Steps, 1987
Il linguaggio del cinema è stato completamente esplorato e il futuro delle immagini è nella registra- zione su nastro magnetico e non nella pellicola28.
Nel 1987 l’artista polacco viene contattato dalla canale televisivo PBS per rea- lizzare un video che entra a far parte della storia delle immagini in movimento. «Steps è un video a basso costo, prodotto dalla mia compagnia e dalla PBS, per il programma Alive from the Off Center»29. In realtà, ci sono più partner produt-
tivi rispetto a quelli citati da Rybczyński, il quale, in questo momento, riesce abilmente ad attivare delle coproduzioni televisive. Il programma Alive from the Off Center (1985-1991) è una vetrina importante per molti sperimentatori audiovisivi americani, tra cui musicisti come Laurie Anderson e David Van Tieghem, e artisti visuali come Charles Atlas.
Steps si basa su una storia dal sapore vagamente fantascientifico, anche se non c’è alcuna tentazione di creare un immaginario legato a quel genere. Un gruppo di americani, scelti da un computer come modelli della società statunitense, fanno da cavie per un esperimento molto particolare, nato dalla collaborazione fra americani e sovietici. Il compito di guidare queste persone è affidato a un verboso burocrate russo, che illustra la tecnologia che può permettere l’esperimento. La guida russa è in uno studio televisivo (lo Zbig Vision) e mostra agli americani come funziona il chroma key: entra in una sala con lo sfondo blu, e comincia a salire delle scale invisibili, mentre affer-
28 Alessandro Giancola, Rybczyński!, cit., p. 73. 29 Giacomo Mazzone, Zbigniew Rybczyński, cit., p. 78.
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ma che «Queste scale sono reali, ma invisibili, e questo è l’ultimo grido della tecnologia!». A questo punto l’esperimento può iniziare.
Gli americani ora salgono le scale, in bianco e nero, della sequenza cele- berrima del film di Ėjzenštejn, La corazzata Potëmkin (Bronesosec’ Potëmkin), nella versione del 1925. La chiassosa e coloratissima comitiva di americani entra, grazie al chroma key, “fisicamente” dentro alle maestose immagini in bianco e nero di un classico del cinema. La guida inneggia alle meraviglie di questo esperimento di «Spettacolo globale». Il gruppo di americani (l’en- nesima folla cara all’estetica dell’artista polacco), è formato dal professore universitario Stewart, che consulta una «Guida del film fotogramma per fo- togramma», accompagnato dalla moglie Judith; una coppia di giovani vestiti da punk; una signora robusta vestita di rosso col suo nipotino; una giorna- lista del «Times», accompagnata dal figlio; un messicano; un signore basso che cammina con un bastone, che si scoprirà essere un agente dell’FBI; due imprenditori, uno americano e l’altro giapponese; una coppia, Peter e Baby Jane, che con una telecamera amatoriale cerca di girare un improbabile video porno; un ragazzo di colore appassionato di breakdance, armato di stereo portatile; un anziano regista cinematografico, John Kane Jr., vestito come se fosse in una gita-safari; una sorta di pin-up agghindata alla moda; un giovane attivista antiamericano, ex marine, che tenta di vendere segreti militari agli attori del film di Ėjzenštejn; infine un uomo di mezz’età e una giovane ragaz- za, anch’essa vestita da safari, non meglio identificati.
La guida introduce, in maniera un poco beffarda, gli attori del film, in- sinuandosi in mezzo alle immagini in bianco e nero, e presentando il «Pri- mo frutto» dell’esperimento, il famoso bambino nella carrozzella: a un certo punto prende dell’olio e lo sparge su una delle ruote, per essere sicuro che la famosa scena della caduta possa funzionare. I “turisti” americani, come li definisce Rybczyński stesso, esprimono tutto il loro stupore e ammirazione per il realismo convincente della situazione in cui sono inseriti.
