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Un opaco intertesto, o «ritrattone», veneziano: ragioni di uno sguardo comparativo

Su un film mai girato, tra Fellini e della Corte

Sommario 1. Un opaco intertesto, o «ritrattone», veneziano: ragioni di uno sguardo comparati-

1 Un opaco intertesto, o «ritrattone», veneziano: ragioni di uno sguardo comparativo

L’intricata serie di scambi fra Carlo della Corte e Federico Fellini, intorno a un’ipotesi di film su Venezia, ci è restituita nella sua intatta suggestione dalle pagine d’archivio, e più precisamente dal carteggio intercorso fra i due in poco più di un decennio, dal 1981 al 1991 (si è nondimeno verosimil- mente ipotizzato che Fellini avesse in mente il progetto sin dai tempi della realizzazione del suo Casanova, e dunque dal ’75-’76: cfr. Montanaro 1993;

Tornabuoni 1995a).1 L’impressione che se ne ricava è davvero quella di una

fitta trama comunicativa, di un condiviso repertorio di stimoli, decisioni,

1 In Tornabuoni (1995b, pp. 58 sgg.) viene riportata una versione del soggetto depositato dal regista (Fellini 2005).

simboli, idee ricorrenti ed evoluzioni del soggetto che trapela da un dia- logo protratto nel tempo, mai costituitosi, tuttavia, in un piano omogeneo, inequivoco, mai sviluppatosi in una stesura lineare (modalità, è noto, estra- nea al modus operandi felliniano), né tantomeno approdato alla fase della realizzazione filmica. L’«esile filo» veneziano che della Corte rammenta

al regista, in una lettera del 1989,2 è sul punto di venire reciso. Più volte,

difatti, Fellini, in particolare grazie alla sollecita mediazione dell’amico, è entrato e uscito dal progetto, lo ha accarezzato per venirne in seguito distolto, fino ai segni di uno scioglimento in negativo che, tra alterni silenzi nella comunicazione e riprese di entusiasmo per l’idea, si paleseranno in un telegramma dell’autunno del ’91 che possiamo interpretare come l’atto

di definitiva crisi, e allontanamento da Venezia;3 successiva di due anni,

come è noto, è la morte del regista.

Se questi sono i dati macrostrutturali, i termini imprescindibili per ri- costruire la parabola con finale involuzione del film veneziano di Fellini, situando le sue coordinate mobili, sfumate, nel dialogo con il fido «Car- letto» (oltre che con Tiziano Rizzo e Andrea Zanzotto, già collaboratori alla scrittura del Casanova: si pensi alla straordinarietà, per chi analizzi le

relazioni fra la poesia novecentesca e il cinema, di un’opera come Filò),4

a partire dalle carte conservate nel Fondo «Carlo della Corte», presso l’Archivio «Carte del Contemporaneo» del CISVe, possiamo evocare con una certa coerenza i contenuti salienti, la fantasia cooperativa, i tratti dell’operazione immaginativa ai quali tale dialogo diede vita. Diversi sono gli spunti, gli elementi in nostro possesso e le piste interpretative cui pos- siamo connetterci nel ridisegnare i contorni della pur sognante, e dunque in buona parte evanescente, Venezia felliniana:

• la comparazione fra il carteggio e il soggetto. In prima battuta, il soggetto, depositato presso la Fondazione Fellini e pubblicato, in una versione scorciata, nel catalogo della grande mostra romana Federico Fellini del 1995, curato da Lietta Tornabuoni (Fellini 1995), inscena, dan- do loro corpo, e agglomera l’una all’altra le idee partorite nei sopralluo- ghi cittadini del regista, e a latere dibattute nello scambio epistolare. Là dove letture precedenti avevano proceduto basandosi su un’analisi delle

2 Lettera di Carlo della Corte a Federico Fellini, 18 agosto 1989 (CISVe, Archivio «Carte del Contemporaneo», Fondo «Carlo della Corte», Serie «Corrispondenza», UA 210, n. 21 – la collocazione dei documenti è da considerarsi ancora provvisoria).

