3. ALIENAZIONE – AUTONOMIZZAZIONE IN MARX
3.5 Onnilateralità e unilateralità
Marx ed Engels osservano che la Teilung der Arbeit , nella società definita “naturale”, in cui vige una produzione in cui la divisione del lavoro non viene pianificata, ma “viene lasciata in balia” delle dinamiche autonomizzatesi del processo produttivo stesso, si sviluppa in una direzione di sempre maggior specializzazione e frazionamento, in cui ogni lavoratore viene relegato ad ambiti di attività sempre più specifici, ripetitivi ed angusti: << non appena il lavoro
226 H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 2009, p. 21
227 Il sorgere di una simile coscienza, per il materialismo storico, può essere solo determinata da
condizioni materiali, ovvero dal sorgere della classe proletaria.
117 prenda a essere diviso [ in modo naturale ], ognuno ha un ambito di attività determinato ed esclusivo, che gli viene imposta e a cui non può sottrarsi >>.229 La catena di montaggio fordiana, in cui ad ogni uomo-ingranaggio viene affidato quasi un unico gesto preciso, da ripetere incessantemente, ci fornisce, e le immagini chapliniane di Tempi Moderni ben rappresentano il fenomeno,
l’emblema di questa riduzione del lavoro, inteso originariamente come attività in cui l’uomo dovrebbe oggettivarsi, ad un automatismo ristretto e monotono. L’attacco a una simile condizione non può non radicarsi in una certa concezione dell’uomo, per quanto indeterminata essa sia.
Ben sapendo che l’essenza umana è qualcosa di contingente, che si oggettiva e determina di volta in volta tramite l’attività produttiva, Marx ed Engels
“scommettono” sull’onnilateralità, contrapposta all’unilateralità. Proprio perché l’essere umano non ha un essenza precisa, determinata,
semplicemente da trovare nel regno ideale per poi concretizzarla materialmente, è assolutamente inaccettabile, per i due pensatori, lasciare che l’esistenza umana venga ridotta ad un'unica attività eternamente riprodotta.
Se << la ricchezza intellettuale effettiva del soggetto >> è << completamente dipendente dalla ricchezza dei suoi rapporti concreti >>230, in virtù del primato dell’esistenza concreta sulla coscienza, si tratterà allora di fare in modo di arricchire quanto più possibile questi rapporti.
Scrivono Marx ed Engels, in un passo appassionato dell’Ideologia Tedesca << È una follia l’ipotizzare, come fa san Marx, che si possa appagare una passione, distintamente da tutte le altre, senza appagare se stesso, l’individuo vivente nella sua interezza. Se tale passione assume un connotato astratto, disgiunto, se mi si oppone come una forza estranea, se quindi l’appagamento dell’uomo risulta come appagamento unidimensionale di un’unica passione, la faccenda non è affatto dipendente dalla coscienza oppure dalla “volontà buona”, e ancora meno dall’assenza di riflessione sulla nozione della proprietà, bensì dall’essere; non già dal pensiero, bensì dall’esistenza. Dipende dallo sviluppo
229
K. Marx, F. Engels, Ideologia Tedesca, cit. p. 359
118 empirico e dalle espressioni esistenziali dell’uomo, il quale è a sua volta vincolato alle condizioni esterne. Se le condizioni nelle quali quest’uomo esiste gli
consentono solamente di sviluppare parzialmente una prerogativa a discapito di tutte le restanti, se esse gli concedono materia e tempo per incrementare solamente quest’unica prerogativa, quest’uomo non va al di là dello sviluppo unidimensionale, incompleto. >>231
Lo specialismo settoriali stico che caratterizza la divisione del lavoro nella società capitalista preclude all’uomo lo sviluppo delle proprie potenzialità ontologiche derivanti dal suo status di indeterminatezza.
L’uomo è un essere “aperto”, la cui essenza, contingente, si arricchisce in modo direttamente proporzionale alle disponibilità concreta di << espressioni
esistenziali >>.
L’enfasi contenuta in queste parole mostra ancora una volta come, in fondo, “l’individuo onnilaterale”, prima di essere incarnazione dell’uomo tipico della società comunista, destino iscritto nelle pieghe della storia, è un’ideale da realizzare.
Questo residuo “metafisico” è però a mio avviso giustificabile perché rimane il più possibile ancorato al primato della contingenza: Marx ed Engels non delineano, e non possono farlo, un’essenza umana precisa, un’idea
completamente astratta; piuttosto, proprio perché riconoscono il legame tra l’esperienza, la vita concreta, e la risultante conformazione umana, puntano ad ampliare quanto più possibile il “campo esperienziale” dell’uomo, ribellandosi all’unilateralità, imposta da un meccanismo fantasmatico ed ormai autonomo, caratterizzante la vita nella società del lavoro alienato.
