--- MEDIO ORIENTE Il filosofo Roger Garaudy processato per le sue interpretazioni storiche, Arafat contestato per la visita a un museo del genocidio Olocausto, la parola che ancora divide arabi e israeliani A GERUSALEMME rabi, israeliani e Olocausto, la storia di un rapporto ambiguo. Un filo sottile lega la levata di scudi degli intellettuali arabi in difesa del "revisionista" Roger Garaudy, in questi giorni sotto processo a Parigi per aver sminuito la gravita' del genocidio nazista, e il dibattito seguito alla decisione - presa la settimana scorsa dai dirigenti ebrei del museo dell'Olocausto a Washington - di non ricevere Yasser Arafat in visita ufficiale. "Entrambi fanno in fondo la stessa cosa: accostano le vicende dell'Olocausto a quelle del sionismo. Gli arabi ripetono l'errore di sempre, considerano lo sterminio degli ebrei un falso mito propagandato dagli israeliani per giustificare l'esistenza e le azioni del loro Stato. Ma anche coloro che si oppongono alla visita di Arafat lo fanno rapportandolo al contesto mediorientale: se e' nemico di Israele, non puo' che essere alleato dei nazisti", osserva Tom Segev, uno dei piu' attenti intellettuali israeliani. L'altro ieri la marcia indietro. Dalla capitale americana e' giunta la luce verde per Arafat. Hanno vinto le voci di chi vedeva una grave occasione mancata nel "gran rifiuto" opposto al leader palestinese. "Non va mai dimenticato che le camere a gas naziste si trovavano in Europa e non sulla sponda orientale del Mediterraneo", ricorda tra gli altri Shevah Weiss, deputato laburista, lui stesso unico sopravvissuto della sua famiglia alla Soluzione Finale. "Arafat, ripreso davanti alle fotografie dello sterminio sara' utilissimo per aiutare a far capire finalmente agli arabi la nostra tragedia, le nostre paure e persino i motivi profondi nell'insistere cosi' tanto sulla nostra sicurezza nei negoziati di pace", spiegano critici i responsabili dei memoriali sull'Olocausto in Israele che, in aperto conflitto con la destra ebraica americana, hanno a loro volta invitato Arafat. La vicenda ha pero' un seguito perche' sembra, nelle ultime ore, che il leader palestinese abbia definitivamente rinunciato a visitare il Museo di Washington. Le necessita' di un chiarimento tornano proprio sull'onda delle reazioni al processo Garaudy. Questi, 84 anni, ex militante del partito comunista francese, di recente convertito all'islam, e' accusato di "crimini contro l'umanita" per aver minimizzato il numero degli ebrei uccisi da Hitler e negato la specificita' dell'Olocausto. Nel suo libro apparso nel 1995, I miti fondatori della politica israeliana, accusa tra l'altro lo Stato ebraico di avere cinicamente strumentalizzato le vittime dei lager. Temi classici della propaganda araba, ben noti anche tra gli estremisti della destra e sinistra europee. Due anni fa Garaudy era stato accolto da eroe in un tour di presentazione dell'edizione araba del suo libro al Cairo, Damasco e Beirut. Le contestazioni si contavano sulle dita di una mano. E negli ultimi giorni la mobilitazione del Medio Oriente per lui e' stata impressionante. Al Cairo si sono svolte grosse manifestazioni davanti all'ambasciata francese allo slogan di "liberate il Dreyfus degli arabi", e "francesi vittime della congiura sionista". In Siria le piu' alte autorita' religiose e politiche, tra cui il "mufti" Ahmad Kaftaro, hanno espresso la loro "totale solidarieta" con l'accusato. Lo stesso e' avvenuto in Giordania, Marocco, Iran, con il coinvolgimento degli Ordini di giornalisti, avvocati, medici, scrittori. La moglie del presidente degli Emirati Arabi, Zayed Al - Nahyane, ha voluto inviare personalmente un dono di 50.000 dollari (circa 85 milioni di lire) per pagare le spese processuali. A Gaza un centinaio di intellettuali palestinesi ha consegnato una lettera al Centro culturale francese locale: "Nessuno vuole negare la sofferenza degli ebrei sotto il giogo nazista. Ma protestiamo contro i rigori della legge francese, che vieta ogni lettura critica della storiografia sionista". Parole che ricordano le riflessioni risentite di Edward Said, profugo palestinese sin dal 1948 e oggi docente alla Columbia University, che nel suo Dopo l'ultimo cielo scriveva: "Noi non abbiamo avuto un nostro Olocausto per proteggerci tramite la compassione del mondo".*
Cr em onesi Lor enzo Pagina 27
(24 gennaio 1998) - Corriere della Sera
Ogni diritto di legge sulle informazioni fornite da RCS attraverso la sezione archivi, spetta in via esclusiva a RCS e sono pertanto vietate la rivendita e la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi modalitá e forma, dei dati reperibili attraverso questo Servizio. É altresì vietata ogni forma di riutilizzo e riproduzione dei marchi e/ o di ogni altro segno distintivo di titolarità di RCS. Chi intendesse utilizzare il Servizio deve limitarsi a farlo per esigenze personali e/ o interne alla propria organizzazione.
