniera prevalente al Dirigente scola- stico ricadono nella fattispecie della “Culpa in organizzando” ex art. 2043 del Codice Civile e si sostanziano nell’assunzione dei necessari provvedimenti per garantire la si- curezza nella struttura scolastica, predisponendo le misure organizzative idonee a pre- venire situazioni di pericolo e/o rischio.

Al riguardo va tenuto presente, tra l’altro, che “non è possibile pretendere negli am- bienti di lavoro il rischio zero” (cfr. Circolare INAL n. 22 del 20 maggio 2020). Viene dun- que in rilievo il profilo di responsabilità sulla corretta gestione e organizzazione dei ser- vizi scolastici e delle conseguenti disposizioni impartite al fine di assicurarne un’accu- rata vigilanza, nella previsione dei rischi per la salute dei minorenni affidati alla scuola e del personale scolastico, nonché il controllo della loro puntuale attuazione.

Al Dirigente scolastico tocca, pertanto eliminare o ridurre tutte le prevedibili fonti di rischio e/o di pericolo per essere sollevato dalle responsabilità, dando prova della corretta gestione.

- la legge sul procedimento amministrativo: n. 241 del 1990

- il codice della privacy: d.lgs. n. 196/2003 e d.lgs. n. 101 del 2018 (con adattamenti di cui al Decreto di adeguamento al GDPR (General Data Protection Regulation).

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- il codice del processo amministrativo: d.lgs. n. 104/2010

- la legge n. 190/2012 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corru- zione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” (cd. legge Severino)

- il codice della giustizia contabile: d.lgs. n. 174/2016 e d.lgs. correttivo n.

114/2019

- il codice di comportamento dei pubblici dipendenti e i codici disciplinari conte- nuti nei Ccnl

Il vocabolo “responsabilità” - nella comune accezione - ha significato polivalente.

Innanzitutto consiste nel potere o dovere di fare: in questo senso aumenta con l’au- tonomia.

Implica poi il dovere di rendere conto all’esterno di ciò che si fa: (questo aspetto è regolato anche da norme esterne al comparto scolastico; occorre conoscerle).

Lo stesso termine - nella sua accezione tecnico-giuridica - indica una situazione di assoggettamento ad una determinata misura o sanzione a seguito dell’inosservanza di un obbligo.

L’obbligo o dovere di ufficio trascurato può essere:

- di tipo generico (es. eseguire con diligenza i compiti di ufficio; mantenere un com- portamento corretto nel servizio; applicare una regola generale di contabilità; rispet- tare il principio generale del non arrecare danno a nessuno o “neminem laedere”);

- di tipo specifico (es. effettuare un dato adempimento; applicare determinate re- gole procedurali).

All’obbligo originario non correttamente osservato può sostituirsi - per esplicita previsione di legge (principio di legalità) - un obbligo di responsabilità o risarcitorio (scontare una pena, una sanzione disciplinare, risarcire il danno, ecc.).

Le responsabilità ascrivibili ai pubblici dipendenti durante le attività di istituto pos- sono essere ricondotte a CINQUE FONDAMENTALI tipologie:

1. CIVILE 2. PENALE

3. AMMINISTRATIVA O DI LEGITTIMITÀ 4. ERARIALE E CONTABILE

5. DIRIGENZIALE o PER I RISULTATI

Ad esse si affianca la cd. responsabilità disciplinare.

Detta specie di responsabilità storicamente era basata sul cd. potere di supremazia speciale della PA e, quindi, si collocava nell’ambito dell’ordinamento generale dello Stato.

LE FORME DI RESPONSABILITÀ

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Dopo la cd. “privatizzazione del rapporto di pubblico impiego”, la materia discipli- nare si fonda sul potere datoriale civilistico di ciascuna amministrazione, è regolata da una doppia fonte normativa di regolazione (legge e contratti collettivi di lavoro) ed è sottoposta alla giurisdizione esclusiva del Giudice del Lavoro.

Le diverse forme di responsabilità sono tra loro concorrenti e non alternative, nel senso che uno stesso e unico fatto commesso può integrare contemporaneamente una o più fattispecie di responsabilità (es. chi commette un reato può andare incontro an- che a responsabilità disciplinare per la stessa vicenda, nonché essere chiamato a risar- cire il danno patrimoniale eventualmente arrecato).

Per cogliere compiutamente quali siano le varie forme di responsabilità nelle quali un qualsiasi soggetto teoricamente può incorrere sarà pertanto indispensabile:

1) individuare con precisione gli obblighi di comportamento, le regole dell’attività 2) individuare le conseguenze (sanzioni) applicabili in caso di violazione

Secondo uno schema di ragionamento paradigmatico valido in tutti i casi di respon- sabilità, nel momento in cui un giudice penale, civile, amministrativo contabile od anche un collegio disciplinare valuta un evento o una situazione procede a verificare:

Chi era il soggetto obbligato ad agire (il soggetto al quale la legge o il regolamento interno o l’ordine di servizio, secondo le competenze per ciascuno previste, affidava quel dato compito).

Il nesso di causalità o di condizionamento (cioè se l’evento accaduto si ricolleghi in maniera ininterrotta ad un comportamento umano tenuto in violazione di obblighi ge- nerici o specifici).

Art. 40 cp - Rapporto di causalità.

Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'e- vento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.

Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagio- narlo.

Art. 41 c.p. Concorso di cause.

Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipen- denti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento.

Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedente- mente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita.

Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simul- tanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.

Art. 43 c.p. Elemento psicologico del reato.

Il delitto:

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- è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione;

- è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente;

- è colposo, o contro l'intenzione quando l'evento, anche se preveduto, non è vo- luto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Il fatto generatore di responsabilità, cioè il comportamento tenuto dal soggetto agente che viene in rilievo ai fini della valutazione di sussistenza o meno della respon- sabilità può consistere nell’adozione di un atto o di un provvedimento, ovvero in una omissione, ovvero ancora in una mera attività materiale.

Una sola azione materiale o provvedimentale (es. sottrazione di beni, atto ammini- strativo illegittimo), oppure un solo comportamento omissivo può venire in rilievo ai fini del contestuale insorgere di due di più o di tutte le forme di responsabilità:

- penale = per il reato commesso

- civile = per danno arrecato a terzo estraneo

- amministrativa: con annullamento giudiziale dell’atto illegittimo - patrimoniale-contabile = per danno arrecato alle finanze pubbliche - dirigenziale = per la compromissione dell’elemento fiduciario

Un esempio di comportamento materiale = punizioni corporali alunno in classe Art. 571 cp: Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina.

Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sot- toposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.

Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni

Art. 572 cp: Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua au- torità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

Art. 582 cp: Lesione personale.

Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

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Il comportamento (attivo od omissivo) tenuto dal soggetto agente è:

- illegittimo se fa riferimento ad una condotta, atto o provvedimento adottato in violazione della legge o di disposizioni regolamentari, interne, di servizio, ecc.;

- dannoso se, indipendentemente dalla conformità a legge dell’atto adottato, il comportamento è causa di ingiusto nocumento patrimoniale.

