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Francesca Anichini (DOI: 10.4458/0917-08)

8.2 Open Data e archeologia

Parlare di open data in campo archeologico vuol dire necessariamente parlare di standard di do- cumentazione. Non è chiaro ciò a cui ci riferiamo con la parola “data” se non sappiamo quali sono i documenti che la pratica archeologica produce.

La tematica è annosa e relativamente comples- sa; sappiamo che il MiBAC sta elaborando una definizione dei criteri di produzione (in termini tipologici e di formati) della documentazione che deve essere generata durante e dopo un’in- dagine archeologica; confidiamo che a breve tali criteri siano resi pubblici e si possano mettere a punto, attraverso un confronto fra tutti gli ope- ratori del settore, almeno delle regole di base ri- conosciute a livello nazionale. Ovviamente per tutta la produzione di dati pregressi e per quella attualmente in corso di elaborazione, rimane la domanda: a cosa ci riferiamo quando parliamo di “dati grezzi” di un intervento archeologi- co? La disomogeneità delle risposte ricevute a questa domanda sembra indurre a credere che si consideri “grezzo” tutto ciò che non è stato rielaborato in fase di post-processamento dei dati21; altrettanto disomogenea è la posizione

sulla definzione di “letteratura grigia”, che si ripartisce in tutte le opzioni proposte, anche in quelle volutamente errate e già considerate tra i dati grezzi, come le schede e le fotografie22.

In generale, l’uso degli open data in archeolo- gia riscontra un atteggiamento positivo (57%)23 e

analoga sembra essere la posizione nei confronti della creazione di un archivio di dati archeologici aperti, ritenuta vantaggiosa per l’intera comunità archeologica e per la cittadinanza dal 91% degli interpellati e credibile dal 63%24 (fig. 8.8). Ponendo

l’accento sull’importanza più come strumento di

21 13% Schede, 10% documentazione fotografica, 9% planimetrie ed elenchi, 7% posizionamento topografico e pro-

spetti, 6%documetazione fotografica dei reperti mobili e diagramma stratigrafico, 5% quantificazione dei reperti mobili, 4% relazioni scritte e piante di fase/periodo.

22 11% tesi di laurea e relazioni di scavo, 10% diari/giornali di scavo, 9% schede e dispense universitarie, 7% tesi di

dottorato, 6% report, progetti di ricerca e pre-atti di convegni, 5% database di immagini, 4% linee guida per temati- che specifiche, 3% corrispondenza, 2% atti di convegni e contratti/incarichi, 1% pubblicazioni scientifiche

23 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Gli Open Data sono il futuro della ricerca archeologica?” le

risposte sono: 33% Abbastanza, 29% Molto, 28% Completamente d’accordo, 5% Poco, 1% Per niente, 4% non rispon- de. Il dato del 57% si riferisce alla somma delle voci Molto e Completamente d’accordo che definiscono sicuramente una posizione di assenso.

24 Questa considerazione è deducibile dalla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Creare un archivio

italiano di dati archeologici aperti è impensabile per i tempi e i costi necessari alla sua realizzazione?” le risposte sono: 39% Poco, 24% Per niente, 16% Abbastanza, 10% Molto, 7% Completamente d’accordo, 4% non risponde. Il dato del 63% si riferisce alla somma delle voci Poco e Per niente che definiscono una posizione di chiaro contrasto con l’af- fermazione.

lavoro che di gestione, la maggioranza degli in- tervistati ritiene che un archivio open sia utile a facilitare e ampliare l’azione di tutela verso il pa- trimonio sepolto (74%)25, ad agevolare il lavoro dei

ricercatori (83%)26, degli archeologi professionisti

(78%)27, dei funzionari MiBAC28 e pertanto a otti-

mizzare i costi di gestione (64%)29, a facilitare la

redazione delle pratiche di archeologia preventiva (76%)30, a incentivare una produzione di dati qua-

litativamente più elevata (61%)31.

Un elemento sostanziale è l’emergere generaliz- zato della mancanza di abitudine a condividere i propri dati e a utilizzare dati in formato aperto32.