113
Archivio
01 marzo 2008 21 sez. POLITICA ESTERA
Palestinesi, ancora razzi e sarà la vostra Shoah
ndente ALBERTO STABILE GERUSALEMME - «Quanto più aumenta il fuoco dei Qassam e s' allunga la loro gittata, tanto più (i palestinesi) attireranno su di sé una shoah più grande, perché useremo tutta la nostra forza per difenderci». Ha detto proprio «shoah», il termine ebraico solitamente adoperato in riferimento all' Olocausto, il vice ministro della Difesa, Matan Vilnai, ma la parola, s' è affrettato a precisare il suo portavoce, è stata adoperata nel significato, autorizzato nell' ebraico moderno, di «disastro». Niente da fare. Per Hamas l' infortunio linguistico rivela la vera identità degli israeliani, definiti di conseguenza «i nuovi nazisti» e così, quello che doveva suonare come un avvertimento s' è trasformato in uno strumento propagandistico nelle mani degli integralisti. Uno dei generali approdati alla politica dopo aver dimesso la divisa, Matan Vilnai non è noto per essere un grande oratore. Al contrario, sembra sempre un po' a disagio quando deve prendere la parola in pubblico. In questo caso, anche se intendeva veramente evocare il rischio di una catastrofe e non di uno sterminio, s' è trattato comunque di una scelta infelice, anche perché i palestinesi per «catastrofe» (in arabo, nakba) intendono la guerra del 1948 da cui uscirono sconfitti insieme agli eserciti arabi e alla quale fanno risalire tutte le loro sventure. La risposta di Hamas a Vilnai è comunque arrivata a stretto giro di posta. «Questa è la prova delle loro intenzioni aggressive nei nostri confronti - ha rilanciato il premier di fatto, Ismail Haniyeh, echeggiando i toni negazionisti di Ahmadinedjad -. Vogliono che il mondo condanni quello che chiamano Olocausto, ma ora ci minacciano con un Olocausto». Insomma, una guerra di parole a contorno di una guerra ancora per il momento a «bassa intensità», che tuttavia sembra procedere ineluttabilmente verso uno scontro aperto. Ieri, infatti, il ministro della Difesa, Ehud Barak, ha ribadito il concetto secondo cui, di fronte ai continui lanci di razzi da Gaza, adesso capaci di raggiungere la città di Ashkelon a 20 chilometri di distanza, Israele si ritrova a non avere altra scelta che scatenare una grande operazione di terra per cercare di bloccare sul nascere i bombardamenti. «Una risposta s' impone», ha detto Barak, aggiungendo che «la responsabilità dell' attuale situazione ricade su Hamas e che sarà il movimento islamico a sopportarne le conseguenze». Ma che tipo di risposta? Su questo punto cruciale, nonostante il consenso quasi generale che bisogna agire (l' ipotesi d' intavolare un negoziato con Hamas viene presa in considerazione soltanto da una minoranza di politici e commentatori) c' è molta incertezza sia nel governo che tra gli alti gradi militari. Si parla insistentemente d' invadere Gaza ma non per rioccupare la Striscia, quanto per mettere sotto controllo le aree da cui vengono lanciati i Kassam. I tempi non sono immediati perché le condizioni atmosferiche per ora non lo consentono. Comunque un' operazione del genere comporterebbe un alto tasso di perdite non solo tra i palestinesi ma anche tra i soldati israeliani. E questo, oltre al fatto che Hamas ha in mano un ostaggio, il soldato Shalit, sequestrato nel giungo del 2006, sembra trattenere la classe politica e, segnatamente, del primo ministro, Ehud Olmert, che teme il ripetersi di uno scenario come quello del luglio del 2006 al confine con il Libano. Quando, dopo l' ennesima provocazione, il governo scelse di attaccare senza, però, riuscire a conseguire nessuno degli obbiettivi prefissati. Di contro, Hamas, sembra largamente favorire quest' ipotesi, nella speranza di costringere l' esercito più potente del Medio Oriente a sprofondare nella sabbia di Gaza. Di certo, l' invasione non li spaventa. «Non hanno forse occupato la Striscia per 38 anni - s' è chiesto quasi irridente Haniyeh - ? E cosa hanno ottenuto?». Anche l' atteggiamento americano sembra ricalcare quello tenuto alla vigilia della seconda guerra del Libano. Condoleezza Rice, che la settimana prossima sarà da queste parti, ha detto d' essere preoccupata per la sorte dei civili palestinesi di Gaza. Ma ha evitato di chiedere ad Israele di contenere il suo strapotere militare. per saperne di più www.middle-east-online.com/english/ http://english.aljazeera.net www.alternet.org/
ALBERTO STABILE
Sei in:Archivio> la Repubblica.it> 2008> 03> 01> Palestinesi, ancora razzi...
PERSONE
ENTI E SOCIETÀ
LUOGHI
TIPO
114
Digital editionMobile AbbonamentiScommesse & lotterieLe cittàMeteo ArchivioTrovo Casa Trovo LavoroBuonpertutti Store 13°CMILANO CAMBIA I i i
c oR r i e R e d e l l a S e R ac oR r i e R e d e l l a S e R a
//
ARCHIVIOSTORICO
HOMETV ECONOMIA SPORT CULTURASCUOLA SPETTACOLI CINEMA SALUTESCIENZE TECH MOTORI VIAGGI CASA CUCINA IODONNA 27ORAMODA