• Non ci sono risultati.

ORGANIZZAZIONE FUNZIONE COMUNICAZIONE IN AZIENDA

TESTIMONIANZE ITALIANE

2 ORGANIZZAZIONE FUNZIONE COMUNICAZIONE IN AZIENDA

Innanzitutto bisogna distinguere tra il Responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne in quanto componente interno dell’azienda e il consulente esterno che offre supporto di comunicazione all’azienda al di fuori della vita aziendale. A seconda dalla prospettiva con cui si osserva l’attività di comunicazione, le funzioni cambiano. Entrambe le figure condividono il rapporto diretto con il Top management necessario per la creazione, lo sviluppo e la realizzazione dei piani e delle strategie di comunicazione e da anni possiedono l’ambizione di fare parte della “cabina di regia aziendale” (coalizione dominante) dove si pensano le strategie dell’azienda, non solo in termini di comunicazione ma anche di posizionamento, attività, sviluppo, marketing. Sia che si tratti del direttore di comunicazione interno all’azienda, sia del consulente esterno, i comunicatori mettono in relazione l’azienda con i suoi stakeholder. L’obiettivo è lo stesso: comunicare e gestire le relazioni verso l’esterno dell’azienda.

La professione del comunicatore ha subito enormi cambiamenti a causa dell’evoluzione continua e dell’avvento del digitale, con conseguente mutamento dello spazio di relazione dell’azienda.

Dal punto di vista dei consulenti esterni e dei relatori pubblici che affiancano il management aziendale nello sviluppo di una conversazione con l’esterno, negli ultimi 15 anni hanno dovuto accorpare in se stessi molte funzioni, tra cui quelle strutturale-fondativa, integrativa e archittettonica dei tre ruoli enunciati dal Page Report 2016. Al contrario, il direttore comunicazione interno all’azienda non ha avuto la medesima velocità di adattamento perché il processo di cambiamento e modifica interno all’azienda è stato molto più lento.

121

La recente ricerca di Page Society ha definito la figura del CCO una novità, ma nella realtà non è così percepita dal relatore pubblico. Quest’ultimo ha dovuto assimilare e incrementare tali funzioni in maniera naturale, camaleontica e anche forzata (in termini di necessità) per rispondere alle esigenze del mercato e anticipando di molto i tempi.

Le funzioni del direttore comunicazione e relazioni esterne sono tanto cambiate quanto il suo ruolo. In precedenza egli era più limitato nelle mansioni e vestiva principalmente un ruolo di rappresentanza in quanto filtro tra Top management e mondo esterno, in particolare con la media community. Oggi è cambiata anche l’attenzione verso i valori aziendali da tutelare: viene data un’importanza cruciale alla reputazione e al rapporto con gli stakeholder, cambiato anche in seguito dell’avvento del digitale. Dall’insieme di queste variabili viene a fondarsi la leadership dell’azienda: il CCO di oggi ha la rilevante responsabilità di tutelare e gestire la reputazione e la leadership aziendale verso l’esterno. Per adempiere a tali compiti, il CCO abbisogna di un’organizzazione personale e di competenze che non ha mai avuto prima e che non può comunque concentrare nella sua unica persona. Dal punto di vista professionale, si sta chiedendo a questa figura di vestire i panni di un “superman” che ovviamente non può essere.

L’importanza espressiva che assume oggi la cura della leadership di fronte il mercato impone un’organizzazione interna aziendale che può sicuramente fare capo al CCO (cioè il vecchio direttore comunicazione e relazioni esterne) ma con la necessità di sviluppare competenze diverse e di rapportarsi in maniera molto più stretta con le altre figure aziendali.

Nelle aziende più illuminate è normale che il CCO faccia parte della coalizione dominante vestendo i panni di un “servo muto”, avente una propria funzione utile ma rispondente ad un servizio, senza essere dotato di potere decisionale. Il suo coinvolgimento alla definizione delle strategie e la necessità di essere a conoscenza dello stato in essere dell’azienda è sempre stato imprescindibile. Oggi il CCO ha acquisito maggiore valore consulenziale e maggiori posizioni

122

perché sono cambiati i parametri esterni e sono aumentate le esigenze di difesa e tutela dell’azienda verso l’esterno.

3/4 – CAMBIAMENTO, PERCEZIONE, NECESSITÀ DEL CCO

In Italia il Responsabile comunicazione è visto con molta perplessità e a volte con sufficienza. In Italia vi è ancora pochissima cultura del relatore pubblico a vari livelli, politico, governativo e istituzionale, aziendale.

Per analizzare la percezione della figura del CCO bisogna fare una distinzione specifica del tessuto economico a cui facciamo riferimento: se parliamo delle multinazionali è possibile inquadrare un professionista che si occupa della comunicazione interna ed esterna; se ci riferiamo al 90% delle aziende medio-piccole che secondo Confindustria, fatturano dai 3 ai 50 milioni di euro non tutte possiedono cultura di comunicazione.

