Capitolo I. Interazione tra esigenze di regolazione del mercato e di incremento d
1.2 Gli obiettivi del diritto della concorrenza in un'ottica storico-evolutiva
i. La genesi del diritto antitrust.
Le prime tracce del diritto della concorrenza, inteso come applicazione di politiche
incidenti ex post sulle condotte degli operatori economici ritenute pregiudizievoli nei
confronti della struttura e del funzionamento dei mercati, sono assai antiche
288, ed in
generale la maggior parte degli ordinamenti giuridici è, da sempre, stata contraddistinta
dall’esigenza di provvedere alla repressione, prevalente affidata al diritto penale
289, delle
287 O
LIVIERI,G.,Interpretazione del contratto e tutela della concorrenza, in OLIVIERI,G.e ZOPPINI,A. (a cura di),Contratto e antitrust, Bari, 2008, 77. L’A. propone una lettura in ottica proconcorrenziale della buona fede interpretativa di cui all’art. 1366 c.c.: «La rilevanza proconcorrenziale [del principio che impone alle parti d’interpretare e di eseguire il contratto secondo buona fede] è d‘immediata evidenza se riferita alla «speciale responsabilità» che grava sull‘impresa dominante e che impedisce a quest‘ultima di abusare del proprio potere di mercato a danno di concorrenti e consumatori. Allorché la violazione di tale principio si consumi all‘interno del contratto, imponendo ad esempio alla controparte un‘interpretazione «ingiustificatamente gravosa» delle clausole in esso contenute, tale comportamento potrebbe essere agevolmente qualificabile come contrario al canone di buona fede sancito dall‘art. 1366 cod. civ. … Per quanto concerne le [intese], il rispetto della norma in esame dovrebbe imporre alle imprese (e al giudice in caso di controversia) di adottare, nel dubbio, l‘interpretazione del contratto che risulti meno gravosa per la concorrenza e per i consumatori» (ID.,op. cit., 82 s.), , nonché del principio di conservazione ex art. 1367 c.c.: «Ogni qual volta … l‘interpretazione del contratto consenta (almeno) due interpretazioni … una conforme ai principi che tutelano la concorrenza, l‘altra contraria, bisognerà privilegiare la prima a scapito della seconda … Laddove, viceversa, ciò non risulti possibile in quanto l‘unica interpretazione consentita … è quella che conduce a una violazione della normativa antitrust … l‘alternativa … sarà … una sostituzione automatica della clausola viziata ai sensi dell‘art. 1339 cod. civ. ovvero, laddove tale situazione non risultasse praticabile, dichiarare l‘invalidità del contratto o della singola clausola ai sensi dell‘art. 1418 cod. civ.» (ID.,op. cit., 84).
288
Lex Iulia de annona (18 a.C.), che colpiva l’alterazione dei prezzi dei generi di prima necessità in tempi di penuria, è stata ritenuta le prima legge antimonopolistica. Il divieto è stato riproposto frequentemente nel corso dei secoli. Nel diritto bizantino, in particolare nella costituzione di Zenone (intorno al 480 d.C.) contenuta nel Corpus Iuris Civilis, Liber Quartus – CJ 4.59.0, si trova un intera sezione intitolata De monopoliis et de conventu negotiatorum illicito vel artificum ergolaborumque nec non balneatorum prohibitis illicitisque pactionibus. La norma condanna duramente il monopolio: «Si quis autem monopolium ausus fuerit exercere, bonis propriis spoliatus perpetuitate damnetur exilii» (4.59.2.2. Imperator Zeno), Cfr. LIBERTINI,M., Concorrenza, in Enc. dir. Annali, III, Milano, 2010, 200, secondo cui essa «sostanzialmente allarga il divieto penale di alterazione artificiosa dei prezzi a tutte le forme di commercio dei beni».