La distinzione accennata è essenziale per comprendere appieno la natura del sinda- cato giudiziale svolto dalla Corte dei conti. È opportuno tenere a mente che la Corte dei conti giudica esclusivamente sulla illiceità dannosa delle condotte dei pubblici funzio- nari. In altre parole, il giudizio di responsabilità si differenzia nettamente dal giudizio di legittimità (del quale sono competenti TAR e Consiglio di Stato), nel senso che:

- il giudice contabile conosce e giudica del comportamento tenuto dall’agente (at- traverso gli atti materiali o amministrativi da lui compiuti),

- il giudice amministrativo esamina e valuta la legittimità degli atti e provvedi- menti amministrativi.

L’art. 52 del T.U. 1214/1934 e gli artt. 82 e 83 r.d. 2440/1924, posti a base della responsabilità azionabile innanzi alla Corte dei conti, prescrivono la verifica giurisdizio- nale di una condotta dolosa o colposa, attiva od omissiva, che si ponga in rapporto di efficiente causalità con un evento di dannosità patrimoniale.

Oggetto del giudizio della Corte dei conti, dunque, sarà sempre e solo il compor- tamento del dipendente, giammai la legittimità degli atti amministrativi adottati.

Ciò significa che nel giudizio di responsabilità erariale gli atti amministrativi non ver- ranno mai direttamente in rilievo nella loro funzione tipica di esercizio del potere attri- buito all’autorità da giudicarsi in termini di legittimità-illegittimità, ma sempre e solo quali componenti del comportamento dell’agente e per gli effetti che esse producono nella realtà giuridica, della cui liceità al giudice della Corte è affidata la competenza a giudicare.

Nell’esaminare il comportamento dell’agente il giudice contabile certamente potrà tener conto della legittimità di un atto amministrativo per rilevarne la non conformità alla legge, ma farà questo giammai per annullare o disapplicare l’atto o pronunciarsi sulla sua legittimità, ma sempre e solo al fine di valutare la condotta complessiva del dipendente. Si spiega, allora, perché l'avvenuta approvazione dell’atto amministrativo da parte di un organo di vigilanza o di controllo, interno o esterno all’Amministrazione (ivi compreso l’esito positivo di un controllo della stessa Corte dei conti) di per sé non esclude la responsabilità, pur dovendo essere valutata per stabilire se il comporta- mento dell’agente sia da considerarsi colpevole.

La riprova di questa specificità può essere ottenuta facendo riferimento ad alcune ipotesi particolari. Può, infatti, darsi il caso che il comportamento tenuto dal dipen- dente sia solo illegittimo (cioè consista in mere illegittimità o irregolarità attinenti l’atto amministrativo: es. acquisto a trattativa privata in caso non consentito, senza alcun in- cremento degli oneri economici sostenuti), oppure sia formalmente conforme a legge ma sostanzialmente illecito, perché espressivo di eccesso di potere o abuso (es. acqui- sto, pur nel pieno rispetto delle procedure, di un bene irrazionalmente troppo costoso oppure inutile oppure che resti inutilizzato).

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LA RESPONSABILITÀ CIVILE VERSO TERZI

Questa forma di responsabilità per danni arrecati a terzi estranei all’Amministra- zione può ricorrere anche nell'ambito delle istituzioni scolastiche ed educative (si pensi, per fare solo qualche esempio, a casi di infortunio degli alunni, ma anche all’ipotesi di un supplente licenziato che si rivolga al giudice civile per il risarcimento dei danni su- biti).

Essa insorge quando l’Amministrazione è chiamata a risarcire in sede civile il danno causato al terzo estraneo.

L’Amministrazione, una volta che abbia risarcito il danno, potrà rivalersi sul dipen- dente che lo ha causato.

Come già visto a proposito dell’art. 28 della Costituzione, questa responsabilità può essere fatta valere sia nei confronti dell’Amministrazione (che è più solvibile), sia di- rettamente nei confronti del dipendente.

Quindi non vi è alcun rapporto di sussidiarietà o carattere indiretto della respon- sabilità che va a gravare sul funzionario.

Affinché sorga la responsabilità dell'Amministrazione serve, piuttosto, un nesso di necessaria occasionalità tra le attribuzioni dei soggetti e la loro condotta illecita.

Nella nozione rientrano tutti quei fatti illeciti resi possibili dal rapporto del funzio- nario (anche di fatto) con l'ente pubblico di appartenenza ed occasionati da esso.

La giurisprudenza amministrativa ha più volte ribadito che è inammissibile l'utilizzo del principio secondo cui la commissione di un reato interrompe e spezza il nesso or- ganico tra il soggetto agente e la P.A., dato che esso priverebbe la vittima del reato del necessario ristoro economico.

LA RESPONSABILITÀ PENALE Nozioni generali di diritto penale

Il diritto penale è il ramo del diritto pubblico che disciplina i fatti costituenti reato.

In generale, si definisce reato ogni fatto umano alla cui commissione la legge ricol- lega l'irrogazione di sanzioni penali.

Sono sanzioni penali la pena e la misura di sicurezza che, pur essendo variamente configurate, assolvono una duplice funzione: da un lato mirano a garantire e tutelare la società dalla commissione di delitti e dall'altro tendono a favorire la rieducazione e la risocializzazione di colui che ha commesso il reato.

La dottrina parla, pertanto, di doppia funzionalità della sanzione penale, riferendosi così alla funzione di:

- prevenzione cd. generale: si riconosce alla sanzione penale un carattere deter- rente; la minaccia della sanzione tende a distogliere i consociati dalla commissione di reati.

- prevenzione cd. speciale: l'irrogazione della pena prevista in relazione al reato com- messo mira a scoraggiare il condannato dalla realizzazione di nuovi reati.

Funzione precipua del diritto penale è, pertanto, quella di garantire le condizioni

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beni dotati di un notevole rilievo sul piano sociale e, pertanto, considerati meritevoli di protezione sul piano giuridico.

I beni giuridici tutelati dalle norme penali poste dal legislatore sono, di regola, beni dotati di rilevanza costituzionale (cd. teoria costituzionalmente orientata del bene giu- ridico).

Le partizioni del diritto penale

Il codice penale si divide in due parti: la parte generale e la parte speciale.

Nella parte generale, il legislatore ha inserito gli istituti e i principi generali.

Nella parte speciale si rinvengono, invece, le singole figure criminose. Il criterio si- stematico prescelto dal legislatore per la strutturazione della parte speciale è quello facente capo al concetto di bene giuridico di categoria: i reati vengono raggruppati, pertanto, sulla base del bene giuridico offeso (es. delitti contro la personalità dello Stato, delitti contro la P.A., ecc.).

Le due parti del codice penale si integrano reciprocamente.

È bene chiarire, tuttavia, che il novero dei fatti sanzionati penalmente non si esau- risce nell'insieme delle fattispecie criminose elencate e descritte nella parte speciale del codice. Infatti, molti reati sono previsti e disciplinati al di fuori del codice, nelle cd.

leggi speciali o complementari, che affiancano il codice penale e che vanno progressi- vamente aumentando nel tempo.