Le scene più violente della sequenza del film, quelle dell’attacco dei co- sacchi, scatenano il panico nei “turisti” che cominciano a correre per evitare i colpi di fucile: in realtà essi, come ha detto la guida, non possono essere toccati dalle immagini in bianco e nero, bensì possono toccarle, e infatti sono avvertiti di «Non interferire con gli attori»; in questa situazione paradossale c’è una sorta di interattività a senso unico: gli americani possono interagire con il film, ma non viceversa. Almeno fino a questo punto del video.
In questa situazione accadono dei piccoli avvenimenti: l’ex marine im- pazza gridando di voler vendere segreti militari; la giornalista del «Times» tenta di fare un’intervista a John Kane Jr.; il vanitoso regista di Hollywood afferma di aver conosciuto Ėjzenštejn: «Era il vertice dell’avanguardia euro- pea, ma non aveva un soldo, così gli ho offerto un panino»; mentre la coppia dotata di telecamera prova a girare delle scene piuttosto ridicole del loro video porno amatoriale. In questa parte, nonostante il contrasto fra le immagini dei turisti americani e quelle del film sia esasperato il più possibile, c’è una grande attenzione alla coerenza di composizione delle immagini: tutte le in- quadrature e l’intarsio fra le fonti visive differenti sono operate in modo tale che le immagini degli americani siano proporzionalmente e prospetticamente credibili rispetto agli sfondi rappresentati dalle scene del film di Ėjzenštejn. Nonostante questo, ogni tanto Rybczyński gioca con i valori di scala, per cui spesso gli stivali dei cosacchi che scendono la scalinata sono enormi rispetto ai turisti americani. La modella viene macchiata del sangue (nero, ovviamen- te) di alcune vittime, corre a guardarsi allo specchio e vede la propria imma- gine pulita, senza alcuna traccia di sangue.
I cosacchi cominciano a sparare, e dato che i loro colpi vengono ripetuti in loop, grazie a un effetto di montaggio, sembrano usare delle mitragliatrici. Anche i turisti tirano fuori le loro “armi”: delle macchine fotografiche con le quali cominciano a scattare delle foto della carneficina. Squilla un telefono, che compare quasi dal nulla: risponde il punk, ma in realtà la cornetta viene passata a vari personaggi; è una telefonata da Mosca, che intima di «Fermare la rivoluzione»: i turisti, in coro, gridano che la rivoluzione è meravigliosa, e che quindi non è possibile fermarla. Nel frattempo un bambino del film viene colpito e cade, dal suo grembo scivolano una serie di mele rosse che invadono lo spazio: i due imprenditori si lanciano a raccoglierle, discutendo fra loro se quello a cui stanno assistendo sia un brevetto americano e se sia coinvolto l’esercito. John Kane Jr. improvvisamente si sente male, comincia a delirare dicendo frasi come «È travolgente, come le piramidi d’Egitto, come Shakespeare…» e cade a terra, come colto da un infarto; due infermieri lo portano via in barella.
Intanto intorno a loro continua il massacro, i “turisti” sfoggiano degli enormi panini che cominciano a mangiare, con uno sguardo fra l’indifferente e la più fredda crudeltà, commentando con frasi come «Grande...», «Meravi- glioso...»: ora la modella si avvicina all’immagine della donna ferita del film
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di Ėjzenštejn, “la madre”, la tocca, e guarda la propria mano sporca di san- gue, mormorando «Ho sentito dire che porta fortuna toccare il sangue». Gli americani cominciano a sporcarsi di sangue e ad avvicinarsi alla madre con le movenze classiche degli zombie. Il momento è giunto: la madre crolla a terra e la carrozzina viene spinta verso la scalinata. Al ragazzo di colore scappa di mano lo stereo che va a scivolare proprio dentro la carrozzina, emettendo i suoni scomposti di una base ritmica rap inceppata.
