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Prima sfida Definire i soggetti digital

Caldin R (a cura di), Preadolescenza Problemi, potenzialità e strategie educative, Unicopli, Milano,

8.1 Prima sfida Definire i soggetti digital

Il processo di digitalizzazione dei vari contesti sociali, culturali, economici e politici ha determinato una progressiva riaffermazione dei soggetti in quanto attori sociali o , meglio, decisori sociali e tecnologici. Nei processi educativi si è, a più riprese, ribadita la centralità del soggetto in apprendimento, rappresentato come l’artefice diretto del proprio apprendere, attraverso un percorso di costruzione sociale della conoscenza. Partendo dagli ipertesti, passando attraverso il web per giungere, ai giorni nostri, ai social network l’apprendere è rappresentato come un percorso di interazione tra soggetti e oggetti della conoscenza, nella definizione continua di forme dinamiche di sinergia e di negoziazione dei significati. Ne emerge una nuova dimensione sia, nello specifico, del soggetto in apprendimento sia, più in generale, dei soggetti definiti sulla base delle relazioni che sono in grado di stabilire con e attraverso le tecnologie digitali. A partire dall’osservazione di questa dimensione, si è cominciato a parlare di nativi digitali e immigrati digitali, di saggezza digitale e di competenza digitale nel tentativo di ridefinire le caratteristiche dei nuovi soggetti.

Il concetto di nativo digitale si deve a Prensky che, nel lontano 2001, pubblica un articolo dal titolo “Digital natives, digital immigrants”3 nel quale espone la sua teoria. Secondo lo studioso, le nuove generazioni, o meglio i nati dopo gli anni Ottanta, sarebbero caratterizzati da modalità di pensiero e azione profondamente       

3 Prensky M., Digital natives, digital immigrants, in “On the Horizon”, NCB University

Press, vol. IX, n. 5, ottobre 2001, reperibile al sito http://www.marcprensky.com/writing/prensky%20-

differenti rispetto a quelle delle generazioni precedenti4. Così come

gli immigrati, in un certo Paese, ne apprendono la lingua mantenendo però un accento straniero, altrettanto si verifica nell’ambito tecnologico: gli adulti imparano ad impiegare le tecnologie per svolgere diverse funzioni, ma non lo fanno mai con la stessa immediatezza, capacità e forma mentis che caratterizza invece i più giovani. La riflessione di Prensky era mirata a mettere in evidenza soprattutto l’inefficacia dei sistemi formativi che, pensati e strutturati sulla base di un tipo di alfabetizzazione ormai desueto, non possono rispondere in modo adeguato alle nuove richieste. Lo studioso americano proponeva un vero e proprio attacco ai sistemi educativi lanciando un appello alla trasformazione e al cambiamento, al fine di salvare la scuola, ma soprattutto le nuove generazioni dalla disfatta formativa. Sebbene sia innegabile che alcune trasformazioni nei processi di comunicazione e apprendimento siano in atto, la teoria di Prensky è apparsa subito criticabile da diversi punti di vista.

Innanzitutto, le distanze tra i soggetti esistono, ma non sempre sono fondate sul dato anagrafico. Vari studi sul digital divide hanno ampiamente dimostrato che l’età non costituisce un fattore determinante e che attualmente altre questioni sono ben più rilevanti (dimensione geografica, livello di alfabetizzazione, posizione di status) nel generare differenti opportunità di accesso ai sistemi digitali.

Il consumo digitale dei più giovani non è sempre basato sulla competenza. Le più recenti ricerche sulla competenza digitale5 hanno

evidenziato la presenza di importanti lacune nell’impiego delle tecnologie digitali da parte dei soggetti più giovani, dimostrando che il loro consumo è di tipo utilitaristico, ma non competente6.