Se poi differenziamo tra PR, advertising, social, prende vita un’enorme chimera che confonde i settori della professione. Nella crisi soffocante degli ultimi 8 anni, i settori specialistici della comunicazione hanno fatto scempio dilagando in altri ambiti su cui si mantenevano i finanziamenti – per esempio, mentre venivano tagliati grandi budget pubblicitari, l’advertising ha iniziato a reinventarsi come esperta di web facendone un uso indiscriminato. C’è stato un abbattimento di confini e un’invasione di territori e competenze specialistiche tali che il settore comunicazione della realtà italiana appare più drammatico rispetto altrove. I confini dell’ambito dei creativi e dei pubblicitari sono sempre stati molto più delineati riguardo mansioni e strumenti. Un relatore pubblico è prima di tutto un individuo avente pensiero critico e cultura generale di base tale che potrebbe fornire consulenza nei settori più disparati. Il comunicatore vero non può restare sul mercato se non investe su se stesso: ciò significa non smettere mai di studiare, approfondire, seguire le tendenze. Il comunicatore oggi è un professionista evoluto sulle competenze digitali necessarie per continuare a fare ciò che ha sempre fatto. La formazione personale è un’esigenza connaturata nella

123

professione del comunicatore, soprattutto per quanto riguarda la formazione nelle technicalities che vanno di pari passo con lo sviluppo del lavoro.

5 – ABILITÀ

Personalmente sono molto perplessa riguardo la nuova configurazione del CCO. A questa figura viene chiesto di mantenere le relazioni esterne, interfacciarsi e aggiornarsi con tutte le anime aziendali (quindi non solo i collaboratori più stretti) per dotarsi di una visione di insieme e organizzare la struttura. Il problema è che se si occupa delle relazioni esterne non può anche occuparsi delle relazioni interne, a meno che non diventi “superman” e disponga di poteri extranaturali. Data l’ovvia impossibilità, come alternativa deve saper delegare e costruire una struttura dotata di figure che lo aiutino ad educare l’organizzazione interna aziendale e ad eseguire nuove soluzioni. Ritengo che più attività vengano concentrate in un’unica persona più quest’ultima rischia di sbagliare. L’atteggiamento di creare sistemi, metodiche di lavoro che accentrano e accorpano su poche figure professionali diverse responsabilità e ruoli, è tipicamente anglosassone. Con il metodo “pochi devono fare di più” vengono ridotti i costi dell’azienda mettendo a rischio la qualità delle performance.

La comunicazione interna è una realtà aziendale da sempre. Col passare degli anni è aumentata la richiesta di supporto esterno all’azienda per migliorare l’organizzazione interna e il dialogo, a causa dell’aumento di responsabilità e mansioni sulle figure manageriali che si trovano ora in difficoltà nel gestire tutto contemporaneamente. È molto pericoloso se l’azienda crede che il CCO possa occuparsi di tutto da solo. Basta pensare che anche all’interno delle agenzie di consulenza è aumentato il grado di definizione delle figure professionali: una volta esistevano solo account senior e account junior, ora si sono aggiunte figure molto più specializzate come digital PR, esperto di social media e digital strategist, web analyst, project manager, ecc.

124 6 VALORE AGGIUNTO

Il valore aggiunto del comunicatore per l’azienda si manifesta nel supporto a crescere e migliorare i suoi profitti; per la società, egli vuole contribuire al benessere collettivo migliorando le percezioni e gli atteggiamenti globali tramite il valore della comunicazione.

Secondo me bisogna applicare l’etica senza definirsi “etici”: il rispetto dei principi etici è così imprescindibile nella professione che non dovrebbe nemmeno essere specificato in quanto intrinseco nella vita e nel lavoro di qualsiasi professionista. La trasparenza e l’approccio culturalmente corretto verso il mercato e gli individui sono un passo obbligato per poter operare nella comunicazione con successo, e non solo nella comunicazione. L’etica dei comportamenti è un imperativo: personalmente aborro l’assioma “business is business”, perché chi lo pratica non costruisce nulla di buono. I principi etici professionali e il codice deontologico fanno parte dell’individuo: è un concetto molto importante non solo filosofico ma anche religioso, legato alla morale individuale. Secondo me la responsabilità sociale d’impresa non dovrebbe essere intesa come disciplina a parte dell’attività del comunicatore. La CSR dovrebbe entrare nel DNA dell’impresa, nelle sue fondamenta e dalla sua fondazione: è un approccio etico, culturale, economico finalizzato ad operare per il meglio della collettività, e dovrebbe quindi essere incrementato in tutte le attività aziendali fino al famoso bilancio sociale. Il codice morale di un professionista si esplica anche attraverso la scelta di lavorare o meno per un’azienda che non ascolta le proprie raccomandazioni nel rispetto dei principi etici.

125