Caratteristiche dell'illecito penale

- l'illecito penale è nozione di creazione legislativa: solo la legge (fonte primaria) può qualificare un fatto come reato e disciplinare gli elementi costitutivi dello stesso (nul- lum crimen sine lege); le fonti secondarie (i regolamenti) possono esclusivamente spe- cificare elementi già delineati a livello legislativo;

- l'illecito penale è di formulazione tassativa: la legge individua chiaramente ed ine- quivocabilmente i fatti penalmente rilevanti;

- l'illecito penale è tipico: può considerarsi penalmente rilevante unicamente quel fatto che sia previsto dalla legge come tale;

- l'illecito penale ha carattere personale: è, infatti, vietata ogni forma di responsabi- lità per fatto altrui ed il reato deve risolversi in un fatto colpevole.

Distinzione tra delitti e contravvenzioni

I reati vengono tradizionalmente distinti in delitti e contravvenzioni.

In linea di massima i delitti costituiscono le forme più gravi di illecito mentre le con- travvenzioni quelle meno gravi.

Sono diverse le misure sanzionatorie previste nel codice per l'uno e per l'altro tipo di illecito:

- per i delitti: ergastolo, reclusione e multa;

- per le contravvenzioni: arresto e ammenda.

Inoltre i delitti, in genere, vengono puniti se commessi con dolo (la colpa acquista rilievo ai fini della punibilità solo se espressamente indicato), mentre delle contravven- zioni si risponde sia a titolo di dolo che di colpa.

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I soggetti del reato

Soggetto attivo: si definisce soggetto attivo o autore colui che pone in essere un fatto costituente reato.

Soggetto passivo: è tale il titolare del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata. Si definisce anche persona offesa dal reato. In certi casi può aversi una pluralità di soggetti passivi. Inoltre possono essere soggetti passivi del reato, oltre che le persone fisiche, anche le persone giuridiche, lo Stato e le collettività non personificate.

Danneggiato dal reato: soggetto che, in ragione del reato, subisce un danno patri- moniale o non patrimoniale risarcibile e che è legittimato, pertanto, a costituirsi “parte civile” nel processo penale (danneggiato dal reato e soggetto passivo non necessaria- mente coincidono; ad esempio nel delitto di omicidio soggetto passivo è la vittima, mentre danneggiati dal reato sono i familiari della vittima).

L'oggetto del reato

Oggetto giuridico del reato: si considera tale il bene giuridico o l'interesse protetto dalla norma penale. Può avere consistenza materiale (es. il patrimonio) o immateriale (es. il buon andamento della PA).

Oggetto materiale del reato: è l'entità materiale (persona o cosa) su cui ricade l'at- tività delittuosa (l'oggetto materiale ed il soggetto passivo possono coincidere o meno.

Ad esempio nel delitto di omicidio sussiste tale coincidenza ma manca in altri casi, come nel delitto di resistenza ad un pubblico ufficiale, in cui oggetto materiale è il pubblico ufficiale e soggetto passivo la P.A., trattandosi di uno dei delitti contro la P.A.).

Oggetto giuridico e oggetto materiale del reato possono occasionalmente coinci- dere (ad esempio, nel delitto di omicidio, la vita costituisce, al contempo, sia l'oggetto dell'azione criminosa sia il bene alla cui protezione è demandata la norma penale) ma, in altri casi, l'oggetto materiale del reato è distinto dal suo oggetto giuridico (ad esem- pio, nei delitti contro il patrimonio, l'oggetto materiale è costituito dal bene concreta- mente aggredito dall'azione criminosa, mentre il bene giuridico tutelato dalla norma è sempre rappresentato dal patrimonio).

La struttura e gli elementi del reato Gli elementi del reato si distinguono in:

- elementi essenziali: la loro sussistenza è indispensabile perché possa ritenersi in- tegrato il reato;

- elementi accidentali: la relativa presenza non è rilevante ai fini della configurabilità del reato, ma rileva sul piano della determinazione dell'entità della pena (cd. circo- stanze aggravanti e circostanze attenuanti).

In dottrina si contrappongono due diverse teorie circa la struttura del reato: la teoria della struttura tripartita e la teoria della bipartizione.

Secondo la prima concezione (tripartita) elementi essenziali del reato sono:

- il fatto tipico;

- l'antigiuridicità;

- la colpevolezza.

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Perché possa ritenersi integrato l'illecito penale è infatti necessario che venga posto in essere un fatto umano corrispondente allo schema legale della figura di reato trat- teggiato dalla norma penale. Tale fatto, inoltre, deve risultare antigiuridico ovvero con- trario all'ordinamento (contra ius). Deve, inoltre, potersene attribuire la responsabilità ad un autore (colpevolezza).

Secondo la teoria della bipartizione, invece, il reato sarebbe caratterizzato da un elemento oggettivo (il fatto tipico) e da un elemento soggettivo (dolo o colpa che inte- grano la colpevolezza).

Classificazione dei tipi di reato

I reati possono essere divisi in diverse categorie.

Una prima tradizionale suddivisione è quella basata sulla forma della condotta te- nuta dal soggetto agente; in questo senso, i reati si distinguono in REATI COMMISSIVI (cd. di azione) e REATI OMISSIVI (cd. di omissione), a seconda che la condotta si sostanzi in una azione positiva o in un'azione negativa od omissione.

I reati omissivi, a loro volta, si dividono in:

- omissivi propri: il reato si configura a fronte della semplice mancata realizzazione di una condotta qualificata come doverosa da una norma penale di comando, senza che si renda necessaria la verificazione di un evento come conseguenza dell'omissione (es.

omissione di soccorso);

- omissivi impropri: il reato si configura laddove si verifichi un evento lesivo diretta- mente dipendente dalla mancata realizzazione di un'azione indicata come doverosa (quindi nel caso di violazione di un obbligo giuridico di impedire l'evento). Si tratta, pe- raltro, di una tipologia di reato che può assumere particolare rilievo nel settore scola- stico, in cui, la configurabilità di una responsabilità penale in capo all'insegnante può dipendere, tendenzialmente in modo prevalente, dall'inattuazione di comportamenti indicati come doverosi. Es. responsabilità dell'insegnante per omessa vigilanza in caso di lesioni.

Altra importante distinzione è quella tra reati di evento e reati di azione. Nei primi la norma penale stessa (che delinea la fattispecie) include, nella configurazione del reato, la verificazione di un evento esteriore separato dall'azione ma da essa diretta- mente causato e quindi ad essa legato da un nesso di causalità. Tali reati sono ulterior- mente distinti in:

- reati di evento a forma vincolata, caratterizzati dalla specificazione, a livello nor- mativo, delle modalità di produzione dell'evento lesivo;

- reati di evento a forma libera (o reati causali puri), in cui si contempla la produ- zione dell'evento come conseguenza diretta dell'azione posta in essere ma non si spe- cificano le modalità di produzione dello stesso (es. delitto di omicidio).

Nei reati di azione o di pura condotta, invece, la semplice realizzazione dell'azione vietata è sufficiente ad integrare il reato, non rilevando la produzione dell'evento ai fini della configurabilità della fattispecie criminosa.

A seconda del tipo di soggetto che commette il reato questo, poi, si distingue in reato comune o reato proprio.

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Il reato si definisce comune quando può essere commesso da qualsiasi soggetto; è proprio, invece, il reato che può essere posto in essere esclusivamente da chi ricopra una specifica posizione o rivesta una particolare qualifica (es. pubblico ufficiale o inca- ricato di pubblico servizio).