289 Ad esempio il codice penale napoleonico del 1810, «fra i misfatti ed i delitti contro le proprietà vi
era un titolo intorno le violazioni de‘ regolamenti relativi alle manifatture, al commercio ad alle arti. In questo titolo … si pronunziavano diverse pene contro di coloro che con mezzi fraudolenti avessero operato il rincaro o l‘avvilimento delle derrate, o delle carte ed effetti pubblici al di sotto o al di sopra del prezzo che avrebbe
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imposizioni perpetuate da parte dei soggetti dotati della capacità di influenzare il prezzo di
mercato dei beni, particolarmente quelli di prima necessità. Tuttavia, le politiche antitrust
hanno cessato il loro carattere sporadico per assurgere a sistema con l’introduzione, negli
Stati Uniti d’America dello Sherman Act nel 1890
290.
L’adozione della disciplina antimonopolistica negli USA si è resa necessaria per
contrastare la diffusione dei grandi trusts
291mediante i quali le imprese collaboravano,
scambiandosi reciprocamente le deleghe di voto nei rispettivi consigli di amministrazione,
garantendo ad un ristretto numero di individui il controllo congiunto sulle politiche
industriali, impedendo così la concorrenza da parte dei piccoli produttori e commercianti
292.
Tali pratiche iniziarono ad essere considerate inaccettabili a causa dello scontento di decine
di migliaia di agricoltori e piccoli imprenditori, che rappresentavano la gran parte del corpo
elettorale
293. I nuovi divieti, pertanto, colpirono l’uso anticoncorrenziale dei trusts in quanto
determinato la concorrenza naturale e libera del commercio»(SAVOIARDI,F.,Memoria sulle negoziazioni che si fanno nella borsa di Napoli, etc, Napoli, 1838, 27). La stessa disposizione era contenuta nel codice penale sardo-italiano (art. 389), come riporta GHIDINI,G.,Restrizioni negoziali della concorrenza: profili di diritto interno, in Riv. trim., 1979, 978.
290 Cfr. L
IBERTINI, M., Concorrenza, in Enc. dir. Annali, III, Milano, 2010, 209, secondo sui lo Sherman Act a torto è considerato come «un istituto giuridico completamente nuovo». Infatti, secondo l’A., le previsioni ivi contenuto sono riproduzioni di modelli giuridici già noti alla common Law, e conosciuti sin dal diritto romano: «L‘America non aveva avuto una esperienza corporativa, come quella che aveva caratterizzato per secoli l‘economia europea. L‘economia era nel complesso più dinamica, e più radicata era la propensione all‘autodifesa dei propri interessi. Quando i cartelli industriali si ripresentarono, nella loro nuda forma di strumenti di prelievo di alti profitti, le categorie controinteressate (storicamente furono soprattutto agricoltori) reagirono in modo conflittuale. I decisori politici, anziché rispondere in termini di controllo amministrativo blando sui cartelli, o di creazione di monopoli pubblici, come nello stesso tempo si faceva in Europa (ove i conflitti fra le categorie erano però meno accesi), reagirono riesumando, dalla tradizione di common law, il tradizionale divieto di comportamenti monopolistici, e ne rafforzarono le sanzioni, con una lungimirante combinazione di strumenti di public e di private enforcement».
291 Come ricorda A
MATO, G., Il potere e l‘antitrust, Bologna, 1997, 14: «fu John Rockefeller a promuovere l‘uso del trust a fini anticoncorrenziali. Il trust era un tradizionale istituto della common law tramite il quale si delegava a un fiduciario, tra l‘altro, il proprio diritto di voto nel consiglio di amministrazione di una società. Attrverso scambi incrociati di deleghe di voto nei rispettivi consigli di amministrazione, gli amministratori di più società concorrenti decidevano insieme le politiche di prezzo e di mercato, restando ciascuno sotto il controllo degli altri. Si creavano così dei veri e propri cartelli, mascherati sotto l‘uso del trust».
292 «Pochissime persone erano in grado di concordare le strategie di varie imprese. In altre parole: a
decidere erano in pochi e tutto filava liscio. Rockefeller e i suoi ottennero in questo modo la stabilità che tanto desideravano. Ma il trust divenne rapidamente la bestia nera dei piccoli operatori: agricoltori e commercianti ebbero prezzi più alti per quello che compravano e prezzi più bassi per quello che vendevano» (AMATO,G.,Il gusto della libertà. L‘Italia e l‘Antitrust, Roma – Bari, 1998, 5).
293 «The trust wave swept over the country like a terrible cyclone, causing greater loss and destruction
of property accumulated by individual effort than all of the storms and cyclones that have occurred since the flood» (Senator Thompson, 1914).