Il 63% degli intervistati non conosce dati arche- ologici aperti e solo il 32% ha utilizzato dati di- sponibili in rete. La sensazione che se ne ricava è che non si conoscano appieno le potenzialità di questa modalità di lavoro: i dati disponibili,

Fig. 8.8 La risposta, in percentuale, alla domanda: “Ritieni che

per la comunità archeologica italiana e per la cittadinanza tut- ta sia vantaggioso avere un archivio open di dati archeologici italiani”?

25 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Disporre di un archivio di dati archeologici aperti e condivi-

sibili facilita e amplia l’azione di tutela e valorizzazione?” le risposte sono: 49% Completamente d’accordo, 29% Molto, 17% Abbastanza, 4% Poco, 5% non risponde. Il dato del 74% si riferisce alla somma delle voci Molto e Completa- mente d’accordo che definiscono sicuramente una posizione di assenso.

26 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Disporre di un archivio di dati archeologici aperti agevola il

lavoro dei ricercatori?” le risposte sono: 50% Completamente d’accordo, 33% Molto, 11% Abbastanza, 2% Poco, 4% non risponde. Il dato del 83% si riferisce alla somma delle voci Molto e Completamente d’accordo che definiscono sicuramente una posizione di assenso.

27 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Disporre di un archivio di dati archeologici aperti agevola il

lavoro degli archeologi professionisti?” le risposte sono: 46% Completamente d’accordo, 32% Molto, 15% Abbastanza, 3% Poco, 4% non risponde. Il dato del 78% si riferisce alla somma delle voci Molto e Completamente d’accordo che definiscono sicuramente una posizione di assenso.

28 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Disporre di un archivio di dati archeologici aperti agevola il

lavoro dei funzionari archeologi MiBAC?” le risposte sono: 29% Completamente d’accordo, 35% Molto, 26% Abbastan- za, 4% Poco, 1% Per niente, 5% non risponde. Il dato del 64% si riferisce alla somma delle voci Molto e Completa- mente d’accordo che definiscono sicuramente una posizione di assenso.

29 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Disporre di un archivio di dati archeologici aperti comporta

un’ottimizzazione dei costi di gestione per il MiBAC?” le risposte sono: 39% Completamente d’accordo, 25% Molto, 23% Abbastanza, 7% Poco, 1% per niente, 5% non risponde. Il dato del 64% si riferisce alla somma delle voci Molto e Completamente d’accordo che definiscono sicuramente una posizione di assenso.

30 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Disporre di un archivio di dati archeologici aperti agevola la

redazione delle pratiche legate all’archeologia preventiva?” le risposte sono: 46% Completamente d’accordo, 30% Molto, 16% Abbastanza, 3% Poco, 5% non risponde. Il dato del 76% si riferisce alla somma delle voci Molto e Completa- mente d’accordo che definiscono sicuramente una posizione di assenso.

31 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Creare un archivio di dati archeologici aperti incentiva una

produzione di dati archeologici qualitativamente più elevata?” le risposte sono: 34% Completamente d’accordo, 27% Molto, 23% Abbastanza, 10% Poco, 2% Per niente, 4% non risponde. Il dato del 64% si riferisce alla somma delle voci Molto e Completamente d’accordo che definiscono sicuramente una posizione di assenso.

32 Solo il 9% (rispettivamente 6 e 3) “produce dati aperti molto spesso” o “produce solo dati aperti”. Il 38% produce

open data solo “raramente”, il 26% “spesso”, e il 22% “mai”. Alla domanda “Condividi in rete i dati che produci” solo il 2% ha risposto “sempre”, il 6% “molto spesso”, il 24% “spesso”; più consistenti le percentuali delle risposte “raramente” e “mai”, rispettivamente 38 e 26.

infatti, sono stati utilizzati principalmente per confronti tra “materiali” (27%) o tra “tracce/ strutture” (13%) e per analisi “storiche” (18%) o “territoriali” (15%); in prevalenza sono stati uti- lizzati relazioni (15%), posizionamenti topografi- ci (15%), quantificazioni di reperti mobili (10%), schedature e documentazione fotografica di re- perti mobili (9%)33. Le risposte sottolineano come

vi sia un uso ancora poco consapevole delle po- tenzialità dei dati aperti. Chi già riutilizza i dati, sembra farlo per lo più in modo “tradizionale”, nell’accezione più “open access” che open data, con la stessa modalità con la quale si utilizza una qualsiasi altra fonte bibliografica e non sfruttan- do la ri-processabilità dei dati.