I reati si distinguono, infine, in:

- illeciti di danno: ravvisabili nel caso in cui la condotta penalmente rilevante com- porti un'effettiva lesione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice (es.

delitto di omicidio);

- illeciti di pericolo: caratterizzati dalla semplice esposizione a pericolo o a poten- ziale lesione (attraverso la realizzazione della condotta incriminata) del bene giuridico protetto dalla norma penale (es. delitto di incendio). Negli illeciti di pericolo si assiste, quindi, ad un'anticipazione di tutela nel senso che, come chiarito, non si rende neces- saria, ai fini della configurabilità del reato, l'effettiva lesione del bene giuridico protetto ma è sufficiente che si determini la messa in pericolo dello stesso. Si tratta di una tec- nica di incriminazione di cui il legislatore, specie negli ultimi decenni, ha fatto largo uso data la considerevole crescita delle attività rischiose (determinata dal progresso tecno- logico).

I reati di pericolo, a loro volta, si dividono in:

- reati di pericolo concreto: il pericolo rientra tra gli elementi costitutivi del reato (deve perciò determinarsi un'effettiva esposizione a pericolo del bene, della cui verifi- cazione dovrà accertarsi il giudice, perché possa ritenersi integrato il reato);

- reati di pericolo presunto: il pericolo non viene esplicitamente annoverato tra gli elementi costitutivi del reato; il legislatore si limita ad individuare una condotta tipica al compimento della quale generalmente di determina l'esposizione a pericolo di un bene. In questo caso, quindi, la sussistenza del pericolo si presume sulla base di regole di comune esperienza.

L'elemento oggettivo

Il fatto tipico è dato dall'insieme degli elementi che integrano il reato, elementi che, ovviamente, si diversificano a seconda della fattispecie delittuosa.

La nozione di tipicità si riconnette, inevitabilmente, a quella di bene giuridico poiché il fatto tipico include ovviamente la lesione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice. Laddove mancasse la lesione o l'offesa al bene giuridico, infatti, non po- trebbe ritenersi integrato il reato essendo la tipicità solo apparente.

Il fatto tipico, costituente l'elemento oggettivo del reato, comprende:

La condotta

Essa si ravvisa nel comportamento dell'uomo estrinsecantesi in un'azione materiale che si manifesta nella realtà esteriore. La condotta può consistere in una:

- azione positiva: un comportamento attivo incidente sulla realtà esterna e teso a modificarla (es. colpo inferto ad un soggetto);

- azione negativa o omissione: non si tratta di semplice inerzia del soggetto ma di inottemperanza di un obbligo di agire o di compiere (il soggetto non realizza un com-

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L'evento

Si definisce tale la situazione che si determina nella realtà esterna (modifica della realtà) come risultato o diretta conseguenza della condotta tenuta (es. evento-morte nel delitto di omicidio come conseguenza dell'azione del soggetto agente).

L'evento può costituire sia un elemento essenziale del reato che un elemento ag- gravante.

Esistono, in dottrina, due diverse concezioni dell'evento:

- la concezione naturalistica, per cui l'evento costituisce il prodotto naturale della condotta tenuta; conseguenza di tale impostazione è la distinzione dei reati in reati di azione o di pura condotta che si perfezionano con il semplice compimento dell'azione vietata o con l'omissione dell'azione doverosa e reati di evento che si perfezionano con il verificarsi dell'evento a seguito e come conseguenza della realizzazione dell'azione;

- la concezione giuridica, per cui l'evento giuridicamente rilevante è rintracciabile nell'offesa all'interesse protetto dalla norma e quindi è riscontrabile in tutti i reati.

Vi sono reati caratterizzati dalla compresenza di una pluralità eventi (es. rapina in cui ricorre la sottrazione del bene e la violenza nei confronti della vittima); reati ad evento differito, in cui la produzione dell'evento si determina a distanza di tempo dalla realizzazione dell'azione; reati a distanza, in cui l'evento di determina in un luogo di- verso da quello in cui è stata posta in essere la condotta.

Il nesso di causalità

Il nesso, denominabile anche deterministico o eziologico, si sostanzia nel necessario rapporto di consequenzialità logico/materiale tra la condotta e l'evento che deve costi- tuirne la conseguenza diretta ed immediata.

Deve, pertanto, potersi in concreto affermare che l'evento è effetto diretto della condotta (es. morte del soggetto -conseguenza- determinata dal colpo di pistola - azione/condotta- esploso dal soggetto agente).

Perché possa ritenersi sussistente il nesso di causalità è necessario che:

- il soggetto agente, con la sua azione, abbia posto in essere una qualunque condi- zione dell'evento, in assenza della quale questo non si sarebbe determinato. In altri termini l'evento deve potersi considerare conseguenza certa o altamente probabile della condotta (art. 41, c. 1, c.p.);

- non devono aver concorso a cagionare l'evento altri fattori eccezionali che, inter- venendo nella realizzazione dell'azione, operino congiuntamente ad essa, spezzando il nesso di causalità (art. 41, c. 2, c.p.). Tali fattori possono essere individuati in un evento naturale (es. fulmine) o nel fatto lecito o illecito di terzi.

L'elemento soggettivo o psicologico - Il nesso psichico

Perché possa ritenersi integrato il reato è necessaria la sussistenza di un nesso psi- chico tra il soggetto che commette il reato e l'evento lesivo.

La colpevolezza, quindi, si sostanzia nell'attribuibilità o imputazione personale dell'illecito all'autore.

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Il giudizio di colpevolezza, pertanto, consiste nella valutazione del legame psicolo- gico tra fatto e autore e nella disamina delle circostanze che hanno potuto esercitare un'incidenza sulla capacità di autodeterminazione del soggetto.

La punibilità del soggetto è, pertanto, di norma subordinata alla presenza di coeffi- cienti soggettivi (il dolo e la colpa).

Va, inoltre, chiarito che la colpevolezza viene in considerazione non solo in qualità di elemento costitutivo del reato ma anche come criterio di determinazione e commi- surazione della pena; dal grado di colpevolezza del soggetto agente dipende, infatti, l'entità della sanzione penale da irrogare.

L'art. 42, comma 1, c.p. dispone che: “Nessuno può essere punito per un'azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e vo- lontà”.

Tale coscienza e volontà, che si configura diversamente nei reati dolosi ed in quelli colposi, consente di attribuire un fatto al suo autore (nesso psichico) e determina la configurabilità della responsabilità penale.

Il dolo

Il delitto si definisce doloso (o secondo l'intenzione) quando l'evento dannoso o pe- ricoloso, che costituisce il risultato dell'azione od omissione e dal quale si fa dipendere l'esistenza del delitto è dall'agente previsto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione (art. 43 c.p.).

Il dolo, pertanto, è caratterizzato da:

- la rappresentazione: l'autore del delitto deve prefigurarsi il fatto che intende rea- lizzare;

- la volontà: l'autore deve volontariamente dirigere la propria azione all'effettiva realizzazione del fatto (tipico) prefiguratosi.

