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Origine e sviluppo della comunicazione

Caldin R (a cura di), Preadolescenza Problemi, potenzialità e strategie educative, Unicopli, Milano,

7.2 Origine e sviluppo della comunicazione

A partire dal suo affacciarsi sul pianeta Terra, l’uomo (Ergaster, Habilis, Nehandertalensis, Sapiens, Sapiens-Sapiens) si caratterizza come essere comunicante (Ferretti Adornetti op.cit).

Si può notare che in molte specie animali sono riconoscibili comportamenti, evidentemente finalizzati alla comunicazione, che possiamo classificare come gestuali (Anati 199223).

Sono noti infatti i gesti affettuosi con cui le madri dei mammiferi trattano i loro figli, dai cervidi ai rinoceronti; le scimmie madri stringono al seno i loro figli fin dalle prime ore dopo la nascita.

L’allattamento, è la prima manifestazione gestuale della vita ed è alla ricerca di questo primitivo benessere del neonato che l’uomo ha spostato le pietre ed imparato a preparare un giaciglio sempre più confortevole per sé e per la sua famiglia (ab antiquo coincidente con le forme del clan e/o della tribù). A mano a mano che l’uomo otteneva attraverso il suo lavoro utensili sempre più perfezionati la comunicazione verbale e gestuale si specializzava (Goudsblom 199224). In contemporanea si assiste alla affascinante evoluzione dal grafismo primitivo, dai primi grafemi incoerenti e/o astratti alle raffigurazioni pittoriche delle decorazioni parietali.

Non ci si può rappresentare la cultura dei nostri antenati senza la visione diretta della loro comunicazione pittorica, dove possiamo cogliere l’importanza e la portata dei gesti, immaginandovi una condivisione oltre a significati di tipo simbolico.

Come afferma De Mauro (1995)25 «Il linguaggio, dal momento in cui ogni essere umano nasce, accompagna non solo ogni istante della nostra vita di relazione con gli altri, ma anche la dimensione della nostra interiorità».

Fin da epoche remote ha colpito l’attenzione e la riflessione l’osservazione della pluralità delle lingue.

      

23 Anati E (1992) Le radici della cultura. Jaca Book Milano 24 Goudsblom J (1992) Fuoco e civiltà. Donzelli Editore Roma

25intervista a Tullio De Mauro di Sara Fortuna rilasciata a Roma, nell'abitazione del do-

 

Ad esempio gli scribi del vicino Oriente - che redigevano le lettere dei loro sovrani per altri sovrani, in egiziano, in ittita o in sumerico (siamo intorno al -5.000) avvertivano la problematicità del mettere in corrispondenza testi redatti in lingue diverse (De Mauro 1995 cit). E’ da allora che noi sappiamo che la diversità delle lingue è un fatto profondo e il perché le lingue siano diverse, è stato sempre motivo di curiosità intellettuale.

L’enorme varietà di lingue diverse era evidente anche nel passato, si tratta di una diversità singolare, perché non ha nulla a che fare con l’ambiente naturale in cui ci troviamo. Il processo di diffusione delle lingue fuori dal luogo di origine geografico, infatti, è un fenomeno noto. Nel caso delle lingue, quindi, la riduzione a cause ambientali non esiste.

Dagli anni Trenta, studiosi diversi, l’americano John Lilly e l’austriaco Karl Von Frisch (diventato poi per questi studi Premio Nobel) hanno cominciato a scoprire che la comunicazione non è limitata al mondo degli esseri umani, ma che forme di comunicazione, molto sofisticate, esistono, ad esempio, tra i mammiferi acquatici.

Dai primi lavori classici di Von Frisch, condotti sulle api, un po’ alla volta è nata una disciplina nuova, la zoosemiotica, cioè lo studio sistematico dei modi di comunicazione per simboli e per segni, propri di specie animali diverse dal genere umano. Questi studi si sono ormai allargati, si può dire, non solo a tutte le specie, ma gli sviluppi della biologia molecolare e della genetica ci hanno portato negli ultimi quindici anni fino alle estreme frontiere della vita. E’ dimostrato che forme rudimentali di interazione comunicativa si trovano anche in piccoli organismi unicellulari. Sembrerebbe oggi sempre di più, che non solo, come diceva Wittgenstein, un linguaggio è una forma di vita, ma che il linguaggio sia la forma della vita: là dove c’è qualcosa che vive, c’è qualcosa che comunica.