68
contrastante con i principî fondamentali di autonomia contrattuale (limit the right of
individuals) e di iniziativa economica (restrain the free flow of commerce)
294oltre ad essere
contrarie all’interesse generale (bring about public evils such as the enhancement of
prices)
295.
Fino agli anni Settanta le norme antitrust sono state, pertanto, volte alla tutela del
mercato «come strumento essenziale di "democrazia economica" e come tali dirette a
consentire l'attiva compartecipazione di tutti gli individui, imprenditori e consumatori, nella
ricerca del loro benessere»
296. In parziale coerenza con la concezione invalsa nel sistema di
common Law inglese ed in quello statunitense antecedente all’introduzione dello Sherman
Act, il fine perseguito nella repressione di condotte antimonopolistiche è stato quello della
tutela della libertà di (o di non) contrarre, a cui ci si era sempre riferito con l’espressione
freedom of contract ed alla violazione della quale erano tradizionalmente connessi i rimedi
di common Law del restraint of trade
297.
La nuova legge, tuttavia, ha previsto l’introduzione di strumenti mai utilizzati prima
di allora, quali le sanzioni penali ed c.d. danni punitivi
298. Secondo parte della dottrina, «la
criminalizzazione dell‘attentato al funzionamento del mercato apriva in realtà la strada
all‘affermazione di indirizzi valutativi di tipo nuovo, che facevano retrocedere in secondo
piano ogni considerazione di principio sulla freedom of contract quale valore ideale e
politico. Si avviava cioè quel processo che avrebbe condotto a leggere la libertà di contratto
alla luce della tutela della concorrenza, e non invece il contrario»
299. L’obiettivo del diritto
antitrust è stato, infatti, a lungo quello della dispersione del potere di mercato, attuato
294 «Gli Stati Uniti erano cresciuti con la cultura di Thomas Jefferson: con il mito di un grande
mercato in cui tanti piccoli produttori, ciascuno indipendente dall‘altro, mantengono la propria famiglia e fanno crescere l‘economia grazie al rischio, all‘indipendenza, all‘individualità dell‘iniziativa di ciascuno» (AMATO,G.,Il gusto della libertà. L‘Italia e l‘Antitrust, Roma – Bari, 1998, 7).
295
Standard Oil Co. of New Jersey v. United States 221 U.S. 1 (1911), 221.
296 M
ANGINI,V. e OLIVIERI, G., Diritto antitrust, IV ed., Torino, 2012, 3, secondo i quali: «La [loro] funzione essenziale, secondo questa tesi, [era] quella di promuovere la concorrenza, avendo di mira la difesa dei contraenti più deboli, individuati sia nelle imprese di piccole-medie dimensioni, sia nei consumatori».
297 Sul punto, e su alcune delle riflessioni che seguono cfr. C
AMILLERI,E.,I c.d. ―contratti a valle‖ tra diritto della concorrenza e diritto privato generale, in PLAIA,A.(a cura di), Diritto civile e diritti speciali: il problema dell'autonomia delle normative di settore, Milano, 2008, 187 ss.
298 Ciò ha indotto la dottrina americana a definire lo Sherman Act come una legge caratterizzata da
«Common Law language and uncommon remedies» (cfr. PERITZ, R.J.R., Competition Policy in America. History, Rhetoric, Law, Oxford – New York, 1996, 3.
299 M
ELI, V., Diritto «antitrust» e libertà contrattuale: l‘obbligo di contrarre e il problema dell‘eterodeterminazione del prezzo, in OLIVIERI,G.e ZOPPINI,A.(a cura di),Contratto e antitrust, Bari, 2008, 43.
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mediante la protezione delle imprese di dimensioni ridotte nei confronti della supremazia di
quelle di dimensioni maggiori
300.