Forme del dolo

Dolo intenzionale (o diretto di primo grado): ricorre quando il soggetto agente si prefigge come scopo quello di realizzare la condotta criminosa (nei reati di azione) o di causare l'evento (nei reati di evento). La realizzazione della condotta incriminata dalla norma penale costituisce pertanto l'obiettivo che il soggetto intende perseguire ed in funzione del quale agisce.

Dolo diretto (di secondo grado): ricorre quando il soggetto agente si rappresenta gli elementi costitutivi del reato ed è consapevole che con la sua condotta lo commetterà ma il reato commesso non costituisce lo scopo da perseguire bensì lo strumento neces- sario raggiungere l'obiettivo che l'autore si è prefissato.

Dolo indiretto o eventuale: ricorre quando il soggetto, pur non agendo nell'intento di commettere reato, sia tuttavia consapevole della possibilità che questo di verifichi e nonostante ciò decida di agire accettando il rischio.

Nell'ambito del dolo indiretto si distinguono:

- il dolo alternativo: il soggetto si rappresenta il verificarsi di due eventi come possi- bili conseguenze della propria condotta non sapendo quale si realizzerà in concreto;

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- il dolo indeterminato: l'agente si configura la possibilità di realizzare una pluralità di eventi, accettando la possibilità che si realizzino tutti cumulativamente o alternati- vamente (es. un soggetto che spara contro una pluralità di persone).

Dolo generico: consiste nella coscienza e volontà di realizzare il reato come deli- neato dalla norma penale.

Dolo specifico: ricorre quando si persegue uno scopo od una finalità ulteriore che, tuttavia, non è necessario si realizzi concretamente perché possa ritenersi integrato il reato (es. nel delitto di furto l'agente oltre ad impossessarsi di una cosa altrui persegue il fine ulteriore di trarre profitto).

Dolo di danno: si ha se il soggetto vuole realmente perpetrare una lesione al bene giuridico tutelato dalla norma.

Dolo di pericolo: si ha se il soggetto intende esporre a pericolo il bene giuridico pro- tetto dalla norma.

Dolo d'impeto: ricorre quando il soggetto commette il delitto d'impulso senza che intercorra uno spazio temporale tra il momento rappresentativo e quello volitivo.

Dolo di proposito: ricorre laddove intercorra un notevole lasso di tempo tra il sor- gere del proposito criminoso e la sua effettiva attuazione. Una particolare forma di dolo di proposito è la premeditazione che si sostanzia nell'ostinazione nel proposito crimi- noso.

Dolo iniziale: sussiste solo nel momento iniziale dell'azione o dell'omissione.

Dolo concomitante: accompagna lo svolgimento dell'intera azione.

Dolo successivo: si manifesta dopo l'attuazione della condotta non dolosa che ha determinato l'evento (es. infermiere che somministra accidentalmente al paziente una dose letale del farmaco e, accortosi dell'errore, decide di lasciar morire il paziente).

Diverso dal dolo è il movente del reato, cioè la ragione interiore, il motivo sogget- tivo per cui il soggetto pone in essere la condotta illecita.

Il giudice deve valutare l'intensità del dolo per stabilire la gravità del reato e per determinare l’entità della pena da irrogare.

La colpa

L'art. 43 c.p. stabilisce che il delitto “è colposo, o contro l'intenzione, quando l'e- vento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia (colpa generica) ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica)”.

La colpa può ravvisarsi, pertanto, ogniqualvolta l'evento sia il risultato di una con- dotta poco attenta del soggetto agente, condotta evitabile con l'adozione preventiva di adeguate misure e precauzioni.

L'individuazione delle misure precauzionali da adottare nelle situazioni concrete va operata seguendo due criteri: la prevedibilità e l'evitabilità dell'evento.

La prevedibilità e l'evitabilità dell'evento, vanno valutate, al fine di stabilire se siano stati effettivamente rispettati i doveri di comune diligenza e, quindi, se ricorra o meno la colpa nel caso concreto, sulla base di un parametro oggettivo, quello dell'agente- modello.

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La diligenza, la prudenza e la perizia richieste corrispondono a quelle che ipotetica- mente osserverebbe un modello di agente chiamato a svolgere la stessa professione o a compiere la stessa azione. L'utilizzazione di tale criterio non impedisce di individualiz- zare e personalizzare la valutazione tenendo conto delle varie circostanze di volta in volta ricorrenti (ad es. anche di eventuali conoscenze superiori possedute dall'agente reale) e della situazione soggettivo/attitudinale dell'autore.

Limite negativo della colpa è il caso fortuito che consiste in un accadimento impre- vedibile che esclude, così, la colpa.

Perché possa ritenersi integrato il reato colposo è quindi necessario che:

- la condotta sia comunque ascrivibile al volere del soggetto (l'azione si considera voluta anche quando risulta semplicemente controllabile dal soggetto. È controllabile un'azione che può essere dominata dalla volontà e non attuata mediante l'uso di nor- mali poteri di arresto). Deve, pertanto, potersi muovere un rimprovero al soggetto per non aver usato la normale diligenza che deve guidare l'agire umano e che avrebbe con- sentito di evitare la situazione lesiva.

- manchi l'intenzionalità dell'evento, che caratterizza invece il dolo.

- che il fatto sia determinato da negligenza, imprudenza o imperizia oppure da inos- servanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

La colpa si distingue in:

- colpa generica, quando consegue a:

- negligenza: carenza dell'accortezza e dell'attenzione necessarie nell'agire (es. il chi- rurgo che dimentica una garza nel corpo del paziente sottoposto all'operazione);

- imprudenza: mancata adozione delle cautele e delle precauzioni opportune (es.

datore di lavoro che non adotta delle adeguate misure tecniche di protezione sul lavoro a tutela dei dipendenti);

- imperizia: inettitudine, mancanza di adeguata preparazione tecnica o scarsa pro- fessionalità, di cui il soggetto è consapevole ed alla quale non pone rimedio (es. medico che effettua un'operazione per la quale sono richieste e necessarie specifiche cono- scenze tecniche di cui egli è carente);

- colpa specifica: essa deriva, come chiarito, dall'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, cioè dalla violazione di norme e regole che impongono, nello svolgi- mento di determinate attività e nel compimento di particolari azioni, l'adozione di spe- cifiche forme e misure di cautela, al fine di evitare il verificarsi di eventi lesivi;

- colpa propria: costituisce l'ipotesi di colpa per eccellenza, ricorre nei casi in cui la causazione dell'evento non è intenzionale;

- colpa impropria: ricorre quando l'evento è voluto dall'agente (e questo dovrebbe, pertanto, essere chiamato a rispondere a titolo di dolo) ma la legge stabilisce eccezio- nalmente che si configuri reato colposo. In effetti si tratta di ipotesi in cui il soggetto non intende propriamente commettere reato ritenendo di essere legittimato a tenere una determinata condotta. I casi di colpa impropria sono: l'eccesso colposo nelle cause di giustificazione (art. 55 c.p.), l'erronea supposizione della presenza di una causa di giustificazione (art.59, co. 3, c.p.), l'errore di fatto determinato da colpa (art. 47, co. 1,

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- colpa cosciente: ricorre quando il soggetto agente, pur non avendo l'intenzione di determinare la produzione dell'evento lesivo, lo ha previsto come conseguenza della propria condotta ma ha agito nella convinzione che non si sarebbe verificato;

- colpa incosciente: ricorre quando manca la volontà di causare l'evento ed anche la previsione dello stesso.