3 «Caro Carlo cerca di perdonare la mia inguaribile avventatezza. Non volevo deluderti, ma sono costretto a farlo perché in questo momento non saprei proprio cosa rispondere alle tue domande su Venezia. Ti chiedo scusa e ti abbraccio con affetto augurandoti buon lavoro e buona fortuna» (23 ottobre 1991 – CISVe, Fondo «Carlo della Corte», Serie «Corrispondenza», UA 210, n. 31).

immagini contenute nel solo soggetto,5 l’analisi della corrispondenza

consente di espandere e restituire spessore problematico ad alcuni dei nuclei più squisitamente poetico-ideologici, e metacinematografici, del progetto;

• l’interazione tra immaginazione cinematografica e suggestioni

letterarie. Fra i «materiali narrativi» (Fellini 1995, p. 59), necessaria-

mente convocati a filare insieme le vedute e le fantasie del film («Ve- nezia, d’accordo, le luci, i colori, i suoni, la nebbia, il riverbero del sole, la neve, i palazzi, i rii, la laguna d’inverno, le isole … d’accordo, tutto bellissimo, tutto spettacolo, tutto magia, fascino, fiaba, ma poi? Che succede? Le componenti portanti del racconto, i personaggi, quali so- no?» – p. 59), compaiono due inserti letterari, in senso stretto: sono parti di racconto o di romanzo di ambientazione veneziana (Rendez-vous di Poe; Der Geisterseher – Il visionario di Friedrich Schiller, al quale il re- gista si riferisce familiarmente, nell’introdurlo al lettore, con il termine «raccontino» – p. 64), trascritte all’interno del soggetto, e ad esso legate da una congenialità che a Fellini, alla sua prassi eminentemente giu- stappositiva e contaminatrice (si pensi a Roma, o ad Amarcord), appare scoperta. Si apre un ulteriore fronte, per il critico, chiamato a valutare la consistenza di questi adattamenti in forma embrionale, e comunque a non perdere di vista la consistenza intertestuale, la parziale ma signi- ficativa ispirazione letteraria che il progetto contempla e incorpora fra i suoi assi narrativi fondamentali. Un interesse non secondario, inoltre, è rivestito dall’attenzione che Fellini riserva ai romanzi e ai racconti di della Corte, tanto da acconsentire alla richiesta di quest’ultimo di firmare il risvolto di copertina al suo Il diavolo, suppongo, edito da Mar- silio nel 1990, manifestando un’affettuosa sintonia rispetto ai suoi temi surreal-perturbanti, oltre che rispetto al composito mondo veneziano abbracciato nelle sue storie dallo scrittore. Infine, per rientrare nel vivo del progetto-Venezia, un’utile integrazione comparativa proviene dal recupero di uno scritto zanzottiano, recentemente edito, insieme ad altri testi del poeta su/per Fellini, da Luciano De Giusti (Zanzotto 2011) dal quale traiamo altri quadri, altre sequenze immaginate, ad amplificare, rendendo conto della diversità da esso abbracciata, l’ef- fettiva portata dell’‘intertesto’ veneziano che in queste pagine tento di riconfigurare;

• la rappresentazione di Venezia come finestra sull’autore, o su

di un sistema di rappresentazioni. Come appare evidente sin dalle

prime battute del dialogo, Venezia è irriducibile a un’idea di mero fon- dale scenografico; la sua ossessiva presenza paesaggistica permette di mettere alla prova più di una metodologia geografico-letteraria: in

particolare, un approccio geopoetico – per più di un verso omologo della visione tradizionale della ‘geografia letteraria’ di un autore – po- trà scandagliare la rappresentazione della città dei dogi in relazione di contiguità o viceversa di sovrapposizione rispetto agli altri grandi archetipi urbani del cinema felliniano, Roma e Rimini, la città-vortice e il nucleo originario della provincia; per contro, il metodo geocritico riserverà la propria attenzione alla costruzione della Venezia fellinia- na comparandola con le rappresentazioni artistiche e letterarie del luogo che nel tempo si sono avvicendate e imposte nell’immaginario occidentale;

• la flagranza del tema politico, nel ripensare all’ultimo Fellini. In piena sinergia con l’immaginazione urbana di Venezia condivisa da regista e scrittore, con l’evocazione, all’interno del soggetto, dell’al- larme ambientale che la tiene in scacco nel presente e ne minaccia la sopravvivenza futura, si apre la possibilità di un’analisi coerente del progetto all’interno di una valutazione complessiva dell’opera felli- niana, volta a conferire un interesse sempre maggiore ai temi politici, incentrandosi in particolare, come è logico, sulla filmografia degli anni ottanta.