Nonostante questo scarso riuso dei dati, l’80% del campione intervistato ritiene insufficiente per il progredire della disciplina archeologica la pubbli- cazione esclusiva di un set minimo di informazio- ni34, comprese le pubblicazioni scientifiche se non

sono accompagnate dalla divulgazione dei dati grezzi35. Questo dato è interessante per riflettere

su come la comunità archeologica sembri essere “più esigente” di quanto non lo siano gli organi

centrali, esprimendo una posizione che sembra andare contro tendenza rispetto a quelli che sono gli attuali progetti di apertura di dati, posti in es- sere dal MiBAC36.

Nella sezione del sondaggio dedicata alle mo- dalità di pubblicazione dei dati archeologici, la maggioranza degli intervistati (75%) ritiene ne- cessario che sia riconosciuta una paternità intel- lettuale dei dati a chi li ha prodotti37 e che questo

riconoscimento sia equiparato a tutti gli effetti ad una pubblicazione; il 77% concorda inoltre con la modalità, proposta nel MOD, di attestare tale ri- conoscimento con l’attribuzione di un codice DOI (Digital Object Identifier) che identifica in modo univoco e perenne l’autore (o gli autori) del lavo- ro pubblicato. I contrari a questa posizione (20%) lo sono in quanto fondamentalmente non concor- dano con l’equiparazione del dato archeografico con quello archeologico38.

Come è stato già detto, la netta maggioranza de- gli intervistati si schiera a favore della creazio- ne di un archivio di dati aperti (93%)39, pensan-

do che sia necessario aprire tutte le categorie di dati40, compresa la documentazione fotografica,

33 Oltre alle categorie già citate, i dati utilizzati sono tipologicamente così ripartiti: 8% planimetrie, 4% per sezioni,

piante di Fase/Periodo, elenchi, documentazione fotografica, 3% per diagrammi stratigrafici e prospetti. Il 5% ha indicato tutte le categorie proposte.

34 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Per far evolvere l’archeologia italiana non è necessario avere

a disposizione tutti i dati grezzi delle indagini archeologiche, basta avere un set minimo di informazioni che definiscano la tipologia generale del bene archeologico, la sua cronologia e localizzazione?” le risposte sono: 35% Per niente, 46% Poco, 11% Abbastanza, 3% Molto, 1% Completamente d’accordo, 4% non risponde. Il dato del 81% si riferisce alla somma delle voci Per niente e Poco d’accordo.

35 Alla domanda “Quanto sei d’accordo con l’affermazione: Per far evolvere l’archeologia italiana non è necessario avere a

disposizione tutti i dati grezzi delle indagini archeologiche, bastano le pubblicazioni scientifiche degli scavi?” le risposte sono: 34% Per niente, 46% Poco, 12% Abbastanza, 3% Molto, 1% Completamente d’accordo, 4% non risponde. Il dato del 80% si riferisce alla somma delle voci Per niente e Poco d’accordo.

36 Si veda Cultura Italia (http://www.culturaitalia.it/) o la stessa pagina Open Data del Ministero (http://www.

beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/MenuPrincipale/Trasparenza/Open-Data/index.html).

37 Il 51% ritiene Indispensabile tale riconoscimento, il 24%Molto necessario, il 17% Abbastanza, il 4% Poco e l’1%

Per niente necessario.