È bene ricordare che di regola i delitti sono puniti a titolo di dolo; sono puniti anche a titolo di colpa nei soli casi espressamente indicati dalla legge.

La responsabilità oggettiva

In casi del tutto particolari, peraltro espressamente previsti dalla legge, si può essere chiamati a rispondere di fatti lesivi che siano stati posti in essere senza che si possa ravvisare la sussistenza dei criteri di imputazione soggettiva del fatto all'autore (dolo e colpa).

In tali situazioni l'evento è posto a carico del soggetto sulla base della semplice sus- sistenza del nesso di causalità, cioè per il semplice fatto di essere stato determinato dall'azione posta in essere dal soggetto benché non sussista una partecipazione inte- riore dello stesso alla causazione del fatto.

La responsabilità oggettiva è caratterizzata, quindi, da:

- il ricorrere di una condotta ed un evento legati da un nesso di causalità (per cui l'evento è diretta conseguenza della condotta posta in essere) ed integranti una fatti- specie tipica di reato;

- l'assenza dell'elemento soggettivo (dolo e colpa);

- l'attribuzione del fatto all'autore sulla base della semplice sussistenza di un nesso di causalità materiale.

I casi principali di responsabilità oggettiva vanno individuati nella preterintenzione e nei delitti aggravati dall'evento.

La preterintenzione

La preterintenzione è data dalla combinazione di un'azione diretta a commettere un delitto (meno grave di quello effettivamente cagionato) e la realizzazione di un evento più grave di quello voluto come conseguenza dell'azione. Generalmente si tende a rite- nere che il delitto preterintenzionale costituisca un'ipotesi di dolo (in quanto l'azione iniziale è intenzionale) misto a responsabilità oggettiva.

Non mancano in dottrina quanti sostengono che piuttosto si tratterebbe di un'ipo- tesi di azione dolosa combinata ad un evento attribuibile a titolo di colpa.

Sono due le ipotesi di preterintenzione contemplate nel nostro codice:

- l'omicidio preterintenzionale si realizza quando un soggetto, nell'intento di inflig- gere lesioni o percosse (di commettere pertanto il reato di lesioni o quello di percosse) ad un altro soggetto ne provoca, senza volerlo, la morte;

- l'aborto preterintenzionale si realizza quando un soggetto nell'intento di provocare lesioni ad una donna ne cagiona, involontariamente, l'interruzione di gravidanza.

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I reati aggravati dall'evento

Si tratta di reati che subiscono un aumento di pena per il verificarsi di un evento ulteriore rispetto ad un fatto-base che già costituisce reato. L'evento viene attribuito all'autore sulla base del semplice nesso causale.

Le cause di esclusione del reato

Perché si possa essere chiamati a rispondere della commissione di un fatto costi- tuente reato è necessario non solo che ricorrano gli elementi essenziali della fattispecie criminosa ma anche che non siano riscontrabili cause soggettive e oggettive di esclu- sione del reato che ne escludono la punibilità.

È opportuno operare alcune distinzioni. Esistono, infatti, diverse categorie di cause di esclusione del reato e cioè:

- le cause di giustificazione in senso stretto (o scriminanti);

- le cause di esclusione della colpevolezza (o scusanti);

- le cause di esenzione da pena o di non punibilità;

La sussistenza di una causa di giustificazione fa, di fatto, venir meno l'illiceità della condotta tenuta (o, più semplicemente, il contrasto tra la condotta e l'ordinamento). In altre parole in presenza di una causa di giustificazione il reato si ritiene insussistente e diventa inapplicabile la sanzione penale.

Le cause di giustificazione, inoltre, hanno carattere oggettivo e pertanto operano anche se non conosciute o se erroneamente reputate inesistenti e si estendono a tutti coloro che eventualmente siano intervenuti nella commissione del fatto.

Le cause di esclusione della colpevolezza, invece, non eliminano l'antigiuridicità della condotta che comunque rimane illecita ed integra il reato; esse fanno venir meno solo la possibilità di muovere un rimprovero al soggetto e ricorrono nelle ipotesi in cui una serie di fattori esterni abbiano inciso fortemente sulla libertà di autodetermina- zione del soggetto coartando la sua volontà e spingendolo a tenere una determinata condotta. Hanno carattere soggettivo e pertanto operano solo se conosciute e solo per i soggetti cui ineriscono.

Le cause di esenzione da pena non escludono né l'antigiuridicità della condotta né la colpevolezza del soggetto. Operano per ragioni di opportunità circa la meritevolezza o la necessità della pena (es. il figlio che ruba ai danni del padre non viene punito per ragioni di opportunità connesse all'esigenza di preservare l'unità familiare).

Le cause di giustificazione

Le cause di giustificazione disciplinate nel codice sono:

- il consenso dell'avente diritto (art. 50 c.p.);

- l'esercizio di un diritto (art. 51 c.p.);

- l'adempimento di un dovere (art. 51 c.p.);

- la legittima difesa (art. 52 c.p.);

- l'uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.);

- lo stato di necessità (art. 54 c.p.).

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Il consenso dell'avente diritto

Il consenso del titolare del bene o del diritto protetto dalla norma alla lesione od esposizione a pericolo (del bene o del diritto stesso) costituisce un elemento la cui pre- senza fa venir meno l'illiceità del comportamento. Esso deve:

- concernere un diritto disponibile;

- essere prestato dal titolare del diritto che sia capace di prestarlo e lo presti valida- mente (consenso libero, spontaneo e consapevole, nonché immune da errore, violenza o dolo);

- sussistere al momento del fatto.

L'esercizio di un diritto

Se il soggetto agisce nell'esercizio di un proprio diritto non può configurarsi reato.

Presupposti della scriminante sono:

- l'esistenza di un diritto;

- l'esercizio dello stesso da parte del relativo titolare;

- che l'esercizio del diritto non superi i limiti imposti dalla sua natura.

L'adempimento di un dovere

Non sussiste reato se il soggetto agisce per adempiere un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità.

Il dovere può derivare da:

- una norma giuridica (qualsiasi regola di diritto);

- un ordine della pubblica Autorità (comando impartito da un superiore ad un pro- prio inferiore gerarchico, nelle forme prescritte dalla legge e sempreché tra i due inter- corra un rapporto di subordinazione gerarchica di diritto pubblico). L'ordine della pub- blica Autorità deve essere legittimo sia sotto il profilo formale (competenza del supe- riore ad emanare l'ordine, soggezione dell'inferiore all'ordine, rispetto delle forme pre- viste dalla legge) che sotto quello sostanziale (non manifestamente criminoso). La scri- minante in esame involge la ben nota e controversa questione della "sindacabilità" (e quindi del rifiuto di obbedienza), da parte del subordinato, dell'ordine impartitogli dal superiore gerarchico. L'orientamento prevalente della giurisprudenza penale (ma an- che civile) è nel senso che, in tema di adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo, è sempre necessario, al fine di accertare l'effettiva sussistenza della esclu- sione della antigiuridicità del fatto, compiere, in concreto, un giudizio di bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la finalità cui mira la causa di giustifi- cazione. In altre parole, il sottoposto potrà (e dovrà) sindacare l'ordine non solo quando esso si riveli essere diretto alla commissione di un illecito di carattere manifestamente delittuoso, ma anche quando esso sia diretto alla commissione di un illecito causativo di un danno ingiusto che potrebbe derivare dall'esecuzione dell'ordine.