Dopo questo avvenimento qualcosa sembra non funzionare. Uno degli stivali dei cosacchi del film pesta il piede dell’ex marine, contraddicendo il rapporto di “interattività a senso unico” finora rispettato. Si cominciano a vedere dei soldati e dei cavalli aggiunti rispetto al film originale: sono evi- dentemente delle immagini video che “fingono” di appartenere al film; uno di questi soldati “simulati” prende di nascosto una mela rossa e la mangia. Il businessman giapponese si apparta e compie una strana azione: dalla sua valigetta estrae un catalogo di Van Gogh, strappa la copertina, la rovescia e la usa come se fosse un computer; compare una schermata che trasmette l’immagine di un collage in movimento sconcertante: i personaggi del film di Ėjzenštejn scappano correndo sulla scalinata perché alle loro spalle c’è Go- dzilla che agita le braccia. Il businessman americano si scopre essere un im- prenditore immobiliare che vuole cominciare a fare investimenti nel mondo del cinema, tenta di abbordare la modella proponendole la visione di alcuni film in bianco e nero, del quale si dichiara appassionato.
Ma il vero colpo di scena consiste nel fatto che il bambino della carroz- zina non è morto: è “trapassato” nel mondo a colori dei “turisti” america- ni, e piange disperatamente. La guida, che scopriamo essersi “travestita” da cosacco in bianco e nero, comincia a disperarsi, minaccia gli americani di spionaggio industriale, di rapimento, fino a quando una voce imperiosa lo chiama dalla regia che abbiamo visto all’inizio. La guida si precipita nello studio, dove, seduto in una stanza blu, c’è il bambino che sorride: la voce che si sente dall’alto è quella di John Kane Jr., la guida è esterrefatta: «Pensavamo che fosse morto»; il regista risponde «Beh, sì e no». La guida ora non sa più che fare: tiene in braccio un ritratto di Lenin, che all’inizio del video aveva appeso in una stanza della regia, si guarda intorno e mormora solo più una frase «Che devo fare? Che devo fare?». Il video si chiude con l’immagine del bambino che sorride.
Solo una parte del pubblico, quella più acculturata, conosce un film che non è mai stato distribuito negli USA, ma gli americani non sono abituati a guardare le opere d’arte come metafore, doppi significati, simbologie. Sono cose che sfuggono al pragmatismo e alla superficialità degli america- ni, mentre sono ben radicate nella cultura europea30.
Il video, oltre a essere una palese riflessione sulle contraddizioni che atta- nagliano le società americane e sovietiche, è anche e soprattutto un’affascinan- te riflessione sulla lotta fra il mondo del cinema e quello del video. I “turisti” americani rappresentano le nuove tecnologie dell’immagine in movimento e contemporaneamente la sua mercificazione; riflettono la curiosità verso il nuovo e il legame strettissimo con il profitto, tipici della cultura americana: ci sono il businessman che vuole investire nel mondo del cinema, la coppia dotata di tecnologie amatoriali che gira un video porno, il giapponese con la “sua” nuova tecnologia; inoltre ci sono la giornalista, la coppia di punk e la modella, a loro modo rappresentanti del “mercato dei media” che coinvolge musica, giornali, televisione, l’informatica nascente e ovviamente anche il look, la moda.
Nella prima parte del video Rybczyński descrive una sorta di gioiosa e irriverente supremazia dell’immagine elettronica su quella filmica. Le figure colorate e un poco volgari degli americani si insinuano, leggere, in mezzo a quelle del film di Ėjzenštejn, quasi non avessero un peso: spesso, infatti, i loro movimenti non sono reali, ma il frutto dello spostamento della telecamera in fase di ripresa, come si vede all’inizio, quando la guida mostra il funziona- mento del chroma key: ed è proprio la guida che, quando presenta i perso- naggi del film, si “infila” in mezzo a loro, denunciando la sua bidimensionale artificialità, la sua alterità rispetto alle immagini in bianco e nero, è presente, ma al contempo immateriale. I turisti sono ovunque, intoccabili, sgusciano fra le guardie, saltano da un campo all’altro, si trasformano in zombie, can- nibali della tradizione cinematografica. Il video vive in uno spazio virtuale e quindi percorre tutti gli spazi possibili.