38 Il 44% considera che “dataset e relazioni sono lavori preliminari che possono essere rivisti in fase di rianalisi e quindi non

devono essere valutati come pubblicazioni”; il 30% che “il lavoro che richiede la produzione dei dati grezzi di un’indagine

non può essere considerato quantitativamente e qualitativamente come quello di una pubblicazione”; il 20% considera che “pubblicare vuol dire fare ricerca; produrre solo dati non vuol dire fare ricerca”; il 4% crede che “il riconoscimento della

pubblicazione non debba attribuito a chi produce i dati direttamente, ma solo a chi ne cura la rielaborazione”; per l’1% “una

pubblicazione è solo ciò che va in stampa”.

39 Contrari 2%, 5% non risponde.

40 La domanda del sondaggio proponeva una serie di categorie di dati, dando la possibilità di indicare più di una

che viene ritenuta “molto utile” (43%) o “indi- spensabile” (32%) anche avendo già a disposi- zione la restante documentazione. Questo dato è interessante, considerando che maggiori sono le restrizioni legate alla pubblicazione e alla ripro- duzione fotografica dei beni culturali, imposte dalle norme vigenti (cfr. § 9.5).

In merito all’organizzazione e alla realizzazione concreta di un archivio che ospiti la pubblicazio- ne dei dati aperti italiani, il 41% dei votanti au- spica che si crei un unico contenitore nazionale, mentre il 26% crede necessario che ogni soprin- tendenza ne organizzi e gestisca uno per il pro- prio territorio di competenza; per il 19%, il com- pito di gestione di tale archivio dovrebbe essere delegato alle regioni41.

Nonostante vi sia una posizione favorevole così chiara nei confronti dell’apertura dei dati, è inte- ressante notare come il 39% degli intervistati sia

però convinto che si corrano dei rischi ad apri- re i dati archeologici italiani, innanzitutto per la tutela del patrimonio (39%42), ma anche per la

possibilità di scorrettezze tra ricercatori e/o pro- fessionisti (39%43) e per il pericolo di divulgare in-

formazioni inattendibili (20%) (fig.8.9). Alle obie- zioni sui rischi per la tutela dei beni archeologici, derivanti dal renderne pubblica la localizzazione, si può rispondere richiamando proprio una delle componenti intrinseche alla filosofia open, l’este- so controllo sociale che si viene a creare ogni vol- ta che si porta a conoscenza della collettività un dato importante per tutti e che tutti possono con- correre a tutelare. Per il resto, il quadro che se ne ricava è quello di una comunità archeologica che, almeno in parte, diffida dei propri colleghi e del- la propria capacità di valutare l’affidabilità della fonte che interpella. In realtà qualunque dato può essere più o meno affidabile, indipendentemente

Fig. 8.9 Percentuale dei rischi che si corrono ad aprire i dati archeologici italiani, riscontrati dal 39% degli intervistati

tazione fotografica; 9% planimetrie; 8% relazioni scritte, posizionamento topografico dell’intervento e documen- tazione fotografica reperti mobili, 7% schede; 6% piante di Fase/Periodo, 5% sezioni e prospetti, 4% diagrammi stratigrafici, elenchi e quantificazioni reperti mobili; il 15% ha indicato tutte le categorie.

41 L’8% crede necessario che ogni scavo abbia il proprio archivio on-line separato e il 3% che ciò avvenga per ogni

gruppo di ricerca. Il 3% non ha risposto alla domanda.

42 Il dato si riferisce alla somma tra il 26% della risposta “rischi per la tutela del patrimonio sepolto” e il 13% della

risposta “rischi per la tutela del patrimonio mobile (reperti)”

43 Il dato si riferisce alla somma tra il 23% della risposta “rischi di scorrettezze tra ricercatori e/o professionisti” e il

dalle modalità di pubblicazione e dalla rapidità con cui viene pubblicato. Solitamente un dato archeologico (di carattere propriamente interpre- tativo) assume un certo grado di affidabilità a se- conda della credibilità del suo autore; con l’aper- tura dei dati grezzi, invece, un dato archeologico dovrebbe assumere maggiore credibilità quando è permesso di verificarne l’origine, ripercorrendo a ritroso il processo interpretativo fino a giungere al dato primario (Anichini 2012b: 13).