Lo stato di necessità

In presenza di un pericolo attuale di danno grave alla persona il soggetto può com- piere in danno di un terzo un fatto normalmente previsto come reato senza essere chia- mato a risponderne quando il comportamento sia necessario a tutelare l'incolumità propria o altrui, sia proporzionato al pericolo e quando non vi siano altre soluzioni

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praticabili (es. automobilista che, per non investire un bambino arrivato all'improvviso nel centro della strada, sterza andando a finire su un banco di frutta). Perché la causa di giustificazione possa operare è inoltre necessario che il soggetto non abbia causato pericolo e che non abbia un particolare dovere di esporsi al pericolo stesso.

L’eccesso colposo nelle cause di giustificazione

Laddove il soggetto travalichi colposamente i limiti della causa di giustificazione sarà chiamato a rispondere del fatto commesso a titolo di colpa (sempre che lo stesso sia previsto come punibile a titolo di colpa dalla legge).

La scriminante putativa

Nell'ipotesi in cui il soggetto agente ritenga, per errore, sussistenti delle cause di giustificazione e, sulla base di tale erronea convinzione commetta il fatto, verrà comun- que considerato non punibile.

Le cause di esclusione della colpevolezza

Costituiscono cause di esclusione della colpevolezza, che determinano o la man- canza del nesso psichico o quella di dolo/colpa:

- lo stato di incoscienza indipendente dalla volontà: si configura quando l'azione il- lecita venga posta in essere in preda ad un totale stato di incoscienza (incapacità di intendere e di volere, mancanza di consapevolezza del significato delle proprie azioni) non dipendente dalla volontà del soggetto agente o da esso determinato (es. soggetto che agisce in preda al delirio di una malattia).

- la forza maggiore: (art. 45) consiste in una forza esterna al soggetto e da esso non dominabile che lo induce, contro la sua volontà, ad agire (es: operaio che per un forte colpo di vento cade da un'impalcatura ed uccide un passante).

- il costringimento fisico: (art. 46) il fatto penalmente rilevante viene commesso a causa di una situazione di coartazione assoluta della volontà; il soggetto agisce perché costretto mediante violenza fisica. Si tratta di una forma particolare di forza maggiore;

in questo caso però la forza non controllabile promana dall'uomo e non dalla natura.

- il caso fortuito: (art. 45) non sempre esclude l'esistenza di un'iniziale azione, ma è dato dalla commistione di un accadimento naturale ed un'azione umana da cui scaturi- sce un evento lesivo imprevedibile (es. l'automobilista che investa, involontariamente, un motociclista che, colpito da un improvviso malore, gli abbia tagliato improvvisa- mente la strada).

- l'errore sul fatto costituente reato: (art. 47) si sostanzia in un'erronea percezione della realtà da parte del soggetto che agisce nella convinzione di porre in essere un fatto diverso da quello vietato dalla fattispecie incriminatrice. L'errore, per acquistare rilievo sul piano penalistico, deve presentare due caratteristiche e cioè essere: - essen- ziale, deve cioè concernere uno o più elementi costitutivi del reato (es: soggetto che prende una cosa altrui nella convinzione che gli appartenga) - scusabile, tale cioè da impedire di muovere un rimprovero al soggetto (es: soggetto che apre una lettera indi- rizzata ad un proprio omonimo).

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Le circostanze del reato

Le circostanze del reato sono elementi che accedono ad un reato di per sé perfetta- mente integrato, determinando, in ragione della loro presenza, una variazione della pena che può essere sia di tipo quantitativo (aumento o riduzione della pena), sia di tipo qualitativo (modifica della specie di pena, es. arresto in luogo dell'ammenda). Le circostanze si definiscono anche elementi accidentali del reato (accidentalia delicti), poiché si tratta di elementi la cui presenza non è necessaria affinché possa ritenersi integrato il reato (tratto caratteristico delle stesse è, per l'appunto, l'accessorietà).

Le principali distinzioni tra le circostanze del reato sono:

- circostanze aggravanti e circostanze attenuanti. Le prime determinano un au- mento della pena ed in certi casi (quelli più gravi) una modifica della specie di pena (es.

passaggio dalla pena pecuniaria a quella detentiva). Le seconde, al contrario, compor- tano una diminuzione della pena o, in certi casi, una modifica della specie di pena in senso più favorevole al reo.

- circostanze comuni e circostanze speciali. Le prime (sia aggravanti, sia attenuanti) sono disciplinate nella parte generale del codice e sono tendenzialmente applicabili a tutti i reati; le altre sono previste in relazione a singole figure di reato: per fare un solo esempio di questa seconda tipologia di circostanze, si può citare l'art. 4 della legge 1.10.2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno) che ha così stabilito: "Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter, nonché, se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni diciotto, dagli articoli 600, 601 e 602, la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascen- dente, dal genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da per- sona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell'eserci- zio delle loro funzioni ovvero ancora se è commesso in danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata".

- circostanze oggettive e circostanze soggettive. Le circostanze oggettive concer- nono i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo dell'azione, la gravità del danno o del pericolo cagionato; le circostanze soggettive concernono, invece, l'intensità del dolo o il grado della colpa o le qualità o le condizioni del colpevole, i rapporti tra colpevole ed offeso.

La più significativa tra le succitate distinzioni è quella concernente le circostanze ag- gravanti (art. 61) ed attenuanti (art. 62).

Circa la prima tipologia (aggravanti) si possono succintamente segnalare:

- la cd. minorata difesa (art. 61 n. 5) che consiste nell'approfittare di una situazione di vulnerabilità in cui versa il soggetto passivo; il cd. danno patrimoniale di rilevante gravità, nei delitti contro il patrimonio (art. 61 n. 7);

- l'abuso di poteri o la violazione di doveri inerenti a una pubblica funzione o ad un pubblico servizio (art. 61 n. 9);

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- la particolare qualità rivestita dal soggetto passivo del reato quando il reato sia commesso nei confronti di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio (art. 61 n. 10);

- l'abuso di autorità o di relazione domestica, di relazione d'ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione o di ospitalità (art. 61 n. 11) che leghino tra di loro il soggetto attivo ed il soggetto passivo del reato (es. relazione tra insegnante ed alunno)

Per la seconda tipologia (attenuanti) si possono succintamente segnalare:

- l'aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale (art. 62 n. 1);

- l'aver reagito in uno stato d'ira causato da un fatto ingiusto altrui (art. 62 n. 2);

- il danno di speciale tenuità nei delitti contro il patrimonio (art. 62 n. 4);

- l'aver risarcito o riparato il danno cagionato (art. 62 n. 6).