Il sistema introdotto dallo Sherman Act era – ed è tuttora – caratterizzato da
disposizioni a formulazione inflessibile che stabilivano l’illiceità di «ogni contratto,
collusione nella forma del trust o cospirazione restrittivi del commercio fra stati o con
nazioni estere»
301ed altresì punivano duramente «ogni monopolio, tentativo di
monopolizzazione o cospirazione collusiva con finalità monopolistiche»
302. La maggior
parte dei sistemi antitrust mondiali sono ispirati alle disposizioni dello Sherman Act
303,
pertanto è possibile affermare che, generalmente, le disposizioni del diritto della
concorrenza hanno carattere repressivo – nel senso che non indicano, in positivo, quali siano
le condizioni che si intendono concorrenziali, limitandosi a vietare le pratiche ritenute
contrarie alla concorrenza – in contrapposizione all’attività regolatoria, la quale opera sul
piano prescrittivo indicando le condotte alle quali le imprese devono attenersi
304. Il sistema
americano, tuttavia, pur essendo strutturato in chiave penalistico-repressiva, non definisce
chiaramente gli obiettivi politici sottostanti alla sua applicazione pertanto, come sottolineato
in dottrina, «la storia dell‘antitrust americano denota forti ondeggiamenti nella definizione
del bene giuridico tutelato dalle norme antitrust»
305.
ii. I divieti per se.
Attraverso l’elaborazione giurisprudenziale è andata sviluppandosi la tipizzazione di
condotte illecite per se, mediante la quale si è proceduto all’automatica condanna di
determinate categorie di condotte, riguardate come hard core, oggetto di indiscutibile
presunzione di illiceità in quanto percepite come palesemente restrittive della concorrenza
(fissazione di prezzi
306, ripartizioni dei mercati
307, boicottaggi
308ecc.). Il giudizio di illiceità
300 Cfr. L
IBERTINI, M., Concorrenza, in Enc. dir. Annali, III, Milano, 2010, 210. Cfr. quanto sottolineato dal Presidente Roosevelt nel discorso al Congresso del 29 aprile 1938: «la libertà di una democrazia non è salda se il popolo tollera la crescita d‘un potere privato al punto che esso diventa più forte dello stesso stato democratico … Oggi tra noi sta crescendo una concentrazione di potere privato senza uguali nella storia». 83 Cong Rec 5992 (1938).
301 Sherman Antitrust Act, § 1. 302 I
D.§ 2.
303 Cfr. G
ERBER,D.J., Global Competition, Oxford – New York, 2010, 121 e ss.
304 Cfr. G
RILLO,M.,The Theory and Practice of Antitrust. A perspective in the history of economic ideas, in Storia del pensiero econmico, 2006, II, 33.
305
LIBERTINI,M.,Concorrenza, in Enc. dir. Annali, III, Milano, 2010, 210.
306 United States v. Trans-Missouri Freight Ass'n, 166 U.S. 290 (1897). 307 Dr. Miles Medical Co. v. John D. Park & Sons Co. 220 U.S. 373 (1911). 308 Klor's, Inc. v. Broadway-Hale Stores, Inc., 359 U.S. 207 (1959)
70
avveniva, per questa categoria, prima facie senza bisogno cioè di procedere a lunghe e
costose indagini circa i loro effetti dannosi e la presenza di eventuali giustificazioni
economiche
309.
La rigidità nell’applicazione del sistema antitrust statunitense è stata
contemporaneamente mitigata dalla giurisprudenza, inizialmente mediante l’esclusione dal
divieto di quelle clausole restrittive (quali il patto di non concorrenza) ma accessorie ad un
contratto di per sé non restrittivo, finalizzate a rendere più efficace il patto principale
(ancillary restraints)
310, e, successivamente, con l’impiego di un criterio generale (test) di
ragionevolezza
311. Ciò in quanto dall’analisi dei lavori preparatori allo Sherman Act era
emerso che l’intenzione del legislatore «non era stata quella di impedire qualsiasi intesa
restrittiva, per quanto insignificante o trascurabile, bensì di colpire unicamente gli accordi
portatori di un irragionevole pregiudizio concorrenziale»
312.