Il rischio legato all’usurpazione da parte di terzi di un diritto di pubblicazione che sembra acqui- sito con la produzione dei dati, è rimarcato dalla dichiarata necessità di porre un diritto di prela- zione sulla pubblicazione integrale dei dati (SI per il 79%, NO per il 16%; il 5% non risponde). Il tempo auspicato è compreso tra i tre e i cinque anni (rispettivamente il 28% e il 26%), con un 13% che indica un anno e un 12% tra dieci e vent’an- ni44. Il diritto di pubblicazione di cui parliamo

si riferisce – come richiesto nel sondaggio – alla pubblicazione “integrale” dei dati di un’indagi- ne e più credibilmente può essere inteso come la pubblicazione di quegli stessi dati interpretati – comunemente coincidente con la definizione di “pubblicazione scientifica”; s’intende quindi un diritto di priorità sulla prima interpretazione di quei dati nella loro forma integrale, ma non si preclude la possibilità di pubblicazione dei dati grezzi, né il loro riuso e interpretazione in forma parziale, prima dello scadere di tale diritto. Per la licenza di pubblicazione dei dati grezzi come open data, il campione intervistato non ha una posizione nettamente prevalente. È interessante notare come a questa domanda il 36% non abbia risposto e come molte delle persone che hanno allegato un commento finale alla compilazione del sondaggio abbiano specificato di non esse-

re a conoscenza dell’esistenza e della differen- ziazione delle licenze Creative Commons. Tra il 64% di coloro che hanno risposto, prevalgono pariteticamente un atteggiamento più cautelati- vo, con l’indicazione della licenza CC BY NC SA (17%)45 – che limita l’uso commerciale e impone

il rilascio di opere derivate con la medesima li- cenza – e uno nettamente più aperto che ritiene di preferire la licenza CC BY (16%)46, che richiede

la solo l’attribuzione di paternità. Le restanti per- centuali sono equamente distribuite la tra le varie opzioni (comprese tra l’1 e l’11%)47. La sensazione

che si percepisce è che sia necessario informare gli operatori dei beni culturali – e in particolare gli archeologi, che rappresentano la maggioranza del campione – su come la rete non sia un luogo privo di tutele, sui diritti che le licenze, una vol- ta applicate, garantiscono agli autori che pubbli- cano dati aperti sul web, su come una comunità informata e partecipe diventa essa stessa garante di un controllo nell’uso dei dati, accreditando chi da quell’uso riesce a trarne risultati innovativi, che arricchiscono la disciplina archeologica, e screditando chi, invece, vuole approfittarne scor- rettamente: esattamente come avviene negli altri ambiti disciplinari.

Il mondo archeologico italiano è ancora abbastan- za piccolo perché questo controllo sia capillare, ma è già abbastanza ampio da non rendere più possi- bile una trasmissione di tutti i dati che non sfrutti al massimo le potenzialità e l’economicità del web. I risultati del sondaggio sembrano sposare questa visione e spingere nella direzione della condivi- sione, per quanto ancora timorosa e manifestando alcuni dubbi. Forse solo la pratica sperimentale potrà aiutare a trovare le soluzioni migliori, dis- sipando le paure ed evitando che l’Italia, detentri- ce di un così ampio patrimonio, rimanga indietro

44 Interessante è notare che un quinto (21%) non ha fornito alcuna risposta.

45 Creative Commons Attribution Non Commercial Share Alike: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-

sa/3.0/

46 Creative Commons Attribution: http://creativecommons.org/licenses/by/2.0/

mentre il resto del mondo corre già in direzione dei Linked Open Data. Le ultime posizioni assun- te dal MiBAC48 fanno sperare che gli stessi organi

centrali stiano approntando soluzioni propositive per andare in questa direzione; bisogna evitare il

rischio di auto-rallentarci nell’attesa di trovare, formalmente, la soluzione perfetta, quando sap- piamo che la tecnologia e il web hanno tempi di reazione, aggiornamento, inserimento di nuove modalità estremamente veloci.

48 http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/MenuPrincipale/Trasparenza/Open-Data/