Le circostanze attenuanti generiche

L'art. 62 bis, come riscritto dalla l. n. 251/2005 prevede, inoltre, l'applicabilità di al- tre circostanze, diverse dalle attenuanti indicate all'art. 62, laddove il giudice le ritenga idonee a giustificare una riduzione della pena (le cd. attenuanti generiche).

Si tratta di circostanze non espressamente tipizzate dal legislatore la cui sussistenza va, di volta in volta, in relazione al singolo caso concreto, valutata dal giudice.

Le attenuanti generiche sono considerate come un'unica circostanza, che può con- correre anche con una o più circostanze attenuanti di cui all'art. 62.

La desistenza e il recesso attivo

Le due ipotesi si configurano quando il soggetto, dopo aver posto in essere atti di- retti in modo non equivoco a realizzare il proprio proposito criminoso, si arresta non portando a compimento il reato. La realizzazione del delitto quindi non si determina per mutata volontà del soggetto.

La desistenza si configura allorquando, dopo aver avviato l'esecuzione del crimine, il soggetto volontariamente sospende l'azione. Essa comporta l'impunità del soggetto ad eccezione dell'ipotesi in cui l'attività già posta in essere integri di per sé un reato diverso.

Il recesso attivo si configura quando il soggetto, realizzata l'azione criminosa, si rav- vede e si adopera per evitare l'evento.

Il recesso, pertanto, si caratterizza per la realizzazione di una nuova attività e per la volontarietà della nuova condotta. Esso non comporta la totale impunità ma solo una riduzione della pena (opera, pertanto, come circostanza attenuante).

Il concorso di persone nel reato

Nella parte speciale del codice, come già accennato, vengono elencate e puntual- mente disciplinate le varie e numerose figure di reato. Esse risultano, tuttavia, costruite e regolate dal legislatore con riferimento all'autore individuale.

Il reato, però, può essere commesso da una pluralità di soggetti. Di qui l'esigenza di prevedere disposizioni che, lette in combinato disposto con i reati di parte speciale, con- sentano di disciplinare le ipotesi di concorso di persone nel reato (concorso criminoso).

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Ebbene, nel nostro ordinamento tale funzione integratrice è assolta dall'art. 110 c.p., a mente del quale “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”.

Il concorso può essere di due tipi:

- concorso necessario: si configura per quei reati che, per tipologia e natura, non possono essere commessi dal singolo, ma esclusivamente da una pluralità di soggetti (es. la rissa)

- concorso eventuale: si configura per i reati che possono essere commessi indiffe- rentemente dal singolo o da una pluralità di soggetti. La disciplina del concorso even- tuale è dettata all'art. 110 c.p. che stabilisce che quando più soggetti intervengono nella realizzazione del medesimo reato ognuno di essi soggiace alla pena prevista per lo stesso. La disposizione, quindi, prevede l'applicazione di una pena identica per tutti i soggetti concorrenti, sulla base del principio per cui, pur essendo il reato commesso da una pluralità di soggetti, rimane unico.

Ferma restando la previsione di una tendenziale uguale responsabilità dei soggetti coinvolti nella commissione del crimine, si ammette una graduazione ed individualizza- zione della pena in relazione ai vari concorrenti, sulla base del reale grado di partecipa- zione e del tipo di contributo fornito da ognuno di essi.

Agli artt. 112 e 114 sono infatti indicate una serie di circostanze aggravanti ed atte- nuanti.

Elementi del concorso di persone

- pluralità di agenti: il reato deve essere commesso da almeno due persone (si com- prendono nel computo, ai fini dell'accertamento della sussistenza del concorso, anche soggetti non punibili o non imputabili);

- integrazione dell'elemento oggettivo del reato: almeno uno dei soggetti deve aver realizzato il fatto materiale previsto dalla norma penale;

- contributo alla causazione del fatto: ciascun soggetto deve aver posto in essere un'azione od una omissione che favorisca o agevoli la realizzazione del reato;

- volontà di cooperare nel reato: almeno uno dei concorrenti deve essere consape- vole della cooperazione altrui (non è però necessaria la sussistenza di un accordo tra le parti).

Il concorso di persone “anomalo”

L'art. 116 disciplina il cd. concorso anomalo, che ricorre quando taluno dei concor- renti nella realizzazione del crimine commetta un reato diverso da quello realmente voluto oppure un reato ulteriore rispetto a quello voluto dai concorrenti.

Del diverso od ulteriore reato sono chiamati a rispondere anche i concorrenti che non ne volevano la commissione solo quando il reato diverso od ulteriore costituisca uno sviluppo logicamente prevedibile del reato inizialmente voluto.

Il concorso di persone nel reato proprio

L'art. 117 disciplina il concorso di persone nel reato proprio. La disposizione si rife- risce a quei reati che mutano qualificazione giuridica in relazione al soggetto che li

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commette (sia esso un soggetto qualsiasi o un soggetto che ricopre una particolare po- sizione o riveste una particolare qualifica). Si pensi, ad esempio, al reato (comune) di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) che, se commesso da un pubblico ufficiale, di- viene reato (proprio) di peculato (art. 314 c.p.). La norma in questione stabilisce che, laddove nella commissione del reato intervengano soggetti in possesso di una partico- lare qualifica soggettiva ed in ragione di ciò muti il titolo di reato, anche i soggetti non qualificati debbano essere chiamati a rispondere del reato proprio (per questi ultimi può tuttavia operare una riduzione di pena).

Il concorso di reati

Il concorso di reati si ha quando il soggetto, violando più volte la legge penale, com- mette più reati. Il concorso di reati si distingue in:

- concorso materiale: ricorre quando il soggetto, con più azioni od omissioni, com- mette una pluralità di reati;

- concorso formale: ricorre quando il soggetto, con una sola azione od omissione, commette più reati. Il concorso formale, a sua volta, si distingue in:

- concorso formale eterogeneo: con una sola azione od omissione si violano più norme (es. violenza sessuale perpetrata nei confronti di una sorella),

- concorso formale omogeneo: con una sola azione od omissione si compiono più violazioni della stessa disposizione di legge (es. con una sola frase si diffamano più per- sone).

Sotto il profilo sanzionatorio la disciplina non è identica:

- nel concorso materiale si fa luogo al cumulo delle pene, si applicano, cioè, tante pene quanti sono i reati commessi;

- nel concorso formale si applica la pena prevista per la violazione più grave aumen- tata fino al triplo.

Il reato complesso

Le norme sul concorso di reati non trovano applicazione quando la norma penale preveda come elementi costitutivi di un reato o come circostanze aggravanti del reato fatti che, di per sé, costituirebbero un autonomo reato.

In questi casi si configura il cd. reato complesso: il reato, cioè, costituisce il prodotto dell'unificazione di più figure criminose (es. il delitto di rapina ricomprende in sé il de- litto di furto e di violenza privata). Uno dei reati assorbiti può anche assumere la posi- zione di circostanza aggravante.

Il concorso apparente di norme

Il concorso apparente di norme ricorre quando più fattispecie incriminatrici ap- paiano applicabili al medesimo fatto di reato, essendo in realtà applicabile una sola norma.

I presupposti del concorso o conflitto apparente di norme, quindi, sono:

- la realizzazione di un reato;

- la sussistenza di una pluralità di norme che sembrano ricollegarsi ad esso.

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