Possiamo supporre che la parola, nella sua articolazione vocale, rappresenti la peculiarità del codice semantico di ciascun raggruppamento umano, a partire dalla nuclearità della famiglia, per estendersi successivamente al clan, alla tribù, alle etnie e, in modo meno definito, alle nazioni.

Non credo sia difficile immaginare che, a causa delle distanze temporali e spaziali tra famiglie, clan, tribù, ciascuno dei piccoli

raggruppamenti che progressivamente si sparpagliavano nei continenti abbia sviluppato e/o mantenuto codici semantici differenziati, personalizzati. Come accade anche attualmente, qualunque gruppo ristretto tende ad utilizzare una terminologia gergale circoscritta ed a mantenerla tale, piuttosto che espanderla e condividerla.

Sarebbe quindi possibile ipotizzare che la Babele dei linguaggi sia stata in realtà la comunicazione di base, effetto inevitabile della scarsa comunicazione tra gruppi o famiglie, derivante dalle circostanze temporo-spaziali ed ambientali, malgrado l’evoluzione quasi contemporanea delle capacità neuro - psico – fisiologiche dei nostri antenati.

Gruppi tribali identificabili anche come familiari, in quanto non più numerosi di 15-20 persone, certamente coesi, nel senso che non potevano disperdersi, dovevano avere periodiche frequentazioni con gruppi familiari analoghi. Si può comprendere l’esistenza di luoghi periodici d’incontro, prevalentemente invernale, come ad esempio i ripari di Les Eyzies de Taillac (Dordogna), ed i villaggi di Dolni- Vestoniçe (Moravia) e di Çatal Hüyük in Anatolia. Si tenga presente che questi villaggi raramente ospitarono più d’un centinaio di individui.

In conseguenza di quanto considerato, si può ipotizzare che numerosi fonemi/vocaboli e gestualità elementari potessero essere comunemente comprensibili: molte gestualità e parole pronunciate con particolari toni di voce costituiscono ancora oggi modalità comunicazionali comprensibili quasi dappertutto.

Tuttavia il patrimonio lessicale più dettagliato, la base del simbolismo e dell’astrazione, e della comunicazione rapida, non poteva che rimanere confinato nel ristretto ambito delle locuzioni sviluppatesi nei piccoli ambiti familiari/gruppali.

Si può dunque considerare la famiglia originaria come portatrice di un patrimonio identitario che non poteva essere condiviso universalmente, salvo i già citati elementi gestuali primitivi, non tanto per ragioni difensive, quanto per motivi prevalentemente logistici. La comunicazione rappresenta, nell’interazione umana, una forma del legame di cui Freud studiò aspetti inconsci.

 

Presentando il concetto di pulsione alla Psicoanalisi, Freud (1905)26

formulò un’ipotesi valida per l’antropo-zoologia: «Per spiegare i bisogni sessuali dell’uomo e dell’animale, si formula in biologia l’ipotesi di una pulsione sessuale, come per spiegare la fame si suppone la pulsione di nutrimento». Il concetto caratterizzante la dimostrazione freudiana relativa ai grandi bisogni dell’organismo consiste nell’assimilarli alle fondamentali funzioni dell’autoconservazione. Trieb (che deriva da treiben = spingere) indica, nella nozione di pulsione, un fattore di dinamicità nell’organismo, una potenza di movimento in sé indeterminata, ma in grado di spingere verso un’azione. In realtà Freud giunse ad attribuire al concetto di pulsione un triplice riferimento: all’istinto, alla rappresentazione e all’oggetto. Così egli potè spiegare lo sviluppo della sessualità fin dall’epoca infantile.