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Venezia nell’immaginazione politica dell’ultimo Fellini, per concludere

Su un film mai girato, tra Fellini e della Corte

Sommario 1. Un opaco intertesto, o «ritrattone», veneziano: ragioni di uno sguardo comparati-

5 Venezia nell’immaginazione politica dell’ultimo Fellini, per concludere

L’ultima prospettiva che occorre in breve contemplare, in un discorso su Venezia e sulla materia poligenere che sorregge la sua forma progettuale, è quella legata alla profonda immaginazione politica del regista, per valer- ci di un sintagma un poco ossimorico. Peter Bondanella ha provveduto a smontare il luogo comune, formatosi lungo gli anni cinquanta, che voleva Fellini estraneo a preoccupazioni politiche o relative a problematiche so- ciali, sottolineando, di contro, la prospettiva e lo stile del tutto particolari e inconciliabili con il cosiddetto cinema politico in auge fra gli anni sessanta e il decennio successivo, rinvenendo in conclusione in Amarcord e nel ci- mento metacinematografico di Prova d’orchestra il ritratto di «gruppi di individui sotto l’effetto ipnotizzante di grandi miti collettivi – il fascismo nel recente passato dell’Italia ed il marxismo rivoluzionario della fine degli anni settanta», letti alla luce di una profonda convinzione politica («Era parte irremovibile del credo felliniano l’idea che il ruolo dell’artista nel- la società dovesse essere esattamente quello di attaccare tali disumane ideologie collettive»: 1994, p. 306). A temperare la prospettiva un poco

essenzialista del critico americano, aggiornando l’interpretazione del tema tendendolo verso il nucleo pulsante degli ottanta, è il complesso rapporto che lega Fellini alla televisione, alla pubblicità televisiva, allo strapotere del medium più giovane che dà l’assalto al cinema. Se, immergendoci nel cuore di quegli anni, da un luogo del carteggio con della Corte traspare l’ambivalenza di tale relazione, materiata di spregio e attrazione a un tempo («In questo momento, indovina un po’, mi sto occupando di un carosello per la Campari. C’è una punta di masochismo nell’essermi arre-

so alle annose insistenze dei pubblicitari»),28 una considerazione globale

dello scambio epistolare conduce a contestualizzare i riferimenti disillusi al «nuovo specifico espressivo (che secondo me non esiste, e se proprio uno vuole a tutti i costi tentare di individuare che cos’è, quando hai detto

Mike Bongiorno hai detto tutto)»29 nel più ampio senso di crisi e di scon-

forto che pervade il regista, per le condizioni produttive e distributive del (suo) cinema, di cui si è detto.

Inequivocabili, invece, i sentimenti provati di fronte al dilagare delle televisioni private e del vero e proprio dissesto legislativo a proposito delle interruzioni pubblicitarie durante la trasmissione dei film sul piccolo schermo. Uno scritto comparso nel dicembre del 1985 sull’Europeo intito- lato Italiani ribellatevi dà voce al risentimento di Fellini:

le televisioni private sostengono di aver bisogno della pubblicità per sopravvivere. Ma perché mai dovremmo preoccuparci delle sorti di emittenti televisive che 24 ore su 24 rovesciano nelle case degli italiani spettacoli demenziali con i comicacci che nemmeno il più scalcinato avanspettacolo dei tempi di Cacini avrebbe degnato di una scrittura, e vecchi film continuamente interrotti da soffritti sfrigolanti, cascate di ragù e ascelle irrorate di spray deodoranti? Seppellire gli spettatori con la pubblicità è un atto disonesto, di prevaricazione, di violenza, all’inter- no di una società che crede di potere convivere su principi di rispetto reciproco, di libertà limitata a non invadere o pregiudicare la libertà altrui, a non insozzare, a non imbrattare. Non mi pare che le televisioni private abbiano dei buoni argomenti per ignorare e sconciare le opere in cui altri hanno messo tanta parte di ingegno e tanta parte di lavoro. Anche i malfattori, per sopravvivere, possono dichiarare di avere biso- gno di compiere le loro malefatte [cit. in Minuz 2012, p. 217].

28 Federico Fellini a Carlo della Corte, 23 febbraio 1984 (CISVe, Fondo «Carlo della Corte», Serie «Corrispondenza», UA 210, n. 5).

29 Federico Fellini a Carlo della Corte, 7 agosto 1990 (CISVe, Fondo «Carlo della Corte», Serie «Corrispondenza», UA 210, n. 27). Sul senso di delusione per la mediocrità della propria esperienza televisiva il regista si soffermava, con un’altra tirata contro Mike Bongiorno, già nella memoria Come non detto, contenuta in Fellini 1972, pp. 209-213, riformulata in seguito in Fellini 1980, pp. 137-143.

Il non velato attacco a Berlusconi, chiosa Andrea Minuz, è condotto in «tono rabbioso», dall’articolo promana «un Fellini privo di quella levità che lo aveva sempre contraddistinto» (2012, p. 317). Trasfigurata quello stesso anno nel cavalier Lombardoni dello zampone colossale pubbliciz- zato in Ginger e Fred, la testa di turco - Berlusconi riprende vita finzio- nale nel progetto di Venezia, si è visto, al centro di un grande raduno- festeggiamento che lo vede condurre in premio, dall’alto dell’elicottero, la «stupenda ragazza […] che giovanissima ha acquistato una notorietà improvvisa e clamorosa reclamizzando in TV gli apparecchi igienici di una industria di provincia, che grazie alla sua immagine ha visto decuplicare il suo fatturato. La ragazza è per questo pagata con cifre da capogiro e alla Convention partecipano tutti i venditori dell’industria, entusiasti e festanti attorno al proprietario» (Fellini 1995, p. 63). Difficile imma- ginare, da queste brevi note, un’equivalenza simbolica più scoperta di questa, nella quale il carattere mercificante dell’industria pubblicitaria si trova alluso e sintetizzato nel rimando scatologico della merce pubbli- cizzata; difficile soprattutto prevedere l’ampiezza e gli sviluppi narrativi – e dunque valutare l’efficacia rappresentativa – dell’episodio legato al

Berlusconi nuovo doge.

Certo è che, nel gran carnevale contemporaneo ipotizzato dal soggetto veneziano come nelle gustose parodie degli spot pubblicitari montate insie- me fra loro in Ginger e Fred, Fellini riacquisisce la consueta vena grottesca, una squisita ironia deformante che si pone agli antipodi, mi pare, della soluzione poetica intrapresa da un Celati, ovvero dall’acre sarcasmo con il quale lo scrittore avrebbe satireggiato Berlusconi nei panni del Bada- lucco, in tempi recenti (Celati 2010). Il che lascia presupporre una nuova, ambivalente aggressione/celebrazione pop-camp di una società spettaco-

larizzata e irredimibilmente provinciale,30 di un gusto (auto)ironico per

l’esibizione e l’implicazione nei fatui bagliori pubblicitari: l’ultimo, non meno sorprendente, dei riflessi che si propagano da una Venezia appena rivelatasi in lontananza, bellissima, inesplorata, allo spettatore.

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«Una raffinata ragnatela»

Carlo della Corte tra letteratura e giornalismo nel secondo Novecento italiano

a cura di Veronica Gobbato e Silvia Uroda