Pertanto, se da una parte il diritto antitrust d’oltreoceano è stato disciplinato ed
applicato in maniera draconiana, dall’altra, per mezzo della common Law, si è giunti ad
attenuare tale rigore, espandendo la presunzione di innocenza attraverso l’utilizzo della c.d.
rule of reason, mediante la quale le Corti si sono riservate il potere, largamente
discrezionale, di stabilire, soppesate tutte le circostanze del caso concreto, se un determinato
accordo (pur restrittivo) producesse degli effetti pro concorrenziali (c.d. redimenti). Lo
sviluppo parallelo dei due approcci ha comportato anche situazioni di divergenza di opinioni
309 Cfr., ad esempio, United States v. Aluminum Co. of America, 377 U.S. 271 (1964) (Alcoa) e FTC v
Brown Shoe Co., Inc., 384 U.S. 316 (1966).
310
Addyston Pipe & Steel Co. v. United States, 175 U.S. 211 (1899). Per un approfondimento cfr. WERDEN,G.J.,The ancillary restraints doctrine, in Atti del convegno Rule of Reason V. Per Se: Where Are the Boundaries Now?, American Bar Association. Section of Antitrust Law, 54th Antitrust Law Spring Meeting, 29-31 marzo 2006, in http://apps.americanbar.org/antitrust/at-committees/at-s1/pdf/spring- materials/2006/werden06.pdf.
311
Standard Oil Co. of New Jersey v. United States 221 U.S. 1 (1911): «The Anti-Trust Act of July 2, 1890, c. 647, 26 Stat. 209, should be construed in the light of reason; and, as so construed, it prohibits all contracts and combination which amount to an unreasonable or undue restraint of trade in interstate commerce».
Chicago Board of Trade v. United States 246 U.S. 231 (1918): «Every agreement concerning or regulating trade restrains, and the true test of legality is whether the restraint is such as merely regulates, and perhaps thereby promotes, competition, or whether it is such as may suppress or even destroy competition .To determine this question, the court must ordinarily consider the facts peculiar to the business, its condition before and after the restraint was imposed, the nature of the restraint, and its effect, actual or probable … the evidence admitted makes it clear that the rule was a reasonable regulation of business consistent with the provisions of the Anti-Trust Law»
Cfr. anche la dissenting opinion del giudice White in United States v. Trans Missouri Freight Association, 166 U.S. 290 (1897).
312
71
in seno alla stessa Suprema Corte
313. Ed infatti, come è stato sottolineato in dottrina,
l’enforcement dei divieti antimonopolistici negli Stati Uniti è stato caratterizzato dalla
ciclicità, per cui a periodi di lassismo si sono succeduti, per lo più su impulso del potere
legislativo, periodi di forte repressione
314.
iii. L’introduzione della rule of reason.
Mentre i primi anni successivi all’introduzione dello Sherman Act furono
caratterizzati, da un’applicazione molto rigorosa delle previsioni ivi contenute, la svolta del
1911, con l’introduzione della rule of reason nel caso Standard Oil
315, comportò un periodo
di distensione nell’imposizione di divieti antitrust. Successivamente al primo conflitto
mondiale tale tendenza fu acuita dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che giunse,
mediante l’utilizzo della rule of reason, a non sanzionare condotte che fino ad allora erano
stati considerati illeciti per se, quali la fissazione dei prezzi
316, e si stabilì financo
normativamente la sospensione ex lege delle norme antitrust per le imprese che aderivano
agli accordi economici collettivi previsti dal National Recovery Act del 1933
317.
L’apertura nei confronti di margini di discrezionalità in ordine alla meritevolezza o
meno delle pratiche poste in essere dalle imprese, in considerazione degli effetti sul mercato,
comporta che la disamina degli scopi che sono stati nel corso del tempo perseguiti dal diritto
della concorrenza è intrinsecamente connessa, da una parte, alle considerazioni di carattere
politico, che, a seconda del contesto storico, hanno condizionato l’applicazione delle norme
antitrust, e, dall’altra, ai criteri economici adottati nella valutazione degli illeciti, giungendo
alle volte i due piani a sovrapporsi
318. Tradizionalmente gli orientamenti riguardo ai modelli
economici sottostanti al diritto antitrust sono stati divisi in quattro grandi gruppi: la scuola
313 White Motor Co. v. United States, 372 U.S. 253 (1963); United States v. Penn-Olin Chemical Co.
378 U.S. 158 (1964).
314 Ad esempio con l’introduzione del Clayton Act nel 1914; del Federal Trade Commission Act
sempre nel 1914; del Robinson-Patman Act nel 1936; del Celler-Kefauver Act nel 1950 e del Hart-Scott- Rodino Act nel 1976. Cfr a riguardo LIBERTINI,M.,Concorrenza, in Enc. dir. Annali, III, Milano, 2010, 213.