Il comunismo infatti viene prospettato come quella società che pone le
condizioni materiali ( e non una mistica liberazione coscienziale, come fanno gli ideologi Giovani hegeliani ) per aprire possibilità onnilaterali all’uomo, grazie ad una strutturazione economico-sociale in cui << la società amministra la
produzione generale e, proprio in questa maniera, mi dà la possibilità di fare oggi
119 questa determinata cosa, domani quell’altra >>, in cui insomma ognuno << non ha un ambito di attività esclusivo >>232 ma è posto nelle condizioni di svilupparsi in modo versatile e poliedrico.
L’opposizione tra onnilateralità e unilateralità, tra status quo e potenzialità umane, restituisce una condizione di “apertura” all’essere-uomo, e proprio per questo mantiene la sua potenza critica anche se proviamo a trasporla nella realtà dei nostri giorni.
L’unilateralità infatti non si manifesta solamente nell’emblematico luogo della fabbrica.
Già Marcuse, che si fa portatore in tempi ben diversi da quelli di Marx dell’attacco all’unidimensionalità ( L’uomo ad una dimensione, come titolo, chiarisce immediatamente il nesso ), amplia il concetto di unilateralità, che non coincide più, nella società del capitalismo avanzato, con la ripetitività e il carattere monotono dell’attività cui l’operaio è costretto ed imprigionato per tutta la vita.
In una società in cui il tenore di vita si è innalzato, l’autonomizzazione della sfera economica è resa ancora più impercettibile, e in tal modo la sua logica di
conformazione, appiattimento sull’ordine sociale esistente viene ancora più profondamente instillata negli individui: l’unidimensionalità si realizza nel globale conformismo, atteggiamento contemplativo, conciliante con una realtà in cui l’uomo è però ancora beffardamente dipendente da ciò che lui stesso ha creato, magistralmente esemplificato dal monologo finale di Mark Renton, protagonista del film-capolavoro di Danny Boyle, Trainspotting:
<< Choose life. Choose a job. Choose a career. Choose a family. Choose a fucking big television, Choose washing machines, cars, compact disc players, and
electrical tin openers. Choose good health, low cholesterol and dental insurance. Choose fixed- interest mortgage repayments. Choose a starter home. Choose your friends. Choose leisure wear and matching luggage. Choose a three piece suite on hire purchase in a range of fucking fabrics. Choose DIY and wondering
120 who you are on a Sunday morning. Choose sitting on that couch watching mind- numbing sprit- crushing game shows, stuffing fucking junk food into your mouth. Choose rotting away at the end of it all, pishing you last in a miserable home, nothing more than an embarrassment to the selfish, fucked-up brats you have spawned to replace yourself. Choose your future. Choose life... >>
Non si tratta di scegliere “una” vita, ma, significativamente, “la” vita, nei binari ben definiti e in ultima istanza economicamente, e non umanamente,
determinati.
Non è poi un caso che a prendere questa “scelta impossibile” sia un eroinomane, un reietto, uno “scarto” sociale: la sua condizione lo pone in una posizione prospettica in cui la non immersione completa nelle cristallizzate dinamiche sociali gli permettono di “avere di fronte a sé” questa scelta, bypassata completamente da chi, invece, dalla società non è stato escluso.
Sembra di ritrovare la situazione, precedentemente descritta, di una borghesia perfettamente immedesimata nella propria alienazione e del proletariato costretto dalle proprie condizioni materiali ad uno sguardo prospettico differente.
Tra i maestri della Scuola di Francoforte, soprattutto Marcuse ed Adorno, si comincia infatti, dopo il constatato fallimento della previsione marxiana di rivoluzione ad opera della classe proletaria, e di fronte ad una conformazione sociale in cui il proletariato come “grande massa” dotata necessariamente di spinta rivoluzionaria non esiste più, ad individuare nuovi soggetti rivoluzionari proprio negli “scarti”, negli “esclusi” dalla società o nelle popolazioni del terzo mondo, ovvero in coloro che ancora non sottostanno in modo completo al bando di cui è vittima l’umanità.
All’inizio del capitolo ci eravamo chiesti se fosse possibile legittimare in modo “aprioristico” la necessità di un mutamento sociale, pur rinunciando a definire
121 un’essenza umana che sarebbe negata dallo status quo e invece realizzata nella società post-mutamento.
Abbiamo osservato che in Marx rimane sempre, anche se nascosta perché in contrasto con la critica con la quale si era distaccato da Feuerbach, una certa idea di essenza relativa all’uomo, che verrà presentata come destino
storicamente e materialmente prevedibile.
Tuttavia, al di là di questa ambiguità, la critica dell’alienazione rimane prima di tutto una critica della condizione di dipendenza dell’uomo dal prodotto stesso della sua mano, tema che diverrà sempre più centrale nel Marx maturo. L’assurdità, per Marx ed Engels, risiede nell’indipendentizzazione della sfera economica, e la critica dell’alienazione vuole appunto mostrare come l’umanità debba ritornare ad avere il controllo sulla sfera produttiva, proprio perché quest’ultima, pur essendosi ormai “cosificata” è originariamente un prodotto sociale umano.
Quale che sia l’essenza dell’uomo, il rovesciamento tra causa e causato, che rende l’uomo schiavo del proprio prodotto, è attaccabile e criticabile di per sé.
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