«Queste scale sono reali, ma invisibili, e questo è l’ultimo grido della tecno- logia!», dice la guida all’inizio del video, e la fragilità strutturale dell’immagine elettronica, la sua “povertà” di fronte alle solenni immagini in bianco e nero di
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Ėjzenštejn, di fatto dimostra un potere immaginifico nuovo, quello di simulare la solidità di un oggetto che non si vede, in una parola di trasformare la mate- ria, compresa quella filmica, di ingannare il valore della presenza, di essere uno spettro capace di “esserci”. La leggerezza dell’immagine elettronica fa sì che essa possa penetrare nelle immagini del passato, fino addirittura a fingere di esserlo, come fa la guida, che diventa in bianco e nero e si traveste da cosacco.
II potere della finzione del video viene anche simbolicamente rappresen- tato da una serie di inquadrature in cui compaiono degli specchi. Nel film originale, mentre la carrozzina scende lungo la scalinata, si vede un giovane sconvolto, con uno specchio a fianco. Nel video la scena è ripetuta cinque volte e in tutti i casi lo specchio non riflette mai, ma “trasmette” immagini false: il viso della modella pulito (mentre in realtà è sporco di sangue) o il vol- to di Stalin che compare e fa beffardamente l’occhiolino allo spettatore. Solo il video, infatti, può togliere lo sguardo dalle cose e posarlo sulle immagini, toccandole e modificandole a piacere.
Il mondo dell immagine elettronica è, certo, simbolo di superficialità (le banali domande della giornalista), mancanza di gusto (il chiasso generale, i vestiti sgargianti), arrivismo consumistico (i due imprenditori), ma è anche il desiderio dinamico ed eversivo di cambiamento (i due punk), pulsione anche infantile di novità, insomma, in una parola, è vitalità.
Quello degli americani è un mondo proiettato verso il nuovo, che con- temporaneamente consuma in maniera vampiristica il passato, o ne è ine- vitabilmente intriso: John Kane jr., che ha un nome chiaramente riferito al film Quarto potere (Citizen Kane) del 1941, di Orson Welles, non a caso, diventa voce radiofonica nel finale; la donna della coppia “porno” si chiama Baby Jane, l’ex attrice vecchia psicopatica del film di Robert Aldrich, Che fine ha fatto Baby Jane (What Ever Happened to Baby Jane?) (1962). I turisti non solo divorano il passato, ma si comportano da “spettatori televisivi”, quando fotografano e mangiano i propri panini guardando le immagini violente del massacro, senza porsi alcun problema, senza distinguere il contenuto violento delle scene a cui stanno assistendo. E quindi diventano gli zombie assetati del sangue del cinema.
Il mondo del cinema è rappresentato dal film di Ėjzenštejn, che a prima vista sembra impotente, anzi quasi “posseduto” dalla capacità manipolatoria del video, invaso dal rumore senza controllo dei “turisti” americani. Il mondo del cinema non può che offrire immagini permanentemente fissate su pelli-
cola, che però possono essere violentemente rimanipolate dall’elettronica, e infatti vengono bloccate, messe in loop, rallentate, rimontate con degli effetti moviola che ricordano le dirette sportive, per cui a volte i corpi cascano, si rialzano e ricascano. Il mondo del cinema preserva la propria ricchezza cul- turale e il proprio passato avanguardistico con la logica museale di chi vuole conservare tutto in maniera immutabile. La guida, pur vivendo nel mondo del video, è un personaggio emblematico: sussiegoso e affettato, celebra in modo cattedratico il cinema russo, presenta in maniera beffarda i personaggi del film, olia la carrozzina; insomma fa di tutto perché il percorso narrativo del film non possa subire il minimo cambiamento: intima in modo anche vio- lento ai turisti di non interagire con gli attori, e alla fine si traveste da cosacco per poter partecipare, da protagonista, al massacro.
Rybczyński mette in scena una epica morte del cinema: esso muore per suicidio, per ottusità e consunzione, per la sua incapacità di rinnovarsi; la sua fine è una necessità, assume la grandezza di un decreto della storia passiva- mente (video)registrato dai turisti americani.