315 Standard Oil Co. of New Jersey v. United States 221 U.S. 1 (1911), 221.
316 Appalachian Coals, Inc. v. United States 288 U.S. 344 (1933); Sugar Institute, Inc. v. United
States 297 U.S. 553 (1936).
317 L
IBERTINI,M.,Concorrenza, in Enc. dir. Annali, III, Milano, 2010, 211.
318 Cfr. G
HEZZI, F. e OLIVIERI, G., Diritto antitrust, Torino, 2013, 46: «la teoria economica può essere pensata come un insieme di modelli che, descrivendo e spiegando la realtà economica in modo differente, qualificano e valutano in modo altrettanto diverso i comportamenti delle imprese. E ciò al punto che i ―cambiamenti di rotta‖ fatti segnare dalle esperienze antitrust statunitense e europea possono dirsi il risultato non solo delle diverse scelte di politica industriale compiute dalle due giurisdizioni circa gli obiettivi da assegnare alla disciplina antitrust, ma anche dei differenti modelli che tali giurisdizioni hanno concretamente applicato per comprendere e descrivere le realtà di mercato e le pratiche imprenditoriali». Questo aspetto sarà approfondito infra.
72
di Harvard, la scuola di Chicago, la dottrina post-Chicago e la scuola di Friburgo. Ciascuna
delle correnti dottrinarie sopra citate ha avuto grande influenza sulle politiche antitrust
statunitensi e, successivamente, europee, ed ha condizionato fortemente l’applicazione del
diritto della concorrenza da parte dei giudici e delle autorità amministrative.
La scuola di Harvard fu espressione del clima culturale statunitense negli anni ’50 e
’60, decisamente contrario a qualsiasi forma di pianificazione economica, ed altresì
favorevole agli interventi statali volti ad evitare il consolidamento di posizioni dominanti
319.
Successivamente, negli anni ’70, «insieme con la più generale reazione neoliberista che
investe il mondo occidentale»
320, si andò sviluppando un diverso filone dottrinario, più
propenso nei confronti di un atteggiamento ―hands – off‖. Questa dottrina, definita come
scuola di Chicago, affermava che l’obiettivo primario dell’intervento antitrust dovesse
essere il perseguimento del consumer welfare, così come teorizzato dalle scienze
economiche. Ciò ha comportato, come evidenziato dalla dottrina, una nuova svolta
nell’antitrust americano, «da una concezione dell‘antitrust prevalentemente inteso come
strumento di difesa della democrazia economica ad una concezione dello stesso come
strumento di difesa dell‘efficienza economica, intesa come attitudine dei mercati a produrre
la maggiore quantità di beni e a soddisfare la maggiore quantità di bisogni possibile»
321.
Pertanto, in virtù dell’influenza della scuola di Chicago, estremamente critica rispetto
all’attivismo dell‘antitrust, unitamente alla preoccupazione di fronte all’aggressività
giapponese sui mercati in cui operavano le imprese americane, ed alle connesse politiche di
rafforzamento delle corporations nazionali intraprese dall’amministrazione Reagan
322, gli
anni ’80, negli Stati Uniti, furono contrassegnati da una significativa diminuzione
dell’intervento antitrust nei confronti delle condotte concentrative e conducenti
all’integrazione tra imprese.
iv. L’approccio europeo.
Parallelamente a quanto accadeva negli Stati Uniti, anche in Europa, dalla seconda
metà del XIX secolo, con l’«oggettivizzazione del diritto commerciale»
323, si andò
affermando l’esigenza di limitare il potere privato in quanto limitativo della libertà
individuale e foriero di diseguaglianze. Tuttavia, come è stato affermato in dottrina, «nel
vecchio continente … questa battaglia, invece di una legge anti-monopoli, genera lo
statalismo. Il potere privato non viene combattuto attraverso l‘Antitrust, ma con il
319 Cfr., ad esempio, Brown Shoe Co., Inc. v. United States, 370 U.S. 294 (1962).