      

4 “(…), come tutti gli immigranti, alcuni meglio di altri, hanno dovuto adattarsi al nuovo

ambiente socio-tecnologico, ma conservando il loro accento, i loro piedi nel passato. Gli adulti hanno avuto un tipo di socializzazione alla tecnologia molto differente dai loro figli, o non l’hanno avuta affatto, e stanno oggi imparando a vivere nel mondo digitale come se apprendessero una seconda lingua. Una lingua imparata non da piccoli ma più avanti nel corso della vita e, come suggeriscono alcuni neurobiologi, utilizzando una parte differente della mente o del cervello”. Prensky M., Digital natives, digital immigrants, in On the Horizon, NCB University Press, vol. IX, n. 5, ottobre 2001, p. 2

5 Calvani A., Fini A., Ranieri M., La competenza digitale nella scuola, Trento, Erickson,

2010

 

La competenza digitale non prescinde dalle competenze derivanti dai tradizionali processi di alfabetizzazione. Mentre si può accettare il principio secondo cui la scuola e i sistemi educativi, più in generale, devono integrare nuove forme di alfabetizzazione funzionali al XXI secolo, altrettanto non può essere fatto quando si sostiene che la scuola non produce più nulla di buono e di adeguato alle esigenze dei nuovi soggetti in apprendimento. Un’affermazione di questo tipo nuoce gravemente sia ai sistemi scolastici sia ai professionisti dell’educazione e genera una sorta di resa educativa assolutamente dannosa per le nuove generazioni. La cittadinanza digitale si può creare solo sulla base dei principi di cittadinanza precedenti la dimensione tecnologica: in poche battute non è necessario inventare qualcosa di nuovo, ma occorre definire nuove declinazioni di quanto già esistente.

Anziché leggere i nuovi fenomeni educativi attraverso la lente “generazionale”, pare più opportuno ricorrere al concetto di competenza digitale. Esso consentirebbe di meglio definire ciò di cui hanno necessità non solo i più giovani, ma tutti coloro che, a vario titolo, e in varia misura si confrontano con le nuove dimensioni del reale. La competenza digitale consiste

(…) nel saper esplorare ed affrontare in modo flessibile situazioni tecnologiche nuove, nel saper analizzare selezionare e valutare criticamente dati e informazioni, nel sapersi avvalere del potenziale delle tecnologie per la rappresentazione e soluzione di problemi e per la costruzione condivisa e collaborativa della conoscenza, mantenendo la consapevolezza della responsabilità personali, del confine tra sé e gli altri e del rispetto dei diritti/doveri reciproci7.

Il concetto di competenza digitale incontra quello di saggezza digitale8 elaborato dal Prensky un decennio dopo il suo primo articolo.       

ricerche su Google, ma pochi di loro sono in grado di ottenere risultati di qualità in quanto non costruiscono le stringhe di ricerca in maniera adeguata e competente.

7 Calvani A., Fini A., Ranieri M., Valutare la competenza digital. Prove per la scuola primaria e secondaria, Trento, Erickson, 2010, p. 13

8 Prensky M.,H. Sapiens Digitale: dagli Immigrati digitali e nativi digitali alla saggezza

digitale, in TD-Tecnologie Didattiche, 50, pp. 17-24, 2010, reperibile al sito http://www.tdmagazine.itd.cnr.it/files/pdfarticles/PDF50/2_Prensky.pdf

Secondolo studioso statunitense: “ La saggezza digitale è un concetto dal duplice significato: la saggezza che si riferisce all’uso della tecnologie digitali per accedere al potere della conoscenza in una misura superiore a quanto consentito dalle nostre potenzialità innate; e quella che si riferisce all’uso avveduto della tecnologia per migliorare le nostre capacità”9.

Dalla miscela delle due definizioni se ne ricava l’immagine di un soggetto pienamente inserito negli ambienti digitali da cui sa trarre, in maniera efficace e consapevole, le risorse necessarie per generare sviluppo e crescita sia individuali sia collettivi. Al di là delle etichette (nativo digitale, millenium learners, google generation) i soggetti del XXI secolo sono individui che presentano le competenze necessarie a far fronte alla dinamicità dei contesti sociali, economici e politici impiegando le tecnologie come reali mediatori di significati.

8.2 Seconda sfida. Ridefinizione del panorama mediale e dei con-