Quando da Mosca arriva la telefonata che intima di «Fermare la rivoluzio- ne», e qui si sta parlando ovviamente di rivoluzione tecnologica e linguistica, è chiaro che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe, e inizia la seconda parte del video. Infatti, i due mondi, nel momento in cui i turisti america- ni si cibano del sangue del cinema, si miscelano in un inaspettato processo di osmosi. Non c’è rivoluzione senza spargimento di sangue. John Kane Jr. sviene in preda al delirio, o meglio, anche lui “trapassa” e diventa voce radio- fonica dello studio televisivo. Il bambino del film di Ėjzenštejn, grazie all’ir- ruzione violenta dello stereo del ragazzo di colore (non a caso un oggetto che produce musica dentro un film muto) abbandona la dimensione statica del cinema per assurgere a “nuova vita”, nel mondo colorato e in “tempo reale” del video. Il finto cosacco “mangia la mela”: compie cioè il peccato origina- le, disobbedisce a un ordine costituito. Infine il giapponese, rappresentante dell’altra rivoluzione tecnologica che sta alle porte, quella del digitale, “ruba” le immagini di Ėjzenštejn producendo un collage di immaginari ancora più sconvolgente, frutto della capacità combinatoria del digitale che recupera le memorie e le miscela.
La struttura della prima parte si dissolve: le immagini video si riversano nel mondo filmico (il cosacco che mangia la mela), le immagini cinematogra- fiche diventano video (il bambino della carrozzina); del resto, appena prima
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era successo un fatto curioso: uno stivale dei militari del film aveva schiac- ciato un piede del marine (non si era detto che il film non poteva toccare il video?).
In definitiva, il cinema non è morto: è trapassato. Se il video poteva toccare il sangue del cinema a causa della sua emorragia creativa e trarne forza vita- le, ora il cinema riversato in video (il cosacco) può mangiare il giovane frutto dell’elettronica (la mela). Mr. Kane esiste come voce all’interno dello studio televisivo: il cinema perde il suo supporto privilegiato, la pellicola, ma è presente come linguaggio. Questo è possibile perché si è verificata una osmosi non solo tecnologica ma anche culturale e linguistica, come testimonia il “collage in mo- vimento” creato dalla rivista-computer dell’imprenditore giapponese.
L’unione fra cinema e video non può che essere incestuosa: il “frutto del peccato” è quel bambino che dalla pellicola è stato catapultato nella sala pose, circondato dal fondale blu del chroma key: l’esperimento annunciato dalla guida è andato sicuramente al di là dei limiti previsti; il suo disperato «Che fare?» è il simbolo di chi, nel mondo del video, si ostina a voler fare del cinema tradizionale. Il bambino è la rappresentazione di un’immagine nuova, vitale, quella che combina la cultura e la voglia di contaminare linguisticamente la tradizione del passato con le nuove tecnologie: quando la guida dice alla voce di Kane che pensava che fosse morto, si riferisce ovviamente al cinema stes- so; per Rybczyński il cinema non è morto, ma deve accettare la rivoluzione tecnologica, riappropriarsi della voglia di andare avanti seguendo il progresso delle tecniche, in un parola di trapassare nella dimensione del video, per ac- quisire nuova vita, cambiare forma, cambiare nome.
Si può dire che il vero protagonista di questo video è proprio il chroma key. Qui l’artista polacco, come in Dragnet, inserisce i suoi turisti dentro a immagini già preesistenti, in sostanza usa, come spazio dell’azione dei per- sonaggi, un immaginario. Immagini dentro immagini quindi. Il chroma key mette in contraddizione il concetto usuale di campo e di fuori campo, spez- zando l’idea di compattezza del profilmico, e di questa possibilità Rybczyński è un intelligente sperimentatore. Il personaggio in chroma key sul set è inseri- to in uno spazio vuoto, perforabile, quindi perché non riempirlo con qualcosa di altrettanto immateriale come le immagini di un film del passato? Il fuori campo delle immagini dei turisti è rappresentato dalle immagini del film di Ėjzenštejn, in un interessante labirinto di dimensioni artificiali. La contraddi- zione di tutto ciò è che il risultato, in maniera paradossale, è convincente, non
tanto realistico, quanto credibile, in un’interessante combinazione fra senso di materialità e di immaterialità.
Rybczyński riconosce come suo maestro Georges Méliès: solo che per lo sperimentatore francese lavorare con uno spazio contraddittorio, capace di